Interscambio con l’Iran, Bergamo in forte crescita nel 2015

salone_mobile_r.jpg mobiliSi apre il mercato iraniano per le imprese lombarde. L’interscambio ha infatti superato il mezzo miliardo di euro in nove mesi con una crescita del 35,4% (+68,3% l’import, +15,7% l’export) e rappresenta quasi la metà del totale italiano (46,9%). Nell’import Mantova da sola concentra ben il 73% del totale per un valore più che raddoppiato rispetto al 2014 (passando da 96 a quasi 193 milioni di euro). Nell’export prima Milano con il 35,5% seguita da Bergamo (16,8%) e Monza e Brianza (14,4%) che però registrano forti incrementi, rispettivamente +80,3% e +30,5%. Il 71,3% dell’import è costituito da metalli per un valore di quasi 189 milioni di euro (+120%). Oltre la metà dell’export (55%) è rappresentato invece da macchinari (+11,4%), per un valore di circa 168 milioni di euro. E’ quanto emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati Istat nei primi nove mesi del 2015 e del 2014. I settori più coinvolti sono arredamento e complementi, edilizia e finiture d’interni, materiale da costruzione, arredo bagno, cucina e componenti, arredi per ufficio, illuminazione decorativa e tecnica, oltre alle filiere dell’ambiente, dell’energia, dei trasporti e del sistema fieristico.




Ludopatia, in Lombardia oltre 2mila i malati di gioco d’azzardo

finanziamenti totali per 624.901 euro) sono Bergamo, Albino, Bolgare, Clusone, Comunità montana Laghi bergamaschi, Comunità montana Val Brembana, Dalmine, Lurano, Paladina, Palazzago, Presezzo, Romano di Lombardia, Seriate, Trescore Balneario e Villongo.

 

 




Cassa integrazione, a Bergamo in un anno calata del 33%

lavoroContinua a diminuire la cassa integrazione, a Bergamo come in Lombardia. A dicembre sono state 6.724.865 le ore di cassa integrazione attuate in tutta la regione, rispetto ai 23.022.550 del 2014, ovvero il il 70,79% in meno. A Bergamo si è passati dai 2.945.989 del 2014 a 1.070.770, per una diminuzione del 63,65%. Per quanto riguarda le figure contrattuali, le ore attivate per gli operai sono scese a 788.278 da 2.164.901 (-63,59%), quelle per gli impiegati a 282.492 da 781.088 (-63,83%)

Analizzando il dato annuo (gennaio-dicembre) si registra una diminuzione meno cospicua del dato generale, che però si attesta sempre attorno al 37% in Lombardia, con la cassa ordinaria che diminuisce dappertutto, come quella straordinaria e quella in deroga. A Bergamo nel 2015 sono la cassa integrazione ha toccato quota 23.783.871 di ore contro i 36.007.482 del 2014, per un calo del 33,95%. A calare maggiormente sono gli ammortizzatori per gli operai (-37%), rispetto agli impiegati (-25,13%)

«La riduzione della cassa integrazione è dovuta inevitabilmente anche ai tagli del Governo, che rende più difficile accedere agli ammortizzatori sociali. Come dimostra il caso Alstom, di scena proprio in questi giorni, la cassa integrazione o i licenziamenti non sono le uniche spie dello stato di crisi di molte aziende dei nostri territori», commenta Mirco Rota, segretario generale della Fiom Cgil Lombardia, che ha fornito ed elaborato i dati.

«Se è vero che non è stata registrata ancora un’inversione di tendenza, in termini di nuova occupazione, anche a seguito dell’introduzione del Jobs act – che andrebbe definito più che altro flop acts – va ribadito come, alla luce di fusioni o operazioni di capitale finanziario, le aziende investano in altri territori delocalizzando le produzioni e mietendo esuberi», continua il segretario dei metalmeccanici lombardi.

«In conclusione, pur ammettendo che l’uso degli ammortizzatori sociali diminuisca in questi mesi, non si può dire la stessa cosa della disoccupazione, specialmente giovanile, che si attesta su dati allarmanti e sulle politiche attrattive dei territori, a seguito dell’introduzione della flessibilità», ammette Rota.




Londra mette a confronto Grecia e Impero romano. E l’Italia la spunta

Mi sarebbe piaciuto essere parte del pubblico in sala ad un dibattito che si è tenuto alla fine dello scorso anno sul tema “Grecia contro Roma”. Organizzato da Intelligent Squared, un’organizzazione culturale che mette insieme temi di attualità e opinionisti di spicco, a volte in forma di dibattito, altre volte in stile tavola rotonda. Questa volta si è trattato di un dibattito, di quelli che piacciono tanto agli americani e che vedremo presto in preparazione alle loro elezioni. Il tema era: chi ha portato maggior contributo alla società moderna occidentale, i romani o i greci? Letto da noi, potrebbe sembrare una domanda che viene posta agli studenti dell’ultimo anno di liceo classico o che potrebbe fare da sfondo ad una discussione semi-intellettuale da circolo letterario di provincia. Invece ha attratto grandi numeri, e lasciato molti interessati a bocca asciutta.

GreeceVsRomePartiti con mille posti a sedere, gli organizzatori, alla luce dell’interesse da evento sportivo, hanno spostato l’appuntamento in un teatro da 2.200 posti, venduti in poche ore, nonostante i biglietti fossero alla cifra non proprio abbordabile di 50 pound (circa 60 euro). Mi sono quindi aggiunta alla lista d’attesa, ma ancora senza successo. A dibattere non erano due sconosciuti o accademici noti solo agli addetti ai lavori, ma il sindaco di Londra, Boris Johnson, classicista laureato a Oxford, e Mary Beard, professoressa di cultura classica a Cambrdige e divulgatrice, che con i suoi programmi di successo su questa materia per la BBC, e un paio di best seller, ha risvegliato l’interesse del grande pubblico su Roma e l’impero romano. Altri autori hanno pubblicato libri di grande successo sempre su questi temi, negli ultimi mesi, a cui si sono aggiunti spettacoli teatrali, altri show televisivi e un vero e proprio festival della classicità in un teatro un po’ d’avanguardia.

Insomma, tutti gli indizi per stabilire che è davvero il momento dei classici. Ma perché proprio adesso?  La risposta non può essere soltanto che una manciata di nomi noti abbia deciso di cavalcare il tema dell’antichità e abbia divulgato il proprio sapere al grande pubblico, fuori da università e circoli di latinisti e grecisti. Quello che stupisce è l’interesse per questi temi, lingue e civiltà in un paese dove il nostro caro, e spesso considerato anacronistico, liceo classico non esiste e dove queste lingue morte sono insegnate, quasi esclusivamente, nelle scuole private, con una connotazione elitaria molto accentuata. E dove l’istruzione media, o universitaria, non include lo studio del latino. Non è infatti un caso che gli organizzatori di Intelligent Squared, con una bella manovra di pubbliche relazioni, abbiano stabilito di devolvere il ricavato dei biglietti all’associazione Classics for All, che si occupa di introdurre Latino e Greco nelle scuole statali.

Il dibattito tra Roma e Atene ci ha ricordato come i greci amavano assimilare e assorbire le idee dei popoli vicini, che i romani stabilirono per primi l’idea di garantire asilo ai rifugiati e dare lo stato di cittadini dell’impero ai popoli che colonizzavano. Sarà forse per questo, per la magnanimità degli antichi romani, che il pubblico ha deciso di assegnare la palma della vittoria a Roma, con un 56 per cento di preferenze a fine dibattito. Probabilmente senza rendercene conto, migliaia di anni dopo che Roma e Atene resero il mondo un luogo più piccolo e dai confini ben definiti, noi spettatori stiamo facendo qualcosa per ripagarli del nostro debito nei confronti del loro contributo alla nostra civiltà. Come so come è finito il dibattito? Sono riuscita a guardarlo in streaming.

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Banche, quel mercato più severo degli indici europei

MontepaschiIn un mercato azionario che definire depresso appare un eufemismo, nei giorni scorsi è avvenuto un fatto insolito. Capita che un titolo si trovi a crollare rapidamente del 10% ed oltre: Renault, ad esempio, è precipitata del 20% pochi minuti dopo che si era sparsa la voce di un suo possibile coinvolgimento in uno scandalo di emissioni truccate. Come nel caso del gruppo francese, quando c’è un crollo c’è però anche una spiegazione, solida o meno che sia. Pochi giorni prima del caso Renault, in poche ore i titoli di due banche italiane, Montepaschi e Carige, sono andati a picco, perdendo alla fine della seduta rispettivamente l’11,2% e il 13,6%. La stranezza non sta tanto nella caduta dei titoli quanto nella spiegazione che ne è stata data: colpa della speculazione.

Dire che i titoli oscillano in Borsa per effetto della speculazione è come dire che le quotazioni scendono perché cala il prezzo. E’ curioso che ci si possa accontentare di questa spiegazione, senza andarsi a chiedere perché proprio su questi due titoli si sia concentrata l’attenzione degli speculatori, dei quali si può dire di tutto sul punto morale, che sono cinici, approfittatori e con il pelo sullo stomaco, ma non che sono degli sprovveduti. Non è andato a fondo sul tema nemmeno chi ha sostenuto che su Montepaschi e Carige possa essere stato fatto un test sulla solidità del sistema creditizio nazionale che ha salvato, ma deve ancora sistemare quattro istituti del centro Italia. Eppure proprio in questo caso sarebbe stato di maggiore interesse spiegare perché questi due istituti sono sentiti come gli anelli deboli, oggetto di prova di resistenza.

La speculazione, questa misteriosa entità che in fondo corrisponde al mercato, crede insomma che Montepaschi e Carige siano i primi candidati al “bail in”, al salvataggio anche con i soldi dei grandi correntisti? Eppure la banca senese è sotto il controllo diretto della Banca centrale europea ed ha superato i suoi test sul capitale. E Carige ha giudicato “ingiustificato” e “anomalo” l’andamento borsistico, sottolineando la sua “solidità patrimoniale e finanziaria nel pieno rispetto degli indicatori di vigilanza” attraverso una serie di valori: Cet1 Ratio (rapporto tra il capitale ordinario e le sue attività ponderate per il rischio) al 12-12,2%, rispetto all’obiettivo dell’11,25% richiesto dalla Bce e Liquidity Coverage Ratio (che calcola la capacità di soddisfare in caso di stress predefinito il fabbisogno di 30 giorni di liquidità attraverso attivi disponibili di alta qualità) del 138% rispetto alla richiesta del 90%.

Ma evidentemente non erano queste le risposte che il mercato (o la speculazione) voleva. Infatti ha colpito Carige e Montepaschi (che presenta un Cet1 più alto di Unicredit) non perché siano ritenute deboli dal punto di vista patrimoniale, dato che entrambe sei mesi fa hanno portato a termine aumenti di capitale che li hanno messi in linea con le richieste europee, ma per la questione, sempre più di emergenza, dei debiti in sofferenza. Dopo anni in cui si è stati attenti a rafforzare il patrimonio, a detrimento della redditività, come misura preventiva in caso di difficoltà, si scopre, a dire la verità non da ora, che il problema è meglio valutarlo sotto un altro punto di vista. Carige e Montepaschi sono a posto con gli indici patrimoniali richiesti dall’Europa, ma sono più esposti su un altro, che sta assumendo maggiore importanza, che valuta il rischio sui prestiti inesigibili. Il cosiddetto Texas Ratio, che misura il rapporto tra patrimonio netto tangibile e accantonamenti su crediti, al Montepaschi è circa del 140%, contro una media italiana del 100% e una europea del 53%.

Così si può essere in regola con l’Europa, ma non con il mercato, che a volte è più esigente, ed è arrivato a valutare Montepaschi appena il 30% del valore di libro tangibile. Teoricamente sarebbe un prezzo da saldo, o da immediata scalata (2,7 miliardi è il valore di Borsa complessivo di uno dei primi istituti nazionali, neanche un miliardo quello di Carige), se non fosse che finché non verrà risolto il problema dei prestiti inesigibili, con quella bad bank che l’Europa si ostina a non volere concedere o con una cessione seppure a caro prezzo ai “rivenditori di sofferenze”, tutto l’utile prodotto, e forse anche qualcosa di più, sarà destinato ad accantonamenti sui crediti, con la prospettiva che di fronte al minimo peggioramento sulle sofferenze, che a livello globale si stima dovrebbero avere quest’anno il picco, si debba ricorrere a un nuovo aumento di capitale.




I librai: «Ora il Governo approvi la detraibilità»

Alberto_Galla - presidente Ali - librai Confcommercio«L’Istat dice che nel 2016 torna a crescere la lettura in Italia. La notizia è confortante dopo molti anni di segnali negativi – afferma Alberto Galla Presidente dell’Ali Confcommercio -. Dalla lettura dei dati emerge il ruolo della famiglia quale fattore determinante per il collegamento tra maggiori indici di lettura e migliore status economico.  È fondamentale – prosegue Galla – che il Governo non si lasci sfuggire questa opportunità e approvi al più presto una normativa che garantisca la detraibilità per l’acquisto dei libri, come più volte proposto dall’Ali».

«Si tratta di un intervento all’interno dei diversi progetti di legge sulla promozione della lettura in discussione in Italia, che ha già trovato attuazione in alcune regioni attraverso il nostro impegno. Dobbiamo cogliere questa opportunità – conclude il Presidente dell’Ali – per sollecitare le Istituzioni a dare segnali concreti di sostegno alla lettura e portare il nostro Paese a livelli in linea col resto d’Europa».




Libri e lettura, si conferma la ripresa

Sono in leggero aumento i lettori in Italia. Il report dell’Istat stima che 2015 il 42% delle persone di 6 anni e più (circa 24 milioni) abbia letto – per motivi non strettamente scolastici o professionali -almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista. Il dato 2014 fissava la percentuale al 41,1%, va perciò confermandosi il recupero, dopo la diminuzione iniziata nel 2011.

Lo scostamento più significativo interessa i lettori 15-17enni, che sono aumentati dal 51,1% del 2014 al 53,9% del 2015, mentre restano invariate, nel complesso, le differenze di genere: le lettrici sono il 48,6% contro il 35% dei lettori maschi.

In assoluto, il pubblico più affezionato alla lettura è rappresentato dalle ragazze tra i 15 e i 24 anni – che hanno letto almeno un libro in oltre il 60% dei casi – con un picco per le 15-17enni (66,1%). Le lettrici scendono sotto il 50% dopo i 60 anni mentre per i maschi di tutte le classi di età la quota è sempre inferiore a tale valore e quella massima, registrata in corrispondenza degli 11-14enni, è di poco superiore al 45%.

Il 45,5% dei lettori, però, ha letto non più di tre libri nei 12 mesi precedenti l’intervista, si tratta dei così detti “lettori deboli”. Solo il 13,7% si annovera tra i “lettori forti”, avendo dichiarato di averne letti almeno 12 nell’ultimo anno (14,3% dei lettori nel 2014).

Quasi una famiglia su dieci (9,1%, pari a circa 2,3 milioni di famiglie) dichiara di non avere nemmeno un libro in casa e anche nei casi in cui è presente una libreria domestica, il numero di libri disponibili è molto contenuto: il 29,1% delle famiglie possiede non più di 25 libri e il 64,4% ha una libreria con al massimo 100 titoli che, calcolando un ingombro medio di 30/40 libri per metro lineare, occupano indicativamente non più di tre ripiani di uno scaffale. Sul fronte opposto, si stima che il 26% delle famiglie possegga più di 100 libri. Le regioni con le percentuali maggiori sono la Liguria (37,1%), il Trentino-Alto Adige (34,6%) e il Friuli-Venezia Giulia (34,3%).

La presenza di libri in casa non è, d’altro canto, sufficiente a favorire la lettura. Infatti, più di una persona su cinque tra quelle che dichiarano di disporre di oltre 400 libri (22,2%) non ne ha letto nemmeno uno e quasi una su quattro (24,5%) ha dichiarato di leggere non più di tre libri all’anno (18,3% nel 2014).

Intanto il mercato di prodotti editoriali digitali si sta lentamente diffondendo. Nel 2015, quattro milioni e 687mila persone hanno letto o scaricato libri online o e-book (14,1% delle persone di 6 anni e più che hanno utilizzato Internet negli ultimi tre mesi e 8,2% della popolazione di 6 anni e più). I volumi cartacei ed i libri in formato digitale non appaiono prodotti editoriali alternativi e necessariamente in competizione: la quota di persone che negli ultimi 3 mesi hanno letto online o scaricato libri o e-book aumenta in proporzione al numero di libri presenti in casa e tocca il valore massimo (23,8%) proprio tra le persone che dispongono già di una biblioteca domestica con oltre 200 volumi.

In un tale quadro può essere interpretato come un segnale positivo – dice l’Istat -, anche se ancora flebile, il fatto che circa il 6% di quanti non hanno libri in casa ma hanno navigato in Internet negli ultimi tre mesi ha letto online o scaricato libri o e-book. La diffusione dei libri in versione digitale e degli e-book potrebbe rappresentare in prospettiva un nuovo canale di accesso alla lettura per le famiglie che non hanno grande familiarità con librerie e libri cartacei. Analogamente, tra le persone che hanno navigato in Internet negli ultimi tre mesi (55% della popolazione di 6 anni e più), hanno scaricato o letto online libri o e-book il 5,8% dei “non lettori” e il 20,9% dei lettori che navigano sul web. Tra questi ultimi, i tassi di fruizione online aumentano al crescere del numero di libri letti nel corso degli ultimi 12 mesi, passando dal 14,2% di chi ha letto fino a 3 libri al 35,4% di chi ne ha letti 12 o più.

Le dimensioni della non lettura restano in ogni caso «una vera e propria emergenza nel nostro paese – dice il rapporto -. Da oltre quindici anni, al di là delle oscillazioni di breve termine, la popolazione dei non lettori è ancorata a una quota pari a circa il 60% delle persone di 6 anni e più, e non si vedono segnali di ripresa».




Fusini: “Se il commercio arretra, arretra la città”

bergamo - negozi - xx settembreL’Ascom di Bergamo lancia il Patto per la città. Il direttore dell’Associazione commercianti, Oscar Fusini, intervenendo al convegno “Commercio: tra crisi e opportunità” promosso dall’Associazione Fare Città e svoltosi giovedì sera in Sala Galmozzi, a Bergamo, ha proposto un piano condiviso per il rilancio della città che deve coinvolgere tutti coloro che sono interessati al processo di rigenerazione urbano della città. Il progetto ricalca un protocollo che a livello nazionale Confcommercio imprese per l’Italia ha firmato con Ance, Unioncamere e il Consiglio nazionale degli architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori. «Il patto che vogliamo proporre si articola su tre fattori: diminuzione della leva fiscale, introduzione della cedolare secca per calmierare gli affitti; e la possibilità di attingere ai bandi comunitari. Per un rilancio del terziario è inoltre necessario saper coinvolgere, grazie anche al contributo dell’Università, figure specifiche che si occupino di sviluppo urbano”. Per un processo di riqualificazione del centro, il direttore dell’ Ascom ha fatto riferimento anche al metodo dettato recentemente dallo studio Ocse, commissionato dalla Camera di Commercio: “Per il rilancio dell’economia bergamasca Ocse chiede di fare sistema e di avere una visione comune e azioni coordinante. Questo metodo non vale solo per il rilancio del manifatturiero ma anche per il terziario. Il Patto che proponiamo deve mettere al centro il vivere e l’abitare la città. Perché se il commercio arretra, arretra la città”.

Al convegno, moderato da Stefano Rovetta, presidente dell’Associazione Fare Città, erano presenti come relatori Filippo Caselli, vicedirettore di Confesercenti, Roberto Ghidotti, presidente del Distretto urbano del Commercio, e i consiglieri di minoranza Franco Tentorio, Danilo Minuti e Davide De Rosa. Sulla stessa lunghezza d’onda di Fusini anche il vicedirettore di Confesercenti Caselli. “Per dare slancio al commercio – ha sottolineato – è necessario ridisegnare lo spazio urbano, rivisitare il ruolo del turismo e dare valore al distretto urbano del commercio. Uno dei fattori per il piccolo commercio è la qualità urbanistica in cui il negozio è insediato. Bisogna guardare al tessuto urbano, comprenderne le peculiarità e attivare una serie di attività finalizzate ad una rigenerazione dell’area, che abbia il commercio come termine ultimo. Ci sono luoghi anche centrali della nostra città che hanno perso la loro capacità di attrazione, altri che garantiscono flussi di persone solo in alcuni momenti della giornata. I problemi sono quindi complessi e sono da affrontare tutti insieme. Così come è necessario rafforzate la domanda turistica e proporre un’offerta commerciale adeguata, anche attraverso nuovi percorsi turistici con progetti di differenziazione commerciale”.

Durante l’incontro si è delineato in modo chiaro anche il ruolo fondamentale del Distretto urbano del commercio: “Il DUC è la sede in cui si discute della politica del commercio della città – ha affermato il presidente Ghidotti -.  E’ lo strumento che deve dare all’amministrazione gli elementi più significativi per ridisegnare la città ed andare oltre la semplice animazione. Per sostenere questo lavoro ci vuole passione, volontà di fare insieme e discutere con un unico linguaggio. Il Distretto deve diventare la casa di tutti i commercianti. E’ necessario però innanzitutto per intraprendere un lavoro serio, riuscire a delineare quale sia la visone di commercio che abbiamo per la nostra città”. I temi trattati da Fusini, Caselli e Ghidotti hanno dato al via al dibattito, che ha toccato, grazie agli interventi dei consiglieri comunali e dei commercianti presenti, alcuni temi cruciali come il piano mobilità, il collegamento con Orio, la questione di Borgo Santa Caterina, la mancanza di un assessore al commercio, argomento sul quale sono uscite posizione diverse. Non sono mancati i racconti di esperienze virtuose, come l’iniziativa sui negozi sfitti che ha coinvolto Borgo Palazzo,  il lavoro instancabile delle associazioni di via e l’iniziativa estiva dei commercianti di Città alta.

Per tutti rimane vincente la proposta di coinvolgere le diverse parti in gioco per rafforzare il commercio . “Dedicare una sera di gennaio a parlare di commercio mi pare che sia un grande segno di maturità – ha esordito Franco Tentorio facendo la sintesi dell’incontro -. Che il commercio sia importante nella nostra provincia è un dato di fatto. Nella Bergamasca ci sono un po’ meno di 100 mila partite Iva e la metà sono relative ad attività commerciale. E’ un dato importante che da lo spessore del comparto per la nostra economia. Per una rigenerazione del settore e per predisporre un piano serio del commercio è necessario il coinvolgimento di tutti. Per esempio, il bando sul centro storico è delicatissimo e lì tutti gli attori in gioco sono chiamati a confrontarsi. Così come per redigere i piani di via è necessario che ci sia l’impegno di tutti gli assessori. Terzo fattore fondamentale è la necessità di trovare fondi per aiutare ad investire nel commercio, ed ora con l’allentamento del patto di stabilità, l’amministrazione ha un po’ di soldi in più che potrebbe indirizzare a questo settore”.




Proprietà industriale, seminario gratuito su opportunità e incentivi

Mercoledì 27 gennaio alle ore 15 presso il Polo per l’Innovazione Tecnologica (in via Einstein angolo via Pasubio 5, a Dalmine) la Camera di Commercio di Bergamo e la sua azienda speciale Bergamo Sviluppo organizzano un seminario sulla valorizzazione dei titoli di proprietà industriale.

L’incontro è gratuito e aperto a imprese, professionisti, consulenti d’impresa e di proprietà industriale.

IL PROGRAMMA

ore 15 – registrazione partecipanti
ore 15,15
  • L’attività di Bergamo Sviluppo e i servizi a supporto della proprietà industriale svolti al POINT – Polo per l’innovazione tecnologica della provincia di Bergamo
    Cristiano Arrigoni, direttore di Bergamo Sviluppo
  • L’importanza dell’informazione brevettuale
    Anna Maria Colitti, responsabile servizio regolazione del mercato Camera di commercio di Bergamo
ore 16
  • incentivi e iniziative a sostegno dell’innovazione: i bandi Marchi+2 e Disegni+3
    Marilina Labia, dirigente area proprietà industriale e anticontraffazione, Si.Camera
ore 17 – question time
ore 18 – conclusioni

Per maggiori informazioni e per iscriversi: www.bergamosviluppo.it/sito/calendario-eventi/eventi/opportunita-e-agevolazioni-per-investire-nella-proprieta-industriale.html

 




Grumello, niente funerale per i negozi. Il nuovo centro piace anche ai commercianti

grumello del monte nuova viabilità centro - via roma rit

Non ci saranno funerali per i negozi di Grumello del Monte. I disagi per il cantiere che ha bloccato la strada centrale del paese per quattro mesi e la recente introduzione del senso unico non hanno fermato gli affari del commercio cittadino.

Rientrate le preoccupazioni e le polemiche – che avevano portato ad una serrata con vetrine listate a lutto nel maggio scorso -, qualche esercente si lascia addirittura sfuggire parole buone per il nuovo centro. «Le conseguenze sono state meno pesanti di quanto temevamo – dice Pierina Agnelli del negozio calzature Rebussi in piazza Camozzi -. Per i quattro mesi della chiusura della strada, da agosto a ottobre, abbiamo avuto un calo di vendite. Sono stati i mesi più negativi dell’anno. Soprattutto ottobre, che per noi è sempre stato invece un mese molto buono perché le persone fanno il cambio stagione. Con l’apertura della strada a un senso ora va meglio». «Abbiamo perso i clienti di passaggio – spiega Agnelli – per fortuna, abbiamo clienti affezionati che vengono da altri paesi. All’inizio erano confusi e disorientati, ora si stanno abituando. I nuovi parcheggi davanti alla piazza che permettono una sosta massima di 30 minuti vanno benissimo. Certo ora il paese è più bello non c’è niente da dire, ma si sa le persone cercano sempre la comodità. I centri commerciali vivono per questo».

Anche per il Bar Cristal il bilancio è tutto sommato positivo: «Abbiamo avuto un leggero calo per i pranzi di lavoro ma meno di quanto ci aspettavamo». E per la titolare dell’edicola in piazza «è ancora tutto uguale, non cambia niente».

«I quattro mesi di cantiere hanno provocato disagi ma gli affari sono andati abbastanza bene comunque – conferma Roberto Berardi del comitato Vivi Grumello che raggruppa più di 50 commercianti -. La striscia di nuovi parcheggi realizzati sulla strada dà un servizio importante e l’allestimento durante le feste di una pista di pattinaggio in piazza ha portato molte persone. È presto però per fare un bilancio. Stiamo a vedere come andranno i prossimi mesi. Speriamo che l’Amministrazione organizzi altre iniziative per vivacizzare il centro».

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