Doccia gelata per bar e ristoranti. Il nuovo decreto è inaccettabile

Il decreto legge entrato in vigore il 7 gennaio è inaccettabile. Non solo perché rappresenta l’ennesima doccia gelata per bar e ristoranti che saranno costretti a chiudere il prossimo fine settimana quando invece avrebbero una forte necessità di poter lavorare. Questo provvedimento toglie speranza e rafforza quel senso di mancanza di prospettiva che il governo, più della pandemia, ha contribuito a diffondere. Ricordiamo la pomposa conferenza stampa nella quale era stato richiesto un grande sacrificio agli italiani e soprattutto ai gestori di bar e ristoranti, oltre che dei commercianti di generi non alimentari, costretti a chiudere nel periodo delle feste con l’auspicio di ripartire dopo l’Epifania.

Il colore arancione assegnato a tutta Italia obbligherà bar e ristoranti alla chiusura e a gestire le disdette delle prenotazioni già ricevute. Non è pensabile che si possano aprire e chiudere attività di impresa come se fossero interruttori. Come si può pensare di muovere e fermare lavoratori, comprare e gestire derrate alimentari senza programmazione? Come gestire imprese senza prospettive? Emerge scarsa competenza e molta approssimazione su questioni delicate. Il risultato è che in questa giungla di decreti e provvedimenti i cittadini e le imprese non ci capiscono più nulla, mentre con questo ennesimo decreto la maggior parte dei ristoranti sceglierà comunque di restare chiusa e lo farà in attesa di conoscere quali prospettive il Governo voglia riconoscere loro.

Il DPCM del 3 dicembre si era dato una proiezione di circa un mese e mezzo, fino al 15 gennaio, per capire come si sarebbe evoluta la pandemia chiedendo agli operatori di pazientare in attesa che i dati epidemiologici avessero riportato le diverse aree geografiche in area gialla. Così è stato per la Lombardia e anche per Bergamo i cui indici, suffragati anche da una ricerca dell’Università degli Studi di Bergamo, avevano evidenziato come nella seconda ondata i numeri della pandemia avrebbero giustificato misure meno restrittive.

Eppure Bergamo ha pazientato prima, con la stragrande maggioranza dei commercianti, l’arrivo della zona “arancione” avvenuta il 27 novembre, poi, con i bar e ristoranti, la tanto agognata zona “gialla” il 13 dicembre. Quel sistema che garantiva quel poco di linfa vitale alle imprese commerciali è durato poco, fino all’antivigilia di Natale. Eppure da quel 3 dicembre, data dell’ultimo DPCM, la situazione sanitaria è nettamente migliorata almeno per quanto riguarda il nostro territorio.

Il Governo italiano ha lanciato prima come novità e difeso pubblicamente poi questa sua impostazione “a colori” che, diciamocelo, ha fatto sorridere l’Europa e mosso l’ironia delle comunità dei social. Peccato che se proprio il Governo ne ha sancito il successo oggi lo sta già sconfessando. Se il Decreto legge del 18 dicembre, quello per il Natale, è stato giustificato dall’Esecutivo dall’esigenza di evitare spostamenti e assembramenti nel periodo natalizio, posizione criticabile perché i pranzi e cene sono state fatte comunque nelle case con rischi anche maggiori rispetto ai ristoranti, l’ultimo decreto legge, quello del 5 gennaio, definito come “ponte” verso il nuovo DPCM, non ha nemmeno una giustificazione plausibile. Noi riteniamo che sia il frutto di quel retaggio mentale di parte del Governo che ritiene siano i bar e ristoranti i luoghi del contagio mentre per molti imprenditori e cittadini rappresenti ormai un pericoloso “accanimento terapeutico” verso la categoria.

Più grave ancora è che il Governo abbia già pronto il cambio di criteri o degli indici per far precipitare interi territori in aree a maggiori restrizioni, arancioni e rosse. Come a dire che quando i sacrifici di pochi hanno portato miglioramenti per tutti allora si cambiano nuovamente le regole. Sempre e solo per quelli. Un “gioco dell’oca” nel quale qualcuno torna sempre indietro. Come è pensabile lavorare in questo modo? Si, perché bar e ristoranti non sono solo un servizio per i cittadini ma un lavoro per molti.

Le ordinanze del Ministro della salute che richiamano al primo punto gli articoli della costituzione sembrano cozzare con quanto sta avvenendo a danno di un intera categoria di cittadini e lavoratori. Questi provvedimenti, che si basano su presunzioni di violazione della legge e sull’incapacità dello Stato o di sue parti di far rispettare la legge e quindi le misure stabilite per mantenere il distanziamento, minano il diritto al lavoro di milioni di addetti, titolari e dipendenti delle imprese commerciali e in particolare del settore della ristorazione. Solo nella nostra provincia il settore conta quasi 5.000 imprese e circa 15.000 occupati.

Allora è giusto ricordare quanto recita la nostra Costituzione nei suoi primi quattro articoli “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…..La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità….Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge….La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Ebbene a noi non sembra che in un Paese nel quale tutti i settori produttivi possano continuare a lavorare nel rispetto della legge questo non possa avvenire per alcuni. Ci umilia sentir parlare di misure necessarie per evitare nuovi lockdown perché quello che stiamo subendo è proprio questo. Non lo accettiamo e non ci rassegniamo nella denuncia di quanto sta avvenendo alle spalle di molta brava gente.




Grappa, non è un distillato per vecchi

Anche in tempi di Covid sotto l’albero non sono mancate le eleganti confezioni del distillato italiano più famoso: la grappa. Un’idea che può sembrare scontata ma che con il passare degli anni ha acquisito lo status di regalo dallo stile glamour, raffinato e, soprattutto, “made in Italy” garantito. La grappa, infatti, è il prodotto italiano per eccellenza, un patrimonio unico del nostro Paese: può essere denominata “Grappa” solo l’acquavite ricavata da vinacce derivate da uve coltivate e vinificate in Italia e distillate in impianti ubicati nel territorio nazionale e rispondenti a precise caratteristiche dettate dalla normativa in vigore.
Se fino a qualche anno fa  la grappa era considerata un distillato per “vecchi” e poco consumata rispetto a whisky o rum, considerati più alla moda, oggi si sta cercando di invertire la tendenza: Anag, l’Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa e Acquaviti, con la collaborazione di molti produttori e associazioni di categoria (Abi e Aibes) si è messa in gioco per proporre la grappa nella “mixology”, con cocktail creati ad hoc per attirare l’attenzione e coinvolgere un pubblico sempre più giovane. «Con il cocktail “40 Grapes” dedicato ai 40 anni di Anag, la grappa si è presentata ufficialmente nel mondo del bartending e della mixology, pronta a valorizzare con la sua eccellenza tutta italiana le antiche origini rurali e tradizionali – conferma Simone Furlani, presidente Anag Lombardia –». Numerosi sono poi stati gli eventi per coinvolgere un pubblico sempre più eterogeneo, donne comprese: dagli apericena alle “cene di fuoco”, ovvero cene con piatti preparati con la grappa o accompagnati dalla stessa con abbinamenti ricercati. Qualche esempio? Grappa e cruditè di pesce a grappa e acciughe dissalate, grappa con cioccolato allo zucchero Muscovado o alla Combava che è un agrume del Madagascar.


«La grappa ha ormai raggiunto livelli molto alti qualitativamente parlando, con prodotti più sofisticati, sia nelle bianche che nelle invecchiate – prosegue Furlani -. Tuttavia nel mondo della ristorazione c’è spesso carenza di conoscenza e si segue la logica del “basso costo” perché di norma un bicchierino di grappa va sempre offerto, quando invece basterebbe capire che il cliente torna per degustare un prodotto di livello e che è disposto a pagarlo il giusto. La grappa ha infatti un suo “bouquet aromatico e gustativo” importante che lo rende un distillato di “pronta beva”. Nelle grappe giovani, all’olfatto possiamo sentire profumi diversi che consentono di capire il vitigno da cui deriva e che sono sinonimo di qualità: dal profumo floreale di gelsomino, glicine, rosa, a quello fruttato di banana, tropicale, ananas, pera, fino ai sentori di erbe aromatiche come salvia ed eucalipto. Quando poi le grappe vengono invecchiate in botte il numero di profumi e sapori percepibili si amplia notevolmente».
Anche se la sezione di Bergamo non esiste più (Anag Lombardia conta due sezioni provinciali a Brescia e Varese), la vita associativa di Anag è la prova che un buon distillato può unire ed entusiasmare senza eccedere e decadere nel volgare: «Negli ultimi vent’anni i distillatori hanno visto crescere i consumi, soprattutto di prodotti invecchiati, grazie al fattore export e al loro approfondimento sull’invecchiamento – sottolinea Furlani -. Adoperando anche botti di legno pregiato (dal rovere al ciliegio, acacia, ecc..) e botti usate in precedenza per altri prodotti (whisky, rum, cherry, porto, ecc…) Anag detiene il premio più ambito in Italia con il concorso dell’Alambicco d’ Oro, quest’anno giunto alla sua 37ª edizione, che premia le migliori grappe prodotte ogni anno. L’obiettivo è indirizzare i consumatori sui prodotti più completi e cercare di diffondere una cultura della grappa anche al Centro Sud Italia. Che sia giovane, invecchiata, ad alto grado (50°-60°) o aromatica (ottenuta cioè da Moscato o Gewurztraminer o altri vitigni aromatici) la grappa piace infatti più nel Nord Italia. Non a caso la maggior parte delle distillerie si trova tra Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Veneto e Friuli Venezia Giulia».

Storia di un prodotto italiano al 100%: 

La grappa è solo italiana: per tradizione, cultura e anche per legge. Il regolamento 110/2008 dell’Unione Europea ha infatti recepito i valori intrinseci del prodotto riconoscendola Indicazione Geografica e riservando unicamente all’acquavite italiana la possibilità di denominarsi grappa. La Repubblica Italiana, con il decreto 297/97, definì nei particolari le norme di produzione e di designazione che sono state riprese e aggiornate nel Decreto Mipaaf 747/2016 il quale costituisce il disciplinare di produzione dell’IG Grappa. 
Storicamente, inoltre, la grappa è stata concepita nell’ambito degli studi della Scuola Salernitana che, intorno all’anno Mille, codificò le regole della concentrazione dell’alcol attraverso la distillazione e ne prescrisse l’impiego per svariate patologie umane garantendo ai distillati un imperituro successo. Le vinacce, materia prima alcoligena povera (rispetto al vino, tanto per fare un esempio, contengono i due terzi di alcol in meno), ma molto diffusa, furono immediatamente prese in considerazione e, della loro acquavite, si parla già nel 1400. Le prime testimonianze dello studio sulla distillazione delle vinacce risalgono però al 1600 e sono dovute ai Gesuiti, tra i quali va ricordato il bresciano Francesco Terzi Lana. Fino agli inizi del XIX secolo non vi è però una distinzione tecnologica netta tra i distillati alcolici, poi l’Italia della grappa scelse una propria strada che portò alla creazione di una bevanda con caratteristiche uniche e irripetibili

 

Come scegliere la grappa

– “Giovane”: grappa mantenuta in recipienti di acciaio e che non ha fatto passaggio in botte di legno.
– “Affinata”: termine commerciale non legislativo per la Grappa che ha fatto un passaggio in botte per meno di 12 mesi.
– “Invecchiata o vecchia”: grappa che ha fatto minimo 12 mesi in botti di legno di qualunque dimensione.
– “Riserva o stravecchia”: grappa che ha fatto minimo 18 mesi in botti di legno di qualunque dimensione.

* Per una grappa che ha fatto almeno la metà dei mesi sopracitati va specificata in etichetta la dicitura del tipo di botte “barrique, barricata o altri tipi di botte” (esempio: “Barrique riserva”)

 

 

 

 




Alle origini del cioccolato: il ritorno alla torrefazione delle fave di cacao

Se la pressoché totalità del cioccolato – sia industriale che artigianale – in commercio parte da un semilavorato, una massa che viene plasmata dal singolo scioglitore, negli ultimi anni un piccolo gruppo di cioccolatieri avventurosi ha deciso di opporsi all’omologazione del gusto e di tornare alle origini del cacao. La ricerca della qualità inizia dal campo: dal terreno alla pianta, dalle cabosse (il meraviglioso frutto del Theobroma cacao) alle preziose fave, fino al momento in cui in grandi sacchi di juta prendono la via del mare. Dalla selezione delle fave si passa alla tostatura e torrefazione, procedura fondamentale per esaltare gli aromi del cacao e infondere carattere, la vera firma di ogni cioccolatiere. Ma c’è anche chi, come Claudio Corallo, propone cioccolato crudo, per esaltare al massimo il prodotto e trasforma in loco, in tavolette, il cacao, oltre a proporre sul mercato le favas de cacao torrado, le fave semplicemente tostate. 

La lavorazione artigianale sovverte i tempi dell’industria per ripiegarli a quelli naturali. Solo così, senza fretta né compromessi, si  restituiscono al gusto le sensazioni catturate nelle foreste equatoriali, unitamente alla gratitudine per chi cura piantagioni e fincas.
Piccole imprese e piccoli produttori sono a fianco in questa battaglia per un cioccolato migliore e anche più equo. Sono diversi i progetti di cooperazione che offrono ai cioccolatieri la possibilità di sviluppare un rapporto diretto con i produttori, tagliando un anello della catena dell’importazione, dai broker alle multinazionali, e riconoscendo agli agricoltori un prezzo superiore. La piccola impresa può arrivare così a controllare tutta la filiera e a disporre di un prodotto di origine certa e qualità eccellente. 

 

Il cacao funzionale e nutraceutico di Silvio Bessone

Il cibo degli dei è più che un alimento per Silvio Bessone (www.silviobessone.it), cioccolatiere per vocazione e scienziato etico per scelta, responsabile scientifico del Fine Cocoa Research Institute degli Stati Uniti. A solide conoscenze – laurea alla Jean Monnet di Bruxelles e collaborazioni universitarie, a partire dall’insegnamento di microbiologia all’Università di Caracas– Silvio Bessone intreccia la cultura naturalistica ayurvedica, incontrata in Sri Lanka, e l’antroposofia steineriana. «Il cioccolato del futuro oltre a piacere farà anche bene, a patto che si inverta la marcia dai principi di iperproduzione e sfruttamento delle risorse ambientali e manodopera, a partire da quella infantile. Dietro al sorriso di un bimbo che gusta una tavoletta di cioccolato, non ci possono essere le lacrime di un suo coetaneo privato del diritto all’infanzia. Sono cinque i cardini che ispirano Five, l’organismo internazionale che ho fondato: Buono, Sano, Sicuro, Giusto e Sostenibile» racconta dal suo laboratorio di Santuario di Vicoforte (Cuneo), dove produce tutto, perfino il latte in polvere con vacche piemontesi. Qui si lavorano fave provenienti da piantagioni avviate dall’altra parte del mondo, dalla selvaggia foresta pluviale della Mata Atlantica (dove è coltivato in cabruca per evitare la deforestazione) al Perù, alla Tanzania.  Quanto al movimento “from beans to bar(dalle fave alla tavoletta), Bessone ha fatto da pioniere, allestendo nel 2004 in Piazza Castello a Torino una vera e propria “fabbrica di cioccolato”, ispirazione per una generazione di tostatori e torrefattori di cacao, che in realtà in Italia sono una decina. «I macchinari per la torrefazione sono costosi, le spese di trasporto delle fave anche e la lavorazione richiede pazienza e cura, ma solo così si fa il cioccolato, controllando ogni fase, dalla raccolta alle cabosse, dalle fave alle barrette. E’ un investimento in coerenza e in differenziazione, perché ci sono comunque ottimi prodotti sul mercato e i processi di lavorazione sono lunghi e sinceramente non sempre ben riusciti- spiega Bessone- . Cresce la voglia di lavorare il cacao ma ci sono ahimè tentativi artigianali che arrecano più difetti di quanti ne fa l’industria, che però, a differenza dell’artigiano, riesce a coprire con additivi e trattamenti, a scapito ovviamente di aromi e profumi naturalmente presenti». In Ecuador a Babahoyo lo scienziato del cioccolato ha messo a punto con un pool di ingegneri il “Bessone Method Patent” per un cacao biodinamico: «I metodi di coltivazione rispettano la natura, le persone e l’ambiente e producono cacao nutraceutico, con valori biochimici interessanti alla lavorazione di un cacao funzionale». Nel 2021 si appresta a lanciare una vera e propria linea della salute: barrette da 12 grammi e mezzo, messe a punto con un medico esperto in preparazioni galeniche, promettono di tenere sotto controllo, in diverse versioni, ipertensione, stress, insonnia e cali energetici. 

Claudio Corallo, dalla piantagione alla tavoletta nell’isola Principe (Sao Tomè)

E’ l’unico produttore al mondo ad accompagnare il suo cioccolato dalla piantagione, a Terreiro Velho nell’isola paradisiaca di Principe nel Golfo di Guinea, alla tavoletta (from soil to bar, dal terreno alla barretta), con un processo di produzione effettuato interamente a mano. Il suo cioccolato -definito il migliore al mondo- sprigiona al meglio i suoi aromi a temperature tropicali, dai 27 ai 29 gradi. Claudio Corallo (www.claudiocorallo.com), fiorentino, con una specializzazione in agronomia tropicale in tasca, ha preso la via dell’Africa a 23 anni, quasi 50 anni fa, iniziando a lavorare come broker di caffè in Zaire prima di diventarne produttore, avviando una piantagione nella zona fluviale selvaggia vicino al parco Salonga, dove ha esportato la robusta più ricercata (e costosa, pagata il doppio dell’arabica) del globo. Le rivolte degli anni Novanta, l’hanno spinto a trasferirsi, mettendo in sicurezza la famiglia, a Sao Tomè, dove ha avviato piantagioni di caffè, cacao (sull’isola di Principe) e pepe. 

«Il cacao Forastero Amelonado venne introdotto sull’isola dal re portoghese nell’Ottocento, che vedeva avvicinarsi la fine della colonia in Brasile- spiega Claudio Corallo, bloccato in lockdown forzato nel Chianti-. Coltivarlo è stato naturale: la pianta del cacao è meravigliosa e la sua potatura mi ricorda quella dell’ulivo, anche se confesso di non avere mai avuto una grande passione per il cioccolato, almeno prima di produrre il mio». Il cacao viene raccolto da maggio a gennaio, lavorato subito, fermentato, accuratamente stoccato ed essiccato in modo lento e progressivo, poi tostato o lavorato a crudo. La fava di cacao viene macinata cruda per andare all’essenza di un prodotto eccezionale, privo naturalmente di asperità e amarezza:« E’ il migliore modo per assaporare, dal 75% al 100%, il lavoro fatto dal momento della raccolta allo stoccaggio, con la complicità di un clima ideale- continua Corallo-. Il cacao sprigiona così un’esplosione di sapori e aromi». Da provare le fave di cacao tostate per fare un viaggio ideale, dopo aver rotto e gettato il tegumento, a Terreiro Velho. Tutta la produzione di cioccolato di Claudio Corallo, affiancato dalla figlia Ricciarda, avviene dietro ordinativi e su misura, anche se al momento è bloccata dallo stop ai cargo imposto all’aeroporto di Sao Tomè per il mancato rispetto dei protocolli internazionali di sicurezza. «Un danno enorme- commenta, sconsolato-. Siamo riusciti a imporci sul mercato mondiale con un prodotto nato e trasformato nella sua terra d’origine, ma ora paghiamo lo scotto dell’insularità e dell’isolamento dal resto del mondo». 

 

Il cioccolato slow e naturale

“From beans to bar” è lo slogan che accompagna ogni creazione della fabbrica di cioccolato di Guido Castagna (www.guidocastagna.it), a Giaveno (To), che ha conquistato l’oro all’Italian Med Chocolate Awards per l’Italia e il Mediterraneo quest’anno con la crema “+55”, i “Giuinott”(sei volte oro agli International Chocolate Awards) e le praline menta e liquirizia, argento per le praline Cardamomo e Malva, Cannella e Calendula e Pistacchio. Per vedere le fave trasformarsi in tavolette, giuinott e praline secondo il “Metodo Naturale Guido Castagna”, codificato punto per punto dal cioccolatiere, bisogna avere un anno di pazienza. Le fave di cacao fine provenienti da cooperative selezionate dal Madagascar all’Ecuador al Venezuela, vengono lasciate fermentare all’80% circa e riposano per tre mesi in laboratorio. «La torrefazione avviene a bassa temperatura, a 110 gradi per un’ora per ottenere una perfetta tostatura e non a 200 gradi come avviene nell’industria» spiega Guido Castagna. Al bando sali o altri additivi derivanti dalla potassatura o alcalinizzazione del cioccolato. «È il tempo, attraverso l’affinamento delle tavolette, con una maturazione di almeno sei mesi, a smussare le asperità e favorire lo sviluppo di aromi pregiati» continua. L’idea di tostare direttamente le fave di cacao, segue il progetto di ritorno alle origini, con la lavorazione della nocciola Piemonte Igp direttamente dalla pianta. «A Trieste e a Genova trovavo solo cacao industriale di bassa qualità- spiega-. Così ho iniziato a visitare piantagioni in Repubblica Domenicana, Venezuela, Honduras, Salvador e Guatemala e grazie anche a una piccola molassa che infilo sempre in valigia, oltre a prendere accordi con i produttori, abbiamo avviato in loco la lavorazione». All’etica e al rispetto per il cacao e chi lo lavora si abbina l’eco-sostenibilità, con l’utilizzo degli scarti di lavorazione, dalla produzione di birre al compost per agricoltura e dai sacchi nascono originali borse in juta. 

 




Impianti di sci, la riapertura slitta. Fusini: “Danno economico enorme”

Slitta al 18 gennaio l’apertura degli impianti scistici. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato un’ordinanza per rimandare di 11 giorni la riapertura degli impianti a causa dell’aumento di contagi che si è riscontrato nei giorni scorsi. Ovviamente l’apertura è vitale per le società che gestiscono gli impianti, gli albergatori, i ristoratori, gli esercenti delle località turistiche e per tutto il cosiddetto indotto di un settore che, nei mesi scorsi, è stato fortemente penalizzato dalle chiusure e restrizioni imposte dal Governo per limitare la diffusione del Coronavirus.

La condizione essenziale per poter aprire gli impianti sarà quella che la Regione Lombardia rimanga zona gialla. Se dovesse diventare, infatti, zona arancione o, ancora peggio, rossa, a causa di un innalzamento dei parametri tra i quali l’indice Rt, gli impianti non potrebbero aprire affatto e questo sarebbe un autentico disastro per un’economia come quella delle Valli bergamasche.

“Siamo di fronte a un blocco a oltranza camuffato – sottolinea Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo -. In attesa del prossimo Dpcm, infatti, il Governo ha già esteso la zona arancione fino al 17 gennaio, stabilendo quindi il blocco degli spostamenti e impedendo agli sciatori di raggiungere gli impianti. Ma non è solo un discorso di svago domenicale in alta quota: l’economia della montagna ha un peso importante che nel suo indotto include anche alberghi, rifugi, negozi e scuole di sci che sta provando a sopravvivere e che va messo nelle condizioni di poter ripartire, alla luce del fatto che quest’anno abbiamo montagne imbiancate come non succedeva da tempo. Sono scelte politiche che non rispecchiano la situazione che, di fatto, potrebbe essere gestita in modo intelligente: mi riferisco a quelle procedure che permettono di sciare in assoluta sicurezza, a cominciare dall’acquisto dello skipass on line per evitare code e assembramenti o ai percorsi che permettono agli sciatori di rimanere in coda ma distanziati l’uno dall’altro per accedere agli impianti di risalita”.




Saldi invernali: in Lombardia si comincia il 7 gennaio

Al via i saldi invernali che in Lombardia prenderanno il via il 7 gennaio, con una durata di 60 giorni e quindi fino a domenica 7 marzo 2021.

Per effetto della situazione di emergenza provocata dalla pandemia, l’Ufficio Studi Confcommercio stima che quest’anno lo shopping dei saldi interesserà oltre 15 milioni di famiglie e ogni persona spenderà circa 110 euro, muovendo però in totale 4 miliardi di euro contro i 5 miliardi dell’anno scorso. In Bergamasca, secondo Ascom Confcommercio Bergamo, la stima è più alta con una spesa procapite di circa 124 euro, e una spesa complessiva di oltre 138 milioni di euro.

i consumatori ad acquistare nei negozi di prossimità ma anche a diffidare da sconti esagerati e confidiamo nell’onestà e nella trasparenza di tutta la categoria”.

Veniamo da mesi difficili con le chiusure di novembre e un dicembre con consumi a singhiozzo anche a causa dei ritardi del cashback – aggiunge Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo -. C’è poi il rebus chiusure alle porte, con danni soprattutto per i negozi nei centri commerciali, e l’impatto del commercio elettronico sui saldi che, di fatto, è un’ulteriore spada di Damocle sulla categoria. Alla luce di queste problematiche, occorre che il Governo garantisca la libertà di spostamento tra i comuni e quindi anche una stabilità di apertura dei negozi, anche perché dopo questo primo weekend di saldi i rischi di assembramento al loro interno saranno minori”.

 

La guida e il vademecum sui saldi

Per il corretto acquisto degli articoli in saldo, inoltre, Federazione Moda Italia e Confcommercio ricordano alcuni principi di base sui saldi ai tempi del Covid:

  1. la possibilità di cambiare il capo dopo che lo si è acquistato è generalmente lasciata alla discrezionalità del negoziante, a meno che il prodotto non sia danneggiato o non conforme (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del Consumo). In questo caso scatta l’obbligo per il negoziante della riparazione o della sostituzione del capo e, nel caso ciò risulti impossibile, la riduzione o la restituzione del prezzo pagato. Il compratore è però tenuto a denunciare il vizio del capo entro due mesi dalla data della scoperta del difetto.

  2. non c’è obbligo. È rimesso alla discrezionalità del negoziante.

  3. cashless.

  4. obbligo del negoziante di indicare il prezzo normale di vendita, lo sconto e il prezzo finale.

  5. obbligo di igienizzazione delle mani con soluzioni alcoliche prima di toccare i prodotti.

  6. obbligo di indossare la mascherina fuori dal negozio, in store ed anche in camerino durante la prova dei capi.

  7. sono a carico del cliente, salvo diversa pattuizione.

  8. obbligo di esposizione in vetrina di un cartello che riporti il numero massimo di clienti ammessi nei negozi contemporaneamente.

Confcommercio segnala, inoltre, le varie iniziative promosse sull’intero territorio nazionale da Federazione Moda Italia, come “Saldi Chiari e Sicuri”, “Saldi Trasparenti”, “Saldi Tranquilli”.

 




# BASTA!: la protesta di Natale dei pubblici esercizi

Costretti a tenere le serrande abbassate, ristoratori e gestori dei pubblici esercizi italiani non intendono passare Natale e Capodanno in silenzio. 

Al contrario. A partire da oggi e per tutta la durata delle festività, decine di migliaia di locali in tutta Italia e esporranno un cartello di protesta all’indirizzo del governo per dire: “Basta!”, al caos normativo degli ultimi mesi che continua a penalizzare le imprese del settore
Rabbia ed esasperazione riassunte in un manifesto unitario siglato da Fipe e Fiepet, le principali associazioni di rappresentanza dei pubblici esercizi di Confcommercio e Confesercenti, affiancate dalla FIC – Federazione Italiana Cuochi.

Ascom Confcommercio Bergamo e Confesercenti Bergamo invitano i propri associati ad esporre i cartelli di protesta che potranno scaricare dai rispettivi siti.

22 DPCM, 36 Decreti Legge, 160 giorni di chiusura, un numero imprecisato di ordinanze regionali, una differenza impressionante fra quanto annunciato e quanto attuato. – si legge nel documento di Fipe e Fiepet -. Basta! Questo diciamo ad un governo che apre e chiude le nostre aziende come interruttori e si prende il diritto di vietare il lavoro delle nostre imprese, senza trovare una strada per tutelarle. Siamo esausti e Increduli”.

Il risultato è un settore al collasso che ha deciso di rivolgersi direttamente ai cittadini.

Noi vogliamo e siamo in grado di lavorare in sicurezza – conclude il documento -. Per questo ci rivolgiamo a voi, i nostri clienti: vi chiediamo di esserci vicini e di continuare a sceglierci, dove possibile, anche in queste difficili giornate. La vostra gratificazione è la nostra forza ed il nostro futuro”.

Al governo, i pubblici esercizi italiani chiedono invece un altro tipo di DPCM: Dignità, Prospettiva, Chiarezza e Manovra. La dignità di attività essenziali e sicure; la prospettiva di un piano di riqualificazione e sviluppo, magari attraverso un adeguato inserimento nel Piano nazionale di Ripesa e Resilienza; la chiarezza sui tempi di riapertura a gennaio; una manovra correttiva che garantisca indennizzi adeguati e ristori calcolati sulle effettive perdite, sostegno all’indebitamento, risoluzione dei problemi di locazione.




“Un topo da due parti”: il nuovo libro dello chef Cornali tra arte, filosofia e architettura

I grandi pensatori come Joseph Chilton Pearce, Arthur Shopenhauer, Henry Ford e Luigi Pirandello convivono nella mente creativa di Mario Cornali, classe 1965, cuoco scrittore (è titolare del ristorante Collina di Almenno San Bartolomeo), appassionato di filosofia, capace di affrontare la propria professione con l’attenzione e la curiosità di un antropologo e il gusto di un artista. Non a caso il suo nuovo libro, il sesto, non è un ricettario di alta cucina, bensì un vero trattato filosofico sull’atto creativo. Si chiama “Un topo da due parti” ed è edito da Mediavalue. Un titolo ispirato dal disegno realizzato dalla nipote Ambra, oggi 17 anni, quando ne aveva 9, esempio della visione senza schemi o preconcetti di una bambina.

“Il testo è un viaggio alla ricerca di spiegazioni su come nasca un’opera d’arte dall’apprezzamento che è il risultato sia di elementi oggettivi, sia della percezione personale – spiega lo chef -. C’è chi preferisce Caravaggio e chi Fontana, lo stesso principio vale in cucina. Anche se il libro non è riferito in modo diretto ai fornelli, un piatto ha una forte matrice artistica polisensoriale che combina il gusto, il tatto, la sensazione termica, i ricordi”.

Importante, nell’arte gastronomica, il rapporto dell’autore con l’ingrediente, conseguenza di scelte non solo commerciali o produttive, ma che rappresentano pezzi di storia dell’uomo, di antropologia. “L’assaggio di un formaggio o di un pesce essiccato, realizzati in quantità limitata da un piccolo artigiano, può condurre dal prodotto al suo creatore, in quanto queste preparazioni descrivono il modo di pensare e di operare di quest’ultimo” si legge nel testo.

 “Anni fa introdussi il fieno in un piatto perché avevo il desiderio di trasporre e condividere sensazioni legate all’infanzia”, aggiunge Cornali che intervalla le sue riflessioni a 15 novelle che hanno la stessa funzione della “maionese sul petto di pollo”. Cornali, inoltre, descrive il preingrediente che riguarda le scelte che hanno reso peculiare un elemento nei vari passaggi. Dal tessuto delle novelle trovano propulsione le opere di Cesare Rota Nodari, classe 1935, architetto che ha realizzato edifici pubblici e privati, designer e ideatore di presepi. Le sue le immagini accompagnano il libro, creando un dialogo di metodo. L’architetto con le immagini e lo chef con le parole, hanno fatto di questo loro particolare sguardo, applicato in ambiti diversi, un metodo con cui approcciarsi alla quotidianità e ottenere in cambio forme e sapori, spesso impensati, con cui colorare la vita.




Con Affari di Gola le mascherine “Rinascerò, Rinascerai” a sostegno dell’ospedale di Bergamo

Ascom Confcommercio Bergamo presenta un’iniziativa a scopo benefico a sostegno dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Nata dal progetto “Rinascerò Rinascerai” di Roby Facchinetti e Stefano D’Orazio, l’iniziativa prevede in abbinamento e come supplemento alla rivista di enogastronomia Ascom “Affari di Gola”, la vendita (a 9,90 euro) delle mascherine con la scritta “Rinascerò, rinascerai”, titolo della canzone dedicata a Bergamo da Facchinetti e D’Orazio.

L’iniziativa si è concretizzata grazie anche alla collaborazione di Onis Italia, azienda di Spirano specializzata in abbigliamento sportivo e da lavoro che ha realizzato le mascherine in quattro diverse versioni, e Dif Spa, Agenzia Diffusione Pubblicazioni di Orio al Serio. Significativi i numeri dell’iniziativa ai nastri di partenza: oltre 400 le edicole coinvolte per un totale di 2400 mascherine. I proventi dello sfruttamento del marchio saranno devoluti direttamente all’Ospedale Papa Giovanni XXIII.

«Abbiamo sposato senza esitazione l’iniziativa, non appena se n’è presentata l’occasione: “Rinascerò, rinascerai” è infatti un vero e proprio inno alla vita e alla rigenerazione, un auspicio per il territorio e per tutto il mondo del commercio e dei servizi – commenta Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo (a destra nella foto insieme a Marco Daminelli, organizzatore di eventi, e Monica Cereda, amministratore Onis Italia) -. Per avere la massima e capillare diffusione sul territorio, abbiamo coinvolto le edicole, veri e propri presidi di vie, piazze e quartieri e Dif Spa, distributore unico giornali. Nonostante l’imminente avvio della massiccia campagna di vaccinazione su scala globale, le mascherine continueranno a essere indispensabili ancora per molti mesi e indossare i versi della canzone simbolo della pandemia, nata nella città che ha visto i giorni più bui, rappresenta un segno di vicinanza ai medici e a tutto il personale del Papa Giovanni che ogni giorno hanno lottato e lottano contro il virus. Al nostro ospedale andranno infatti gran parte dei proventi ricavati dalla vendita delle mascherine».

«L’utilizzo del marchio “Rinascerò, rinascerai” legandolo alla solidarietà era un obiettivo che insieme a Stefano c’eravamo prefissati da tempo – aggiunge Roby Facchinetti, cantautore e compositore –. Dopo aver visitato Onis Italia e valutato la qualità dei loro prodotti abbiamo capito che potevamo concretizzare la nostra iniziativa : un gesto ricco di solidarietà e di significato anche adesso che l’ospedale di Bergamo non è in piena emergenza ma comunque in difficoltà».

«E’ un progetto che abbiamo particolarmente a cuore perché veicola la celebre strofa per la rinascita della nostra città, proposta in quattro versioni stilistiche diverse di mascherine al 100% “made in Bergamo”, sostenendo quindi l’ospedale di Bergamo, impegnato in prima linea nel contrasto del virus» sottolinea Monica Cereda, amministratore Onis Italia che durante il lockdown ha riconvertito la produzione in  mascherine.

«Abbiamo coinvolto circa 400 edicole e a pochi giorni dal lancio dell’iniziativa  abbiamo già avuto richieste di nuovi riassortimenti – afferma Giorgio Corno, titolare DIF spa – Distributore unico giornali -. C’è infatti stata subito un’impennata di vendite nell’edicola dell’ospedale dove venerdì sono state vendute più di una ventina di mascherine.  Numeri che ci fanno ben sperare per il successo di quest’iniziativa».

«Ringrazio a nome di tutta la ASST Papa Giovanni per la vicinanza e per la finalità benefica dell’iniziativa – sottolinea il direttore generale Maria Beatrice Stasi -. Un’espressione di solidarietà che va aggiungersi agli innumerevoli gesti di grande generosità nei nostri con- fronti. La musica e il testo di “Rinascerò, rinascerai”, composti durante la prima ondata della pandemia e la nuova dimensione dell’iniziativa ci fanno sentire la vicinanza di tantissime persone che, sono certa, contribuiranno allo sviluppo di un progetto nato sulle note di grande umanità di Roby Facchinetti e del compianto Stefano D’Orazio».




Regali di Natale, il 62% non rinuncia allo shopping, spesa media di 174 euro

Il risparmio, le restrizioni e la pandemia condizionano le festività, ma il 62% dei bergamaschi non rinuncerà ai regali di Natale ( dato inferiore alla media nazionale, pari al 74,2%). Tra il 38% che non li farà, oltre la metà – il 53,2%- aveva sempre fatto doni a parenti e amici, anche l’anno scorso. Un sacrificio motivato soprattutto dal tentativo di cercare di risparmiare (28%), dalla mancanza di occasioni di scambio di auguri (25,6%), dal peggioramento della condizione economica (18,1%) e infine, da scelte personali (16%).
Quest’anno la spesa media scenderà comunque sensibilmente rispetto a quella dello scorso anno:  174 euro contro i 185 dello scorso anno (– 5,9%). Il dato è superiore alla media nazionale che si attesta a 164 euro con un calo più contenuto (-2,9%). A Bergamo si spende più che nel resto d’ Italia, ma il budget pro capite previsto scende maggiormente per via della propensione al risparmio che, a queste latitudini, è più spiccata. La spesa da destinare alle strenne natalizie sarà di circa 194,2 milioni di euro contro i 206 milioni di euro di un anno fa, con una perdita in un anno di 11 milioni e 800mila euro. Dal 2009, anno in cui il commercio ha iniziato a soffrire, sono andati in fumo oltre 70 milioni di euro di spesa e il 28,6% di budget destinato ai consumi. Sono queste alcune delle principali evidenze emerse dalla ricerca Ascom-Format Research sui regali di Natale, presentata oggi. 
“Quanto emerge dall’indagine, in particolare il raddoppio di bergamaschi che rinuncia ai regali, è conseguenza della situazione della pandemia e anche delle restrizioni conseguenti- commenta Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo-. Novembre ha evidenziato comunque un crollo delle vendite, che a dicembre non hanno avuto nemmeno il tempo di risollevarsi”. La difficoltà ad accedere alla piattaforma per recuperare il 10% della spesa attraverso il Cashback procede a rilento: “Molti non riescono ad iscriversi alla piattaforma e rinviano gli acquisti- continua Fusini-. Invece di rivelarsi una leva per incentivare lo shopping nei negozi, sta procrastinando le spese”. Lo spettro di nuove restrizioni condiziona lo shopping natalizio: “Nel caso in cui si tornasse zona rossa, il 41,8% di coloro che effettueranno i regali lo farà solo online- sottolinea il direttore Ascom Confcommercio-. Il 34,3% tuttavia li acquisterebbe nei negozi fisici che effettuano consegne. Ma molti negozi non sono ancora attrezzati e per il commercio tradizionale rinunciare al Natale sarebbe una vera catastrofe”.  Gli acquisti a dicembre hanno perso quota anche per effetto di Black Friday e Cyber Monday di novembre che anticipano le spese, ma che quest’anno sono state meno consistenti con la chiusura dei negozi tradizionali. Secondo il dato nazionale la quota di regali acquistati dal 16 al 30 novembre si è ridotta infatti al 20% rispetto al 26% del 2019 e si registra una crescita degli acquisti a dicembre ( 60,9%) contro il 51,3% del 2019. Solo il 15,8% si dedicherà alla “caccia ai regali” per le feste in questi giorni (per la precisione, a partire dal 16 dicembre) e fino al 31 dicembre. 

Come cambiano i regali con la pandemia 

In tempi di crisi la scelta si orienta verso regali utili. In cima alle preferenze cesti, bottiglie e cadeaux gastronomici (il 68% acquista generi alimentari); seguono giocattoli e giochi per i più piccoli (51,2%), libri ed ebook (47,2%), capi di abbigliamento (45%).
Con lo stop a concerti ed eventi, si rinuncia per forza di cose a regalare esperienze, dai biglietti alle visite (-25,9%). Di contro, ci si rifugia nell’intrattenimento domestico: crescono del 10,5% gli abbonamenti a piattaforme streaming (+10,5%). E, della serie “i regali sceglieteli pure voi”, oltre che per scongiurare doppioni o doni poco graditi, tornano in auge i buoni-spesa: carte regalo e voucher crescono del 7,2 %. 

I luoghi d’acquisto  

Il canale online è al primo posto come luogo di acquisto, seppure virtuale, dei regali di Natale. Tuttavia il dato risente del fatto che al momento delle interviste la Lombardia era ancora zona rossa e, con gran parte dei negozi chiusi l’e-commerce era una delle poche opzioni a disposizione. Il 64,4% dei bergamaschi dichiara di voler acquistare i regali di Natale in internet, il 53,3%  nella grande distribuzione, il  39,5% nei punti vendita tradizionali, il 15,5% negli outlet, il 7,3% in punti vendita equo- solidale. I dati evidenziano, come si evince dalle percentuali, scelta multi-canale e risposte multiple. Tra i motivi della scelta dell’acquisto via web prevalgono la comodità (per il 66,5%),  la varietà dei prodotti (per il 57%), la convenienza (55,8%). Ma il 36,7% dichiara di aver acquistato on-line solo per scelta obbligata, con la chiusura dei negozi. Un dato che lascia ben sperare il commercio tradizionale.




Oltre il 56% dei bergamaschi rinuncia ai contanti per pagare nei negozi, cresce l’uso della carta di credito

Se il lockdown ha incentivato l’e-commerce e con esso i pagamenti digitali a scapito dei contanti, anche nel commercio tradizionale cresce l’uso del denaro virtuale. 

Secondo la ricerca commissionata da Ascom Confcommercio Bergamo a Format Research tra coloro che hanno acquistato nei negozi tradizionali ben il 56,4% non ha fatto uso di contanti. Tra gli intervistati il 51,9% ha dichiarato di fare uso del bancomat, il 50,4 % della carta di credito, il 43,6 % di utilizzare i contanti e il 14,8 % di usare altri strumenti (i dati evidenziano scelte multiple di pagamento). 

“I negozi tradizionali assistono ad un crescente ricorso al bancomat, incentivato dall’adozione del Pos e dall’invito durante la pandemia a preferire i pagamenti elettronici per limitare contatti e scambi di resto- commenta Oscar Fusini, direttore Ascom Confcommercio Bergamo- . Tra i bergamaschi cresce sempre più anche l’utilizzo della carta di credito che ormai ha raggiunto il bancomat. Questi dati anticipano la probabile crescita dei pagamenti elettronici favorita dal Cashback. Un’iniziativa che ad oggi, con l’esclusione delle grandi piattaforme digitali, può in qualche misura rappresentare una delle poche opportunità del momento per i negozi tradizionali”. Resta però il nodo delle commissioni: “Da sempre Confcommercio si batte per abbattere le commissioni e con Ascom, attraverso la Cooperativa di Garanzia Fogalco, abbiamo attivato diverse convenzioni per ridurre notevolmente i costi in capo agli esercenti- continua Fusini-. Non mancano anche convenzioni per altri metodi di pagamento, da Satispay a Sumup. Le condizioni contrattuali bancarie sono spesso molto complesse e capita che vengono caricati altri costi accessori per la gestione del Pos”.

Nell’anno della pandemia i dati elaborati da Banca d’Italia fino a giugno di quest’anno evidenziano una perdita cospicua di tutti gli strumenti di pagamento rispetto al crollo dei consumi registrato. Banca d’Italia evidenzia un aumento del numero dei POS (+ 13,2%), una crescita delle operazioni con carte di credito (+ 15,6%) e un incremento degli importi transati con Pagobancomat (+ 11,9%) (dati 2019 rispetto al 2018). I dati di Banca d’Italia evidenziano che il valore medio della transazione con carta di credito, pari a euro 65,06 si avvicina sempre di più a quello del Pagobancomat, pari a 53,95 euro.