Agenti immobiliari, per spingere le vendite arriva un guru della comunicazione

Saper vendere non è semplicemente un’attitudine personale, ma una scienza, che si può apprendere. E se ad insegnarla è un vero e proprio “guru” non ci si può certo lasciare sfuggire l’occasione per saperne di più. Nell’ambito dell’ampio programma di iniziative di informazione, formazione e aggiornamento che la Fimaa Ascom Bergamo organizza per gli agenti immobiliari associati, arriva uno dei più apprezzati esperti internazionali di leadership, negoziazione e comunicazione competitiva, Emanuele Maria Sacchi, che sarà a Bergamo per il corso “Negoziazione avanzata”, articolato in due giornate, la prima in programma venerdì 22 aprile dalle 9 alle 18 nelle sede Ascom di via Borgo Palazzo 137, la seconda il 27 maggio.

emanuele maria sacchi - formatoreSacchi collabora con aziende di 18 diversi Paesi ed è “best trainer” di importanti multinazionali, molte delle quali sono inserite nella top 500 a livello mondiale. Grazie ai risultati ottenuti dai suoi clienti è stato inoltre l’unico italiano invitato come key speaker al Forum Mondiale della Negoziazione. È presidente di Evolution Network (consulenza di direzione e formAzione), executive manager di Dale Carnegie, prima società al mondo nel training & education, executive coach di Lee Hecht Harrison – Leadership Consulting di New York nonché autore del bestseller “il Segreto del Carisma”.

Il seminario proposto dalla Fimaa Ascom è mirato per agenti e broker immobiliari ed è fortemente orientato a valorizzare le principali competenze di vendita del settore: come acquisire un immobile, come distinguersi positivamente dalla concorrenza, come valorizzare l’immobile ed aumentare le probabilità di venderlo, come aumentare il tasso di conversione tra sforzi e risultati.

Il percorso prevede l’applicazione pratica del “consequence selling”, l’ultimo innovativo metodo per negoziare con successo, il cui potenziale è ancora poco noto in Italia e che viene sperimentato e applicato dal relatore in molte tra le più performanti aziende del mondo. Il “metodo Sacchi” insegnerà, ad esempio, come creare rapporto ed entrare in empatia nei primi 4 minuti, come presentarsi in modo efficace, originale, persino irresistibile, come distinguere e valorizzare se stessi, ma anche come andare oltre la semplice analisi delle esigenze e comprendere i veri criteri del proprio interlocutore, accelerare il processo decisionale del cliente e aumentare le possibilità di chiusura.

La docenza si caratterizza per la capacità di trasmettere emozioni e contemporaneamente di trasferire tecniche immediatamente applicabili, premiata sempre da un altissimo gradimento – addirittura il punteggio più alto di sempre (4,9) nella storia del MIP-Politecnico di Milano -. All’insegna del motto “imparare dai migliori per essere migliore” si scopriranno anche autentiche chicche, come chi è stato il più grande agente immobiliare della storia (con ben 365 compravendite in un anno) e quale è stato il miglior annuncio immobiliare (appartamento venduto in sole 6 ore con 3 compratori che litigavano per averlo…).

Per partecipare alla prima giornata formativa occorre iscriversi entro il 15 aprile. La scheda di iscrizione




Sangalli sul Def, «non aiuta la crescita»

Carlo Sangalli
Carlo Sangalli

«Si conferma l’intenzione di non far scattare le clausole di salvaguardia nel 2017, e questo è un bene». «Ma le buone notizie finiscono qui, perché per il resto il Governo non incide sui problemi strutturali che frenano l’economia. Infatti nel 2016 il deficit non scenderà, si rinvia la riduzione della pressione fiscale che se rimane a questi livelli non favorirà, certo, la crescita ma soprattutto rimane molto timida la mano del governo nel taglio della spesa pubblica improduttiva. In sintesi, non aumenteranno le tasse ma della ripresa non beneficeranno concretamente imprese e famiglie». Questo il commento del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, sul Def, il Documento di economia e finanza che contiene le previsioni sull’andamento economico dell’Italia, gli obiettivi di finanza pubblica e le principale riforme in cantiere per i prossimi anni, presentato venerdì dal governo.

Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha annunciato che la previsione del Pil per il 2016 è stata portata all’1,2%, dal +1,6% stimato nell’aggiornamento del Def 2015 del settembre scorso. Per gli anni successivi si indica ora un +1,4% per il 2017 (dall’1,6%) e un +1,5% per il 2018. L’Italia è reduce dal +0,8% del 2015 e alla luce di quel dato, Padoan ha rivendicato: «La crescita c’è, la trainano i consumi delle famiglie e gli investimenti, sia pubblici che privati, mostrano un’accelerazione». Una serie di elementi che gli fanno rivendicare «l’effetto positivo delle misure del governo».

Come indicato già nelle bozze che sono entrate a Palazzo Chigi, novità si registrano anche sul fronte del deficit. Per quest’anno, il governo sembra aver individuato un punto di incontro con la Commissione Ue indicando un indebitamento al 2,3% del Prodotto, ovvero a metà tra il 2,2% indicato in autunno e il 2,4% che si raggiungerebbe occupando tutto lo spazio legato alla ormai famosa “clausola di flessibilità” per i migranti (0,2 punti di Pil, circa 3 miliardi). Un risultato che si raggiunge grazie a un aggiustamento amministrativo: non servono manovre lacrime e sangue, bastano i risparmi sulla spesa per interessi (grazie alla Bce) e l’extragettito legato al rientro dei capitali (voluntary disclosure) per limare un po’ di indebitamento. «Non faremo manovre correttive, termine che abbiamo rottamato», ha assicurato il premier Matteo Renzi in conferenza stampa.

 




Il canone Rai è un sopruso! Ecco perché proprio non mi va giù

Rai canoneChe vi devo dire? A me sembrava un sopruso bello e buono, già quando ti facevano pagare il canone Rai, anche se tu nemmeno possedevi un televisore: bastava un semplice computer per garantirti l’obbligo. Annunciatrici, presentatori, mezzibusti e galliname assortito ti iniziavano a raccomandare sei mesi prima di pagare questo maledetto canone: e andavano avanti sei mesi dopo a dire che potevi emendarti, che con una piccola sovrattassa saresti stato in pace con la tua coscienza e con le patrie gabelle. Poi, visto che sempre più gente se ne strafregava del canone, della Rai e delle gallinesche esortazioni, hanno cominciato a mandare in giro garruli omuncoli, vestiti impeccabilmente, a controllare, prima verbatim e poi de visu, se avevi o meno strumenti atti alla riproduzione video oppure se avevi posto i sigilli ai canali di Stato. E Vabbè: una seccatura, ma niente di più. Alla fine, esasperato, pur di evitare ulteriori rotture di zebedei, pagavi e amen. Poi, è arrivato questo bel capo d’opera, e si è inventato l’ennesima boiata del canone in bolletta: così, deve essersi detto il furbacchione, non mi scappano, questi maledetti Italiani!

Ora, però, credo che il problema si sia spostato di baricentro: mi pare che il punto chiave non sia più pagare o meno una tassa di possesso del televisore, che vada a finanziare la tv pubblica o che permetta alla Rai di trasmettere anche programmi non commercialmente appetibili, in alternativa alle televisioni private. Intanto, un tempo, si diceva che il canone serviva a mantenere la qualità televisiva dell’azienda di Stato, che non poteva contare sugli sponsor e sulle entrate pubblicitarie: solo che, invece, oggi la Rai manda in onda pubblicità esattamente come gli altri. Sulla qualità, ovviamente, stendo un velo pietoso, ma il dato iniziale è completamente venuto meno: ergo, che paghiamo a fare? In secondo luogo (e credo sia la questione fondamentale), io penso che dare soldi alla Rai, oggi come oggi, sia semplicemente mantenere con le nostre palanche una servilissima agenzia di propaganda governativa: finanziare, coi soldi di tutti, le veline e le strombazzate di Renzi e della sua compagnia di giro. Pensate che stia scherzando? L’avete presente quella foto sui sondaggi demoscopici che gira in modo virale su Facebook? Massì, dai: quella in cui si vede un serioso giornalista di Agorà che racconta bubbole, con alle spalle un grafico a torta  riferito all’opinione degli Italiani sulle vocazioni lobbiste del governo Renzi. I numeri sono eloquenti: il 44% crede che Renzi appoggi smaccatamente le lobby, il 31% non lo crede e il 25% non sa o non risponde. Come dire che quasi un Italiano su due pensa che siamo governati da imbroglioni e da faccendieri, tanto per capirci. Solo che, su di un bellissimo sfondo rosso “rivoluzione d’ottobre”, le fette della torta non rispecchiano affatto, nelle dimensioni, il  dato numerico: il 31% occupa metà del cerchio, mentre il 44% è più piccolo perfino del 25% degli insipienti. Trucchetto patetico, per carpire l’approvazione (e il voto) degli anziani, dei miopi, dei disattenti cronici: insomma, di quelle categorie più deboli cui il PD dice sempre di pensare notte e dì.

Questa, signori, si chiama manipolazione del consenso o, se preferite, truffa ai danni dei cittadini: e questa truffa è messa in atto dalla sedicente televisione pubblica, per compiacere i propri padroni. E noi dovremmo cacciare cento euro a testa per mantenere agi e privilegi di questa banda di leccapiedi? O per permettere a Bruno Vespa di intervistare il giovane Riina? Per sorbirci i pistolotti di questo e di quello? Per gli scoop raccapriccianti della D’Urso? Per le risse da cortile nei talk show? Per sostenere il Minculpop in versione terzo millennio? Per ascoltare telegiornali tragicomici, con palinsesti accomodati, notizie camuffate e filmati taroccati? Al confronto, i filmati Luce del Ventennio erano la Bibbia illustrata. Insomma, miei cari, il punto non è più che farsi estorcere dei soldi per un servizio tutto sommato superfluo non garba a nessuno: il punto è che con quei soldi si finanziano marchette, in una sorta di favoreggiamento della prostituzione mediatica. Perché, in questo modo, non solo ci è stata tolta la libertà di decidere se finanziare o meno dei programmi scadenti, ma anche quella di scegliere se dare o meno ascolto alle panzane governative: col canone in bolletta, ci hanno tolto possibilità di mandare a remengo, simbolicamente, la Rai, i suoi padrini, i suoi padroni e tutto il caravanserraglio di ministre piangenti, litiganti ed intriganti che la Rai, quotidianamente ci infligge.




Letto per voi / I redditi? Tengono solo a Mantova e Bergamo

fiscodi Gianni Trovati*

Accanto all’inflazione reale, che in questi anni è andata raffreddandosi fino a fermarsi, ce n’è una nascosta, che si accende quando i redditi vanno ancora più piano. È proprio quel che è successo fra 2010 e 2014, almeno per quel che riguarda i redditi dichiarati dagli italiani e diffusi pochi giorni fa dal ministero dell’Economia: l’Italia delle dichiarazioni, poi, continua a essere spaccata in due, ma la lunga crisi da cui il Paese sta faticosamente uscendo ha colpito a Nord come a Sud.

Il fenomeno emerge chiaro quando si mettono a confronto quelli del 2014, scritti nelle dichiarazioni raccolte dal fisco lo scorso anno, e li si confronta con quelli di quattro anni prima. In quattro anni, la dichiarazione media degli italiani è cresciuta del 4,3%, attestandosi negli ultimi dati a quota 24.240 euro (i redditi presi in considerazione sono quelli delle addizionali, che permettono l’analisi territoriale), ma con un’inflazione del periodo che è stata del 7,2% la flessione reale è del 2,7 per cento. Accanto alla crisi e alle sue ricadute occupazionali, un piccolo ruolo nella limatura dei guadagni dichiarati è stato svolto dall’aumento delle agevolazioni, che però sono cresciute di circa lo 0,5% rispetto al totale dei redditi e quindi non hanno modificato in modo significativo la situazione. Anche se non è quantificabile, non va dimenticata poi la spinta a quella che i tecnici chiamano compliance, cioè all’adesione “spontanea” alle regole fiscali, che può aver alzato un po’ i redditi emersi. Peraltro – a sostenere il reddito disponibile delle famiglie – va poi conteggiato l’effetto del bonus Irpef da 80 euro, che non appare nelle statistiche sui redditi, essendo un bonus e non, tecnicamente, un taglio d’imposta. Anche nello spaccato territoriale, in valore nominale domina il segno più, ma quando si mette in campo la (piccola) inflazione maturata la flessione è quasi generalizzata: in termini reali, solo i contribuenti di Mantova riescono a mostrare guadagni medi in aumento (+1,3%), a Bergamo riescono in pratica a pareggiare la dinamica di quello che un tempo si chiamava il carovita (segnando +0,2% in quattro anni, con un reddito medio di 24.899 euro nel 2014 e con un quota di contribuenti che dichiarano fino a 15mila euro del 37,3%), mentre altrove la flessione è diffusa. Chieti e Fermo, che si collocano a pari merito al terzo posto nella graduatoria delle province con l’andamento più brillante, mostrano nel 2014 un reddito medio dichiarato più basso dello 0,8% rispetto al 2010, e negli altri territori si va giù fino al -5,2% di Vibo Valentia.

Mantova e Bergamo in testa e Vibo Valentia in coda indicano che la forbice Nord-Sud continua ad allargarsi. Una conferma arriva dal fatto che nessuna delle dieci città in cui i guadagni dichiarati sono cresciuti di più in termini nominali è meridionale, e che se si guarda solo alle regioni del Sud i redditi più in salute si incontrano a Brindisi (+5,7% nominale; -1,4% reale, 11esimo posto in classifica) e, tre posizioni più sotto, a Barletta, Andria e Trani. In realtà, però, il quadro è più articolato, e per esempio Siena fa poco meglio di Vibo (-5% se si tiene conto dell’inflazione), Crotone e Imperia mostrano dinamiche analoghe fra loro, e lo stesso accade a Palermo e Aosta. Nella geografia dei guadagni, da questi tira e molla esce l’Italia divisa di sempre. La provincia di Milano conferma il proprio primato e stacca ancora Roma, rincorsa da Monza, Bologna, Lecco, Parma e Bolzano. Nel Mezzogiorno, le dichiarazioni più ricche sono quelle presentate dai contribuenti di Napoli, che si ferma però alla casella 48 della classifica nazionale (era 42esima nel 2010).

Il rallentamento reale dei redditi costa anche allo Stato, che incassa meno Irpef, mentre Regioni e Comuni vanno decisamente in senso contrario grazie agli aumenti di aliquota. L’imposta statale, però, vale più dei nove decimi del totale, per cui il conto complessivo è in rosso: fra 2010 e 2014 l’Irpef totale dovuta è salita da 161 a 167 miliardi, ma il suo “potere d’acquisto” si è alleggerito del 3,3 per cento. L’incrocio di richieste centrali e locali, però, fa in modo che le imposte non siano troppo fedeli nel seguire la curva dei guadagni. L’aliquota reale, cioè il rapporto fra reddito dichiarato e Irpef totale dovuta, mostra che i contribuenti più tassati sono i brianzoli, chiamati a dedicare all’imposta il 23,6% dei propri guadagni anche se le loro dichiarazioni si fermano in media 4mila euro sotto quelle dei vicini milanesi, che pagano “solo” il 23,4 per cento. Nel Medio Campidano, dove si registrano i redditi ufficiali più bassi d’Italia, l’imposta chiede invece poco più di un sesto di quanto dichiarato.

*Articolo apparso sull’edizione odierna del Sole 24Ore

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-04-11/i-redditi-tengono-solo-mantova-e-bergamo–074544.shtml?uuid=ACEff54C




“Giovane dell’anno”, il premio dei cuochi va a una bergamasca

francesca plebaniAi tempi in cui i giovani scelgono di fare il cuoco per salire su un palcoscenico, Francesca Plebani, ventenne di Caravaggio, si è conquistata un premio per il lavoro dietro le quinte. Alla recente assemblea della Federazione italiana cuochi, a Quinto di Treviso, le è stato assegnato il riconoscimento di “Giovane dell’anno” per l’impegno messo a disposizione dell’associazione. Già, perché mentre i riflettori sono accesi sugli show cooking o le grandi cene, c’è anche chi deve scaricare e sistemare le merci, preparare le attrezzature, stare in cucina, aspetti che spesso si dimenticano ma sono fondamentali per la buona riuscita di un evento gastronomico. Ed è questo che Francesca ha fatto, meritandosi l’applauso dei colleghi e del presidente nazionale Rocco Pozzulo.

Al lavoro come commis da Sassella Ricevimenti di Casirate d’Adda, ha conosciuto la Fic attraverso il suo titolare, Fabrizio Camer, segretario dell’Associazione cuochi bergamaschi, vicepresidente regione e consigliere nazionale. «Mi ha proposto di iscrivermi due anni fa – ricorda – ed ho cominciato a partecipare alle iniziative. In particolare ho lavorato per il congresso di Firenze lo scorso novembre sul Cuoco 3.0 e ai campionati italiani della cucina di Montichiari. Ho fatto un po’ di tutto, come capita in queste occasioni, dal preparare pranzi e cene all’assistenza agli showcooking, al magazzino». «Sono belle esperienze – sottolinea -, perché permettono di lavorare con cuochi di tutta Italia, vedere come si svolgono i concorsi, scoprire piatti nuovi e sono tutti stimoli a fare di più. Ho avuto modo anche di conoscere maestri come Claudio Sadler e Davide Scabin».

Francesca ha scelto la carriera in cucina sulle orme del fratello, Andrea, morto prematuramente in un incidente stradale. «È a lui che voglio dedicare il premio, se faccio questo lavoro è anche nel suo ricordo – dice -. La soddisfazione è stata grande e mi spinge a dare sempre di più nella professione e nell’associazione».

I piatti che ama maggiormente cucinare sono i secondi di pesce e il suo obiettivo, in futuro, è affiancare la sorella Daniela, che invece ha studiato sala e che gestisce da otto anni il ristorante C’est la vie nella zona industriale di Caravaggio. Sa però che la gavetta è necessaria ed è intenzionata a collezionare ancora esperienze che le permettano di crescere.

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Il primo trofeo di “basket a cavallo” in Bergamasca lo firma il Dat

In Bergamasca arriva il primo trofeo di horseball, una disciplina equestre di squadra che consiste nell’andare a canestro effettuando almeno tre passaggi tra giocatori diversi. In pratica basket a cavallo, con una forte componente di spettacolarità ma anche un riconosciuto valore pedagogico e ludico.

La novità si deve al Distretto dell’attrattività del Brembo e dei Colli, il progetto che integra lo promozione e lo sviluppo del commercio e del turismo di 12 comuni (Dalmine, capofila, Treviolo, Sorisole, Curno, Mozzo, Ponteranica, Villa d’Almè, Almè, Osio Sopra, Lallio, Valbrembo, Paladina) e che punta, in particolare su sport e tempo libero.

Horse-Ball-7La sfida in sella è inserita, appunto, nel calendario delle “Olimpiadi del Brembo e dei Colli” ed è in programma sabato 9 aprile dalle 14.30 al Centro Ippico Le Colline di Villa d’Almè. Vedrà affrontarsi tre squadre: Pie’s Horses da Milano-Brianza, la Vallata da Magenta e gli emergenti de Le Colline di Villa d’Almè che giocano in casa.

Il tema equestre sarà protagonista anche domenica 17 aprile quando, sempre al centro ippico, si terranno una corsa ad ostacoli e il Battesimo della Sella, un evento pensato soprattutto per i più piccoli che vedrà il coinvolgimento delle scuole del territorio.

«Le giornate al Centro Ippico Le Colline – spiega Valeria Sana, assessore al Bilancio e Tributi del Comune di Villa d’Almé – vanno ad inserirsi in un quadro di eventi più ampio che intende elaborare progetti di sviluppo dei luoghi sulla base di risorse che già ci sono, andando a valorizzarle e creando attorno ad esse un continuo flusso di interesse e conoscenza. In tal senso, la presenza di un centro ippico nel territorio di Villa D’Almè, come è successo per altri comuni, ha portato ad individuare la struttura come potenziale centro di attrazione e aggregazione del pubblico e delle principali realtà rappresentative del territorio tra le quali spiccano anche gli esercizi commerciali che, per l’occasione, animeranno la giornata del 17 aprile».

In particolare, l’Acalp, Associazione Commercianti, Artigiani e Liberi Professionisti di Villa d’Almè proporrà una grande Caccia al Tesoro che, oltre a rappresentare un’esperienza divertente e di convivialità per tutte le età, porrà l’accento proprio su alcune eccellenze del territorio presentate dai suoi commercianti. A seguire, una speciale merenda accoglierà grandi e piccini con l’invito ad avvicinarsi alle tipicità gastronomiche del territorio che rappresentano la storia e l’identità di specifici luoghi.




S’inaugura la Bossico-Ceratello, ma scoppia un caso tra Lovere e Costa Volpino

Bossico-Ceratello (1)Domenica verrà inaugurata la strada di collegamento “Bossico-Ceratello”, dopo anni di incontri e discussioni, che hanno diviso i cittadini dell’Alto Sebino in favorevoli e contrari. A due giorni dal taglio del nastro, scoppia la bufera. Il sindaco di Lovere Giovanni Guizzetti dichiara di non essere stato in alcun modo né coinvolto né informato delle intenzioni dei Comuni di Bossico e Costa Volpino di procedere all’inaugurazione, benché la strada si snodi per quasi l’intero tracciato sul suo territorio e ne sia di fatto ad oggi la proprietaria. Non solo, per il primo cittadino di Lovere la strada non può essere aperta indiscriminatamente al traffico. Per Guizzetti, l’inaugurazione è impropria per il banale motivo che la ‘nuova’ strada si interrompe a Lovere (e quindi prima di raggiungere Ceratello), e perché, elemento non secondario, non risulta formalmente che sia stata collaudata (e quindi non ci sono le condizioni di sicurezza per fruirne).
«Il progetto preliminare, approvato con deliberazione del Consiglio comunale di Lovere nel 2003, prevedeva il congiungimento degli abitati di Bossico e Ceratello partendo dall’incrocio con Via Giorgio Schiavi a Bossico e terminando all’incrocio con Via della Resistenza a Ceratello – spiega il primo cittadino di Lovere -. I cinque lotti realizzati finora non hanno portato al completamento dell’opera avendo tralasciato il tratto corrispondente alle sezioni che vanno dalla n. 1 alla n. 14 del progetto preliminare. In particolare non è stato realizzato l’intero tratto compreso nel Comune di Bossico (che in questo modo non viene per nulla interessato dai lavori finora compiuti) e buona parte del tratto del Comune di Lovere in località Pincio». Il problema è anche di diritto.  «Per quanto riguarda i lavori realizzati finora, né la Comunità Montana che ha appaltato i primi due lotti, né il Comune di Bossico, che ha appaltato gli altri tre, hanno fornito al Comune di Lovere la documentazione relativa alla conclusione dei lavori e al collaudo della strada – dice Guizzetti -. Ad oggi nonostante i lavori siano stati completati da anni, nessuno si è preoccupato di far pervenire al Comune di Lovere i documenti relativi alla conclusione dei lavori e al collaudo della strada. Cosa ancora più grave, nonostante l’ingiustificata omissione e l’inspiegabile ritardo, i documenti non sono stati forniti nemmeno a seguito di formale richiesta».

Giovanni Guizzetti, sindaco di Lovere
Giovanni Guizzetti, sindaco di Lovere

Anche se il Comune di Lovere non si deve accollare alcun onere né per la realizzazione della strada né per la sua manutenzione, ordinaria e straordinaria, di fatto, trattandosi di una strada che sarà aperta al pubblico transito pressoché per la sua totalità nel suo territorio, tutti i provvedimenti che regolano il traffico sulla stessa siano di competenza del Comune di Lovere, così come sono di competenza dello stesso tutti i provvedimenti relativi alla toponomastica e quindi all’intitolazione della strada. «Non ci spieghiamo sulla base di quali presupposti e di quali provvedimenti siano stati collocati lungo il tracciato cartelli stradali che limitano la velocità o indicano situazioni di pericolo -. L’intero tracciato della Bossico-Ceratello è inserito, per il tratto nel Comune di Lovere, nell’elenco delle strade agro-silvo-pastorali. Fino a quando non avremo a disposizione la documentazione che dimostri la regolare esecuzione dei lavori e il collaudo della strada, sull’intero tracciato rimarranno in vigore le attuali limitazioni previste per il transito sulle strade agro-silvo-pastorali”.  La parola ora passa ai Comuni di Bossico e Ceratello e alla Comunità Montana che dovranno rispettare gli impegni assunti e portare al più presto a compimento il congiungimento degli abitati di Bossico e Ceratello partendo dall’incrocio con Via Giorgio Schiavi a Bossico per terminare all’incrocio con Via della Resistenza a Ceratello. «Se così sarà – assicura il primo cittadino di Lovere – assumeremo tutti i provvedimenti di nostra competenza per garantire il transito sull’intero tracciato della Bossico-Ceratellodevono rispettare gli impegni assunti e portare al più presto a compimento il congiungimento degli abitati di Bossico e Ceratello partendo dall’incrocio con Via Giorgio Schiavi a Bossico per terminare all’incrocio con Via della Resistenza a Ceratello».
Il sindaco di Costa Volpino, Mauro Bonomelli parla di incomprensioni e di carte spedite e che non si trovavano più: «Ho incontrato poco fa il sindaco di Lovere, abbiamo parlato e probabilmente sarà presente all’inaugurazione. Il collegamento è concluso, c’è solo un piccolo tratto da completare».  Il tratto che permette di raggiungere Bossico. Considerato che l’appuntamento elettorale per Costa Volpino è vicino e che i tempi dell’opera non saranno rapidissimi, si spiega probabilmente anche la fretta di inaugurare la strada. La questione rimane aperta.

 

 

 

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Una “Scaletta” che si tuffa nel Mediterraneo

Filippo Coglitore
Filippo Coglitore

A La Scaletta Cafè di Capriate San Gervasio la paella non è né alla catalana né alla valenciana ma di Filippo ed è il piatto più gettonato: quello per il quale il locale è famoso. La specialità spagnola è stata rivisitata da Filippo Coglitore, 57 anni, chef che con la moglie Luisa Barrecchia, 46 anni, in sala, conduce il ristorantepizzeria. Il loro sodalizio lavorativo è iniziato nel 1989. «Non è stato per eccesso di protagonismo – spiega Filippo – ma ormai le varianti sulla base della paella valenciana erano diventate tante e così ho voluto dare un messaggio chiaro, in modo che si capisse che c’era qualcosa di diverso. Ad esempio io ci metto l’astice e poi la serviamo in un contenitore particolare che ne esalta anche l’aspetto. Oltre che buona, insomma, è bella anche a vedersi».

La “storia” di Filippo è come quella di tanti ristoratori partiti dal sud. Nel ’74 ha lasciato la Sicilia con la classica valigia di cartone per fare esperienza nelle piazze turistiche più importanti come Madonna di Campiglio, Portofino, Forte dei Marmi ed infine è approdato a Milano. Sempre in cucina ad apprendere i segreti degli chef più esperti. «Nell’87 ho aperto il mio primo ristorante a Milano in città – racconta – e nel ’95 sono venuto a Capriate alla mia prima Scaletta a poca distanza da quella attuale, mentre qui ci siamo dal 2007. Ho avuto anche altre esperienze perché per due volte ho gestito contemporaneamente due locali, sempre a Capriate la Rosa Verde e a Bergamo la Taverna del Gallo in via San Bernardino».

La Scaletta Cafè è un locale arredato con gusto con la capienza di un centinaio di coperti all’interno. Molto utilizzato però è l’ampio dehors (80 posti) che viene sfruttato sia in inverno, riscaldato, sia in estate rinfrescato da getti di acqua nebulizzata. C’è anche un ampio parcheggio privato. Il costo medio di un pranzo varia tra i 35 e i 40 euro. La struttura è anche bed and breakfast, con tre camere e altre tre in arrivo.

«Che cucina facciamo? Più che descriverla bisognerebbe provarla – suggerisce il titolare – perché trovo difficile rendere con le parole i nostri sapori. Diciamo che si tratta della base di una cucina mediterranea, ampiamente personalizzata. Il riferimento rimangono il pesce e la cucina siciliana. Dedichiamo lo spazio necessario anche ai piatti di terra, tagliate e filetti per quanto riguarda la carne, alcuni risotti e i salumi affettati. Per ogni portata abbiamo anche un piatto vegano».

La scaletta cafè - capriate san gervasioData la lunga presenza, il locale ha consolidato una buona clientela e Filippo e Luisa seguono molto i dettagli, che a volte possono fare la differenza, come le eleganti mise en place ed il pane e le focacce che vengono preparati ogni giorno nel forno della pizzeria. C’è un listino che ricalca il menù principale per il servizio take away e per compagnie si organizzano anche tavolate di giro pizza. Ci sono poi cinque menù fissi, che comprendono dolce, acqua e caffè e che vanno dai 20 ai 35 euro. «Tra questi – afferma il titolare – quello al quale sono più affezionato è quello etneo con il richiamo alla mia terra d’origine. È un bel “viaggio” e fa capire un po’ la filosofia della mia cucina. È composto da una tartare di tonno con salsa agli agrumi, pesto di mandorle e salsa di soia, come antipasto. Per primo piatto sono previsti gli spaghetti con finocchietto selvatico e sarde, poi c’è un involtino di spada alla messinese e si finisce con un cannolo siciliano».

LA PROVA

Due aspetti colpiscono a La Scaletta Cafè di Capriate San Gervasio ancora prima di sedersi a tavola per il menù a prezzo fisso del mezzogiorno: un buffet molto assortito (con arancini e pizza, tra l’altro) e tovagliati in stoffa che ormai si incontrano sempre più raramente. La lista è al centro del tavolo, stampata, con le portate e l’indicazione che nei dieci euro del prezzo sono compresi oltre al primo e al secondo, buffet, servizio, acqua, vino e caffè e poi sono segnalati i costi per gli extra. Tra i primi, lasagne, casoncelli alla bergamasca e pasta al ragù o al pomodoro ci sono tutti i giorni così come tra i secondi l’arrosto al forno, il vitello tonnato, la bistecca ai ferri e l’insalata di mare rappresentano una costante.

Le portate che variano giornalmente vengono invece indicate a voce ed in occasione della nostra visita c’erano gli spaghetti alla caprese, i pizzoccheri, le costine alla brace con purè, le insalatone e il fritto di calamari e sarde fresche. Sul retro della lista ci sono i menù definiti “business special” che vanno dagli 11 euro ai 19 per il filetto di manzo ai ferri sempre tutto compreso. C’è anche un piatto vegano, il cous cous di verdure con salsa allo zafferano e ceci che costa 12 euro.

La nostra scelta non è molto razionale ma le proposte ci stuzzicano e passiamo quindi dal primo piatto di pizzoccheri all’insalata di mare per secondo. Dallo strano abbinamento scaturisce un commento molto positivo per un ottimo rapporto qualità-prezzo.

Ristorante Pizzeria
La Scaletta Cafè
via Bergamo, 38
Capriate San Gervasio
tel. e fax 02 90964826
www.lascalettacafe.it
aperto tutti i giorni



«I casoncelli? Troppo “strani” per i palati australiani»

Riccardo Morlotti - chef Australia Nonostante sia molto legato al piccolo paesino della Val San Martino in cui ha trascorso l’infanzia, Riccardo Morlotti ha viaggiato molto per perfezionare la sua arte culinaria. Per crescere professionalmente ha accettato di buon grado ogni sfida lavorativa, sia in Italia che Oltreoceano. E così, a soli 25 anni, ha già
cucinato per il ristorante Da Castelli di Palazzago, il Cappello d’Oro di via Papa Giovanni XXIII a Bergamo, il Best Western di Monza e Brianza, il Grand Resort Du Lac e Du Parc di Riva del Garda, per poi spingersi fino a Bangkok, dove ha preparato manicaretti in alcune delle più rinomate cucine tailandesi.

Ma la svolta per questo chef di Palazzago è arrivata in Australia. Al ristorante italiano Cafe Bellavista di East Perth ha esercitato per nove mesi come chef de partie. Si è poi trasferito a Mount Hawthorn all’Azure Italian restaurant dove per un anno e mezzo ha rivestito incarichi di crescente responsabilità come chef de partie e sous chef.

In attesa di esprimere al meglio la sua vena creativa in fatto di cucina italiana e orobica, oggi Morlotti lavora come cuoco di punta al Varsity di Nedlands, un sobborgo dell’area metropolitana di Perth. Anche dietro alle succulente costolette di maiale in salsa barbeque o alle insalate di zucca con mandorle tostate che si possono gustare in questo american bar si cela tutta la sua anima versatile e originale. E fare bella figura in un continente dove Internet e i mass media giocano un ruolo più determinante del passaparola è quanto mai essenziale.

Più che per Facebook o Tripadvisor, gli australiani vanno matti per Zomato, la piattaforma web che fornisce informazioni dettagliate, foto e recensioni su oltre un milione di ristoranti in 22 Paesi nel mondo. «Ho avuto esperienze personali negative con le recensioni online – spiega Riccardo –, il mio datore di lavoro controllava ogni singolo giorno le recensioni per leggere i commenti dei clienti e lamentarsi con me se qualcosa non era andato per il verso giusto. Allucinante! Per questo ora non leggo mai i commenti: ognuno è fatto a modo suo, con gusti differenti». In questi mesi trascorsi nell’altro emisfero, Riccardo ha anche capito che tra Bergamo e Perth c’è un abisso culinario che pare incolmabile. Ancora oggi piatti mediterranei, paste fresche fatte in casa o risotti al dente sono un privilegio per pochi selezionati ristoranti in Australia. Ecco perché l’idea di portare laggiù i casoncelli alla bergamasca pare una vera e propria utopia. Eppure Riccardo Morlotti un tentativo l’ha fatto. Con la freschezza e l’apertura mentale di un 25enne desideroso di sperimentare, ha cercato di scalfire le abitudini degli australiani. Ma il risultato non è stato proprio quello sperato. Quelle che da noi sono considerate delle prelibatezze, nell’altro emisfero, proprio non vanno giù: «Ho provato a proporre i casoncelli come piatto speciale in uno dei ristoranti italiani in cui ho lavorato – racconta – ma con molta delusione ho ricevuto solo critiche sul ripieno che per la clientela australiana aveva un sapore strano e troppo ricco di erbe. La cucina bergamasca è complicata da proporre perché usa ingredienti tradizionali molto difficili da trovare all’estero. L’unica cosa che sono riuscito a trovare è la polenta, ma non c’è paragone con quella bergamasca».




A Milano 1.300 pizzerie, la metà è in mano a stranieri

pizza.jpgC’è la pizzeria macelleria e quella che è anche osteria, la pizzeria che è specializzata anche in fagotti o è una salumeria, quella che prepara pure rosticceria e specialità dolci arabe o insieme alla pizza offre sempre il kebab o gli involtini primavera. Uno dei piatti simbolo della cucina italiana nel mondo, la pizza, a Milano è ormai sempre più etnica, soprattutto se d’asporto. In città le pizzerie straniere hanno raggiunto i titolari italiani e sono pronte al sorpasso. Su quasi 1.300 imprese che nell’attività dichiarano di essere pizzerie, il 50% (oltre 600) è in mano a stranieri. Sono soprattutto egiziani che pesano da soli i due terzi degli stranieri (considerando solo le imprese individuali) e un quinto di tutte le pizzerie di Milano. Vengono poi gli imprenditori cinesi (16% delle piccole imprese del settore, 4,5% di tutte le pizzerie) e quelli turchi (7,4% e 2,1%). La maggior parte dei pizzaioli egiziani è originaria di Assiut, capitale dell’omonimo governatorato a grande concentrazione coopta, ma c’è anche la pizzeria mista egiziano-peruviana. Emerge da una elaborazione Camera di commercio di Milano su dati del registro imprese relativi a quasi 5 mila imprese attive a Milano città nel settore della ristorazione di cui quasi 1.300 dichiarano di essere un pizzeria, tra somministrazione in loco e asporto. Il dato sullo Stato di nascita è calcolato sui titolari di impresa individuale straniera del settore.