Nuovi vertici per “Imprese & Territorio”

Da sinistra, Alberto Brivio, Edoardo Ranzini, Giorgio Ambrosionie Angelo Carrara
Da sinistra, Alberto Brivio, Edoardo Ranzini, Giorgio Ambrosionie Angelo Carrara

Nuova guida per Imprese e Territorio, il Comitato unitario che riunisce le dieci associazioni d’impresa delle Pmi bergamasche (Ascom, Cia, Coldiretti, Confartigianato Bergamo, Confcooperative, Confesercenti, Confimi Apindustria, Cna, Fai e Lia). L’assemblea dei presidenti delle associazioni di categoria aderenti, riunitasi oggi per il rinnovo delle cariche associative, dopo un ampio e propositivo dibattito nel quale è stata espressa la volontà di continuare l’attività del Comitato nel solco di quanto costruito in questi anni, ha nominato all’unanimità nel ruolo di presidente Giorgio Ambrosioni, presidente di Confesercenti. Ambrosioni sarà affiancato da due vicepresidenti, Angelo Carrara, presidente di Confartigianato e Alberto Brivio, presidente di Coldiretti.

Rinnovato anche il coordinatore che sarà Edoardo Ranzini, direttore di Confimi-Apindustria. “Ringrazio i colleghi presidenti per la stima riposta nei miei confronti – ha detto Ambrosioni – e ringrazio altresì il presidente Giuseppe Guerini che mi ha preceduto e il coordinatore Stefano Maroni, per l’eccellente lavoro svolto. Nei prossimi dodici mesi lavoreremo su 3 punti principali condivisi nell’assemblea, ossia, l’impegno preciso a sviluppare i temi emersi nel rapporto dell’Ocse per una governance del Sistema Bergamo più incisiva; la ripresa, insieme a tutti gli attori del territorio, delle iniziative sulle politiche del lavoro, a partire dal tema del welfare aziendale, mettendo in campo anche lo strumento degli enti bilaterali; la valorizzazione del rapporto con l’Università soprattutto sui temi specifici che riguardano il mondo delle Mpmi del territorio che rappresentiamo”.

“Il programma sarà presentato a settembre nelle sue linee operative – spiega Ranzini – ed attuato con il fattivo contributo di tutti i direttori delle Associazioni del Comitato Unitario. In un momento così delicato per l’economia del nostro territorio è indispensabile il gioco di squadra e l’impegno di tutti”.




A Bergamo 11mila imprese creative

business-plan-700x630In Lombardia sono 105 mila le imprese creative e 596 mila gli addetti, un quinto dei 2,8 milioni di addetti nel Paese che lavorano per 615 mila imprese. In calo le imprese in cinque anni (-5%), anche se crescono gli addetti (+8%). A Milano sono 40 mila le imprese creative con 293 mila addetti, a Brescia 13 mila imprese e 47 mila addetti, a Bergamo 11 mila imprese e 51 mila addetti, a Monza 9 mila imprese e 48 mila addetti, a Varese 8 mila con 40 mila addetti. Primi settori in Lombardia: ristrutturazione edilizia con posa vetri e tinteggiature (12 mila imprese); software con 10 mila imprese e 82 mila addetti; abbigliamento con 8mila imprese e 62 mila addetti; l’industria del legno con 5 mila imprese e 25 mila addetti; i mobilifici con circa 5 mila imprese e 32 mila addetti; l’industria tessile con 4 mila imprese e 62 mila addetti; la vendita di abbigliamento con 4 mila imprese e 40 mila addetti. Settori che crescono in un anno sono: studi professionali, vendita di mobili, coltelleria, pubblicità, design, ceramica e vetro.




I mediatori immobiliari aprono il fronte contro le banche

Condominio-Settore-immobiliare-Appartamenti-ImcLa Fimaa-Confcommercio, la Federazione italiana che riunisce i mediatori agenti d’affari, ha depositato presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato un esposto per evidenziare “l’ingerenza delle banche nel settore dell’intermediazione immobiliare”. Nei documenti inviati all’Antitrust la Fimaa proverebbe che gli istituti di credito agirebbero in regime di concorrenza sleale.

“Le banche che si apprestano ad entrare nel mercato immobiliare non possono considerarsi mediatori e di fatto non lo sono, non essendo “terze” nei “confronti dei clienti-consumatori, di cui conoscono condizioni economico-patrimoniali e abitudini – sottolinea la Fimaa -. La costituzione delle società di intermediazione delle banche (Unicredit, Intesa San Paolo ed altre) contrasta, pertanto, irrimediabilmente con i principi che sono alla base delle norme che regolano la mediazione”. “La terzietà è il requisito cardine alla base del rapporto di mediazione. Se essa viene meno – commenta Valerio Angeletti, presidente nazionale della Fimaa-Confcommercio – non si può assolutamente definire tale rapporto come di mediazione né definire il soggetto che opera nei confronti delle due parti (acquirente e venditore) come mediatore. Gli istituti di credito, infatti, intendono impadronirsi del mercato degli immobili mettendo di fatto al servizio delle loro società di intermediazione immobiliare gli stessi dipendenti delle banche per contattare i clienti, promuovere la mediazione degli immobili e rimpinguare così il proprio portafoglio commerciale”. Con questo sistema – annota ancora la Fimaa – lo scopo delle banche è quello di occuparsi dell’intera filiera dell’immobiliare: dall’acquisizione, alla compravendita dell’immobile, all’erogazione del mutuo. Magari offrendo agevolazioni, in odore di concorrenza sleale, che schiaccerebbero gli unici soggetti che garantiscono la terzietà tra acquirente e venditore e cioè gli agenti immobiliari e i mediatori creditizi. Fimaa-Confcommercio ritiene pertanto che in tale situazione ci siano delle evidenti anomalie, provate dai documenti raccolti dalla Federazione e presentati all’Antitrust che deve fare verifiche per tutelare i clienti-consumatori e la trasparenza del mercato.




Cocktail e drink, è tempo di cucina liquida

blody mary più o menoNel mondo del bere mixato arriva una nuova tendenza che mischia le due arti portando tecniche, ingredienti e attrezzature dei ristoranti dietro il bancone dei bar. Si chiama “Cucina liquida”, arriva dagli Stati Uniti, spopola a Londra e Parigi, ed è la tendenza più trendy del momento.

Niente paura, non troveremo nel nostro bicchiere una porzione di risotto allo zafferano centrifugata: semplicemente, i cocktail vengono preparati secondo le tecniche di cucina e non quelle classiche da bar, e con prodotti destinati a un piatto e non a un bicchiere.

I cocktail tradizionali come i Martini e i frozen vengono reinventati in ricette nuove dove compaiono gelatine, spray, essenze, riduzioni, glasse, aromi e spezie. Il mixer e lo shaker fanno posto a piastre a induzione, pentole e omogeneizzatori. Il risultato sono proposte davvero insolite: Martini alle spezie, drink flambé, Margarita agli agrumi, Collins a base di centrifugati di verdura e frutta, cocktail con pomodori e persino con il cioccolato, il burro e la ricotta.

In Italia il precursore di questa nuova filosofia è Dario Comini, pluripremiato patron del Nottingham Forest di Milano, uno dei barman più quotati al mondo proprio per il suo estro innovativo. In “Mix and drink”, libro mastro della cucina liquida, spiega come ha adattato le tecniche della cucina molecolare alla stazione del bar, e realizzato nuovi cocktail con glasse, spume e gelatine, tutte realizzate in casa.

Gli accoliti di questa nuova filosofia sono ogni giorno di più: ciascuno ci “mette del suo” e dà vita a interpretazioni personali: c’è chi, come Comini, usa shaker e pentole per mixare marmellate, salse e puree e dar vita a sciroppi aromatizzati, riduzioni di liquori, infusi di distillati, spezie e puree; chi si rivolge agli amanti del bio con germogli e erbe da coltivazioni organiche; chi si ispira alle ricette della pasticceria e della cultura locale; e chi, addirittura, abbina liquori e vegetali in base a un’attenta analisi molecolare.

Il panorama spazia in tutta la Penisola: in Sicilia, a Castelvetrano, Gianluca Nardone all’Area 14 dà della Cucina liquida-Mixology l’interpretazione più golosa con i suoi “dessert drink” ispirati ai dolci tipici siciliani, il cannolo, la cassata siciliana e la cucchitedda. Gli ingredienti? Oltre a vodka e liquori vari, scaglie di cioccolato, ricotta di pecora, cubetti di latte, cannella e infusione di canditi.

A Brescia, Stefano Sabatti al Box&co Officine dello Spirito estrae dal cilindro ricette sempre nuove e su Facebook i clienti si propongono in massa per fare da cavie, mentre a Bergamo Fiorenzo Colombo, barman formatore, ha inserito la Mixology nelle sue materie di studio.

Milano, come sempre, è ancora più all’avanguardia: al Carlo e Camilla in Segheria (il locale di Cracco), Filippo Sisti alza il livello della sperimentazione con il Foodpairing, ovvero la creazione di cocktail a partire da un ingrediente a cui vengono abbinati, in base alla loro analisi molecolare, elementi del tutto insoliti. Qualche esempio? Il Blue Cheese Martini, una rivisitazione del classico Dry Martini, preparato con formaggio erborinato, vermouth, gin e un macerato di salvia e olive; lo Smoke Lavander, con noci pestate, burro caldo e whisky; e due versioni alternative del Bloody Mary, il Louisiana Soul (gin, carne salata, succo di pomodoro concentrato, pomodorini pachino, aglio, capperi, coriandolo, paprika affumicata e peperone), e il Celery Mary (centrifuga di sedano, cetriolo, pepe rosa, basilico, sale, erbe e pomodoro al naturale). La proposta più strana è però l’Easter-ismo, un drink servito nelle uova di struzzo.

Con la nuova tendenza si definisce una nuova figura professionale, il barchef, e nascono corsi che insegnano i segreti per diventarlo. Con una sorpresa inaspettata: la mixologymania sta catturando anche i bar dei piccoli paesi.

Nicola MorSpiega Nicola Mor, docente della scuola Cefos di Brescia: “Oggi, anche nel mondo del bere si tende a stancarsi presto e a cercare continue novità e nuovi gusti. Si beve e si mangia più per curiosità che per bisogno. I clienti vanno a Parigi, a Londra, assaggiano questi nuovi cocktail e quando tornano li chiedono ai loro baristi. Complici la crisi economica e i controlli alcolemici tendono a rimanere nel bar di paese, e così anche molti baristi di locali in provincia si stanno avvicinando a questa nuovo modo di lavorare”.

“Rispetto agli anni bui 80-90 quando il barman era lo studente universitario che lavorava per pagarsi gli studi – prosegue Mor – oggi c’è una riscoperta di questo mestiere, si cerca di essere sempre più preparati dal punto di vista tecnico e di creare nuovi sapori. Il nome di barchef è nato per differenziarsi, per far capire che si sta facendo qualcosa di diverso e nuovo. Dietro la tendenza della cucila liquida c’è il desiderio di preparare tutto da sé, di dare un’impronta personale al proprio lavoro”.

“Fare Mixology – chiarisce – significa lavorare con maggiore attenzione e ricerca, puntare sulla qualità delle materie prime utilizzate nella miscelazione. A partire dal bicchiere, dalla qualità del ghiaccio e degli altri ingredienti. Ad esempio, invece di usare il sale tradizionale sul bicchiere del Margarita si impiega il sale dell’Himalaya o il sale aromatizzato al pistacchio e i drink vengono accompagnati da gelatine o Lime essiccato, secondo la moda più in voga in questo momento all’estero. Il concetto chiave che sottende questa nuova filosofia è la possibilità di preparare le basi necessarie per i cocktail, e questo implica che si apprendano tecniche di erboristeria e di cucina”.

Potrebbe essere una tendenza temporanea (ma Mor è pronto a scommettere il contrario); una cosa è certa, si aprono nuove frontiere per il mondo dei bar, la via alla sperimentazione è aperta e i risultati sembrano piacere.




In città il roadshow di Finlombarda

“Finlombarda informa: presente e futuro per le imprese e le istituzioni lombarde”: s’intitola così l’appuntamento fissato per il 13 luglio, alle 17, nella sede della Regione Lombardia in via XX Settembre, a Bergamo, organizzato per approfondire le misure sul circolante e gli investimenti di Finlombarda a favore delle imprese e degli Enti Locali Un’iniziativa voluta per diffondere e approfondire sul territorio i principali strumenti messi in campo per supportare sia il fabbisogno di circolante sia gli investimenti. Apre i lavori Ignazio Parrinello, presidente di Finlombarda, quindi seguirà l’intervento di Claudio Maviglia della Direzione Sviluppo Prodotti e Progetti di Finlombarda sulle “Misure Credito InCassa B2B, Credito Adesso, Innovalombardia e Strumenti per l’Internazionalizzazione”. Conclude Federico Favretto della Funzione Progetti Speciali di Finlombarda sul tema del “Partenariato Pubblico Privato. Per ciascuna misura sono previsti approfondimenti sui beneficiari, sulle attività finanziabili, sull’iter istruttorio.




L’assessore Fava: «Ai giovani consiglio di tornare a lavorare la terra»

Sono giornate campali per un assessore regionale all’Agricoltura che si ritrova l’Expo in casa. Cassa di risonanza mondiale, ma anche attenzione dei media al minimo passo falso. Eppure Gianni Fava va avanti per la sua strada, convinto che la qualità del sistema agroalimentare lombardo alla fine sarà la vera carta vincente della kermesse. Mantovano di Viadana, cresciuto nella terra dei meloni più buoni del mondo, il leghista Fava ha da sempre assaporato la genuinità dei prodotti della campagna: recentemente quando Parmigiano e Grana accusarono il colpo della crisi, con i prezzi in calo e l’embargo russo che tagliò le gambe ai produttori, propose al ministro Martina di ritirare migliaia di forme dal mercato per destinarle agli «indigenti e alla fasce più deboli della società». Solidale, ma non romantico, sa che l’agricoltura moderna deve soprattutto poggiare su una sostenibilità economica, su processi innovativi che pure non rinneghino la tradizione di prodotti secolari.

Gianni Fava - assessore regionale agricolturaAssessore, cosa l’ha colpita dell’avvio di Expo?

«Il grande flusso di pubblico e l’interesse nei confronti dei diversi modelli produttivi del pianeta e le diverse culture, che raccontano i popoli e i loro territori. Le aspettative, anche da parte di Regione Lombardia, il cui padiglione è stato visitato con grande interesse, sono molto alte. Spero che l’intero semestre mi colpisca per i risultati raggiunti in termini di attenzione verso problematiche la cui risoluzione è imperativa, come la tutela dei prodotti tipici, la lotta agli sprechi alimentari, una maggiore sinergia in chiave internazionale che, declinata banalmente in chiave comunitaria, significa più Europa delle Regioni e maggiore conoscenza delle diverse agricolture. Se così fosse, sono sicuro che in futuro Bruxelles ci risparmierebbe alcune aberrazioni legislative e burocratiche che derivano, essenzialmente, dalla mancata conoscenza pratica del settore primario».

Perché i nostri prodotti lombardi dovrebbero spiccare all’attenzione dei visitatori nella miriade di offerta Expo?

«Per la loro unicità. Non sono riproducibili altrove, per quanto qualche esponente dell’industria si ostini ad affermare che alcune produzioni possono essere replicate in qualsiasi parte del mondo. I nostri prodotti raccontano storie, culture, modi di vivere a volte anche millenari. Expo sarà l’occasione per raccontare ai visitatori di tutto il mondo cosa produciamo, come lo facciamo, con quali vantaggi in termini di controllo sanitario e quindi di sicurezza. Dalle indagini emerge sempre con chiarezza che i consumatori apprezzano il made in Italy, vissuto come elemento distintivo di una qualità più elevata, ma allo stesso tempo richiedono informazioni ulteriori in termini di origine dei prodotti, coltivazione, modalità di allevamento, benessere animale, alimentazione. Su molti di questi aspetti siamo in grado di offrire risposte esaustive».

Bergamo è stata definita dal ministro Martina, città di punta per l’Expo: quali secondo lei le eccellenze migliori tra formaggi, vino, salumi e tipi di mais?

«È tutta questa grande varietà a caratterizzare quella che l’amico ministro Martina ha definito città di punta di Expo. Oggi va di moda il termine biodiversità. Bergamo può vantare numerosi prodotti tra Dop, Igp e Doc ed è una delle grandi province lombarde dell’agroalimentare, sia in termini di biodiversità, appunto, che di gusto. Da lombardo sono orgoglioso della grande ricchezza di Bergamo e della Lombardia. Mi piace ricordarlo spesso, perché per troppo tempo la nostra regione è stata identificata come terra di industria, giornali, moda e design. Siamo la prima regione agricola d’Italia e anche la prima a livello europeo in termini di agroalimentare, con una produzione lorda vendibile che nel 2013 ha raggiunto i 13,3 miliardi di euro e nel 2014 ha registrato un incremento dell’1,3%. Bergamo è una delle città di punta, certo».

Lei parlando di Dop, in particolare dei formaggi, ha detto che devono essere sostenibili e su certe produzioni troppo piccole ha parlato di romanticismi, di posizioni da rivedere…

«In passato ho sottolineato che ottenere e mantenere una Dop comporta degli oneri finanziari e che, in alcuni casi, vi è sì da un lato la tipicità, la storicità e la qualità richiesta per fregiarsi del marchio, ma mancano le dimensioni per poter varcare i confini della regione stessa di produzione. La stessa Unione Europea si è dimostrata scettica a concedere il marchio di qualità, quando poi l’esiguità delle produzioni rappresentavano un limite considerevole. Detto questo, credo che in questa nuova fase che si è aperta con la fine delle quote latte, produttori e consorzi debbano fare sintesi e muoversi con l’obiettivo di mantenere i prezzi alti e garantire redditività a tutti gli anelli della filiera. Ciascuno però, e mi ripeto, nel rispetto delle proprie competenze».

Questione latte, a che punto siamo? Ci sono stati attriti forti non solo sul prezzo: ma questa diatriba finirà mai? E come?

«Da un lato sono soddisfatto che i produttori, la cooperazione e i consorzi del Grana Padano e del Parmigiano Reggiano abbiano accolto favorevolmente la proposta che ho lanciato sulla possibilità di legare il prezzo del latte a un sistema indicizzato che tenesse in considerazione la valorizzazione conseguente al circuito delle produzioni Dop. Allo stesso tempo, mi preoccupa l’atteggiamento dell’industria di trasformazione. Questa chiusura rischia di condannare a morte il made in Italy lattiero caseario, con conseguenze irreversibili per la chiusura delle stalle, l’abbandono del territorio e la perdita di un patrimonio anche culturale. Se è questo che l’industria desidera, proseguano sulla linea del non dialogo. Ma a farne le spese saranno anche loro».

Lei non nasconde mai di venire dalla campagna: il contadino di oggi sta meglio di quello di ieri? E un giovane, visti i sacrifici che si facevano un tempo in campagna, perché dovrebbe essere invogliato a lavorare in agricoltura?

«Il contadino di oggi sta meglio in termini di fatica del lavoro. Le nuove tecnologie hanno rappresentato un notevole passo in avanti, anche se l’agricoltura ha i propri ritmi e i propri cicli, che dipendono dalle stagioni. In termini di burocrazia e redditività, non sono così sicuro che l’imprenditore agricolo di oggi stia meglio di quello di 30 anni fa. Negli anni Ottanta circa l’80% del bilancio comunitario era destinato alla Politica agricola comune, oggi la percentuale è scesa al 38%, con una platea di 28 paesi destinatari».

Quindi un giovane, visti i miglioramenti dettati dalla tecnologia e qualche delusione maturata in fabbrica, dovrebbe essere invogliato a lavorare in agricoltura oggi?

«Assolutamente sì, perché lavorare in campagna è tra i mestieri più belli in assoluto, con una grande responsabilità verso la società. Si produce per sfamare gli uomini e gli animali, in un mondo sempre più popoloso e con esigenze crescenti di sicurezza alimentare e qualità. Inoltre, gli agricoltori sono sentinelle dell’ambiente e del territorio. Un dato esemplificativo: gli agricoltori sono solo il 2% della popolazione lombarda, ma gestiscono l’80% del territorio. Dove mancano si innalzano in maniera esponenziale i rischi di catastrofe idrogeologica. Nel Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020 ai giovani assicureremo le giuste opportunità per l’insediamento e la crescita, ma è necessario che il mondo agricolo ritrovi margini di reddito, altrimenti suggerire ai ragazzi di diventare agricoltori rischia di essere un messaggio vuoto».

 

 




Migliora il credito, ma i consumi sono ancora fermi

euro - credito“Le ultime stime dell’Abi confermano per il mese di maggio i segnali positivi per i nuovi flussi di finanziamento già emersi negli ultimi 3 mesi, evidenziando un’attenuazione della stretta creditizia collegata alle politiche monetarie della Bce”. A evidenziarlo è la Confcommercio che precisa come “nonostante gli effetti positivi non si siano ancora trasferiti allo stock dei crediti in essere a famiglie e imprese che, a maggio, continua a registrare, nel complesso, un andamento negativo. Su base annua, infatti, – prosegue la Confederazione dei commercianti – i prestiti a imprese e famiglie sono diminuiti dell’1,2% (in attenuazione rispetto ai primi mesi del 2015) e dello 0,2% in termini congiunturali, confermando l’andamento negativo registrato ad aprile dopo il dato lievemente positivo di marzo (+0,4%), che avrebbe potuto preludere ad un cambio di direzione e che, invece, non ha trovato un adeguato riscontro.

Ad aprile l’attività creditizia verso le imprese e le famiglie ha registrato una flessione sia in termini congiunturali (-0,2%) sia su base annua (-1,5%), interessando soprattutto il sistema delle imprese che hanno visto diminuire i prestiti in loro favore del 2,7% sui dodici mesi e dello 0,4% rispetto al mese precedente”. “I dati degli ultimi mesi evidenziano tuttavia che il trend di riduzione delle consistenze si è comunque attenuato. Continua a permanere il problema dell’elevato ammontare dei crediti in sofferenza che tuttora influiscono negativamente sul ripristino di condizioni di normalità nel mercato del credito. Nell’ambito dell’ipotesi di creazione di uno strumento di sistema finalizzato a liberare le banche dal peso dei crediti deteriorati – conclude Confcommercio – è necessario includere anche interventi destinati ad alleggerire le sofferenze dei confidi, che, negli anni più difficili della crisi, hanno continuato ad assistere le micro, piccole e medie imprese che in molti casi, senza questi interventi di garanzia, sarebbero state escluse dal mercato del credito bancario”.




Prodotti tipici lombardi, on line la guida

prodotti tipici lombardia - guidaConosciuta per la moda, il design, l’industria e la finanza, la Lombardia è anche la prima regione agricola italiana e una tra le più significative a livello europeo. Le oltre 50mila aziende agricole lombarde gestiscono l’80% del territorio e producono, in un contesto di assoluta biodiversità, il 42% del latte nazionale, il 39% della carne suina, il 42% del riso italiano.

Una piattaforma di qualità che trae origine da una profonda tradizione agricola e di allevamento non soltanto in pianura, ma anche sulle colline e sulle montagne della regione che sviluppa una produzione lorda vendibile di oltre 7 miliardi di euro, ai quali devono sommarsi quasi 5 miliardi di euro di export.

A descrivere il patrimonio agroalimentare lombardo in una fase importante per il Made in Italy e in clima Expo c’è una guida della Regione scaricabile on line, che dà anche accesso alle App e agli e-book dell’agricoltura lombarda.




Ubi e la trasformazione in Spa, tutti i benefici di una partenza sprint

ubi45.jpgIl tempo è denaro, anche e soprattutto per i banchieri. Nella decisione di Ubi di rompere gli indugi e aprire ufficialmente per prima l’iter di trasformazione in Spa – seguita poi a distanza dalla Vicenza, non quotata in Borsa – c’è anche l’opportunità di essere i primi. In questo caso non c’è la necessità di competere su un mercato affollato, come è avvenuto alcuni anni fa, con l’aumento di capitale. Però c’è la possibilità di mettersi maggiormente in luce di fronte agli investitori, così che il titolo può beneficiare di una ripresa o comunque – anche nella fase di tensione per la crisi greca – di un andamento migliore rispetto ad altre popolari.

Finché sarà una cooperativa, e comunque Ubi lo sarà sicuramente fino alla assemblea di trasformazione, la formula per fare felici i soci resta essenzialmente una: dividendo e aumento della quotazione. Tutta la retorica sulla bergamaschità, la storia, il legame con il territorio e altri aspetti sentimentali sono temi che possono valere per una minoranza rumorosa. Ma la maggior parte dei soci guarda oggettivamente e pragmaticamente ad altro. Sul dividendo i tempi non permettono più di tanto, ma la rivalutazione è possibile ottenerla – anche per evitare che la proposta di trasformazione arrivi in un’assemblea mal disposta -, grazie al superamento dello sconto pagato delle cooperative rispetto alle spa per la mancata contendibilità. Per questa ragione, quindi, partire per primi ed essere più visibili diventa un vantaggio.

In ogni caso la finanza, pur vivendo di turbolenze, non le ama. E questo è vero soprattutto quando ad essere volatile, per non dire confusa, è la legislazione. L’amministratore delegato di Ubi Victor Massiah ha più volte insistito sul fatto che prima di ogni operazione bisogna avere le regole certe. Anche per sapere a che gioco si sta giocando. Le disposizioni attuative hanno fatto ulteriore chiarezza, se ce ne fosse stato bisogno, circa il fatto che l’unico modo per evitare la trasformazione in Spa per una popolare è quella di scendere sotto gli 8 miliardi di attivo consolidato. Le regole, insomma, non permettono di dividere fittiziamente un gruppo in tante banche più piccole, come facevano le industrie, prima del Jobs Act, quando non volevano far scattare le soglie per l’applicazione dello Statuto dei lavoratori. E non vale neanche la cooperativa di soci che controlla una società per azioni.

L’alternativa, suggestiva, ma sicuramente distruttrice di ricchezza, oltre che di molto corto respiro, sarebbe una reale divisione di Ubi in tante piccole banche autonome. Sognare il ritorno alla vecchia Popolare di Bergamo mutua cooperativa potrebbe alla fine ad una società territoriale, come qualcuno sogna, ma senza l’efficienza delle dimensioni e paradossalmente ancora più esposta a scalate. Trascurando tutti i problemi tecnici per realizzare questa ipotesi, si può infatti ipotizzare che il capitale della rinata Popolare di Bergamo cooperativa dovrebbe essere assegnato pro quota agli attuali azionisti di Ubi che attualmente ne controlla il 100%. Ma dato che una quota importante degli azionisti di Ubi sono grandi investitori istituzionali e risparmiatori di altri territori che sarebbero poco interessati a una banca locale bergamasca, è molto probabile che queste azioni verrebbero rapidamente rivendute sul mercato, facile preda di un possibile raider che, impegnando cifre più basse di quelle necessarie in Ubi, potrebbe rastrellare il tutto con l’aiuto di soci compiacenti, per poi cedere al migliore offerente, previa ritrasformazione in Spa.

DI fronte a strade impraticabili, una volta definita l’ineluttabilità della conversione, bisogna rassegnarsi: o si ottiene la modifica della legge, eventualmente anche con il ricorso alla corte costituzionale o la si deve applicare. E in questo caso, tanto vale non perdere tempo, se si possono ottenere benefici migliori del temporeggiare.




La Regione: “Nessuna tendopoli per i profughi”

migranti“Le attrezzature della protezione civile lombarda non devono essere utilizzate per l’accoglienza dei clandestini. Se i prefetti non sanno gestire i flussi imposti da Roma e non hanno il coraggio di ribellarsi, allora ospitino gli immigrati nelle prefetture”. E’ quanto dichiara l’assessore alla Sicurezza, Protezione civile e Immigrazione di Regione Lombardia, Simona Bordonali. “Non posso permettere – ha proseguito l’assessore Bordonali – che i volontari della protezione civile vengano esposti a rischi per attività non connesse al loro ruolo e che le tende adibite a ospitare gli sfollati in casi di emergenze di protezione civile vengano usate per tappare i buchi di una gestione fallimentare del problema dell’immigrazione”. “Con queste temperature inoltre – ha aggiunto – non possiamo pensare di sistemare i richiedenti asilo in tendopoli di fortuna. Per questo ho scritto una lettera alle Province per diffidarle dall’utilizzo delle attrezzature della colonna mobile regionale per attività diverse da quelle stabilite”. “Il governo – ha concluso l’assessore Bordonali – deve immediatamente bloccare gli sbarchi. Il territorio lombardo, per voce degli stessi prefetti, è saturo e non può assolutamente accogliere altri immigrati. Se a Roma non sanno come gestire questo fenomeno, facciano una telefonata a Roberto Maroni”.