Dalla consulenza energetica ai ravioli, ecco le 7 start up premiate da Confcooperative

confcoooperative-startupDalla manutenzione di ascensori alle consulenze energetiche, dal wedding planner alla vendita a domicilio di ravioli fatti a mano: sono solo alcune delle idee progettuali premiate nei giorni scorsi nella sede di Confcooperative Bergamo al Pitchday di «Tira fuori la tua idea di impresa», l’iniziativa realizzata insieme a Mestieri Lombardia e al Centro Servizi Aziendali COESI finalizzata a concretizzare giovani idee imprenditoriali. L’evento finale è stato l’occasione per premiare le migliori idee di impresa elaborate dopo un percorso di accompagnamento e formazione che ha visto nei mesi scorsi 24 aspiranti imprenditori, tra i 25 e i 40 anni, mettere a punto le loro idee progettuali. Pronti, via, quindi, per una giornata che non è stata solo un punto di arrivo con la consegna degli attestati di partecipazione ma un trampolino di lancio per chi è riuscito a completare il proprio business plan e che ora si tradurrà in un percorso di consulenza mirato, come ha spiegato Lucio Moioli, presidente di Coesi e segretario generale di Confcooperative Bergamo: «Anche quest’anno l’iniziativa è stata l’occasione per far emergere il ruolo della cooperazione come opportunità concreta per rilanciare l’occupazione e, soprattutto, le idee dei giovani. La nostra sfida è quella di fare un percorso di formazione insieme per investire sul futuro di questi ragazzi e della cooperazione. Le idee progettuali selezionate usufruiranno infatti di un secondo percorso di consulenza gratuita su misura, fornito dal team di esperti del Centro Servizi Aziendali Coesi e Mestieri Lombardia, per la realizzazione della loro impresa».

«Iniziative come questa sono fondamentali per arginare la mortalità delle giovani imprese – ha ricordato Cristiano Arrigoni, direttore di Bergamo Sviluppo, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Bergamo -. Percorsi di affiancamento e monitoraggio consentono infatti di far emergere realtà più solide, concrete e capaci di affrontare le sfide del mercato. In questo contesto la formazione gioca un ruolo chiave nel portare avanti con successo un’attività imprenditoriale, giovane o matura che sia». La mattinata, che ha visto anche il saluto del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che ha ricordato come «la determinazione nell’andare avanti e nel perfezionare l’idea iniziale porta sempre a risultati apprezzati e soddisfazioni vincenti», e l’intervento dell’ingegnere Daniele Radici, specialista dell’innovazione dell’Università di Bergamo, è stata l’occasione per i 7 aspiranti imprenditori di presentare le loro start up davanti una platea di associazioni di categoria, imprenditori, liberi professionisti, formatori, consulenti, istituti di credito ed esperti di crowdfunding. «Per tutte queste idee siamo convinti che la cooperazione possa essere una forma di impresa attuale, già radicata in diversi settori dell’economia locale e oggi aperta all’innovazione e a nuove prospettive – ha sottolineato il presidente di Confcooperative Bergamo, Giuseppe Guerini -. Si stanno diffondendo anche molte cooperative di freelancer e liberi professionisti che confermano come la cooperazione sia sinonimo di opportunità concrete per i giovani. Anche a livello europeo, infatti, la cooperazione si sta ritagliando ambiti d’intervento importanti grazie alle operazioni di rilancio imprenditoriale “workers by out”, quando cioè l’acquisto di una società è realizzato dai dipendenti dell’impresa stessa».

LE 7 IDEE PROGETTUALI

Ascensore Sicuro

Sistema di manutenzione di impianti ascensoristici mediante l’installazione di sensori monitorabili da remoto per individuare anomalie di funzionamento e inviare segnale di alert prima che l’anomalia si trasformi in guasto.

Esc (Explore/Share/Create)

Servizio di guide turistiche, con particolare importanza alla dimensione della condivisione e organizzazione di escursioni partendo dal territorio della Valle Brembana.

E-ureKaù

Agenzia di energy saving con servizi di consulenza specialistica a cittadini e imprese per l’efficientamento energetico degli edifici.

Marrylicious

Agenzia di wedding planner, in particolare per l’organizzazione di matrimoni anticonvenzionali, su misura per il cliente, con proposte esclusive e personalizzate.

Prosopos Duo

Organizzazione di eventi teatrali e culturali con il coinvolgimento degli esercenti, attraverso i quali si vuole portare il teatro alle persone e non le persone in teatro.

RavioLand

Realizzazione artigianale di ravioli fatti a mano e personalizzabili per i nuovi stili alimentari (vegani, celiaci e per tutti gli esploratori del gusto) venduti anche su commissione.

Sunflower Coaching

Società di coaching che attraverso sessioni, corsi specifici e workshop vuole far emergere talenti, capacità e punti di forza per la realizzazione del proprio scopo di vita.

 

 




Kalika, a Treviglio la pizza è anche solidale

kalika-2A Treviglio è possibile mangiare una buona pizza mettendosi una mano sul cuore. Sedersi da Kalica, in via Milano, non significa infatti solo gustare il cibo più amato dagli italiani, ma anche essere solidali.

Il locale è nato come cooperativa di lavoro per dare vita alla pizzeria della solidarietà ed è l’emanazione diretta dell’omonima associazione, senza fini di lucro, fondata tre anni fa per sostenere i genitori di disabili adulti in carrozzina finanziando i loro progetti. Le difficoltà diventano, infatti, sempre più gravi quando i ragazzi crescono e rischiano di perdere chi li ha accuditi. Il nome in greco significa bocciolo, simbolo del ristorante. L’obiettivo degli associati è raccogliere 400mila euro, cifra necessaria per acquistare l’immobile che diventerà una casa famiglia.

La struttura è già stata individuata, si trova ad Arcene, supera i 500 metri quadri e può ospitare tre famiglie e sette ragazzi. Per realizzare il sogno, ogni sera, si alternano con entusiasmo al banco e tra i tavoli una quarantina di volontari. A presiedere la cooperativa è Emilia Ruggeri, con esperienze nella ristorazione, che da quarant’anni vive sulla sua pelle le problematiche legate alla gestione di un figlio disabile, colpito da meningite all’età di 18 mesi.

Emilia Ruggeri con la famiglia
Emilia Ruggeri con la famiglia

«Il nostro calvario è cominciato proprio quando Cristian era vispo e cominciava a parlare. Con il tempo aveva cominciato a mangiare e camminare da solo, ma cinque anni fa c’è stata una forte crisi convulsiva, seguita dal coma e quando si è ripreso aveva perso ogni progresso – spiega la signora -. Negli anni, quando ho avuto la necessità di un supporto esterno, mi sono accorta che non esisteva una struttura in grado di aiutarmi». Nei progetti, la futura casa famiglia avrà un dirigente e si avvarrà di personale qualificato, su doppio turno, che sarà pagato attraverso le rette e garantirà un’assistenza ai pazienti soprattutto dopo la morte dei loro genitori e in assenza di altri parenti che possano prendersene cura. Il servizio riguarderà la bergamasca.

kalika«Ma per chi non avesse risorse per provvedere a sé economicamente, interverrà la pizzeria a coprire i costi», annuncia Emilia. Un altro motivo per cenare da Kalica è che le pizze sono davvero buone. Si usa il lievito naturale, la pasta riposa per 72 ore, formagelle e salumi sono nostrani, la mozzarella di bufala è Dop e le verdure sono da agricoltura biologica. Confortevole e colorato anche l’ambiente, arricchito dagli arcobaleni sulle pareti e dotato di un’area con i giochi per i bambini.

I prezzi sono convenienti: 10 euro per una margherita o una marinara inclusi bibita o birra grande e caffè, 13 se la pizza è a scelta. Per le festicciole di compleanno bastano 50 euro per dieci invitati, cifra che include cinque pizze, bibite e animazione. Kalica è anche pizzeria da asporto. Aperta dalle 17.30 a mezzanotte. Giorno di chiusura il lunedì.




Sulle tracce della trippa

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È una delle zuppe più tipiche e succulente della tradizione orobica. In brodo, in umido, con una spolverata di parmigiano o accompagnata da una fetta di polenta, la trippa è un gustoso misto di frattaglie, verdure e spezie che di recente sta tornando in voga sulle tavole di molti ristoranti. Piatto unico per eccellenza fin dai primi del Novecento, questa pietanza nel corso degli anni ha vissuto alterne fortune. Già, perché l’idea di mettere sotto i denti le viscere di un bovino di certo non piace a tutti. Se da un lato le vecchie generazioni non hanno mai smesso di apprezzarla, dall’altro c’è anche una folta schiera di giovani pronti a storcere il naso appena ne sentono pronunciare il nome.

Eppure, superato lo scetticismo iniziale, anche i più schizzinosi dopo il primo cucchiaio si convertono irreversibilmente al gusto tondo e confortante della trippa. Negli anni del boom economico questa minestra del quinto quarto è stata accantonata dai ristoratori orobici che la ritenevano troppo povera e di non facile preparazione nell’era frenetica del benessere. Da qualche tempo, però, la trippa è tornata timidamente a farsi viva, soprattutto in quei locali che hanno scelto di rispolverare le radici attraverso i piatti tipici della tradizione. Osterie valligiane, trattorie di città ma anche ristoranti stellati la propongono sempre più spesso, nel menù del giorno o da asporto, nei periodi più freddi dell’anno. Persino rinomati chef internazionali, come il britannico Gordon Ramsay e il suo omologo in “Cucine da incubo” Antonino Cannavacciuolo stanno cavalcando la crociata della trippa servita nelle sue molteplici varianti, da un ruspante panino fino a una più raffinata trippa di agnello con tempura di gamberi rossi. E così da piatto nazional-popolare di sagre e feste di paese, questa specialità d’altri tempi si è tramutata in un piatto intrigante, che mette d’accordo tutti, o quasi.

LA TRADIZIONE

trippa-la-ciotolaAll’inizio del Novecento erano soprattutto gli uomini che frequentavano le osterie di paese con cucina casalinga a richiedere la trippa. Nelle trattorie della Bergamasca erano ammessi solo clienti maschi e sposati che, dopo le nozze, erano soliti fare un salto al ristorante per ricevere una sorta di investitura assaggiando un cucchiaio di trippa. Le donne invece in osteria entravano soltanto per riempire la pentola e portare a casa il cibo.

Ancora oggi in tante case e ristoranti dell’alta Valle Brembana, la vigilia di Santa Lucia equivale al pentolone di trippa, la cosiddetta büsèca, che bolle sul fuoco dal primo pomeriggio. All’agriturismo Ferdy di Lenna, per esempio, questa specialità non manca mai in inverno. La preparano tagliata a pezzetti con piedino di vitello disossato, fagioli bianchi e pomodoro fresco. Può essere servita come minestra oppure come secondo piatto, accompagnata da un contorno di polenta bergamasca.

O SI AMA O SI ODIA

ol-giopi-e-la-margiLa trippa è una zuppa di verdure miste e frattaglie costituite dall’apparato digerente dei bovini, fra l’esofago e lo stomaco. Per questa ragione la sola descrizione la rende assai poco appetibile ed anche l’autorevolezza di molte buone forchette fatica a convincere ad un assaggio i più restii. Come spiega Alioscha Foglieni, co-titolare del ristorante Ol Giopì e la Margì di via Borgo Palazzo: «Noi serviamo la trippa da oltre vent’anni. Non la toglieremo mai dal menù perché amiamo valorizzare le tipicità bergamasche e la trippa fa parte dei sapori tradizionali della nostra cultura. La prepariamo con sedano, carote, cipolla, pomodoro, patate e fagioli. Per farla conoscere anche ai più scettici abbiamo pensato di proporla come antipasto all’interno di una selezione di cinque assaggini misti del nostro territorio. Così molti clienti dopo averla provata ne rimangono colpiti e ci chiedono di averla come piatto di portata. Anche i turisti la provano e la apprezzano».

BERGAMASCA, MA NON SOLO

Ferdinando Testa
Ferdinando Testa

Veneta, romana, toscana o genovese, quasi ogni regione e provincia ha la sua ricetta per la trippa. Si va dalla trippa di Brescia in brodo di verdure alla “busecca” alla milanese, passando attraverso la trippa calabrese “ara carvunara”, solo per citarne alcune. Paninozzi croccanti con lampredotto o fette di pane sciocco e trippa solleticavano i palati dei fiorentini già ai tempi di Lorenzo de’ Medici. In provincia di Torino c’è persino la Confraternita della trippa che vanta origini trecentesche. La versione originale della trippa alla Bergamasca è in brodo. Tuttavia ogni cuoco ha la sua ricetta. «Per una trippa perfetta – spiega Ferdinando Testa, titolare con la sorella Antonella del ristorante La Ciotola di viale Papa Giovanni – consiglio di utilizzare interiora di qualità e un mix di verdure di stagione e spezie. La cottura dev’essere lunga e lenta: servono circa tre ore. In generale più la trippa cuoce e meglio è. I nostri nonni dicevano che il giorno dopo è ancora più buona».

UN GUSTO INTERNAZIONALE

In antichità i greci cucinavano la trippa alla brace, i romani invece la utilizzavano per preparare salsicce. Ma anche oggi questa pietanza è presente nelle cucine tradizionali di tutto il mondo. Al nord della Francia, in Normandia, si fanno la Tripes à la mode de Caen o la Tripes en brochette de la Ferté-Macé mentre al sud c’è il Pieds et paquets, una gustosa specialità marsigliese. La trippa si trova anche in Romania, sia in umido (Chkémbè tchorba) che in brodo (Ciorba de burta), e in Medio Oriente (İşkembe). C’è poi il ristoratore bergamasco Venanzio Poloni che è riuscito a portare la trippa alla bergamasca fino a Medjugorie: apprezzatissima dai pellegrini, è diventata una delle pietanze di punta del suo Hotel Stella Maris insieme al capù di verze. Anche Ferdinando Testa conferma la propensione degli stranieri per questo piatto tipico: «Per molti anni la trippa era scomparsa dal nostro menù – evidenzia -. Il nostro è un locale di grande passaggio turistico e ci si era convinti che un piatto così non avrebbe funzionato. Di solito era più ricercato nelle trattorie tipiche bergamasche. Tuttavia da un anno a questa parte abbiamo deciso di rivoluzionare il nostro menù andando alla scoperta delle pietanze della tradizione, trippa compresa. È stato un successo – rivela -. A ordinarla sono soprattutto i clienti dai cinquant’anni in su che vanno alla ricerca dei sapori della loro infanzia, mentre i giovani restano molto scettici. La trippa è molto amata anche dagli stranieri, soprattutto da chi proviene dai Paesi nordici, inglesi ma anche dai francesi, che in fatto di zuppe la sanno lunga».

IN CUCINA

Ai fornelli ogni chef ha il suo stile nel preparare la trippa. Celebre è per esempio il foiolo del ristorante Lio Pellegrini di via San Tomaso accompagnato da una fetta di polenta grigliata. Rispetto ad altre preparazioni tradizionali, la ricetta di Giuliano Pellegrini è più leggera. Per iniziare niente aglio, pancetta o lardo ma solo olio d’oliva e due piccole cipolle anziché il mezzo chilo di un tempo. Anche la cottura cambia: due ore anziché quattro. Vincenzina Salvi, cuoca dell’albergo Centrale di Fino del Monte punta invece sul gusto delle verdure e degli aromi. Per quanto riguarda la carne, oltre allo stomaco della mucca, la cuoca mette il ginocchio di maiale per dare più sapore: «Una buona trippa dev’essere fresca. La carne va fatta bollire bene con una spruzzata di acqua e aceto. Poi metto in pentola a freddo tutti gli ingredienti. Con gli ortaggi di stagione e le erbe ci si può sbizzarrire. Personalmente metto di tutto tranne i piselli o le carote perché sono troppo dolci. Nella mia trippa c’è anche il ginocchio di maiale, un’aggiunta che nella ricetta originale non è prevista. Infine metto la passata di pomodoro, salvia, rosmarino, prezzemolo e alla fine regolo con il sale, ma senza esagerare perché più la zuppa bolle più diventa saporita. A tavola c’è chi la aggiusta la trippa con il pepe, il peperoncino, i crostini di pane o il parmigiano. Io consiglio di consumarla al naturale, senza formaggio perché rende la trippa più acida falsandone il sapore».

IL PIATTO DEL GIORNO

Susi Assolari e Walter Brembilla
Susi Assolari e Walter Brembilla

Per lo chef Walter Brembilla della trattoria “Come una volta” di Desenzano Albino preparare la trippa per i clienti è una gioia, come conferma la titolare Susi Assolari: «Da sei anni a questa parte abbiamo scelto ottobre come il mese della trippa. È un piatto molto particolare, non piace a tutti, quindi non lo teniamo nel menù tutto l’anno ma solo per un periodo limitato, sia a tavola che da asporto, in concomitanza con la festa della Beata Vergine del Miracolo della Gamba. Quando c’è, però, la ordinano in molti. Grazie al passaparola arrivano da noi parecchi clienti soltanto per assaggiare la trippa. Se qualcuno ce lo chiede con anticipo al momento della prenotazione, gli possiamo preparare la trippa su richiesta. Il nostro chef adora cucinarla anche se il procedimento è lento e lungo». All’albergo Centrale di Fino del Monte la trippa non manca mai, nemmeno nei mesi caldi: «Preparo trippa in umido tutti i giorni, estate e inverno – conferma la cuoca Vincenzina Salvi –. Qui da noi è sempre disponibile nel buffet e la si può mangiare a volontà. Piace moltissimo».

FRESCA O PRECOTTA

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Fabio Magri

In lattine, tetrapak o bustone surgelate, tra gli scaffali del supermercato o nel banco frigo spuntano parecchie confezioni di trippa adatte a chi non ha tempo di mettersi ai fornelli. Bastano pochi minuti al microonde per ottenere una zuppa fumante come al ristorante. Metodi culinari rapidi che tuttavia piacciono poco a Fabio Magri, titolare della macelleria Magri di Chiuduno: «C’è stato un momento storico in Italia in cui abbiamo perso la tradizione delle nostre nonne e abbiamo optato per una cucina veloce. Si è progressivamente affermato un predominio della tecnologia alimentare di stampo industriale sui metodi più tradizionali. Per molti cucinare è diventato soprattutto l’atto di scaldare qualcosa di già pronto e surgelato. Con il cibo in scatola è un altro pianeta, ci sono troppi conservanti. Per fortuna da qualche tempo la gente sta ritornando alle radici, prestando più attenzione agli ingredienti sani».

I nomi e le preparazioni

trippa-per-box-nomiBUSECCA: dal tedesco Butze, è il nome lombardo, perlopiù milanese, usato anche in Bergamasca. Prevede l’utilizzo di tutti i tagli dei prestomaci, dello stomaco e perfino della prima parte dell’intestino (quello che i romani chiamano pajata).

CUFFIA: altro nome del reticolo, di forma globosa.

FOIOLO: (detto anche millefoglie o libro) identifica l’omaso, ovvero la parte che molti ritengono la migliore sia in cottura sia per il gusto delicato. I piatti che ne prevedono l’utilizzo esclusivo ne prendono il nome.

LAMPREDOTTO: nome fiorentino della trippa ricavata dall’abomaso, ovvero lo stomaco. È un tipico cibo da strada, ideale per farcire panini. Prende il nome dalla lampreda, un’anguilla primordiale di cui ricorda la forma e il colore.

RICCIA: è il nome più diffuso della trippa ricavata dalla parte più pregiata dell’abomaso (detto anche gala). È caratterizzata dalla presenza di creste violacee che conferiscono alla trippa un sapore più intenso.

Qualche indirizzo dove gustarla

In città: La Ciotola (viale Papa Giovanni) – tutto l’anno; Ol Giopì e la Margì (via Borgo Palazzo) – tutto l’anno; Trattoria Lozza (via Madonna del Bosco) – da ottobre a febbraio.

In provincia: Trattoria Moro da Gigi (Desenzano di Albino) – da ottobre a maggio nel menù del giorno e da asporto; Trattoria Come una volta (Desenzano di Albino) – nel mese di ottobre in occasione della festa della Madonna della Gamba e su prenotazione durante l’anno; Hosteria del Vapore (Carobbio degli Angeli) – piatto del giorno da settembre a marzo; Antica Locanda (Clusone) – una volta al mese come piatto del giorno; Albergo Centrale (Fino del Monte) – tutti i giorni dell’anno; agriturismo Ferdy (Lenna) – nei periodi freddi e in occasione di Santa Lucia; Al Platano da Gira (Foresto Sparso) – piatto del giorno nei periodi più freddi dell’anno; Polisena “L’altro agriturismo” (Pontida) – nel menù autunnale; Albergo ristorante Da Gianni (Zogno) – serate a tema nel mese di novembre.

Le sagre: Festa della trippa di San Pellegrino (Santa Croce) – settembre; Sagra del Casoncello d’autunno a Strozza, con sfida tra casoncello, trippa e pizzoccheri – metà ottobre.

 




Il premio/ Vesuvio, quattro fratelli paladini della pizza e dei sapori del Sud

Domenica 18 dicembre alla Fiera di Bergamo è avvenuta l’assegnazione del Riconoscimento del Lavoro e del Progresso economico, il premio della Camera di Commercio di Bergamo, giunto alla 56esima edizione. Sono state consegnate quattro benemerenze e 82 premi a coloro che, con l’esempio di una vita dedicata al lavoro, hanno contribuito con impegno costante alla crescita dell’economia locale, nei diversi settori economici.

Nella categoria imprese – con più di 33 anni di ininterrotta e benemerita attività, sia in forma individuale sia in forma societaria – i premi sono stati 14, quattro dei quali ad attività commerciali. Si tratta del fiorista F. lli Ravasio di Bergamo (77 anni e 5 mesi), il negozio di calzature di Francesco Pezzoli di Villa d’Ogna (68 anni e 4 mesi), del Panificio Vanotti di Bergamo (54 anni e 7 mesi) e del ristorante pizzeria Vesuvio di Bergamo (46 anni e 1 mese).

Ecco la storia del ristorante pizzeria Vesuvio

vesuvioLa data di nascita ce l’ha scritta nell’indirizzo internet, www.vesuvio1970.it. Facile perciò fare il conto: il ristorante pizzeria Vesuvio di via Borgo Santa Caterina ha 46 anni e la Camera di commercio gli assegna il riconoscimento per la lunga carriera. Lo si sa, del resto, che è uno dei locali storici per la pizza a Bergamo e per la cucina mediterranea, ideale completamento di una proposta tutta ispirata ai sapori del sud.

A fondarlo sono stati Giovanni Ferrara e la moglie Oliva Filomena, originari di Tramonti, il comune in provincia di Salerno che ha dato i natali a tanti pizzaioli sparsi per il mondo, con una buona rappresentanza anche in terra bergamasca. Poi la gestione è passata nelle mani dei quattro figli, Salvatore, Teresa, Alfonso e Luigia, che si sono divisi i compiti tra amministrazione, cucina e forno della pizza. La sede è sempre stata lì, alla fine (o all’inizio per chi viene dalla Valle) del Borgo d’oro, ma si è prima rinnovata, negli anni Novanta, e poi ingrandita, negli anni Duemila, raddoppiando la capienza a 250 posti.

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Salvatore Ferrara

«Che cosa ci ha permesso di arrivare a questo traguardo? Semplice, lavorare da mattina a sera», afferma con schiettezza Salvatore Ferrara. «La pizza, naturalmente, è il nostro punto di forza – prosegue -. Adesso c’è la tendenza a trasformarla in un piatto gourmet con ingredienti e abbinamenti ricercati. Noi invece continuiamo a prepararla nel modo tradizionale, puntando sulla selezione delle materie prime e la preparazione accurata. Del resto, con una clientela così ampia e consolidata come la nostra è difficile pensare di proporre cambiamenti netti, non ci si può scostare troppo dalla linea che ha sempre caratterizzato il locale. Le novità le inseriamo gradualmente, abbiamo cominciato con gli impasti integrali, ora ci stiamo muovendo per il senza glutine». Quando parla di clientela consolidata vuole dire di generazione in generazione, con i bimbi di un tempo che tornano con i propri figli. «Il resto della proposta è rappresentato dalla cucina mediterranea con piatti soprattutto di pesce e citerei anche i dolci – conclude – quasi tutti fatti da noi».




Il premio/ Cèco, il calzolaio novantenne che ha fatto le scarpe anche a una mucca

Domenica 18 dicembre alla Fiera di Bergamo è in programma l’assegnazione del Riconoscimento del Lavoro e del Progresso economico, il premio della Camera di Commercio di Bergamo, giunto alla 56esima edizione. Saranno consegnate quattro benemerenze e 82 premi a coloro che, con l’esempio di una vita dedicata al lavoro, hanno contribuito con impegno costante alla crescita dell’economia locale, nei diversi settori economici.

Nella categoria imprese – con più di 33 anni di ininterrotta e benemerita attività, sia in forma individuale sia in forma societaria – i premi sono 14, quattro dei quali ad attività commerciali. Si tratta del fiorista F. lli Ravasio di Bergamo (77 anni e 5 mesi), il negozio di calzature di Francesco Pezzoli di Villa d’Ogna (68 anni e 4 mesi), del Panificio Vanotti di Bergamo (54 anni e 7 mesi) e del ristorante pizzeria Vesuvio di Bergamo (46 anni e 1 mese).

Ecco la storia di Francesco Pezzoli

Francesco Pezzoli
Francesco Pezzoli

Novant’anni compiuti, 78 dei quali passati a realizzare, aggiustare e vendere scarpe. Un curriculum che se non è da record poco ci manca quello di Francesco Pezzoli, strenuo difensore dell’unico negozio di calzoleria di Villa d’Ogna, che solo alla fine dello scorso anno, con ben 89 primavere sulle spalle, ha alzato bandiera bianca e chiuso l’attività. Lo ha fatto a malincuore perché lui ci tiene a mostrare il suo lavoro e perché il suo laboratorio, in via Beato Alberto, è una sorta di museo, dove vedere le forme in legno con cui si realizzano le diverse scarpe, gli attrezzi del mestiere e pezzi storici come gli scarponi con i chiodi che realizzava per i soldati e i partigiani.

Ad affiancarlo in negozio la moglie Anna Maria Cagninelli, 85 anni, altro monumento alla longevità lavorativa, mentre le figlie hanno scelto altre strade professionali. «Ho cominciato come garzone a 12 anni – ricorda Pezzoli, più noto come Cèco -. A 16 mi sono messo in proprio e attorno ai 25-26 anni ho aggiunto la vendita di scarpe. Sono andato avanti fino ad adesso, ma oggi voler fare questo mestiere sarebbe da stupidi».

In tempi in cui le scarpe si possono anche acquistare on line senza nemmeno provarle è difficile persino immaginare cosa sia una calzatura fatta a mano e cosa significa confezionarla. Ma Cèco riesce benissimo a dare un’idea del suo su misura, citando il suo cliente più speciale: una mucca di proprietà di una famiglia di Nasolino. «Aveva un problema alle unghie delle zampe anteriori e non usciva più dalla stalla – ricorda -. Ho realizzato uno stivaletto ed è tornata al pascolo. Mi hanno pagato il lavoro e regalato uno stracchino».

Da abile maestro artigiano Pezzoli ha anche rivolto manualità e creatività nella scultura del legno arrivando a realizzare, da autodidatta, opere molto apprezzate, che raffigurano soprattutto animali e figure umane che lavorano.




Il premio / Ravasio, il negozio di fiori che fa crescere i papaveri sui Colli

Domenica 18 dicembre alla Fiera di Bergamo è in programma l’assegnazione del Riconoscimento del Lavoro e del Progresso economico, il premio della Camera di Commercio di Bergamo, giunto alla 56esima edizione. Saranno consegnate quattro benemerenze e 82 premi a coloro che, con l’esempio di una vita dedicata al lavoro, hanno contribuito con impegno costante alla crescita dell’economia locale, nei diversi settori economici.

Nella categoria imprese – con più di 33 anni di ininterrotta e benemerita attività, sia in forma individuale sia in forma societaria – i premi sono 14, quattro dei quali ad attività commerciali. Si tratta del fiorista F. lli Ravasio di Bergamo (77 anni e 5 mesi), il negozio di calzature di Francesco Pezzoli di Villa d’Ogna (68 anni e 4 mesi), del Panificio Vanotti di Bergamo (54 anni e 7 mesi) e del ristorante pizzeria Vesuvio di Bergamo (46 anni e 1 mese).

Ecco la storia di Ravasio Fiori

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Ravasio Fiori, un’immagine del negozio negli anni Cinquanta

«Mi piace talmente, che quasi non è un lavoro». È la felice sintesi nella quale Adriano Ravasio, 68 anni, racchiude la propria attività, il negozio di fiori in largo Belotti, nel centro di Bergamo, dove sarà capitato a tutti di soffermarsi almeno una volta ad apprezzare le accurate composizioni. Dietro le vetrine, l’azienda ha sempre avuto anche una seconda anima, la coltivazione diretta dei fiori sui colli di Bergamo, nella zona di Borgo Canale, più protetta e quindi adatta allo scopo.

«Tutto ha avuto inizio nei primi del ‘900 con il prozio Ernesto, che faceva il giardiniere ed ha trasmesso la passione ai nipoti, ossia mio padre Vittorio e mio zio Eugenio». Sono loro i Fratelli della denominazione aziendale ed entrambi ci hanno messo del proprio nello sviluppo dell’attività. È stata aperta da Eugenio, di ritorno a Bergamo dopo aver lavorato ai giardini vaticani, affiancato poi da Vittorio che dal campo di prigionia inglese in Sudafrica è tornato con i preziosi semi di un papavero allora sconosciuto in Italia, “Iceland Popy” o “Papaver Nudicaule”, molto simile al papavero di campo ma più robusto e con un doppio ordine di petali, del quale i fratelli Ravasio sono riusciti ad ottenere molteplici colori: rosso, arancio, rosa e bianco.

«È un po’ l’emblema della nostra attività – afferma Adriano – e continuiamo a coltivarlo, insieme ad altri fiori, soprattutto quelli “dimenticati” come le zinnie, le dalie, i fiori di pisello e i non ti scordar di me. La produzione diretta, curata da Giovanni Battista, figlio di Eugenio, è un elemento che ci caratterizza, l’altro è la capacità di proporre qualcosa di diverso da ciò che si può trovare normalmente: una stella di natale confezionata con gusto è un’altra cosa».




Commercialisti, premiati gli iscritti in carriera da 25, 40 e 50 anni

commercialisti«Non dobbiamo pensare a difendere solo i nostri interessi, bensì preoccuparci del bene comune, della giustizia e della legalità. Dobbiamo contribuire a coltivare un’etica dell’economia, della finanza e del lavoro». Con queste parole, il presidente uscente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Bergamo, Alberto Carrara, il 13 dicembre alla cena di Natale 2016 ha celebrato i nuovi iscritti e i colleghi storici dell’Ordine. Oltre 400 i partecipanti alla serata, con 50 nuovi iscritti e 78 premiati per la carriera. «Rappresentano il vero capitale umano della nostra categoria e dobbiamo impegnarci per trasmettere anche ai più giovani valori positivi: anche noi professionisti, nello svolgimento quotidiano della nostra professione, dobbiamo fare la nostra parte, abbiamo degli obblighi etici e morali importanti» ha ribadito il presidente. Per questo, l’Ordine ha sostituito i tradizionali regali di Natale per gli ospiti, con una donazione al Patronato San Vincenzo di Bergamo, rappresentato durante la serata dal direttore Don Davide Rota.

Nel corso della serata, il presidente ha premiato i colleghi distintisi per:

– 50 anni di carriera: Agosti Luigi Mario, Bagini Mauro, Pedroli Sergio;

– 40 anni di carriera: Arnoldi Sergio, Assi Delio Norberto, Cocco Pierluigi, Colombo Carlo, Damiano Basilio, Farina Ugo, Gattinoni Luciana, Margiotta Roberto, Monzani Massimo, Possenti Francesco, Serio Antonio, Sirtoli Mario, Sonzogni Carlo.

– 25 anni di carriera: Albini Gian Angelo, Amaglio Luciano, Artina Valerio, Assolari Cinzia Maria, Bartolozzi Alfredo, Berlanda Carlo, Berlanda Maria Barbara, Bottega Mauro, Bugada Mariagrazia, Calini Raffaele, Candotti Antonio, Carisio Alessandra, Carminati Antonio, Castellucci Giovanni, Ceresoli Davide Antonio, Cianni Sonia, Corsini Nicola, Crotti Marco, Daglio Stefano, Fabiani Alessandro, Ferri Giuseppina, Finazzi Alberto, Finazzi Danilo, Fiorina Egidio, Fumagalli Tullio, Fusi Enrico, Gattini Roberto, Gelmini Lorenzo, Gentili Marisa, Giavazzi Giacomo, Gritti Corrado, Grossi Stefano, Jannone Carlo, Lecchi Fabrizio, Lucido Gian Battista, Manera Nicola, Mariani Mauro, Masserini Gianpietro, Mazzucotelli Nicola, Missaglia Antonella, Ongaro Marina, Papalia Mario, Pastore Marcello, Persico Armando, Povia Giuseppe, Preda Clemente, Previtali Riccardo, Pusterla Roberta Chiara, Ronzoni Luca, Rota Sperti Barbara, Scaburri Giovanni, Sodo Giancarlo, Spreafico Annunciata Angela,  Storani Fabio, Tadini Fermo, Thalmann Claudia Bianca, Togni Annalisa, Valentino Lorenzo, Valvassori Riccardo, Ventola Aldo, Vitali Franco, Zanardi Massimo.

 




Lago d’Iseo, decollano le richieste di seconde case. Anche dall’estero

Ph.Mattia Aquila
Ph. Mattia Aquila

La casa sul lago d’Iseo è diventata un oggetto del desiderio, soprattutto per gli stranieri.  Gli effetti sul comparto immobiliare dell’evento “Floating Pears” di Christo cominciano a vedersi. «Se fino allo scorso anno il mercato era prettamente di prime case, da quest’anno è aumentata in modo considerevole la domanda di seconde case da parte degli stranieri» dice Margherita Bombardieri titolare dell’agenzia Engel & Völkers di Sarnico. «Ci sono molte richieste per ville, attici e appartamenti a bordo lago o con vista lago, ovviamente per acquistare gli immobili devono essere a prezzo».
Si tratta comunque di cifre importanti. Nei giorni scorsi è andata in vendita una villa affacciata sul lago a 2,3 milioni, dopo una trattativa che ha visto interessati compratori tedeschi, svizzeri e  un offerente bresciano. E un’altra villa con le stesse caratteristiche – anche di prezzo – ha riscosso l’interesse di inglesi, olandesi e gente di Dubai.
Il trend riguarda tutti e quattro i laghi del Nord Italia: secondo il primo Market Report Laghi, realizzato in partnership da Nomisma ed Engel & Völkers. le compravendite sono aumentate  in modo generalizzato del 16,1%, nella maggior parte dei casi grazie al traino di tedeschi, svizzeri, russi. Le zone più richieste sono quelle del lago di Garda (con un + 10,4% nel 2015 rispetto al 2014), seguite da Lago Maggiore (+8,8%), Como (+5,2%) e lago d’Iseo che mette a segno un aumento dell’1.7%.
In base a quanto emerge dal rapporto, il lago sebino, a differenza dei laghi vicini più grandi, è ancora un mercato fatto di prime case (sono l”80%). Inoltre è l’unico dei quattro dove gli acquirenti sono soprattutto italiani. Ma l’interesse degli stranieri in crescita fa prevedere uno sviluppo per il futuro.
Per l’acquisto di un immobile nuovo e in ottima posizione i prezzi variano dai 2.800 ai 3.500 euro a metro quadro, ma l’affaccio sul lago o la vista panoramica accrescono il prezzo di circa il 15%. Sono cifre ancora lontane da quelle del Lago di Como o Maggiore, dove un’abitazione nuova con panorama può arrivare a costare tra i 10 e i 12mila euro nel primo caso e 7.500 euro nel secondo (sul Garga i prezzi si aggirano tra i 5.500 e i 6.500 euro per gli immobili nelle migliori location).
La quota di domanda straniera per le località di Sarnico, Lovere, Iseo e gli altri principali comuni del lago proviene principalmente da Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Nord Europa. I tempi di trattativa sono piuttosto lunghi.
Secondo le previsioni, le compravendite sul lago aumenteranno anche nel 2017 mentre i prezzi tenderanno a rimanere stabili, con l’eccezione degli immobili di prestigio che costeranno di più.

 




Vanotti, il fornaio che si fa strada con i prodotti senza glutine

Antonio e Fabio Vanotti - immagine tratta da www.bakeitaly.eu
Antonio e Fabio Vanotti – immagine tratta da www.bakeitaly.eu

Frumento, glutine e lievito – i protagonisti della panificazione – sono diventati prodotti da evitare per tanti consumatori? Il panettiere allora si dedica al senza glutine, realizzando gallette e snack di mais e riso con il valore aggiunto del gusto e della produzione artigianali. Succede al panificio Vanotti di via Ghislandi 2 a Bergamo ed è solo l’ultima delle evoluzioni dell’impresa, tra le 14 di lunga e benemerita tradizione che domenica in Fiera hanno ricevuto dalla Camera di commercio il Riconoscimento del lavoro e del progresso economico (le altre tre del settore commercio sono Ravasio Fiori e il ristorante pizzeria Vesuvio di Bergamo e il calzolaio Francesco Pezzoli di Villa d’Ogna).

A guidare l’attività c’è Antonio, erede di una dinastia di fornai valdimagnini cominciata con il bisnonno, ma con in più un legame con il panificio “segnato nelle stelle”. È infatti nato lo stesso giorno – il 2 novembre del 1961 – in cui papà Emanuele apriva il negozio, scegliendo l’orizzonte della città per proseguire il mestiere di famiglia. «Faccio presto a sapere da quanto siamo in attività, è la mia età, 55 anni – dice sorridendo Antonio -. Sono cresciuto tra negozio e laboratorio e di cambiamenti ne abbiamo affrontati tanti in questi anni. Siamo passati da quattro tipi di pane ai 40 al giorno di oggi, più tutti gli altri prodotti: focacce, pizze, salatini, brioche, frittelle. Da una quindicina di anni facciamo anche il panettone e poi i sormonté, chi l’avrebbe detto? Il fatto è che bisogna cercare di rimanere agganciati a quanto chiede il mercato».

vanottiE visto che ora l’attenzione è per i prodotti “senza”, ha scelto di dedicarsi al senza glutine, in una prospettiva molto diversa da impasti e lievitazioni. «Abbiamo cominciato circa due anni fa – racconta Vanotti – e le richieste sono presto decollate, portandoci a creare per ragioni sia gestionali che logistiche una nuova ditta, Vanotti Snack, e un laboratorio dedicato, sempre qui in Borgo Palazzo, in via Vivaldi, recuperando tra l’altro uno spazio che era ormai preda del degrado».

«Produciamo gallette di mais e riso e una linea di snack, sempre di riso o mais, a forma di triangolo. Non sono fritti, non hanno glutine né lievito e ci sbizzarriamo negli aromi, dalla paprica al rosmarino, e nello scegliere le materie prime». Ci sono, ad esempio, quelli integrali e poi le “Nuovole rosse” a base di riso Ermes, che è rosso, appunto, ed è ricco di antociani, utili per tenere a bada il colesterolo, i “Fiocchi di neve”, di riso Apollo, un riso aromatico dal chicco sottile, e non manca il richiamo bergamasco: i “Crustulì”, che nel nome e nel sapore richiamano le, ambitissime, crosticine croccanti che rimangono sul paiolo della polenta.

vanotti-snack-crustuli«Li abbiamo chiamati così in omaggio alla tradizione – rivela – e oggi se ne vanno in giro per tutto il nord Italia». La Vanotti Snack è arrivata infatti a vendere anche in Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. «Siamo stati i primi, posso dirlo con certezza – prosegue Antonio -, a realizzare questi prodotti in maniera artigianale, c’è voluto un impegno non da poco, prima per individuare le macchine e soprattutto, poi, per trovare il modo di farle funzionare al meglio». Ma è questo che sta determinando il successo di snack e gallette. «Come per il pane, anche qui la differenza tra lavorazione industriale e artigianale si percepisce facilmente – evidenzia -. Sono prodotti più curati, a partire dalla selezione delle materie prime, chi li prova se ne rende conto».

Di essere pronto a percorrere strade nuove lo aveva, del resto, dimostrato anche una decina di anni fa, installando il primo distributore automatico di pane fresco della città, che mette a disposizione fragranti bocconcini anche quando il negozio è chiuso. «Lo avevo visto durante un viaggio in Olanda – ricorda Vanotti -, non è stato un boom, ha un’incidenza ridotta sulla redditività, ma ha il suo perché e se lo togliessi so che sarebbe un disastro per molti che ormai fanno affidamento su questo servizio. E poi ci ha dato un grandissimo ritorno di immagine».

vanotti1Nell’attività Antonio è affiancato dalla moglie Silvia, dal figlio Fabio e da cinque dipendenti. Una buona fetta della storia del panificio, oltre che da papà Emanuele, è stata scritta da mamma Paolina, che ha 86 anni e continua a seguire da vicino le vicende del negozio. L’esercizio è anche parte integrante del quartiere attorno a piazza Sant’Anna, al quale la famiglia Vanotti ha voluto regalare quest’anno un defibrillatore, utilizzabile da tutti. «Ci auguriamo che non debba servire mai – dice Antonio -, ma è fondamentale per salvare delle vite. In città gli apparecchi si contano sulle dita di una mano, noi siamo sensibili al problema ed abbiamo voluto fare questo gesto. L’installazione, per la verità, era in programma per il 50esimo di attività, poi ci si è messa di mezzo un po’ troppa burocrazia e ce l’abbiamo fatta a consegnarlo per il 55esimo, almeno adesso c’è», conclude, sempre pronto a guardare avanti.

 




Bergamo, il Comune stanzia 100mila euro per sostenere il commercio

Il Comunbandoconfidi_bergamoe di Bergamo stanzia 100mila euro per sostenere il commercio cittadino: è un segnale positivo e innovativo, per dare una mano concreta alle imprese commerciali di quartiere e di vicinato.

La Giunta ha approvato in questi giorni uno schema di convenzione che si tradurrà in tempi brevi in un bando di gara: con la convenzione il Comune prevede un contributo massimo pari al 70% (e con un tetto massimo di 2.000 euro) dei costi comprensivi delle spese istruttorie (al netto delle spese associative) applicate dai Confidi per le spese di rilascio delle garanzie. Il che significa che il Comune interviene concretamente per aiutare le piccole imprese commerciali nella stipula di accordi con i Confidi e accedere così a finanziamenti per avviare un nuovo esercizio commerciale, allargare o anche solo migliorare la propria attività.

Il fondo è di 100mila euro (che saranno distribuiti su tre tranche mano a mano che i soldi vengono spesi – la prima da 40mila, le successive da 30mila euro) e la Giunta non ha individuato particolari o specifiche aree geografiche, proprio per dare un segnale incoraggiante a tutto il mondo del commercio cittadino: l’Amministrazione è vicina a chi vuole aprire, migliorare, rilanciare la propria attività commerciale.

«Ne risulta – spiega il sindaco di Bergamo Giorgio Gori -, vista la scelta del Comune di Bergamo di stabilire un tetto di 2.000 euro per ogni finanziamento, che potranno essere finanziate almeno 50 richieste. Si tratta di attività commerciali che sono di vicinato e di quartiere, indi per cui parliamo anche di presidi sociali di grande importanza per la città, ma tra gli obiettivi del provvedimento vi è anche il chiaro tentativo di contrastare l’eventuale desertificazione commerciale di alcune zone di Bergamo».

I Confidi rendiconteranno ogni sei mesi al Comune i costi fideiussori e tutte le caratteristiche degli accordi, in modo che l’Amministrazione comunale possa conoscere quali caratteristiche e finalità hanno i progetti sostenuti attraverso il bando.«Il provvedimento voluto dal Comune di Bergamo – sottolinea il vicesindaco Sergio Gandi – diviene anche motore di meccanismo virtuoso che consente di ottenere un’estensione della garanzia da parte dei Confidi ai vincitori del bando e abbiamo avviato un dialogo con gli istituti di credito cittadini per ottenere inoltre tassi di favore sui finanziamenti».