Francia, arriva in Parlamento la contestata legge contro il “separatismo”

PARIGI – Ha scatenato l’ira del presidente turco Erdogan ma anche le perplessità della stampa americana. La controversa legge francese contro il “separatismo” arriva in Parlamento con una prima novità: non si chiama più così. Il nuovo nome tenta di essere più consensuale: “Disegno di legge che rafforza i principi repubblicani”. Il concetto però è sempre lo stesso: impedire le derive dell’islamismo nella République e l’apparizione di un progetto di contro-società. La riforma è stata varata a dicembre dal governo nel giorno dell’anniversario della promulgazione della legge sulla laicità del 1905. Il ministro Gérald Darmanin ha citato uno dei padri della separazione tra Stato e Chiesa, Aristide Briand: “È un testo per pacificare gli animi e ridare forza alla République”.

Anche se il governo insiste sul fatto che non è nel mirino una religione ma derive individuali, è evidente che molte misure puntano a combattere il radicalismo islamico. La legge permette di sciogliere più rapidamente associazioni o di chiudere moschee che non rispettano i valori repubblicani, di arginare il fenomeno di scuole coraniche, di mettere al bando i certificati di verginità o di espellere gli stranieri che praticano la poligamia. Sull’onda dell’attentato contro Samuel Paty, avvenuto a ottobre, sono state inserite misure contro chi mette in pericolo lavoratori dello Stato attraverso la diffusione di dati privati com’era successo all’insegnante. Vengono inasprite le norme contro chi vuole imporre una visione religiosa nei servizi pubblici. Vale nel mondo della scuola ma anche negli ospedali dove alcuni uomini rifiutano ad esempio che le loro mogli siano esaminate da ginecologi maschi.

Sulla nuova legge sarà battaglia: l’opposizione ha già presentato 1700 emendamenti sui 51 articoli. Per la destra il governo è stato troppo timido contro l’islamismo, mentre la sinistra teme una stigmatizzazione dei musulmani e critica la mancanza di misure di aiuto sociale. Timori ripresi dai media americani in un Paese dove il rapporto alla religione è molto diverso.

Il rischio, spiegano alcune associazioni, è che la laicità venga usata come pretesto per discriminare chi è religioso, e in particolare i musulmani. Un equivoco secondo Emmanuel Macron che ha mandato una lettera al Financial Times e chiamato il New York Times per spiegare cosa sia la “neutralità” dello Stato rispetto ai culti. “Il nostro obiettivo – ha spiegato il leader – è combattere contro quei gruppi e quelle associazioni che, in nome di un’ideologia, vogliono separarsi dalla Repubblica”.

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Usa, Biden pronto a regolarizzare 11 milioni di migranti. L’obiettivo: legalità contro repressione

Il piano è ambizioso: legalizzare 11 milioni di clandestini che già vivono negli Stati Uniti. L’immigrazione era stato uno dei cavalli di battaglia di Donald Trump e lo sarà anche per Joe Biden, ma a parti completamente rovesciate nel programma, negli aiuti, nella filosofia su come affrontare il delicato problema. Il nuovo presidente ha deciso di affrontare di petto la questione immigrati fin dal primo giorno dopo l’insediamento alla Casa Bianca, in quello che vuole essere allo stesso tempo una grande riforma e un atto simbolico di rottura totale con il recente passato ‘trumpiano’: legalità contro repressione, apertura contro muri.

Alle nuove carovane di migliaia di migranti in arrivo dall’America Centrale che bussano alle porte degli Stati Uniti, la nuova Casa Bianca ha lanciato un messaggio chiaro (“non venite ora”), perché gli afflussi al confine meridionale con il Messico rischiano di diventare ingestibili. Con la promessa di ridefinire rapidamente le procedure per l’idoneità all’asilo politico e al ricongiungimento familiare e per varare altrettanto rapidamente un nuovo percorso di immigrazione legale.

Il pacchetto legislativo che Biden ha intenzione di inviare al Congresso prevede due percorsi paralleli per ottenere la cittadinanza americana. Uno più breve, che riguarda circa un milione di persone che oggi hanno uno status di ‘protezione temporanea’, come i cosiddetti Dreamers (gli immigrati clandestini arrivati negli Stati Uniti da bambini e che da anni vivono, studiano e lavorano negli Usa) o i ‘lavoratori essenziali’ (operatori sanitari, camionisti, impiegati dei supermercati), il cui lavoro in tempi di pandemia è ancora più rilevante. Un secondo, più lungo, che interessa almeno dieci milioni di clandestini, concentrati soprattutto nelle grandi metropoli e in alcuni Stati del sud come Florida e Texas.

Quest’ultimo percorso richiama altre leggi sull’immigrazione, ad iniziare da quella voluta da George W. Bush, che venne bocciata dal partito repubblicano che controllava il Congresso, solo in parte ripresa durante la presidenza di Barack Obama. Biden intende ampliarla con un significativo cambiamento: non legando più l’allargamento dell’immigrazione alla politiche di sicurezza lungo i confini. Ron Klain, capo dello staff della nuova Casa Bianca, nel promemoria che ha mandato a tutti i componenti della prossima amministrazione ha scritto che la nuova legge “restituirà l’umanità al nostro sistema di immigrazione”.

Con le nuove direttive gli immigrati clandestini avranno diritto alla residenza legale permanente (la ‘green card’) dopo aver vissuto cinque anni negli Stati Uniti e alla cittadinanza americana dopo altri tre anni. Non sarà facile per Biden farla passare al Congresso. Nonostante adesso i democratici abbiano la maggioranza sia alla Camera dei Rappresentanti che al Senato, il disegno di legge vedrà probabilmente una forte opposizione e una grande pressione delle lobby anti-immigrazione. E non è escluso che qualche deputato o senatore democratico, negli Stati di confine dove il problema è più sentito, si schieri (con un occhio alle elezioni di Mid Term del 2022) insieme ai repubblicani per far fallire il progetto di riforma.

Per accelerare l’iter legislativo Biden (e soprattutto la vice-presidente Kamala Harris, che è la vera anima della riforma sull’immigrazione) hanno previsto di varare nei primi giorni di lavoro della nuova amministrazione una serie di ordini esecutivi che, combinati con una serie di progetti di leggi già in approvazione (o approvati) alla Camera, segnino l’avvio di un processo che cambierà in modo definitivo le regole dell’immigrazione. Dando la cittadinanza a milioni di americani che vivono, lavorano, pagano le tasse negli Usa e non sono tali solo per questioni giuridiche. E che in futuro potrebbero diventare 11 milioni di nuovi elettori.

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Perché il giuramento di Biden sarà diverso dal solito

NEW YORK. Alle 12 in punto di mercoledì 20 gennaio Joe Biden diventerà il 46° presidente degli Stati Uniti. Quella di mercoledì sarà la 59ª cerimonia dell’Inauguration Day. Per motivi di sicurezza e sanitari sarà un evento molto diverso dal passato. Rispetto a quattro anni non fa ci sarà il grande pubblico e una vera parata d’onore lungo Pennsylvania Avenue. Niente pranzo al Congresso, ma solo un sobrio scambio di doni tra presidente, vice e membri di Capitol Hill. Saranno diversi anche i toni del primo discorso ufficiale. Biden lancerà un messaggio di unità all’America, spiegando come intende combattere la pandemia e ricomporre le divisioni del Paese. Nel 2017 Trump, con il discorso più breve dai tempi di Jimmy Carter nel ’77, ricalcò i toni populisti e nazionalisti dei suoi comizi, evocando più volte lo slogan “America First” e ribadendo la sfiducia nella democrazia. Come il repubblicano Richard Nixon, che nel ’74 non presenziò al giuramento di Gerald Ford, così Trump non parteciperà all’insediamento del suo successore. A ottobre, secondo i media americani, The Donald aveva provato alla Casa Bianca il discorso di inaugurazione del suo secondo mandato. Vediamo che cosa prevede il programma della cerimonia di insediamento e le differenze con il passato.

Il tema

Quest’anno sarà “America United”. E’ il messaggio che ispirerà tutta la cerimonia e, come ha spiegato la commissione per l’inaugurazione presidenziale, “riflette l’inizio di un nuovo viaggio a livello nazionale che riporterà lo spirito americano, unendo il Paese e creando un percorso per un futuro più luminoso”.

I precedenti

Con Donald Trump, quattro anni fa, il tema fu “Make America Great Again”. Trump anticipò la prima frase in un’intervista a Fox News. “Ringrazio tutti, tutti i presidenti”. Nel 2009, Barack Obama lanciò “A New Birth of Freedom”, nel 2013 “Faith in America’s Future”.

La sicurezza
La commissione organizzatrice sostiene che la “massima priorità sarà la sicurezza dei cittadini mentre verranno celebrate le tradizioni americane”. i circa mille partecipanti ammessi alla cerimonia dovranno indossare la mascherina e rispettare il distanziamento sociale di sicurezza. Tra soldati della Guardia nazionale, agenti di polizia e agenti federali, saranno in 25 mila a presidiare l’area federale a Washington. Il National Mall e i Memorial Parks sono stati chiusi per motivi di sicurezza. Dal 15 gennaio tutti i parcheggi nella zona tra Casa Bianca e Capitol Hill, sede del Congresso, e teatro dell’assalto dei manifestanti il 6 gennaio, sono chiusi. Chiuse fino al 21 gennaio l’accesso ai ponti della zona e tredici stazioni della metropolitana. Saranno chiuse al pubblico Constitution Avenue da Rock Creek Parkway alla 17th Street NorthWest, dalla H Street alla 15th Street, Pennsylvania Avenue dalla 15th Street NorthWest alla 3rd Strett SoutWest.

A due gruppi di cento manifestanti sono state destinate due aree: la Navy Memorial Plaza e il John Marshall Park, entrambi lungo Pennsylvania Avenue. I partecipanti saranno perquisiti accuratamente e tenuti sempre sotto sorveglianza.

Precedenti
Nel 2017 furono impiegati più di 11 mila uomini delle forze armate e dei reparti della Guardia nazionale, a cui si aggiunsero polizie e agenzie federali.

Il pubblico

In passato i rappresentanti del Congresso avevano a disposizione 200 mila biglietti da destinare ai propri elettori di riferimento. Quest’anno, per motivi di sicurezza e sanitari, sono stati solo un migliaio i tagliandi disponibili.

Precedenti

Nel 2009 per il giuramento di Obama furono circa due milione le persone che assistettero alla cerimonia. Nel 2017, Trump disse che alla sua cerimonia aveva partecipato la “folla più vasta della storia”, ma da un riscontro fotografico venne quantificata in circa 600- 700 mila il numero dei partecipanti.

Gli ospiti d’obbligo

i giudici della Corte Suprema, i membri del Congresso, gli ufficiali militari, gli ex presidenti, altri dignitari.

I protagonisti della cerimonia

Amanda Gorman, 22 anni, poetessa afroamericana, leggerà un brano.

Alle 11,30 Lady Gaga canterà l’inno americano “The Star spangled banner”, mentre Jennifer Lopez darà vita a un’esibizione musicale con coreografie. L’invocazione di rito sarà pronunciata dal reverendo Leo J. O’Donovan, ex presidente di Georgetown University, mentre il Pledge of Allegiance, il giuramento di fedeltà alla bandiera e agli Stati Uniti, sarà letto da Andrea Hall, prima donna afroamericana nominata tenente dei vigili del fuoco. La benedizione verrà impartita dal reverendo Silvester Beaman della chiesa metodista episcopale di Wilmington, Delaware, e confessore da oltre trent’anni di Biden.

Precedenti

Con la giovane poetessa Gorman continuerà la tradizione dei presidenti democratici che hanno sempre chiamato poeti, come Robert Frost che, all’inagurazione di John F. Kennedy, nel ’61, ebbe il compito di leggere “The Gift Outright”, ma poi recitò i versi a memoria per il riverbero del sole sulla neve che gli aveva oscurato la vista attraverso gli occhiali. Nel ’93, per Bill Clinton, Maya Angelou lesse “On the Pulse of Morning”. Nel 2013 Richard Blanco lesse “One Today” per il secondo mandato di Obama. Alla cerimonia di Trump non furono previsti poeti.

Tra i musicisti, Aretha Franklyn e il violoncellista Yo-Yo Ma si esibirono nel 2009 per il primo Inauguration Day di Obama. Beyoncé cantò l’inno al secondo mandato di Obama. Con George W. Bush si esibì, alla vigilia, Ricky Martin. Con Trump spazio alle star televisive come Jackie Evancho, 17 anni, la cantante che si era piazzata al secondo posto nell’edizione di “America’s Got Talent” 2010. Ospiti anche la corale dlla Missouri State University, and il The Mormon Tabarnacle Choir e le ballerine del The Radio Rockettes.

Il rito

L’arrivo: Biden non raggiungerà Washington in treno da Wilmington, Delaware, come era previsto all’inizio. La decisione è stata presa per motivi di sicurezza. Come tradizone il futuro presidente dormirà con la moglie alla Blair House, una residenza dell’800 vicino alla Casa Bianca.

Ore 12 (18 in Italia) comincia l’era Biden: Il democratico giurerà dal palco allestito nell’ala ovest del Campidoglio, o Capitol Hill, assieme alla vicepresidente Kamala Harris, che avrà giurato cinque minuti prima, intorno alle 11,54-11,55. La tradizione impone che tocchi al presidente della Corte Suprema pronunciare la formula inserita nella sezione 1 della Costituzione americana, all’articolo 2, e il presidente deve ripetere il testo. Al termine, una batteria di obici del 3° reggimento fanteria dell’esercito renderà omaggio al presidente con 21 colpi a salve, mentre la banda d’onore eseguirà le note dell’inno “Hail to the Chief”, “Saluto al comandante”.

Dove: fino all’insediamento di Jimmy Carter, nel ’77, il giuramento veniva fatto nel portico est di Capitol Hill. Dal 1981 con Ronald Reagan si è utilizzato il lato ovest. Nell’85 la cerimonia venne svolta al chiuso a causa delle condizioni atmosferiche: dopo la nevicata che aveva coperto Washington, la temperatura era scesa a -14. Venne annullata anche la parata.

Il testo del giuramento: Il presidente eletto leggerà il testo del giuramento che dice: “Io, Joseph Robinette Biden Jr, giuro solennemente di adempiere con fedeltà all’ufficio di presidente degli Stati Uniti, e di preservare, proteggere e difendere la Costituzione al meglio delle mie capacità. Dunque che Dio mi aiuti”. Biden giurerà su una bibbia appartenuta alla sua famiglia, di origine irlandese, fin dalla fine dell’800.

I precedenti

Dal 1798 al 1933 il presidente americano giurava il 4 marzo, ma poi nel ’33 venne fatta una modifica al ventesimo emendamento che spostò la data al 20 gennaio. Obama commise errori nel leggere la formula in entrambi i giuramenti del suo doppio mandato. Lui e Trump hanno qualcosa in comune: hanno utilizzato entrambi la Bibbia appartenuta a Abramo Lincoln.

La curiosità

La formula “so help me God”, “Che Dio mi aiuti” sarebbe stata aggiunta da George Washington e non è compresa ufficialmente nel testo. Ogni presidente decide se usarla o no, ma è considerata ormai prassi normale.

Il discorso

il nuovo presidente farà il discorso inaugurale in cui parlerà del suo piano per sconfiggere la pandemia, ricostruire il Paese, unificarlo e sanare le tensioni sociali.

Precedente

Quello di Trump, nel 2017, durò circa 16 minuti e fu formato da 1433 parole. Fu il discorso più breve di un presidente dai tempi di Jimmy Carter, nel ’77. I toni toccarono il nazionalismo e la sfiducia nella democrazia, in cui le parole “America first” risuonarono più volte. I giornali lo definirono un discorso che ricalcava i toni utilizzati nei comizi in tutta la campagna.

La curiosità: è di George Washington il record per il discorso più breve, 135 parole in tutto, ma facevano parte del suo secondo mandato. Il discorso più lungo è stato fatto da William Harrison, nel 1841: usò 8.495 parole. Morirà appena un mese dopo di polmonite e tifo.

L’omaggio ai Caduti

Finita la cerimonia, il presidente Biden e la vice Harris, assieme ai rispettivi coniugi, la First Lady Jill Biden e il Second Gentleman Doug Emhoff, passeranno in rassegna le truppe, nell’ala est di Capitol Hill, a simboleggiare la transizione pacifica di potere da un Commander in Chief a un altro. A seguire, i quattro visiteranno il cimitero monumentale di Arlington dedicato ai Caduti, e saranno raggiunti da tre ex coppie presidenziali: Barack e Michelle Obama, George W. e Laura Bush, Bill e Hillary Clinton.

La parata: ore 15 (le 21 in Italia)

I Biden verranno scortati alla Casa Bianca. Qui ci sarà la “Parade Across America”, lungo tutta Pensylvania Avenue, che conduce dal Campidoglio alla Casa Bianca, residenza del presidente. La parata (senza pubblico causa Covid) sarà trasmessa in tv. Sono previsti spettacoli in tutto il Paese.

I precedenti

Quattro anni fa Trump e Melania sfilarono davanti a ottomila persone. Nel ’77 il presidente democratico, Jimmy Carter, decise di fare il percorso interamente a piedi. La parata lungo Pennsylvania Avenue venne inaugurata da Thomas Jefferson, nel 1805.

Come seguire la cerimonia sul web e le piattaforme social: L’intera cerimonia sarà visibile sui canali televisivi internazionali, YouTube, Facebook, Twitter e Twitch, Amazon Prime Video, Microsoft Bing, e sul sito httips://bideninaugural.org/watch.

Lo show in tv in Usa
Alle 8,30 di sera (le 2,30 in Italia) condotto dall’attore premio Oscar Tom Hanks, andrà in onda su molti network, da Abc a Cbs, Cnn, Nb, Msnbc, Pbs, compresi i canali conservatori Fox e NewsNow, in prima serata un programma di novanta minuti, “Celebrating America”, che presenterà i messaggi e i passaggi più importanti del presidente Biden e della vicepresidente Harris. Previste le partecipazioni in remoto di Bruce Springsteen, Ant Clemons, Jon Bon Jovi, i Foo Fighters, Eva Longoria, John Legend, Kerry Washington, Demi Lovato e Justin Timberlake. Tra gli ospiti personaggi dello sport come l’icona del basket Nba Kareem Abdul-Jabbar, e Kim Ng, diventata il 13 novembre 2020 la prima donna general manager del baseball professionistico maschile, i Miami Marlins.

Cosa non ci sarà
Oltre all’assenza di pubblico e la parata virtuale, è stato annullato il pranzo d’onore al Campidoglio con i membri del Congresso, che si teneva dal 1953 dopo la cerimonia di insediamento. Nel 2017 al pranzo in onore di Trump e del suo vice, Mike Pence, vennero servite portate di aragosta, gamberi, agnello grigliato con patate gratin, soufflé di cioccolato e gelato alla vaniglia. Stavolta l’incontro sarà limitato a uno scambio di doni tra presidente, vice e membri del Congresso.

Cosa farà Donald Trump

Il presidente uscente lascerà Washington prima che cominci la cerimonia di insediamento. In passato era successo altre volte: John Adams non andò all’insediamento del successore, Thomas Jefferson, nel 1801, così come John Quincy Adams a quello di Andrew Jakson nel 1829, e Andrew Johnson a quello di Ulysses Grant, nel 1869. Richard Nixon, che si era dimesso dopo lo scandalo Watergate, nell’agosto del ’74 non presenziò al giuramento del suo vice, Gerald Ford. Trump, unico presidente della storia americana a finire due volte sotto impeachment, dovrebbe partire in aereo dalla base Andrews diretto in Florida, dove starà con tutta la famiglia, compresi i figli maggiori Donald Jr, Ivanka e Eric. Il presidente uscente ha chiesto che venisse organizzata una cerimonia per il suo congedo, con tappeto rosso, banda militare e i 21 colpi sparati a salve in segno di saluto. A ottobre, hanno raccontato i media americani, aveva provato anche il discorso di investitura per il secondo mandato.

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Un mese nel segno di Primo Levi

Considerate se questo è un uomo. Una frase che è un’intimazione e una domanda rivolta direttamente a te, accompagnata da uno sguardo che fissa negli occhi e non dà tregua. Alla fine bisogna rispondere, e la risposta che dai dice chi sei. Una frase che è un verso di una delle più importanti poesie del Novecento italiano. Si trova all’inizio di un classico della letteratura mondiale e ne ispira il titolo: ” Se questo è un uomo”, l’esordio narrativo di Primo Levi. Pubblicato nel 1947 dalla casa editrice De Silva, per volontà del suo direttore Franco Antonicelli, verrà riproposto da Einaudi nel 1958. Da allora comincia la fortuna del libro e dell’autore.

La poesia che introduce il racconto “nato -come spiega lo stesso Levi- fin dai giorni di lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi”, comincia così: “Voi che vivete sicuri/ Nelle vostre tiepide case,/ Voi che trovate tornando a sera/ Il cibo caldo e visi amici:/ Considerate se questo è un uomo/ Che lavora nel fango/ Che non conosce pace/ Che lotta per mezzo pane/ Che muore per un sì o per un no./ Considerate se questa è una donna,/ Senza capelli e senza nome/ Senza più forza di ricordare/ Vuoti gli occhi e freddo il grembo/ Come una rana d’inverno”.

Formidabile. Fondamentale. Da ricordare. Da scolpire nel nostro cuore, da ripetere ai nostri figli, come chiede Levi. Nel nome del ricordo e di Primo Levi, il Circolo dei Lettori, in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi, organizza online sul profilo facebook e sul sito “Io so cosa vuol dire non tornare”: non un Giorno della Memoria, ma un mese intero dedicato alla memoria attraverso la voce di un testimone di Auschwitz.

Da giovedì fino a martedì 16 febbraio. Iniziativa utile dalla giusta ambizione: cercare di contribuire a non far più accadere l’orrore. Una serie di incontri e lezioni. Nove appuntamenti fra letteratura e scienza, più una mostra fotografica, tre podcast e un gruppo di lettura dedicato al rapporto di Levi con Torino. Si comincia dopodomani alle 21. Con la poesia. Titolo della serata, ” Annunciazione. Dodici poesie intorno ad Auschwitz” a cura di Domenico Scarpa, consulente editoriale del Centro studi Primo Levi. Si va alla scoperta dei versi di Levi, con Scarpa che spiega e racconta e Valter Malosti che legge dodici poesie.

La più famosa, quella di “Se questo è un uomo”, non c’è. Uno se la tiene cara e la ripete per conto suo. Qui ne scopre altre, molto meno conosciute. Fra tutte, colpisce ” Il primo Atlante”, che è un giro del mondo, un volo colorato pieno di bizzarrie e invenzioni, con un bellissimo finale.

« Sono un uomo che crede poco alla poesia e tuttavia la pratica » confessava una trentina di anni or sono Levi. E aggiungeva: « Ho l’impressione che la poesia in generale stia diventando uno strumento portentoso di contatto umano » . Sin da giovane ha scritto versi per dare forma al suo sentire. E subito dopo Auschwitz, il primo modo di esprimersi, di mettere parole sulla carta, è stato in poesia. Al filosofo Theodor Adorno, secondo il quale dopo Auschwitz non si poteva più fare poesia, ribatteva che proprio nel 1945-1946 la poesia gli sembrò più idonea della prosa a esprimere ciò che gli pesava dentro. E precisava: ” Dicendo poesia, non penso a niente di lirico”.

Con la poesia, frutto di una lettura morale della realtà, Levi gioca, riflette, racconta di animali e di piante. Le prime ventitré le stampa in trecento copie nel 1970, battute a macchina, senza titolo, con la copertina in cartoncino. Nel 1975, con l’editore milanese Vanni Scheiwiller, All’insegna del pesce d’oro, ne escono ventisette con il titolo “L’osteria di Brema”. Infine, nel 1984 Garzanti pubblica ” Ad ora incerta” (ristampato nel 2019), che recupera le precedenti. Sono sessantatré in tutto, più dieci traduzioni, la maggior parte da Heinrich Heine.

Dopo la poesia, il ciclo prosegue con la prosa. Martedì prossimo Elena Loewenthal e Alain Elkann ricordano un altro sopravvissuto alla Shoah, lo scrittore israeliano Aharon Appelfeld, autore di “L’immortale Bartfuss” in uscita da Guanda. Il 26 gennaio viene presentato “Auschwitz, città tranquilla”, dieci testi narrativi e due poesie di Levi pubblicato da Einaudi. Gli appuntamenti di gennaio si chiudono giovedì 28 con Fabrizio Gifuni che, in dialogo con Ernesto Ferrero, racconta e legge ” I sommersi e i salvati”, l’ultimo lavoro di Levi, un saggio che è un ragionamento sui luoghi e i modi dell’orrore, del genocidio, dell’olocausto. Un altro seme che fa germogliare memoria.




Emergenza Covid-19: le nuove regole in vigore fino al 15 gennaio

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo del decreto legge 5 gennaio 2021 n. 1 che dispone le nuove restrizioni in vigore dal 7 al 15 gennaio. Fino al 10 gennaio le misure saranno uguali per tutto il territorio nazionale, poi dall’11 gennaio si tornerà alla divisione per colori, ma con nuovi parametri e che riportano in area arancione Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Sicilia e Veneto. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, sulla base dei dati e delle indicazioni della Cabina di Regia dell’Istituto superiore di sanità, ha firmato in serata una nuova ordinanza che andrà in vigore a partire da domenica 10 gennaio fino a venerdì 15 gennaio, data in cui scadrà il Dpcm. 

Fino al 15 gennaio, quindi, bar e ristoranti saranno chiusi (consentita la consegna a domicilio e l’asporto fino alle ore 22.00), le scuole superiori proseguiranno con la didattica a distanza e sarà vietato uscire dal proprio Comune, ad eccezione degli spostamenti da quelli con popolazione fino a 5mila abitanti per un raggio di 30 chilometri dai confini. A far scattare la zona arancione per le 5 regioni sono state le modifiche introdotte con il decreto del 5 gennaio, che hanno abbassato la soglia dell’Rt che determina il posizionamento nelle fasce: con Rt superiore a 1,25 anche nel valore minimo e rischio moderato si passa in zona rossa, con Rt ad 1 si va in arancione.

 

Nuovo Dpcm in arrivo

Nel nuovo Dpcm con le misure antipandemiche è prevista, secondo quanto apprende l’Ansa, la conferma delle attuali misure mentre si stanno valutando nuove restrizioni, anche se al momento non sembrerebbero essere già state definite le nuove misure. Tradotto: prorogare lo stato d’emergenza fino al 31 luglio, mondiali di sci a Cortina a porte chiuse, niente riapertura degli impianti sciistici. Gli esperti del Comitato tecnico scientifico ribadiscono la loro contrarietà all’allentamento delle misure restrittive e, anzi, invitano il governo in vista del nuovo Dpcm che entrerà in vigore dopo il 15 gennaio a mantenere i provvedimenti emergenziali per altri sei mesi.

L’impianto del nuovo provvedimento è comunque definito: verranno confermati il divieto di spostamento tra le regioni, anche quelle gialle, il coprifuoco dalle 22 alle 5, l’apertura dei ristoranti fino alle 18 nelle zone gialle, la regola che consente una volta al giorno a massimo due persone di andare a trovare parenti e amici. Con il Dpcm sarà poi introdotto il divieto di vendita d’asporto per i bar a partire dalle 18 (anche se nelle ultime ore si sa strada l’ipotesi di vietare solo la vendita di bevande) per evitare gli assembramenti e, soprattutto, l’intervento sugli indici di rischio, per facilitare l’ingresso in zona arancione delle regioni a rischio alto. Una misura che si accompagna all’abbassamento della soglia dell’Rt: con 1 si va automaticamente in zona arancione, con 1,25 in zona rossa. Modifiche che porteranno mezza Italia in arancione e una parte in rosso: ad oggi sono 12 tra regioni e province autonome in questa situazione, con Lombardia e Emilia Romagna nelle prime posizioni.

Fino al 15 gennaio

Fino al 15 gennaio 2021, nelle regioni in cui si applicano le misure di cui all’articolo 3 del Dpcm 3 dicembre (cd zona rossa), è altresì consentito lo spostamento, in ambito comunale, una sola volta al giorno, tra le ore 5:00 e le ore 22:00, verso una sola abitazione privata, nel limite di due persone, ulteriori rispetto a quelle già conviventi in tale abitazione, e ad esclusione dei minori di anni 14 sui quali tali persone esercitino la potestà genitoriale, e alle persone disabili o non autosufficienti che con queste convivono. Per i comuni con popolazione non superiore a 5000 abitanti lo spostamento è consentito anche per una distanza non superiore a 30 chilometri dai relativi confini, con esclusione in ogni caso degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia.

Vediamo nel dettaglio cosa cambia per il mondo della ristorazione e del commercio al dettaglio.

 

BAR E RISTORANTI

MISURE ZONA GIALLA “RAFFORZATA” (7-8 GENNAIO)

  • Le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) sono consentite dalle ore 5.00 fino alle 18.00.
  • Dopo le ore 18,00 è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico.
  • Nessuna restrizione per la ristorazione con consegna a domicilio.
  • Ristorazione con asporto consentita fino alle ore 22.00 con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze.

MISURE ZONE ARANCIONI (9-15 GENNAIO)

  • Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie).
  • Nessuna restrizione per la ristorazione con consegna a domicilio.
  • Ristorazione con asporto consentita fino alle ore 22.00.

 

 

ATTIVITÀ COMMERCIALI AL DETTAGLIO

MISURE ZONA GIALLA “RAFFORZATA “ (7-8 GENNAIO)

  • Negozi aperti

MISURE ZONE ARANCIONI (9-15 GENNAIO)

  • Nei giorni festivi e prefestivi sono chiusi gli esercizi commerciali presenti all’interno dei mercati e dei centri commerciali, a eccezione delle farmacie, parafarmacie, presidi sanitari, punti vendita di generi alimentari, di prodotti agricoli e florovivaistici, tabacchi, edicole.

 

 

 




Doccia gelata per bar e ristoranti. Il nuovo decreto è inaccettabile

Il decreto legge entrato in vigore il 7 gennaio è inaccettabile. Non solo perché rappresenta l’ennesima doccia gelata per bar e ristoranti che saranno costretti a chiudere il prossimo fine settimana quando invece avrebbero una forte necessità di poter lavorare. Questo provvedimento toglie speranza e rafforza quel senso di mancanza di prospettiva che il governo, più della pandemia, ha contribuito a diffondere. Ricordiamo la pomposa conferenza stampa nella quale era stato richiesto un grande sacrificio agli italiani e soprattutto ai gestori di bar e ristoranti, oltre che dei commercianti di generi non alimentari, costretti a chiudere nel periodo delle feste con l’auspicio di ripartire dopo l’Epifania.

Il colore arancione assegnato a tutta Italia obbligherà bar e ristoranti alla chiusura e a gestire le disdette delle prenotazioni già ricevute. Non è pensabile che si possano aprire e chiudere attività di impresa come se fossero interruttori. Come si può pensare di muovere e fermare lavoratori, comprare e gestire derrate alimentari senza programmazione? Come gestire imprese senza prospettive? Emerge scarsa competenza e molta approssimazione su questioni delicate. Il risultato è che in questa giungla di decreti e provvedimenti i cittadini e le imprese non ci capiscono più nulla, mentre con questo ennesimo decreto la maggior parte dei ristoranti sceglierà comunque di restare chiusa e lo farà in attesa di conoscere quali prospettive il Governo voglia riconoscere loro.

Il DPCM del 3 dicembre si era dato una proiezione di circa un mese e mezzo, fino al 15 gennaio, per capire come si sarebbe evoluta la pandemia chiedendo agli operatori di pazientare in attesa che i dati epidemiologici avessero riportato le diverse aree geografiche in area gialla. Così è stato per la Lombardia e anche per Bergamo i cui indici, suffragati anche da una ricerca dell’Università degli Studi di Bergamo, avevano evidenziato come nella seconda ondata i numeri della pandemia avrebbero giustificato misure meno restrittive.

Eppure Bergamo ha pazientato prima, con la stragrande maggioranza dei commercianti, l’arrivo della zona “arancione” avvenuta il 27 novembre, poi, con i bar e ristoranti, la tanto agognata zona “gialla” il 13 dicembre. Quel sistema che garantiva quel poco di linfa vitale alle imprese commerciali è durato poco, fino all’antivigilia di Natale. Eppure da quel 3 dicembre, data dell’ultimo DPCM, la situazione sanitaria è nettamente migliorata almeno per quanto riguarda il nostro territorio.

Il Governo italiano ha lanciato prima come novità e difeso pubblicamente poi questa sua impostazione “a colori” che, diciamocelo, ha fatto sorridere l’Europa e mosso l’ironia delle comunità dei social. Peccato che se proprio il Governo ne ha sancito il successo oggi lo sta già sconfessando. Se il Decreto legge del 18 dicembre, quello per il Natale, è stato giustificato dall’Esecutivo dall’esigenza di evitare spostamenti e assembramenti nel periodo natalizio, posizione criticabile perché i pranzi e cene sono state fatte comunque nelle case con rischi anche maggiori rispetto ai ristoranti, l’ultimo decreto legge, quello del 5 gennaio, definito come “ponte” verso il nuovo DPCM, non ha nemmeno una giustificazione plausibile. Noi riteniamo che sia il frutto di quel retaggio mentale di parte del Governo che ritiene siano i bar e ristoranti i luoghi del contagio mentre per molti imprenditori e cittadini rappresenti ormai un pericoloso “accanimento terapeutico” verso la categoria.

Più grave ancora è che il Governo abbia già pronto il cambio di criteri o degli indici per far precipitare interi territori in aree a maggiori restrizioni, arancioni e rosse. Come a dire che quando i sacrifici di pochi hanno portato miglioramenti per tutti allora si cambiano nuovamente le regole. Sempre e solo per quelli. Un “gioco dell’oca” nel quale qualcuno torna sempre indietro. Come è pensabile lavorare in questo modo? Si, perché bar e ristoranti non sono solo un servizio per i cittadini ma un lavoro per molti.

Le ordinanze del Ministro della salute che richiamano al primo punto gli articoli della costituzione sembrano cozzare con quanto sta avvenendo a danno di un intera categoria di cittadini e lavoratori. Questi provvedimenti, che si basano su presunzioni di violazione della legge e sull’incapacità dello Stato o di sue parti di far rispettare la legge e quindi le misure stabilite per mantenere il distanziamento, minano il diritto al lavoro di milioni di addetti, titolari e dipendenti delle imprese commerciali e in particolare del settore della ristorazione. Solo nella nostra provincia il settore conta quasi 5.000 imprese e circa 15.000 occupati.

Allora è giusto ricordare quanto recita la nostra Costituzione nei suoi primi quattro articoli “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…..La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità….Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge….La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Ebbene a noi non sembra che in un Paese nel quale tutti i settori produttivi possano continuare a lavorare nel rispetto della legge questo non possa avvenire per alcuni. Ci umilia sentir parlare di misure necessarie per evitare nuovi lockdown perché quello che stiamo subendo è proprio questo. Non lo accettiamo e non ci rassegniamo nella denuncia di quanto sta avvenendo alle spalle di molta brava gente.




Grappa, non è un distillato per vecchi

Anche in tempi di Covid sotto l’albero non sono mancate le eleganti confezioni del distillato italiano più famoso: la grappa. Un’idea che può sembrare scontata ma che con il passare degli anni ha acquisito lo status di regalo dallo stile glamour, raffinato e, soprattutto, “made in Italy” garantito. La grappa, infatti, è il prodotto italiano per eccellenza, un patrimonio unico del nostro Paese: può essere denominata “Grappa” solo l’acquavite ricavata da vinacce derivate da uve coltivate e vinificate in Italia e distillate in impianti ubicati nel territorio nazionale e rispondenti a precise caratteristiche dettate dalla normativa in vigore.
Se fino a qualche anno fa  la grappa era considerata un distillato per “vecchi” e poco consumata rispetto a whisky o rum, considerati più alla moda, oggi si sta cercando di invertire la tendenza: Anag, l’Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa e Acquaviti, con la collaborazione di molti produttori e associazioni di categoria (Abi e Aibes) si è messa in gioco per proporre la grappa nella “mixology”, con cocktail creati ad hoc per attirare l’attenzione e coinvolgere un pubblico sempre più giovane. «Con il cocktail “40 Grapes” dedicato ai 40 anni di Anag, la grappa si è presentata ufficialmente nel mondo del bartending e della mixology, pronta a valorizzare con la sua eccellenza tutta italiana le antiche origini rurali e tradizionali – conferma Simone Furlani, presidente Anag Lombardia –». Numerosi sono poi stati gli eventi per coinvolgere un pubblico sempre più eterogeneo, donne comprese: dagli apericena alle “cene di fuoco”, ovvero cene con piatti preparati con la grappa o accompagnati dalla stessa con abbinamenti ricercati. Qualche esempio? Grappa e cruditè di pesce a grappa e acciughe dissalate, grappa con cioccolato allo zucchero Muscovado o alla Combava che è un agrume del Madagascar.


«La grappa ha ormai raggiunto livelli molto alti qualitativamente parlando, con prodotti più sofisticati, sia nelle bianche che nelle invecchiate – prosegue Furlani -. Tuttavia nel mondo della ristorazione c’è spesso carenza di conoscenza e si segue la logica del “basso costo” perché di norma un bicchierino di grappa va sempre offerto, quando invece basterebbe capire che il cliente torna per degustare un prodotto di livello e che è disposto a pagarlo il giusto. La grappa ha infatti un suo “bouquet aromatico e gustativo” importante che lo rende un distillato di “pronta beva”. Nelle grappe giovani, all’olfatto possiamo sentire profumi diversi che consentono di capire il vitigno da cui deriva e che sono sinonimo di qualità: dal profumo floreale di gelsomino, glicine, rosa, a quello fruttato di banana, tropicale, ananas, pera, fino ai sentori di erbe aromatiche come salvia ed eucalipto. Quando poi le grappe vengono invecchiate in botte il numero di profumi e sapori percepibili si amplia notevolmente».
Anche se la sezione di Bergamo non esiste più (Anag Lombardia conta due sezioni provinciali a Brescia e Varese), la vita associativa di Anag è la prova che un buon distillato può unire ed entusiasmare senza eccedere e decadere nel volgare: «Negli ultimi vent’anni i distillatori hanno visto crescere i consumi, soprattutto di prodotti invecchiati, grazie al fattore export e al loro approfondimento sull’invecchiamento – sottolinea Furlani -. Adoperando anche botti di legno pregiato (dal rovere al ciliegio, acacia, ecc..) e botti usate in precedenza per altri prodotti (whisky, rum, cherry, porto, ecc…) Anag detiene il premio più ambito in Italia con il concorso dell’Alambicco d’ Oro, quest’anno giunto alla sua 37ª edizione, che premia le migliori grappe prodotte ogni anno. L’obiettivo è indirizzare i consumatori sui prodotti più completi e cercare di diffondere una cultura della grappa anche al Centro Sud Italia. Che sia giovane, invecchiata, ad alto grado (50°-60°) o aromatica (ottenuta cioè da Moscato o Gewurztraminer o altri vitigni aromatici) la grappa piace infatti più nel Nord Italia. Non a caso la maggior parte delle distillerie si trova tra Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia».

Storia di un prodotto italiano al 100%: 

La grappa è solo italiana: per tradizione, cultura e anche per legge. Il regolamento 110/2008 dell’Unione Europea ha infatti recepito i valori intrinseci del prodotto riconoscendola Indicazione Geografica e riservando unicamente all’acquavite italiana la possibilità di denominarsi grappa. La Repubblica Italiana, con il decreto 297/97, definì nei particolari le norme di produzione e di designazione che sono state riprese e aggiornate nel Decreto Mipaaf 747/2016 il quale costituisce il disciplinare di produzione dell’IG Grappa. 
Storicamente, inoltre, la grappa è stata concepita nell’ambito degli studi della Scuola Salernitana che, intorno all’anno Mille, codificò le regole della concentrazione dell’alcol attraverso la distillazione e ne prescrisse l’impiego per svariate patologie umane garantendo ai distillati un imperituro successo. Le vinacce, materia prima alcoligena povera (rispetto al vino, tanto per fare un esempio, contengono i due terzi di alcol in meno), ma molto diffusa, furono immediatamente prese in considerazione e, della loro acquavite, si parla già nel 1400. Le prime testimonianze dello studio sulla distillazione delle vinacce risalgono però al 1600 e sono dovute ai Gesuiti, tra i quali va ricordato il bresciano Francesco Terzi Lana. Fino agli inizi del XIX secolo non vi è però una distinzione tecnologica netta tra i distillati alcolici, poi l’Italia della grappa scelse una propria strada che portò alla creazione di una bevanda con caratteristiche uniche e irripetibili

 

Come scegliere la grappa

– “Giovane”: grappa mantenuta in recipienti di acciaio e che non ha fatto passaggio in botte di legno.
– “Affinata”: termine commerciale non legislativo per la Grappa che ha fatto un passaggio in botte per meno di 12 mesi.
– “Invecchiata o vecchia”: grappa che ha fatto minimo 12 mesi in botti di legno di qualunque dimensione.
– “Riserva o stravecchia”: grappa che ha fatto minimo 18 mesi in botti di legno di qualunque dimensione.

* Per una grappa che ha fatto almeno la metà dei mesi sopracitati va specificata in etichetta la dicitura del tipo di botte “barrique, barricata o altri tipi di botte” (esempio: “Barrique riserva”)

 

 

 

 




Alle origini del cioccolato: il ritorno alla torrefazione delle fave di cacao

Se la pressoché totalità del cioccolato – sia industriale che artigianale – in commercio parte da un semilavorato, una massa che viene plasmata dal singolo scioglitore, negli ultimi anni un piccolo gruppo di cioccolatieri avventurosi ha deciso di opporsi all’omologazione del gusto e di tornare alle origini del cacao. La ricerca della qualità inizia dal campo: dal terreno alla pianta, dalle cabosse (il meraviglioso frutto del Theobroma cacao) alle preziose fave, fino al momento in cui in grandi sacchi di juta prendono la via del mare. Dalla selezione delle fave si passa alla tostatura e torrefazione, procedura fondamentale per esaltare gli aromi del cacao e infondere carattere, la vera firma di ogni cioccolatiere. Ma c’è anche chi, come Claudio Corallo, propone cioccolato crudo, per esaltare al massimo il prodotto e trasforma in loco, in tavolette, il cacao, oltre a proporre sul mercato le favas de cacao torrado, le fave semplicemente tostate. 

La lavorazione artigianale sovverte i tempi dell’industria per ripiegarli a quelli naturali. Solo così, senza fretta né compromessi, si  restituiscono al gusto le sensazioni catturate nelle foreste equatoriali, unitamente alla gratitudine per chi cura piantagioni e fincas.
Piccole imprese e piccoli produttori sono a fianco in questa battaglia per un cioccolato migliore e anche più equo. Sono diversi i progetti di cooperazione che offrono ai cioccolatieri la possibilità di sviluppare un rapporto diretto con i produttori, tagliando un anello della catena dell’importazione, dai broker alle multinazionali, e riconoscendo agli agricoltori un prezzo superiore. La piccola impresa può arrivare così a controllare tutta la filiera e a disporre di un prodotto di origine certa e qualità eccellente. 

 

Il cacao funzionale e nutraceutico di Silvio Bessone

Il cibo degli dei è più che un alimento per Silvio Bessone (www.silviobessone.it), cioccolatiere per vocazione e scienziato etico per scelta, responsabile scientifico del Fine Cocoa Research Institute degli Stati Uniti. A solide conoscenze – laurea alla Jean Monnet di Bruxelles e collaborazioni universitarie, a partire dall’insegnamento di microbiologia all’Università di Caracas– Silvio Bessone intreccia la cultura naturalistica ayurvedica, incontrata in Sri Lanka, e l’antroposofia steineriana. «Il cioccolato del futuro oltre a piacere farà anche bene, a patto che si inverta la marcia dai principi di iperproduzione e sfruttamento delle risorse ambientali e manodopera, a partire da quella infantile. Dietro al sorriso di un bimbo che gusta una tavoletta di cioccolato, non ci possono essere le lacrime di un suo coetaneo privato del diritto all’infanzia. Sono cinque i cardini che ispirano Five, l’organismo internazionale che ho fondato: Buono, Sano, Sicuro, Giusto e Sostenibile» racconta dal suo laboratorio di Santuario di Vicoforte (Cuneo), dove produce tutto, perfino il latte in polvere con vacche piemontesi. Qui si lavorano fave provenienti da piantagioni avviate dall’altra parte del mondo, dalla selvaggia foresta pluviale della Mata Atlantica (dove è coltivato in cabruca per evitare la deforestazione) al Perù, alla Tanzania.  Quanto al movimento “from beans to bar(dalle fave alla tavoletta), Bessone ha fatto da pioniere, allestendo nel 2004 in Piazza Castello a Torino una vera e propria “fabbrica di cioccolato”, ispirazione per una generazione di tostatori e torrefattori di cacao, che in realtà in Italia sono una decina. «I macchinari per la torrefazione sono costosi, le spese di trasporto delle fave anche e la lavorazione richiede pazienza e cura, ma solo così si fa il cioccolato, controllando ogni fase, dalla raccolta alle cabosse, dalle fave alle barrette. E’ un investimento in coerenza e in differenziazione, perché ci sono comunque ottimi prodotti sul mercato e i processi di lavorazione sono lunghi e sinceramente non sempre ben riusciti- spiega Bessone- . Cresce la voglia di lavorare il cacao ma ci sono ahimè tentativi artigianali che arrecano più difetti di quanti ne fa l’industria, che però, a differenza dell’artigiano, riesce a coprire con additivi e trattamenti, a scapito ovviamente di aromi e profumi naturalmente presenti». In Ecuador a Babahoyo lo scienziato del cioccolato ha messo a punto con un pool di ingegneri il “Bessone Method Patent” per un cacao biodinamico: «I metodi di coltivazione rispettano la natura, le persone e l’ambiente e producono cacao nutraceutico, con valori biochimici interessanti alla lavorazione di un cacao funzionale». Nel 2021 si appresta a lanciare una vera e propria linea della salute: barrette da 12 grammi e mezzo, messe a punto con un medico esperto in preparazioni galeniche, promettono di tenere sotto controllo, in diverse versioni, ipertensione, stress, insonnia e cali energetici. 

Claudio Corallo, dalla piantagione alla tavoletta nell’isola Principe (Sao Tomè)

E’ l’unico produttore al mondo ad accompagnare il suo cioccolato dalla piantagione, a Terreiro Velho nell’isola paradisiaca di Principe nel Golfo di Guinea, alla tavoletta (from soil to bar, dal terreno alla barretta), con un processo di produzione effettuato interamente a mano. Il suo cioccolato -definito il migliore al mondo- sprigiona al meglio i suoi aromi a temperature tropicali, dai 27 ai 29 gradi. Claudio Corallo (www.claudiocorallo.com), fiorentino, con una specializzazione in agronomia tropicale in tasca, ha preso la via dell’Africa a 23 anni, quasi 50 anni fa, iniziando a lavorare come broker di caffè in Zaire prima di diventarne produttore, avviando una piantagione nella zona fluviale selvaggia vicino al parco Salonga, dove ha esportato la robusta più ricercata (e costosa, pagata il doppio dell’arabica) del globo. Le rivolte degli anni Novanta, l’hanno spinto a trasferirsi, mettendo in sicurezza la famiglia, a Sao Tomè, dove ha avviato piantagioni di caffè, cacao (sull’isola di Principe) e pepe. 

«Il cacao Forastero Amelonado venne introdotto sull’isola dal re portoghese nell’Ottocento, che vedeva avvicinarsi la fine della colonia in Brasile- spiega Claudio Corallo, bloccato in lockdown forzato nel Chianti-. Coltivarlo è stato naturale: la pianta del cacao è meravigliosa e la sua potatura mi ricorda quella dell’ulivo, anche se confesso di non avere mai avuto una grande passione per il cioccolato, almeno prima di produrre il mio». Il cacao viene raccolto da maggio a gennaio, lavorato subito, fermentato, accuratamente stoccato ed essiccato in modo lento e progressivo, poi tostato o lavorato a crudo. La fava di cacao viene macinata cruda per andare all’essenza di un prodotto eccezionale, privo naturalmente di asperità e amarezza:« E’ il migliore modo per assaporare, dal 75% al 100%, il lavoro fatto dal momento della raccolta allo stoccaggio, con la complicità di un clima ideale- continua Corallo-. Il cacao sprigiona così un’esplosione di sapori e aromi». Da provare le fave di cacao tostate per fare un viaggio ideale, dopo aver rotto e gettato il tegumento, a Terreiro Velho. Tutta la produzione di cioccolato di Claudio Corallo, affiancato dalla figlia Ricciarda, avviene dietro ordinativi e su misura, anche se al momento è bloccata dallo stop ai cargo imposto all’aeroporto di Sao Tomè per il mancato rispetto dei protocolli internazionali di sicurezza. «Un danno enorme- commenta, sconsolato-. Siamo riusciti a imporci sul mercato mondiale con un prodotto nato e trasformato nella sua terra d’origine, ma ora paghiamo lo scotto dell’insularità e dell’isolamento dal resto del mondo». 

 

Il cioccolato slow e naturale

“From beans to bar” è lo slogan che accompagna ogni creazione della fabbrica di cioccolato di Guido Castagna (www.guidocastagna.it), a Giaveno (To), che ha conquistato l’oro all’Italian Med Chocolate Awards per l’Italia e il Mediterraneo quest’anno con la crema “+55”, i “Giuinott”(sei volte oro agli International Chocolate Awards) e le praline menta e liquirizia, argento per le praline Cardamomo e Malva, Cannella e Calendula e Pistacchio. Per vedere le fave trasformarsi in tavolette, giuinott e praline secondo il “Metodo Naturale Guido Castagna”, codificato punto per punto dal cioccolatiere, bisogna avere un anno di pazienza. Le fave di cacao fine provenienti da cooperative selezionate dal Madagascar all’Ecuador al Venezuela, vengono lasciate fermentare all’80% circa e riposano per tre mesi in laboratorio. «La torrefazione avviene a bassa temperatura, a 110 gradi per un’ora per ottenere una perfetta tostatura e non a 200 gradi come avviene nell’industria» spiega Guido Castagna. Al bando sali o altri additivi derivanti dalla potassatura o alcalinizzazione del cioccolato. «È il tempo, attraverso l’affinamento delle tavolette, con una maturazione di almeno sei mesi, a smussare le asperità e favorire lo sviluppo di aromi pregiati» continua. L’idea di tostare direttamente le fave di cacao, segue il progetto di ritorno alle origini, con la lavorazione della nocciola Piemonte Igp direttamente dalla pianta. «A Trieste e a Genova trovavo solo cacao industriale di bassa qualità- spiega-. Così ho iniziato a visitare piantagioni in Repubblica Domenicana, Venezuela, Honduras, Salvador e Guatemala e grazie anche a una piccola molassa che infilo sempre in valigia, oltre a prendere accordi con i produttori, abbiamo avviato in loco la lavorazione». All’etica e al rispetto per il cacao e chi lo lavora si abbina l’eco-sostenibilità, con l’utilizzo degli scarti di lavorazione, dalla produzione di birre al compost per agricoltura e dai sacchi nascono originali borse in juta. 

 




Impianti di sci, la riapertura slitta. Fusini: “Danno economico enorme”

Slitta al 18 gennaio l’apertura degli impianti scistici. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato un’ordinanza per rimandare di 11 giorni la riapertura degli impianti a causa dell’aumento di contagi che si è riscontrato nei giorni scorsi. Ovviamente l’apertura è vitale per le società che gestiscono gli impianti, gli albergatori, i ristoratori, gli esercenti delle località turistiche e per tutto il cosiddetto indotto di un settore che, nei mesi scorsi, è stato fortemente penalizzato dalle chiusure e restrizioni imposte dal Governo per limitare la diffusione del Coronavirus.

La condizione essenziale per poter aprire gli impianti sarà quella che la Regione Lombardia rimanga zona gialla. Se dovesse diventare, infatti, zona arancione o, ancora peggio, rossa, a causa di un innalzamento dei parametri tra i quali l’indice Rt, gli impianti non potrebbero aprire affatto e questo sarebbe un autentico disastro per un’economia come quella delle Valli bergamasche.

“Siamo di fronte a un blocco a oltranza camuffato – sottolinea Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo -. In attesa del prossimo Dpcm, infatti, il Governo ha già esteso la zona arancione fino al 17 gennaio, stabilendo quindi il blocco degli spostamenti e impedendo agli sciatori di raggiungere gli impianti. Ma non è solo un discorso di svago domenicale in alta quota: l’economia della montagna ha un peso importante che nel suo indotto include anche alberghi, rifugi, negozi e scuole di sci che sta provando a sopravvivere e che va messo nelle condizioni di poter ripartire, alla luce del fatto che quest’anno abbiamo montagne imbiancate come non succedeva da tempo. Sono scelte politiche che non rispecchiano la situazione che, di fatto, potrebbe essere gestita in modo intelligente: mi riferisco a quelle procedure che permettono di sciare in assoluta sicurezza, a cominciare dall’acquisto dello skipass on line per evitare code e assembramenti o ai percorsi che permettono agli sciatori di rimanere in coda ma distanziati l’uno dall’altro per accedere agli impianti di risalita”.




Saldi invernali: in Lombardia si comincia il 7 gennaio

Al via i saldi invernali che in Lombardia prenderanno il via il 7 gennaio, con una durata di 60 giorni e quindi fino a domenica 7 marzo 2021.

Per effetto della situazione di emergenza provocata dalla pandemia, l’Ufficio Studi Confcommercio stima che quest’anno lo shopping dei saldi interesserà oltre 15 milioni di famiglie e ogni persona spenderà circa 110 euro, muovendo però in totale 4 miliardi di euro contro i 5 miliardi dell’anno scorso. In Bergamasca, secondo Ascom Confcommercio Bergamo, la stima è più alta con una spesa procapite di circa 124 euro, e una spesa complessiva di oltre 138 milioni di euro.

i consumatori ad acquistare nei negozi di prossimità ma anche a diffidare da sconti esagerati e confidiamo nell’onestà e nella trasparenza di tutta la categoria”.

Veniamo da mesi difficili con le chiusure di novembre e un dicembre con consumi a singhiozzo anche a causa dei ritardi del cashback – aggiunge Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo -. C’è poi il rebus chiusure alle porte, con danni soprattutto per i negozi nei centri commerciali, e l’impatto del commercio elettronico sui saldi che, di fatto, è un’ulteriore spada di Damocle sulla categoria. Alla luce di queste problematiche, occorre che il Governo garantisca la libertà di spostamento tra i comuni e quindi anche una stabilità di apertura dei negozi, anche perché dopo questo primo weekend di saldi i rischi di assembramento al loro interno saranno minori”.

 

La guida e il vademecum sui saldi

Per il corretto acquisto degli articoli in saldo, inoltre, Federazione Moda Italia e Confcommercio ricordano alcuni principi di base sui saldi ai tempi del Covid:

  1. la possibilità di cambiare il capo dopo che lo si è acquistato è generalmente lasciata alla discrezionalità del negoziante, a meno che il prodotto non sia danneggiato o non conforme (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del Consumo). In questo caso scatta l’obbligo per il negoziante della riparazione o della sostituzione del capo e, nel caso ciò risulti impossibile, la riduzione o la restituzione del prezzo pagato. Il compratore è però tenuto a denunciare il vizio del capo entro due mesi dalla data della scoperta del difetto.

  2. non c’è obbligo. È rimesso alla discrezionalità del negoziante.

  3. cashless.

  4. obbligo del negoziante di indicare il prezzo normale di vendita, lo sconto e il prezzo finale.

  5. obbligo di igienizzazione delle mani con soluzioni alcoliche prima di toccare i prodotti.

  6. obbligo di indossare la mascherina fuori dal negozio, in store ed anche in camerino durante la prova dei capi.

  7. sono a carico del cliente, salvo diversa pattuizione.

  8. obbligo di esposizione in vetrina di un cartello che riporti il numero massimo di clienti ammessi nei negozi contemporaneamente.

Confcommercio segnala, inoltre, le varie iniziative promosse sull’intero territorio nazionale da Federazione Moda Italia, come “Saldi Chiari e Sicuri”, “Saldi Trasparenti”, “Saldi Tranquilli”.