Alzano, al Fase il mercatino più giovane e creativo

Si è guadagnato l’etichetta del mercato dal sapore europeo, dove trovare gli oggetti più curiosi e originali. È il Factory Market, che torna domenica 21 giugno – edizione estiva – allo spazio Fase di Alzano Lombardo, il contenitore di eventi e iniziative sorto dal recupero del complesso industriale delle ex cartiere Pigna.

Giovani designer, artigiani, maker, vintage seller, rigattieri contemporanei, artisti, illustratori: saranno 150 gli espositori provenienti da tutto il nord Italia presenti al market con oggetti di design, seconda mano, abbigliamento, autoproduzioni, curiosità, modernariato, vinili e tanto altro ancora.

L’esposizione, aperta dalle 11 alle 22, sarà accompagnata da musica e proposte gastronomiche per tutti i gusti, con più punti ristoro all’aperto e all’interno della fabbrica: merende, dolci americani, birre artigianali, prodotti locali, hamburger, pizze, lo spritz delle 19, frutta fresca, prodotti bio e vegan. Ci sarà anche un angolo speciale per i più piccoli con giochi, attività e un mercatino dove i bambini dagli otto anni in su potranno vendere i loro vecchi libri e giocattoli e verranno forniti di un “kit del venditore” (solo su iscrizione via mail labandadellamerenda@gmail.com, i posti sono limitati).

L’evento è nato nell’estate 2011 nel parco di Sant’Agostino in Città alta ed è man mano cresciuto cercando spazi più grandi ma sempre suggestivi. Dalla edizione della scorsa primavera è approdato al Fase di Alzano. È stato creato da Coffee N Television, negozio di via San Bernardino che è diventato punto di riferimento per la moda d’avanguardia, che chiuderà alla fine del mese per lanciare i titolari in nuovi progetti.

L’ingresso è gratuito




Bergamo, le origini dei casoncelli tra notai, mercanti e imperatori

L’intreccio delle vicende di tre singolari personaggi medievali, ricostruito grazie a recenti contributi storiografici e lessicologici, contribuisce a fare nuova luce su alcuni degli arcani che si celano nella misteriosa notte dei tempi del casoncello. L’eccentrico trio si compone di un notaio, pedante quanto si conviene ad un appartenente alla sua categoria professionale, di un mercante dalle pratiche commerciali tutt’altro che irreprensibili e di un imperatore appassionato di gastronomia.

Il notaio, che di nome faceva Castello Castelli, visse a Bergamo in quell’autentico parapiglia che fu seconda metà del quattordicesimo secolo. Al pari di molti altri colleghi dell’epoca, cui tra le altre incombenze era affidata quella di registrare i principali eventi locali dei quali erano stati testimoni, attraverso i suoi scritti ci ha trasmesso una gran copia di informazioni sulla cultura materiale di quei giorni. Tra queste compaiono appunto due dei più antichi cenni reperibili in letteratura a riguardo del nostro tortello.

Il primo dei passi riferisce che il 13 maggio 1386 in Città Alta si tenne una gran festa, allietata da musiche e danze, cui presero parte più di 2.000 abitanti – ovvero almeno un quarto della rada popolazione urbana di quel periodo. Il cronista riporta puntigliosamente che nell’occasione furono offerte agli astanti più di cento torte – termine che allora designava un timballo salato – e trecento taglieri di artibotuli, altrimenti detti casoncelli.

La seconda citazione, a tinte ben più fosche, allude invece ad una tresca rusticana il cui tragico epilogo si consumò a Stezzano nel 1393. Quivi un malcapitato villico, la cui consorte era stata concupita da un rampollo della casata dei Suardi, venne assassinato su commissione dell’aristocratico per mano di certo Tonolo. Colpiscono le modalità di esecuzione del delitto, perpetrato tramite la somministrazione di artibotuli, ossia casoncelli, avvelenati. Dal testo apprendiamo inoltre che all’omicida venne comminata la pena di morte, mentre il mandante – forte del proprio titolo nobiliare – se la cavò con il bando dalla città.

Non sfugge che in entrambi gli incisi Castelli abbia deliberatamente accostato al vocabolo casoncello, ancor oggi di agevole intelligibilità, l’oscuro sinonimo di artibotulo. Quest’ultimo è un raro termine di conio medievale, decifrabile come insaccato in sfoglia di pane. L’articolazione semantica prescelta dal cronista induce peraltro a presumere che la voce lessicale a noi più familiare designasse una pietanza ampiamente diffusa nella Bergamasca, come documentato dal fattaccio avvenuto nel contado, ma apparentemente ignota ai lettori residenti altrove.

Ulteriori dettagli sull’originaria morfologia della vivanda sono forniti proprio dalla decriptazione del termine artibotulo. Da questa si ricava che, più che un raviolo da sottoporre a bollitura, il casoncello dei primordi dovesse essere una sorta di panzarotto rassodato tramite frittura o infornatura. Tale deduzione pare avvalorata dalle modalità di servizio riferite dal Castelli: il tagliere menzionato dal notaio è un piatto da portata sprovvisto di bordatura, inadatto dunque a raccogliere un alimento cotto in mezzo umido e generosamente irrorato di burro fuso. Il passaggio dal tortello in crosta trecentesco al raviolo da lessare giunto sino ai nostri giorni pare quindi essersi realizzato nel corso del XV secolo: risale infatti alla prima metà del cinquecento la menzione nel Baldus di Teofilo Folengo di cento calderoni pieni di casoncelli, maccheroni e folade, che ad ogni evidenza presuppone il perfezionamento della transizione.

Il secondo dei personaggi cui siamo debitori delle rivelazioni ricevute è un mercante del quale in realtà sappiamo assai poco. Ne conosciamo il nome di battesimo di Giovanni; ci è inoltre noto che fosse originario della nostra città, e dovesse aver visto la luce qualche decennio prima del notaio Castelli. Consta infine che per qualche tempo avesse risieduto a Venezia, in contrada Sant’Apollinare, ma fosse poi dovuto repentinamente riparare a Mantova.

Le ragioni della precipitosa dipartita sono esposte in paio di missive inviate tra il 1366 ed il ’67 dal doge Marco Cornaro a Francesco Gonzaga, provvidenzialmente recuperate dal brillante linguista Alessandro Parenti. In esse il reggente della Serenissima lamentava di essere stato raggirato dal faccendiere bergamasco il quale, dopo aver carpito la sua fiducia, gli aveva preso a credito una grossa partita di tessuti ed altre mercanzie da rivendere in Lombardia. Superfluo soggiungere che il notabile veneziano non rivide indietro il becco di un quattrino, lagnandosi con il Gonzaga dell’aver appreso che il truffatore potesse scorrazzare impunemente nel centro sulle rive del Mincio.

Tra le pieghe di quella che parrebbe una tutt’altro che memorabile frode commerciale si cela nondimeno un dettaglio di considerevole importanza: all’imbroglione, identificato come Johannes de Pergamo, è appioppato l’insolito epiteto di Casoncellus. Il prof. Parenti è indotto a ritenere che il soprannome sottendesse una certa tendenza alla pinguedine dell’assegnatario, ma non sfugge come molti dei nomignoli appiccicati alle enclavi culturali siano storicamente derivati dalla singolarità dei loro usi alimentari. Se ne ricava dunque che già nel cuore del XIV secolo il tortello bergamasco dovesse rappresentare una ben distinguibile icona gastronomica del nostro territorio.

Vale qui soggiungere che le prime testimonianze bresciane a riguardo della pietanza datano ad un’epoca ampiamente posteriore, risalendo alle cronache di Giacomo Melga sulla pestilenza del 1478. Pur non rappresentando una prova risolutiva, è comunque innegabile che l’ampio divario temporale tra le fonti documentali finisca per sminuire l’attendibilità della tesi secondo cui la vivanda possa aver visto la luce sulla sponda orientale dell’Oglio.

L’ultimo componente dell’imprevedibile trio di méntori gastronomici risponde nientemeno che al nome di sua maestà Federico II di Svevia, timoniere del Sacro Romano Impero nella prima metà del XIII secolo. È risaputo che il vulcanico monarca, oltre a doti di impareggiabile stratega, mostrasse un’incorreggibile inclinazione a stili di vita piuttosto eccentrici per i suoi tempi. Affascinato dalla cultura araba tanto da infarcire il proprio seguito di eunuchi mammalucchi e di danzatrici saracene, l’imperatore era perennemente accodato da uno strampalato caravanserraglio di saltimbanchi mori e di animali esotici – tra cui elefanti, dromedari, scimmie e leopardi.

Tra quelle che all’epoca dovevano apparire come incomprensibili stravaganze per un sovrano, risalta l’interesse per le arti conviviali, profondo al punto da tradursi nella codificazione di proprio pugno di diverse ricette di cucina. Nel Liber de coquina – testo redatto intorno al 1300 presso la corte Angioina di Napoli a compendio dell’eredità gastronomica federiciana – compaiono infatti le indicazioni per la preparazione di una pietanza di cavoli secundum usum Imperatoris, che risultano personalmente dettate dal monarca. Se un francamente incolore stufato di verze e finocchi non può trarre immortalità che dall’universale rinomanza del suo ideatore, assai più convincenti paiono le fritelle da Imperatore magnifici riportate nel Libro di Cucina redatto a Venezia nel XIV secolo, il cui approntamento prevede che del formaggio fresco venga fritto in pastella di chiara d’uovo montata a neve con l’aggiunta di pinoli.

Sempre il testo veneziano racchiude due ricette di timballi che rimandano a re Manfredi di Sicilia, figlio prediletto dello Svevo nonché suo designato successore gastronomico: la torta manfreda bona e vantagiata e la torta di re Manfredi da fava frescha. E proprio grazie al rampollo cadetto dell’Imperatore, ed alla traduzione dall’arabo del Taqwim al Sihha di Ibn Buṭlān eseguita su suo impulso verso la metà del XIII secolo, è finalmente dato di chiudere il cerchio gastro-lessicologico che congiunge Federico II al casoncello. L’accostamento per affinità del sembusuch moresco – un raviolo fritto del califfato di Bagdad – all’italico calizon panis, decifrabile come calzoncello di pane, rende infatti perspicua la stretta parentela intercorrente tra quest’ultima vivanda, ad evidenza affermata presso la corte federiciana, ed il pressoché speculare artibotulo del notaio Castelli.

Resta infine da chiarire come sia riuscita a prender piede dalle nostre parti una pietanza che in realtà rivela precipui addentellati con la tradizione gastronomica meridionale. Ancor oggi nelle aree del mezzogiorno – segnatamente Puglia e Campania – che più profondamente subirono l’influsso della corte Sveva, si registra invero una profusione di tortelli fritti, morselletti e focacce imbottite denominati kalzoni, calcioni, calcioncelli e cazuncielli, tutti accomunati dall’involucro di pasta lievitata che caratterizzava anche l’artibotulo bergamasco.

In assenza di evidenze documentali a tale riguardo, balza comunque all’occhio che Bergamo e Cremona fossero schierate al fianco di Federico nella contesa che lo opponeva ai riottosi rimasugli della Lega Lombarda. E proprio a Cremona, storicamente legata alla nostra città da una ferrea alleanza, sono documentati prolungati soggiorni del monarca con il suo bizzarro seguito di eunuchi, odalische e giocolieri. È dunque suggestivo lasciarsi blandire dalla lusinga che il casoncello possa aver rappresentato un simbolico lascito dell’Imperatore ai nostri avi a riconoscimento della fedeltà dimostrata. Se l’antica preparazione non rappresenta pertanto sola farina del sacco bergamasco, è pur vero che per l’ammutinata Brescia la principale memoria legata allo Svevo resti quella della disfatta patita a Cortenuova nel 1237, resa ancor più agra dal risolutivo apporto prestato dalle milizie di Bergamo al trionfo dei lealisti.




Start up, premio nazionale ai droni bergamaschi di Geoskylab

geoskylabNell’ambito dell’evento Italian Master Startup Award, che premia i risultati conseguiti sul mercato da parte di giovani imprese hi-tech e che si è svolto mercoledì 10 giugno, per il terzo anno Apsti, l’Associazione dei Parchi Scientifici e Tecnologici Italiani di cui fa parte Bergamo Sviluppo, ha assegnato il Premio Start Up Parchi Scientifici e Tecnologici, rivolto alle giovani imprese innovative nate, ospitate o legate da rapporti di collaborazione con i Parchi Scientifici e Tecnologici e gli incubatori della rete Apsti.

La vincitrice è Geoskylab (www.geoskylab.com), startup nata nell’Incubatore d’Impresa di Bergamo Sviluppo, che offre sistemi aerei a pilotaggio remoto con una formula che comprende sia formazione obbligatoria sia  formazione professionale, oltre a consulenza per operatori professionali, attività per cui ha ottenuto per prima l’autorizzazione da Enac come società consulente. Inoltre ha progettato e sviluppato un sistema di terminazione del volo, componente imposto dall’autorità aeronautica, che al momento risulta essere l’unico sul mercato. Le altre startup finaliste del Premio Start Up Parchi Scientifici e Tecnologici erano Easycloud, promossa da ComoNExT, e P2R srl, legata a Kilometro rosso.

geoskylab 2L’Italian Master Startup Award, giunto alla nona edizione, era promosso da PNICube, l’Associazione Italiana degli Incubatori Universitari e delle Business Plan Competition, e sostenuto quest’anno dal Politecnico di Milano insieme al suo incubatore PoliHub. Si tratta di un premio pressoché unico nel panorama nazionale, perché va a riconoscere i risultati conseguiti dalle startup nate in ambito accademico nei loro primi anni di vita: non solo prospettive, potenziale di business e carica innovativa, quindi, ma risultati concreti, “consacrati” dalla risposta del mercato. Tra le finaliste c’erano imprese che operano in settori diversi, provenienti da diverse regioni italiane, ma ad aggiudicarsi il riconoscimento è stata Jusp, azienda cresciuta presso il Polihub, che ha ideato un mobile Pos, cioè una soluzione per ricevere pagamenti in mobilità attraverso un dispositivo e un’applicazione ad esso correlata, e che ha ottenuto un brevetto internazionale che copre 147 paesi.

 




Logistica, Comelit diventa oggetto di studio

La sede Comelit di Rovetta
La sede Comelit di Rovetta

Comelit Group continua la politica d’innovazione non solo attraverso i suoi prodotti, ma anche nella gestione dei processi aziendali. L’azienda con sede centrale a Rovetta, ha messo a punto un’interessante strategia di outsourcing a livello nazionale e internazionale, concentrando la sua attenzione, in particolare, su due aree del Global Supply Chain Management: l’apertura di un Global Distribution Center e la gestione dei fornitori a livello globale. Nel 2014 Comelit ha inaugurato il nuovo centro di distribuzione globale presso DHL a Liscate. L’esternalizzazione della gestione del magazzino presso una struttura specializzata nella logistica ha consentito una riduzione delle tempistiche di trasporto, grazie all’adozione dei modelli più efficienti. Il polo DHL Supply Chain gestisce 160mila ordini annuali, raccogliendo i prodotti finiti e i semilavorati dalla sede in alta Val Seriana, per poi distribuirli ai clienti e ai grossisti italiani ed esteri. I vantaggi sono stati immediati e sono individuabili nell’abbattimento delle tempistiche e dei costi di trasporto, a cui si aggiunge un effetto collaterale, non di secondaria importanza, come la riduzione dell’impatto ambientale.

Per raggiungere il successo nel Global Supply Chain Management, ha giocato un ruolo fondamentale anche la creazione di partnership consolidate nel tempo. Comelit ha valorizztoe la gestione del rapporto con le aziende fornitrici, siano esse di materie prime, di componenti chiave o dedicate allo stampaggio della struttura esterna e all’assemblaggio finale. Il rapporto, basato sulla fiducia e volto a ottenere un prodotto finale di assoluta qualità, è mantenuto sempre vivo attraverso meeting periodici, durante i quali vengono individuate possibili criticità e proposte le soluzioni più adatte. Sulla base di KPI (Key Performance Indicators) definiti con i fornitori e misurati mensilmente o settimanalmente vengono costantemente valutate le performance in termini di tempistica delle consegne, di qualità delle produzioni e lo sviluppo di nuovi processi. Grazie a questo approccio, Comelit può vantare rapporti di partnership ultradecennali con una lunga serie di fornitori. Il caso Comelit nel Global Supply Chain Management è stato oggetto di uno studio universitario, ripreso nel testo ‘Logistica e Supply Chain Management’ (ed. Pearson), come spiega l’autore Gianpaolo Baronchelli, professore di International Business presso l’Università di Bergamo. “La capacità di individuare le attività della catena del valore da esternalizzare e la selezione dei fornitori migliori con cui collaborare sono il vero vantaggio competitivo nel Global Supply Chain Management di Comelit Group SpA. L’azienda ha saputo riconoscere l’importanza di un approccio collaborativo con i fornitori, che inizia dalla loro selezione, prosegue con il trasferimento di informazioni chiare e si caratterizza sempre per il dialogo tra cliente e fornitore, con l’obiettivo del miglioramento della partnership sul lungo periodo”.

 




Enac, è Ryanair la prima compagnia aerea in Italia

ryanair bergamo alta orio al serioQualche sorpresa dai dati diffusi dall’Enac sul traffico aereo in Italia. E’ Ryanair la prima compagnia aerea – di base anche a Orio al Serio – che nel 2014, con i suoi 26,1 milioni di passeggeri, ha staccato il gruppo Alitalia che ha trasportato 23,3 milioni di passeggeri. Al terzo posto della classifica dei principali vettori operanti in Italia, c’è Easyjet con 13,3 milioni di passeggeri.

Se si considera il numero dei passeggeri trasportati per traffico nazionale, la graduatoria vede ancora il gruppo Alitalia al primo posto con 12,8 milioni di passeggeri, seguita da Ryanair con 8,9 milioni e da Easyjet con 2,9 milioni. Se, invece, si considera il numero dei passeggeri trasportati per traffico internazionale, il primato è detenuto da Ryanair con 17,1 milioni di passeggeri. Alitalia segue a distanza con 10,5 milioni e Easyjet con 10,4 milioni di passeggeri.

Le tratte nazionali con maggior numero passeggeri sono Catania – Roma Fiumicino (944.361 ), Roma Fiumicino – Catania (917.228), Palermo – Roma Fiumicino (740.857). Le rotte internazionali con i Paesi Ue più trafficate sono Roma Fiumicino – Parigi Ch. De Gaulle (1.134.521 passeggeri), Roma Fiumicino – Amsterdam Schiphol (1.026.909), Roma Fiumicino – Barcellona (988.508). I collegamenti extra Ue vedono al primo posto Roma Fiumicino – New York JFK (618.941 passeggeri), Roma Fiumicino – Tel Aviv (574.131), Roma Fiumicino – Dubai (561.170), Milano Malpensa – New York JFK (556.888).




Iseo Express, tutto pronto per “catturare” i turisti da Orio al Serio

lovere porto turistico
Una veduta del Porto turistico di Lovere

Per la stagione estiva ormai alle porte i laghi possono giocare una carta in più che potrebbe finalmente far fare un salto di qualità, ma soprattutto di quantità, al turismo dei paesi rivieraschi.

Il progetto “Iseo Express”, il servizio transfer che collega l’aeroporto di Orio al Serio con i laghi d’Iseo e di Endine, firmato Turismo Bergamo, a tre mesi dal debutto, è pronto ad affrontare i mesi più caldi.

L’iniziativa, che ha il sostegno di Provincia di Bergamo e Regione Lombardia, per ora è in fase sperimentale  (il servizio sarà attivo fino al 31 dicembre) ma l’auspicio è che possa diventare definitiva. Il servizio facilita i collegamenti verso i laghi bergamaschi e può rivelarsi strategico per riscattarli e farli diventare mete competitive.  Spiega Demetrio Tomasoni, responsabile Sales & Marketing di Turismo Bergamo: «I turisti in arrivo allo scalo bergamasco possono raggiungere le località rivierasche del Sebino e della Valcavallina attraverso navette a chiamata, senza dover sopportare inutili attese legate agli orari dei servizi pubblici. Attraverso la prima direttrice si raggiungono i comuni di Trescore Balneario, Endine Gaiano, Lovere e in poco più di un’ora si arriva a Pisogne; mentre il secondo percorso tocca Grumello del Monte, Sarnico, Paratico, Iseo e raggiunge Marone in un’ora e 10 minuti».

La procedura è semplice e veloce. La prenotazione del transfer può essere effettuata già al momento della scelta della struttura ricettiva on line sul sito www.iseoexpress.it; una volta selezionato il servizio, i turisti troveranno ad accoglierli in aeroporto un autista e dal parcheggio un’auto o un bus, a seconda del numero dei posti richiesti, li porterà direttamente alle strutture ricettive prenotate. E per i visitatori che si fermeranno almeno una notte in una struttura ricettiva o extraricettiva il ritorno è gratuito. Non solo. I turisti troveranno a bordo della navetta un “welcome kit” con materiale informativo sui laghi. Il servizio delle prenotazioni e l’invio delle auto navetta è affidato all’agenzia di viaggio Ovet – riferimento per  l’incoming – e il coordinamento delle strutture ricettive per la parte bresciana è affidato al consorzio degli operatori turistici Cooptur di Iseo.

«Questo servizio è essenziale. Siamo convinti che la chiave per portare turisti verso i nostri laghi sia potenziare i trasporti e dare un’immagine unica del Lago d’Iseo – dice Tomasoni -. Nel corso di un incontro con le strutture ricettive dei due laghi abbiamo invitato gli albergatori a fare conoscere il servizio tramite i propri siti internet e a costruire dei pacchetti di soggiorno legati agli eventi in programma per attirare i turisti di Orio al Serio. Nell’ambito dei lavori di riorganizzazione dei parcheggi dell’aeroporto c’è anche un’area contrassegnata ‘Iseo express’ in modo che i passeggeri trovino con facilità la loro navetta».

Le strutture ricettive interessate dal servizio transfer laghi sono circa 280. In base alle prenotazioni, le località più richieste sono Sarnico e Iseo mentre i turisti che più apprezzano i nostri laghi sono tedeschi e nordeuropei.




Migranti, le quattro verità che vanno dette

migrantiQui, fra teste che rotolano e braccia che volano, fra gente che pensa di vivere asserragliata nella “Ridotta Lombardia” e sventatelli che garriscono per ogni infornata di disperati che arriva in Italia, forse forse è il caso di fare un po’ d’ordine e di cercare di mettere in fila due ragionamenti. Quando devo spiegare agli studenti un fenomeno storico di vasta portata, durativo, incidente, importante, la prima cosa che dico loro è che ogni grande evento è, per definizione, molto complesso e, per solito, controverso: la tentazione di risolverlo con una spiegazione facile è forte, ma è estremamente fuorviante. Lo stesso vale per questa terribile contingenza, che qualche burlone definisce “emergenza immigrazione”, ma che, in realtà, è un insieme di elementi che formano un fenomeno epocale. Partiamo dalle idiozie.

Idiozia numero uno: la fuga dall’Africa è una conseguenza del colonialismo. Sciocchezze: il colonialismo, senz’altro riprovevole come la schiavitù sul piano morale, semmai tenne a freno conflitti etnici e migrazioni selvagge. E’ la decolonizzazione senza regole, messa in atto con la tecnica dell’ “adesso arrangiatevi!”, che ha permesso l’insorgere di regimi nazional-sociali, in epoca di guerra fredda e, in seguito, di stati confessionali. Al colonialismo, da quando la guerra fredda non c’è più, si è sostituita la gendarmeria globale americana, che ha abbattuto e creato dittatori e capi carismatici, a seconda delle proprie esigenze, coi bei risultati che vediamo oggi.

Idiozia numero due: i migranti fuggono da guerre, carestie e dittature. Certo, una parte di loro fugge senz’altro da scenari di guerra: sono quelli che fanno come faremmo anche noi, ossia caricano moglie e figli su di un carretto e scappano via. Chi fugge da una guerra si porta dietro ciò che ha di più caro, ossia la propria famiglia. Altro è chi fugga da una vita di povertà, disperazione, disoccupazione, fame: costoro, esattamente come i nostri emigranti di cent’anni fa, partono da soli, leggeri, disponibili ad arrangiarsi, a rischiare e a tentare la sorte. La maggioranza dei poveracci che stanno sbarcando sulle nostre coste risponde a questo identikit: maschio africano, giovane, in forze, desideroso di migliorare la propria condizione economica. Del tutto lecito, intendiamoci, ma non parliamo di profughi, perché sarebbe come paragonare “Dagli Appennini alle Ande” al diario di Anna Frank.

Idiozia numero tre: stabilire basi di selezione e di accoglienza in Africa è impossibile, perché c’è la guerra e non esistono interlocutori certi cui rivolgersi. Amici belli, se c’è una guerra e non ci sono dei governi con cui fare accordi, si assuma l’egida dell’Onu, la stessa Onu che protegge i rifugiati e le stesse forze che hanno fatto il diavolo a quattro in mezzo mondo, senza che nessuno ci trovasse da ridire: si crea una zona di sicurezza sulle coste libiche e si sbarca. Credete davvero che, di fronte ad uno spiegamento di forze militari, anche dieci volte inferiori a quelle utilizzate per abbattere Saddam o Gheddafi, con tutte le conseguenze del caso, non si riuscirebbe a garantire un corridoio sanitario per i profughi? Suvvia, creduloni: i combattenti libici, ribelli o antiribelli che siano, sono quattro gatti, armati da far ridere: alla vista di cento carri Abrams o di venti elicotteri Apache correrebbero ad intrunarsi nella sabbia. E poi, miei ingenui amici, gli F35 cosa li compreremmo a fare: per farli scontrare in volo nelle manifestazioni aeronautiche?

Idiozia numero quattro: la situazione è sotto controllo. In Italia non è sotto controllo un bel nulla, e la gente lo sa perfettamente. Non basta proclamare che quest’anno diventeremo tutti ricchi e felici: ad un certo punto, bisogna pure fare i conti con la realtà. Dirò di più: tanti disperati scelgono l’Italia proprio perché in Italia nulla è sotto controllo. Ormai la cosa è di dominio universale: si passano parola dicendo che, da noi, ognuno può fare quello che vuole e nessuno la paga mai. Siamo il paese di Bengodi, la pattumiera dell’umanità, altro che sotto controllo! I nostri governanti non hanno la più pallida idea di quanti siano i clandestini in giro per le nostre strade: figuriamoci se sanno come arginare il fenomeno. Fanno come fa qualunque irresponsabile: si affidano al caso, finché la barca va lasciala andare.. E mentono per la gola, tutti i giorni, dalle televisioni, dai giornali: mentono sapendo di mentire. E la confusione aumenta, insieme al disagio: non si distingue più, come sarebbe doveroso e utile, tra immigrato ed immigrato, fra provenienza e provenienza, diritti e doveri, cultura e cultura. O si amano tutti, fideisticamente, oppure si odiano tutti, esattamente con la stessa caparbia ottusità.

Invece, come scrivevo all’inizio, distinguere è fondamentale: un bravo lavoratore, una casalinga, una persona perbene è una ricchezza per il nostro Paese, sia che provenga da Clusone sia che arrivi dalle Isole Vergini. Un delinquente, un tagliagole, un mendicante, un incivile, sono una jattura, quale che sia la loro origine. Lo so che è più semplice risolverla con gli slogan, ma non è così che se ne esce: bisogna usare il cervello, non la pancia. E distinguere, sempre, faticosamente, caso per caso: esattamente ciò che i nostri politicanti non sono capaci di fare. Basta, vi ho indicato qualche idiozia: la prossima volta cercherò di proporre qualche soluzione. Alla buona, certo: ma sempre meglio che niente.




È arrivata la bocciatura? Ecco come reagire

scuolaSe per la maggior parte dei ragazzi l’ultima campanella scolastica è il segnale che dà il via ad un periodo di libertà e svago, per alcuni porta la cattiva notizia della bocciatura, che quasi mai giunge imprevista ma che diventa ineluttabile con la pagella.

Da questo che è spesso un evento drammatico si può però imparare, per ripartire con maggiore consapevolezza e motivazione. A dare una mano in questa direzione c’è il Consultorio familiare Zelinda di Trescore Balneario che organizza un percorso per genitori e figli nella formula del gruppo guidato. Si tratta di due incontri gratuiti, venerdì 26 giugno alle ore 20.30 e sabato 4 luglio alle 10, condotti  da Daniele Masini e Tamara D’Alba, rispettivamente psicologo, educatore e formatore e psicologa psicoterapeuta presso il Consultorio Familiare Zelinda.

L’iniziativa parte dal presupposto che la bocciatura è un dolore che riguarda colui che la subisce ma anche tutta la famiglia, per questo occorre prepararsi all’evento e per questo occorre reagire immediatamente e non lasciandosi trasportare nella delusione del fallimento, occorre, insomma, affrontare la bocciatura come un’occasione di riscatto.

I posti a disposizione sono limitati ed è necessaria la preiscrizione.

CONSULTORIO FAMILIARE ZELINDA
via Fratelli Calvi, 1 – Trescore Balneario
tel. 035.4598380
zelinda@consultoriofamiliarebg.it



Ospedale, scattato per la prima volta il piano di emergenza “Pemaf”

FiobbioSono avvenute oggi pomeriggio le dimissione dei 16 pazienti coinvolti nell’incendio della Comunità di Fiobbio di Albino che erano stati trattenuti in osservazione temporanea al Pronto Soccorso dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII. Poco prima hanno ricevuto la visita dell’assessore alla Salute e vicepresidente della Regione Lombardia, Mario Mantovani, accompagnato dal direttore generale dell’Asl di Bergamo, Mara Azzi, a Bergamo per sincerarsi delle loro condizioni e delle cure ricevute.

In totale all’Ospedale Papa Giovanni XXIII nella notte sono stati valutati 26 pazienti adulti, di cui 2 codici rossi e 24 codici gialli. I due codici rossi sono stati intubati, stabilizzati e trasferiti per trattamento iperbarico all’Ospedale Niguarda di Milano e all’Ospedale Città di Brescia. Le loro condizioni sono in miglioramento.

L’Ospedale Papa Giovanni per far fronte all’emergenza ha attivato il PEMAF, il Piano di emergenza per massiccio afflusso di feriti, aggiungendo ai 7 infermieri già in servizio il Coordinatore Infermieristico, 4 infermieri, di cui due con competenze psichiatriche, e prolungato la presenza in servizio di altre due persone fino alle 3 di questa mattina. In shock room invece erano al lavoro due anestesisti – rianimatori, un medico di Pronto soccorso per la gestione dei codici rossi, un medico di Pronto soccorso per la gestione dei codici gialli e verdi, un tossicologo, un chirurgo, uno psichiatra e il medico reperibile della Direzione Medica di Presidio.

“E’ stata la prima volta che abbiamo attivato il PEMAF – sottolinea il direttore generale Carlo Nicora – e tutto ha funzionato alla perfezione. Il personale del Centro Emergenza Alta specializzazione (Eas) simula periodicamente queste situazioni e quindi i meccanismi sono ben oliati. Voglio comunque ringraziare tutti per la disponibilità e professionalità con cui hanno gestito la non facile situazione, gestendo anche altri pazienti critici arrivati in Pronto Soccorso nelle stesse ore”.




Monterosso, al via i lavori di sistemazione di Piazza Pacati

SAMSUNG CAMERA PICTURESSono iniziati proprio questa mattina i lavori di riqualificazione di Piazza Pacati a Monterosso: un intervento molto atteso dal quartiere su un progetto che ha previsto diverse novità condivise proprio con i residenti e gli abitanti della zona, emerse da un percorso partecipativo durato qualche mese e iniziato la scorsa estate.

I lavori hanno preso le mosse dall’area della piazza che si affaccia su viale Giulio Cesare, con la realizzazione dell’area destinata ad ospitare il mercato del sabato mattina e della nuova fontana. Il progetto prevederà poi la sistemazione di buona parte del fondo della piazza, quella degli spazi di sosta sul lato destro e la creazione di una nuova area per il parcheggio sul lato sinistro del piazzale. Saranno sostitute poi tutte le componenti che allo stato attuale risultano danneggiate o che versano in cattive condizioni, per un costo complessivo di 109mila euro più iva.

“Il progetto rispecchia le reali esigenze del quartiere – spiega Marco Brembilla, assessore ai Lavori pubblici del Comune di Bergamo -. L’intervento avrà la durata di tre mesi circa, al termine dei quali la piazza si presenterà finalmente rimodellata secondo i suggerimenti che in questi mesi sono venuti da rappresentanti delle associazioni, dei cittadini e della parrocchia del quartiere”.