Parlamento e Regione, ecco i rappresentanti bergamaschi

Sono undici, tra Camera e Senato, i parlamentari bergamaschi della XVII legislatura: cinque deputati per il Pd, tre senatori e un deputato per la Lega, un deputato per il Pdl e uno per la lista Monti-Scelta civica. Nel Pd le novità sono Elena Carnevali e Beppe Guerini, alla Camera, che si affiancano ai confermati Antonio Misiani e Giovanni Sanga e alla già europarlamentare Pia Locatelli. Per la Lega rimane a Palazzo Madama Roberto Calderoli e vi arrivano da Montecitorio Giacomo Stucchi e Nunziante Consiglio. Il nuovo ingresso è quello di Cristian Invernizzi alla Camera. Nel Pdl confermata l'elezione di Gregorio Fontana, a Montecitorio dal 2001, dove invece fa il proprio ingresso per le prima volta Alberto Bombassei, presidente di Brembo, candidato  per la lista Monti-Scelta civica.
Nei prossimi giorni potrebbero essere assegnati a bergamaschi altri tre seggi: a Enrico Piccinelli e Marco Pagnocelli, entrambi Pdl, e a Gianmarco Gabrieli (lista Monti-Scelta civica)
Sono invece così ripartiti i nove seggi assegnati alla provincia di Bergamo nel Consiglio regionale della Lombardia: due consiglieri Pdl, due della Lega, uno della Lista Maroni, due del Pd, uno della lista Amborsoli ed uno del Movimento 5 Stelle:
Tra le file del Pdl  sono stati eletti il coordinatore provinciale Angelo Capelli (quasi 7.200 preferenze) e Alessandro Sorte (più di 2.800 preferenze), vicecapogruppo del Pdl in Provincia. Per la Lega ha superato le 3.000 preferenze Roberto Anelli, assessore provinciale all'Edilizia scolastica e sindaco di Alzano Lombardo. Il secondo posto se lo è aggiudicato al fotofinish il sindaco di Seriate Silvana Santisi Saita con quasi 2.200 preferenze. La Lista Maroni avrà come rappresentate la selvinese campionessa di sci Lara Magoni, che ha raccolto oltre mille preferenze.
Più preferenze di tutti (7.900) le ha ottenute Maurizio Martina che siederà all’opposizione ed è l’unica conferma bergamasca al Pirellone. Dello stesso partito Jacopo Scandella (oltre 4.500 preferenze), che con i suoi 25 anni è il più giovane consigliere regionale bergamasco. Un seggio va anche all’ex sindaco di Bergamo Roberto Bruni (Patto civico per Ambrosoli, 3.600 preferenze), mentre a rappresentare il Movimento 5 Stelle sarà Dario Violi (500 preferenze), che lavora nel settore della finanza agevolata per le imprese ed è alla sua prima esperienza di politica attiva. A portare a dieci la pattuglia dei bergamaschi in Regione è Elisabetta Fatuzzo, del partito Pansionati, votata per i seggi di Milano.




A Bergamo cresce la presenza di società gestite da stranieri

L’imprenditoria bergamasca parla sempre più straniero. Sono infatti in crescita le aziende guidate da imprenditori non italiani: nel corso del 2012 l’incremento di oltre cento unità rispetto al 2011, considerando che alla fine dello scorso anno sono state registrate sul nostro territorio 5.978 aziende contro le 5.864 conteggiate a fine 2011. Un incremento di oltre cento unità che testimonia come il tessuto imprenditoriale e commerciale bergamasco si stia sempre più internazionalizzando. I dati dalla Camera di Commercio di Bergamo, rilevano poi come la comunità straniera più presente all’interno dell’ imprenditoria bergamasca sia quella proveniente dal Marocco – così come avvenuto nel corso del 2011 – ma con un aumento nel numero complessivo delle aziende, dalle 1.122 registrate nel 2011 alle complessive 1.155 dell’anno appena terminato, con un incremento di 33 unità. Al secondo posto della speciale classifica delle imprese straniere più presenti in Bergamasca si conferma la comunità rumena con 620 imprese, un dato che è in perfetta parità rispetto a quello registrato nel 2011, mentre sul gradino più basso del podio si piazza la Cina con 504 imprese, ben 42 in più rispetto al dato del 2011 dove le imprese registrate erano state 462. La comunità imprenditoriale cinese supera in un solo colpo sia l’Albania che la Svizzera che toccano quota 465 e 441 in leggero calo rispetto ai numeri del 2011, dove avevano fatto segnare rispettivamente 476 e 466 aziende nel territorio bergamasco. A chiudere la “top ten” delle nazionalità più rappresentate a livello imprenditoriale in Bergamasca ci sono, nell’ordine dal sesto al decimo posto: Senegal, Egitto, Pakistan, Bolivia e Francia con la comunità pakistana che scavalca quella boliviana all’ottavo posto nel corso del 2012.
Il settore che registra la maggior presenza di imprese straniere è rappresentato dalle costruzioni e dall’edilizia, anche se nel corso del 2012 si è registrato un certo calo nei numeri: nel 2011, infatti, le imprese non italiane che nella Bergamasca si occupavano di costruzioni erano 2.167 contro le 2.076 di fine 2012, con un saldo negativo di 90 imprese. Nel comparto edile, in particolare, è la comunità rumena quella più rappresentata con 444 aziende, mentre al secondo posto si collocano le imprese guidate da albanesi, con 306 unità, mentre, in terza piazza si classifica la comunità marocchina con 256 aziende che lavorano nel campo delle costruzioni. In tutti e tre i casi, il calo è abbastanza evidente: le ditte di costruzione rumene nel 2011 erano infatti 461 (quindici in più rispetto al 2012), quelle albanesi erano 323 (diciassette in più rispetto all’anno appena finito) e, infine, quelle marocchine erano 261 contro le 256 del 2012. In aumento, invece, il settore manifatturiero e, quello del commercio e, soprattutto, quello legato alla ristorazione e agli alloggi. Nel primo caso, le aziende manifatturiere passano dalle 553 del 2011 alle 571 del 2012 con un saldo positivo di 18 unità imprenditoriali, e con la Cina che si colloca al primo posto del settore con 151 ditte impegnate nella manifattura. Altro settore in crescita è, invece, rappresentato dalla ristorazione e dagli alloggi dove si passa dalle 410 aziende del 2011 alle 445 registrate alla Camera di commercio bergamasca nel corso del 2012. Anche in questo comparto a primeggiare sono i cinesi, con 140 attività imprenditoriali in aumento rispetto alle 123 del 2011. In questo caso, si registra anche la forte crescita di ristoranti giapponesi in città e in Provincia che sono pressoché gestiti esclusivamente da cinesi dato che le imprese del Sol Levante in Bergamasca sono soltanto 3. Infine, un altro settore in forte crescita da parte delle aziende straniere nel nostro territorio è rappresentato dal commercio: qui, si passa dalle 1.746 aziende del 2011 alle complessive 1.871 registrate nel corso del 2012, con un saldo positivo di 134 ditte che lavorano nell’ambito del commercio. In questo comparto, al primo posto si collocano le aziende marocchine con 704 realtà imprenditoriali contro le 659 del 2011, registrando nel corso del 2012 un saldo attivo di ben 45 ditte. A seguire, ci sono le aziende del Senegal che passano dalle 281 del 2011 alle complessive 299 del 2012, con un più 18 realtà imprenditoriali. Infine, al terzo posto del commercio troviamo la Cina con un totale di 154 aziende (contro le 149 del 2011).

Le imprese straniere a Bergamo 
La top ten al dicembre scorso

1) Marocco        1.155
2) Romania         620
3) Cina               504
4) Albania           465
5) Svizzera          441
6) Senegal           404
7) Egitto              390
8) Pakistan          178
9) Bolivia             164
10) Francia          133




La sfida dei ristoratori? «Un progetto unico per l’Expo»

da sinistra Luigi Pesenti, Paolo Scanzi, Romina Bolognini. Seduti: Petronilla Frosio, Gianni Iuliano, Roberto Gambirasio

Il settore piace, non c’è che dire. «Sarà perché oggi non c’è canale tv o rivista che non proponga ricette o da dove non faccia capolino lo chef del momento. E perché, complici le difficoltà occupazionali, viene considerata una strada tutto sommato semplice ancora in grado di offrire opportunità». È questa la lettura che Petronilla Frosio, confermata alla guida del Gruppo ristoratori dell’Ascom, dà dell’incremento di ristoranti, pizzerie e trattorie in Bergamasca a dispetto della crisi. Cinquantaquattro anni, titolare del Posta di Sant’Omobono Terme, esponente di una longeva e blasonata famiglia di ristoratori (i fratelli Paolo e Camillo gestiscono lo stellato Frosio ad Almè), da qualche anno impegnata anche nel settore ricettivo con un albergo a quattro stelle in via San Lazzaro in città, è al suo secondo mandato («e ultimo perché credo che serva un ricambio di idee in ogni carica» tiene a sottolineare).
Nello specifico, le attività nella nostra provincia sono cresciute del 2% nel confronto tra 2011 e 2012 e del 3,1% negli ultimi quattro. «Sono tendenze incoraggianti – rileva -, confermate dall’aumento dell’interesse dei giovani per la professione e dall’avvio di nuovi corsi di formazione con indirizzo alberghiero». La criticità è semmai la capacità di resistere, sia che si tratti di lavoro dipendente sia di una nuova iniziativa imprenditoriale. Sul primo versante, «la richiesta di personale c’è – afferma Frosio –, ma continua a scontrarsi con la tragica constatazione che tra i tanti studenti che escono dalle scuole alberghiere sono pochi quelli che restano. Il fatto è che lavorare in un ristorante significa fare una scelta di vita, è un percorso che funziona ed è bellissimo solo se vita e professione sono tutt’uno. È importante che i ragazzi si rendano conto dell’impegno che comporta questa attività, per questo uno degli obiettivi del quadriennio è stringere un rapporto più stretto con le scuole alberghiere, portare gli allievi a contatto con le nostre realtà in modo che capiscano presto che cosa li aspetta».
Ma anche dal lato imprenditoriale occorre grande motivazione. La presidente considera la preparazione, l’aggiornamento e il mettersi in gioco ingredienti imprescindibili della ristorazione, ancor più determinanti in questo momento, in cui la crisi ha accelerato l’evoluzione, già in atto, della proposta. «Negli ultimi dieci anni sono cadute le barriere tra bar, ristorante, trattoria, pizzeria – spiega -, si vanno sempre più affermando locali multifunzionali, con un’offerta che comincia con le colazioni, prosegue con la pausa pranzo, l’aperitivo fino ad una ristorazione più complessa per la sera e magari anche l’alloggio. Anche il lavoro in cucina si è sfaccettato, occorre essere più versatili, saper fare il pane, curare la pasticceria, specializzarsi in più campi». Il tutto a fronte però di una clientela con meno possibilità di spesa rispetto al passato, ma consapevole della qualità. «In questo momento è davvero difficile per gli operatori individuare una rotta – evidenzia Petronilla Frosio –. Non si può certo correre il rischio di abbassare la qualità, l’unica strada è non chiudersi nella propria attività, trovare, sulla base delle caratteristiche del locale, della posizione, dell’esperienza, qualcosa di interessante da proporre».
Un aiuto in questo viene dal confronto con i colleghi, dalla partecipazione alla vita associativa e alle iniziative. «Per quanto un ristoratore possa essere bravo – fa notare -, si preclude molte possibilità non dialogando con i colleghi. Stare in un gruppo arricchisce sempre, dà quegli stimoli così importanti per rinnovarsi, migliorare, realizzare nuove idee. Magari si trova semplicemente un po’ di conforto nel condividere gli stessi problemi, ma si può anche cercare di indirizzare alcune politiche che ci riguardano». Questa visione non pare però ancora sufficientemente condivisa. Basti pensare alla drastica riduzione delle adesioni, più che dimezzate, al progetto della Camera di Commercio “Ristoranti dei Mille… Sapori”, che vuole valorizzare i prodotti, le ricette del territorio e le insegne che propongono. «È un’occasione persa – ammette -. Magari si è ragionato troppo in termini di ritorno immediato a fronte del costo di partecipazione. In realtà, far parte dell’operazione significa mettersi in vetrina ed entrare in una rete, ma può anche diventare un motivo di caratterizzazione dell’offerta. I ristoranti non possono essere tutti uguali, la cucina tipica può diventare una specializzazione e in quest’ottica partecipare al marchio ha un valore soprattutto sulla distanza, vuol dire studiare, aggiornarsi, fare sì cucina del territorio ma “in movimento”».
Il futuro della ristorazione, del resto, non può che non intrecciarsi sempre più con il turismo. «Sono stati i visitatori a farci capire che Bergamo è bella – rileva -, ora che abbiamo cominciato a renderci conto delle potenzialità occorre insistere, migliorando l’accoglienza e la promozione. Chi viaggia incontra sempre un barista o un ristoratore, noi possiamo fare molto per far conoscere il territorio, dovremmo ambire ad essere dei professionisti dell’accoglienza a 360 gradi, tutto l’anno. Da potenziare è perciò anche la formazione del personale di sala, un ulteriore aspetto che cercheremo di sviluppare con il Gruppo, con particolare riguardo al rapporto con i turisti stranieri, ormai una costante non solo in città ma anche nelle valli».
La prospettiva è ambiziosa. «Se devo scegliere una sfida – dichiara –, mi piacerebbe che la ristorazione fosse riconosciuta come uno dei fattori trainanti di un territorio. I numeri e le tendenze che abbiamo visto, in fondo, lo dicono già ed anche le difficoltà dell’industria spingono a guardare con sempre più attenzione in questa direzione. Una grande opportunità per affermarlo sarà Expo 2015 e l’obiettivo che lancio è quello di un progetto comune, che rappresenti in maniera unitaria l’offerta enogastronomica della nostra provincia».

IL PROBLEMA
Tende più a vedere soluzioni che problemi, indicando nello sviluppo delle competenze e nella continua ricerca di stimoli la chiave del successo di un locale. Ma Petronilla Frosio uno sfogo non se lo risparmia. Riguarda l’eccessivo peso degli adempimenti e della burocrazia sulle attività. «Le norme cambiano di continuo – afferma – e si finisce che, anche volendo, non si è mai in regola. Sicurezza e igiene, antincendio, fisco, lavoro: gli adeguamenti, soprattutto per le piccole attività, sono pesanti in termini di costi e tempo. Ci sono giorni in cui passo più tempo tra i documenti che tra le pentole, ma il paradosso è che tanti passaggi sono solo complicazioni. Con maggiore chiarezza, semplicità e con norme più calate sulla realtà delle imprese si otterrebbero gli stessi risultati permettendo ai ristoratori di fare ciò che sembra scontato, ossia dedicare tempo ed energia al proprio lavoro».

IL PROGETTO
Sono ancora molti i ragazzi che dopo aver frequentato la scuola alberghiera cambiano strada. Uno degli obiettivi del Gruppo è stringere un rapporto più stretto con gli enti di formazione, «portare gli allievi a contatto con le nostre realtà in modo che capiscano presto che cosa li aspetta».

LA SFIDA
Contribuire a fare in modo che la ristorazione «sia riconosciuta come uno dei fattori trainanti di un territorio» è l’obiettivo di fondo di Petronilla Frosio. «Una grande opportunità per affermarlo sarà Expo 2015 e mi piacerebbe che in quell’occasione la Bergamo dell’enogastronomia si presentasse con un progetto comune».




C’era una volta l’edilizia bergamasca

“C’era una volta l’edilizia bergamasca”; potrebbe cominciare così una storia non certo a lieto fine, per raccontare le difficoltà di un settore, fino a qualche tempo fa fiore all’occhiello del sistema economico lombardo e oggi protagonista suo malgrado di un dramma dagli effetti devastanti che, giorno dopo giorno, coinvolge imprese, artigiani e lavoratori dalla professionalità più diversificata.
I numeri parlano chiaro e soprattutto non lasciano spazio a dubbi: negli ultimi quattro anni hanno chiuso i battenti quasi 1.250 aziende, 9mila lavoratori hanno perso il proprio posto di lavoro e il numero delle imprese, dei lavoratori e delle ore lavorate è diminuito del 30 %. Ma sono dati destinati ineluttabilmente a peggiorare se si considera che già dall’inizio del 2013 il lavoro è diminuito del 14% ed è quasi raddoppiato rispetto agli ultimi mesi il ricorso all’utilizzo della cassa integrazione guadagni. È una situazione drammatica dalle pesanti ripercussioni economiche, considerato il peso rivestito da un comparto e da tutto il suo indotto, che nella nostra provincia rappresenta il 20% del Pil. Infatti oltre alle difficoltà ormai croniche delle imprese di costruzioni, si aggiungono quelle delle aziende che operano nella realizzazione di accessori e materiali edili, che pagano un effetto a cascata senza precedenti.
Ma come si è giunti a tale situazione? Se lo chiedono in molti, soprattutto i lavoratori che un lavoro non ce l’hanno più; le ragioni sono molteplici e non esiste una risposta assoluta: una costruzione massiva rispetto alle reali richieste del mercato, la scandalosa difficoltà di pagamento dei lavori commissionati dagli enti pubblici, chiamati a rispettare il famigerato patto di stabilità e il congelamento di liquidità e prestiti da parte degli istituti bancari hanno forse causato una diminuzione degli ordini, una svalutazione degli immobili, una bassa moralità nei pagamenti e gli inevitabili tagli sul personale. Sono solo ipotesi, supposizioni e teorie, perché le motivazioni sono molto più complesse e non possono essere elencate con troppo faciloneria. Magari lo fosse.
Sicuramente bisogna invertire la rotta, è necessario affrontare l’emergenza con strumenti adeguati, in grado di ricreare le condizioni giuste affinché il settore delle costruzioni torni ad essere volano di sviluppo e foriero di professionalità e di qualità; ma è necessario anche ripensare, e subito, ad una linea d’azione che supporti le migliaia di persone senza lavoro, che devono essere accolte e sostenute nel loro disagio, perché il rischio che siano dimenticate è alto.
Ci vuole un modo nuovo di fare edilizia, una strategia che punti sempre più ai concetti di recupero e di restauro del patrimonio esistente, con un’attenzione focalizzata ai temi dell’ambiente e della riqualificazione in termini energetici, statici e sismici. Ma diviene anche fondamentale analizzare gli aspetti critici del passato, per evitare gli stessi errori commessi e per definire nuove strategie: negli ultimi anni uno spasmodico e incontrollato consumo di suolo ha sdoganato decine di costruzioni e messo in secondo piano, salvo rare eccezioni, la qualità del costruito a tutto vantaggio della mera speculazione immobiliare. È una verità scomoda da ascoltare, ma si è preferito una politica di cementificazione senza troppe regole, che ha riempito i portafogli, soffocato il territorio e portato con sé una grossa mole di invenduto. Oggi nella nostra provincia si contano quasi venticinquemila vani vuoti, che non solo non sono in possesso dei requisiti (in primis quelli energetici) ma si deteriorano mese dopo mese, perdendo ulteriormente valore. E gli imprenditori edili? Attendono con trepidazione i risultati delle elezioni, con la speranza e in taluni casi la convinzione, che la situazione possa radicalmente migliorare. In verità se lo augurano tutti, ma per adesso si è certi solamente di una cosa: la crisi continua a “mordere” la bergamasca e tale situazione lascia aperti molti interrogativi sugli scenari del futuro.




Mercati, si assegnano posteggi   a Costa Mezzate e Villa d’Ogna

Il Comune di Costa di Mezzate ha indetto un bando per l’assegnazione di  posteggi del mercato settimanale che si svolge il martedì pomeriggio in Via Roma.  Si tratta di quattro posteggi – di 28 metri quadri –  destinati agli operatori del settore non alimentare in possesso dei requisiti e delle autorizzazioni previste che non siano già titolari di più di un’autorizzazione nello stesso mercato. Nella formulazione della graduatoria il Comune si atterrà a diversi criteri di priorità, dal maggior numero di presenze maturate nell’ambito del mercato alla frequenza di corsi formativi, all’anzianità di iscrizione al Registro Imprese della Camera di Commercio.  Le domande – corredate da carta d’identità, autorizzazione per il commercio su area pubblica, carta di esercizio, copia della visura camerale – in marca da bollo, dovranno essere spedite a mezzo posta ed indirizzate al Comune o consegnate all’Ufficio Protocollo entro le 12 del 1 aprile. Il comune provvederà a redigere la graduatoria entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle domande. 
Il Comune di Villa d’Ogna ha pubblicato un bando per l’assegnazione in concessione di posteggi nel mercato settimanale che si svolge il mercoledì mattina, dalle 7.30 alle 12.30 in Piazza  Pace di Costanza. Si tratta di tre posteggi, in concessione decennale: un posteggio non alimentare di 40 metri quadri, un banco alimentare ed uno da destinarsi ad un produttore agricolo. La domanda può essere presentata esclusivamente in via telematica , direttamente o mediante intermediario abilitato, allo Sportello Unico Attività Produttive del Comune, compilando l’apposita modulistica (reperibile all’indirizzo:http://www.impresainungiorno.gov.it/route/suap?codComune=L938) . L’originale cartaceo della domanda, in bollo, dovrà essere conservato dal richiedente o dall’intermediario. Con la stessa domanda dovrà essere richiesto il rilascio contestuale dell’autorizzazione . La domanda dovrà essere presentata entro l’8 aprile.




La conferma del Garante: nei pubblici esercizi wifi libero da controlli

Dando ragione all’interpretazione di Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi aderente a Confcommercio-Imprese per l’Italia, l’Autorità garante della Protezione dei dati personali ha confermato che gli esercenti pubblici possono mettere liberamente a disposizione degli utenti la connessione wi-fi ed eventualmente pc e terminali di qualsiasi tipo. 
A sollevare la questione era stata un’interpretazione controversa sollevata da provider che forniscono programmi di archiviazione. A loro dire, sui gestori di bar e ristoranti incombeva l’obbligo di registrazione dei dati da parte degli utenti, così come dovevano essere anche ritenuti corresponsabili dei siti visitati dai loro clienti in caso di connessione alla rete con l’accesso telematico fornito dal locale.
Con questa interpretazione, che conferma quella da subito data da Fipe, i gestori dei locali saranno sollevati da qualsiasi responsabilità rispetto alla navigazione in Internet da parte dei loro clienti e, nel caso volessero entrare in possesso di informazioni più dettagliate riguardo all’uso della rete, dovranno richiedere al consumatore di firmare l’autorizzazione al trattamento dei dati personali. Il Garante, nella risposta fornita a Fipe, ha infatti ribadito che questo caso rientra fra quelli in cui non può essere effettuato il trattamento dei dati personali senza necessità del consenso del soggetto interessato, in base all’art. 24 del Codice.
Pertanto, in primo luogo, gli esercenti che ancora dispongono di strumenti per il monitoraggio e l’archiviazione dei dati possono eliminarli, senza il rischio di alcuna responsabilità, rendendo così realmente libero il servizio di wi-fi offerto; altrimenti, se vogliono continuare ad utilizzare tali sistemi in maniera legittima, sono tenuti a rendere informati i propri avventori dell’utilizzo che viene fatto dei dati monitorati, attraverso la sottoscrizione da parte loro del consenso al trattamento degli stessi, di cui all’art. 13 del Codice. Quanto sopra non comporta il divieto di richiedere un corrispettivo per l’utilizzo del  wi-fi.
«La connessione wi-fi libera nei pubblici esercizi – commenta il presidente Fipe, Lino Stoppani – va verso la direzione delle smart city. Bar, ristoranti, discoteche, stabilimenti balneari diventano sempre più interattivi e sono così in grado di offrire ai clienti un servizio importante nell’era del digitale».




Alcolici, divieto fino a 18 anni anche per la somministrazione

Fatta la legge, scatta il rincorrersi delle interpretazioni. È quanto sta accadendo anche con la nuova normativa in tema di vendita e somministrazione di alcol ai giovani.
Il nodo della questione sta nel diverso “peso giuridico” dei termini “vendita” e “somministrazione”. Il Decreto Balduzzi, lo si ricorderà, ha introdotto dallo scorso novembre il divieto di vendita di bevande alcoliche ai minori di anni 18, prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a 1.000 euro per i trasgressori. Secondo la Fipe, la Federazione dei pubblici esercizi, e la Federalberghi, la novità non avrebbe dovuto intaccare la precedente previsione, che riguarda la somministrazione e fissa il divieto fino ai 16 anni. In tema di somministrazione, infatti, l’art. 689 del codice penale già prevede che: «L’esercente un’osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di bevande, il quale somministra, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un minore degli anni sedici o a persona che appaia affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste condizioni di deficienza psichica a causa di un’altra infermità, è punito con l’arresto fino a un anno». Le organizzazioni hanno perciò comunicato agli associati – come ha riportato anche dalla Rassegna – che restava possibile servire bevande alcoliche ai ragazzi dai 16 anni in su, mentre la vendita era vietata fino ai 18.
Ora una serie di risoluzioni, pareri e note di ministeri diversi (Sviluppo Economico e Interno, ma non quello della Salute che ha scritto il provvedimento) indicano che con il termine “vendere” non si può che intendere “fornire” le bevande alcoliche, senza distinguere tra vendita, somministrazione o consumazione. Non ci sarebbe, perciò, alcuna differenza tra il mettere a disposizione del cliente minore la bevanda alcolica in un bar o discoteca oppure in un negozio. Secondo i ministeri l’interpretazione più aderente allo spirito e al tenore delle nuove disposizioni è la seguente:
· è vietato sia vendere sia somministrare sul posto bevande alcoliche a minori degli anni 18;
· nel caso di vendita di bevande alcoliche a minori di 18 anni, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a 1.000 euro;
· nel caso di somministrazione di bevande alcoliche a minori di 16 anni, la sanzione è l’arresto fino a un anno;
· nel caso di somministrazione di bevande alcoliche a minori di 18 anni, ma maggiori di 16, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a 1.000 euro.
Presumendo che l’interpretazione fornita dai ministeri orienterà i controlli delle forze dell’ordine nei pubblici esercizi e nei locali di intrattenimento, le organizzazioni sindacali invitano le aziende associate, per non esporsi al rischio di sanzioni, a non somministrare (oltre che vendere) alcolici ai minori di 18 anni. Assisteranno comunque i propri associati, garantendo la tutela legale gratuita in caso di irrogazione di sanzioni pecuniarie amministrative per la somministrazione di alcolici ai minori di 18 anni ma maggiori di 16.
«L’interpretazione dei Ministeri – spiega il Silb Fipe – appare in contrasto con consolidati principi del diritto penale e amministrativo e conduce alla paradossale conseguenza dell’applicazione di sanzioni diverse per due fattispecie ritenute uguali dagli stessi Ministeri. Infatti la vendita di bevande alcoliche a minori di anni 16 è sanzionata in via amministrativa, mentre la somministrazione sul posto di bevande alcoliche a minori di anni 16 è sanzionata penalmente».




L’allarme degli edicolanti: «Il nostro è un futuro da ripensare»

Rinasce in Ascom il Gruppo Rivendite di giornali e riviste, presenza storica nella compagine dell’Associazione, ma che negli ultimi quattro anni non ha avuto una rappresentanza vera e propria. L’assemblea degli edicolanti bergamaschi, riunitasi in Ascom, ha eletto come  presidente Marco Paciolla, 40 anni e da 12 gestore dell’edicola di Grassobbio, in via Azzano San Paolo. A 25 anni, Paciolla è stato socio-fondatore dell’Assacom, associazione commercianti di Azzano San Paolo. Nel 2004, trasferitosi a Grassobbio, ha fondato l’Associazione Commercio Arti e Mestieri di cui ha ricoperto per un mandato la carica di presidente. Dal 2009 è assessore al commercio del comune di Grassobbio, dove in precedenza aveva ricoperto la carica di consigliere.
Il settore delle edicole  risente della crisi e sono tanti i chioschi che in questi anni sono stati costretti a chiudere, ma al calo dei consumi imposto dai tagli a tutto ciò che non è necessario, si somma la disaffezione alla carta stampata: “Fino a qualche anno fa con l’editoria si poteva andare avanti tranquillamente, ma oggi la gente si è sempre più allontanata dalla stampa. Non si è persa la voglia di leggere, ma giornali e riviste rientrano nei piccoli tagli alle spese quotidiane imposte dalla crisi”. I giovani non mostrano interesse verso quotidiani e periodici e il rituale della lettura mattutina ha un futuro sempre più incerto: “Tra i nostri clienti non c’è un ricambio generazionale – afferma Paciolla -. Il nostro cliente-tipo non ha meno di 30 anni. I ragazzi ormai non leggono più nemmeno la Gazzetta dello Sport. Sono davvero pochissimi i ventenni che acquistano un giornale”. Le edicole sono così chiamate a rivedere la propria proposta, ad evolversi per rispondere alle mutate esigenze della clientela: “La crisi dell’editoria e l’allontanamento dalla carta stampata impongono ad ogni imprenditore delle scelte. Il nostro lavoro dà la possibilità – seppure gli spazi di vendita siano generalmente limitati – di introdurre nuovi articoli, allargando e diversificando la proposta commerciale con margini più alti”. Negli ultimi anni le edicole hanno iniziato ad integrare la proposta: “Dal 2009 in edicola riceviamo i pupazzi ed i gadget del momento, dal braccialetto di gomma al giocattolo, che riscuotono sempre un buon successo. Tra i primi articoli che abbiamo iniziato a vendere, con ottimi risultati, ci sono gli occhiali da lettura per presbiopia, il classico oggetto indispensabile che viene sostituito con una certa frequenza. A dicembre abbiamo iniziato la vendita sperimentale di sigarette elettroniche, che in questo momento rappresentano una vera e propria tendenza”. Il gruppo intende leggere le nuove tendenze del mercato ed attrezzarsi per coglierle al meglio: “Il nostro lavoro è fatto di grandi sacrifici e ci impegna dalle 5.30 del mattino alla sera, oltre alla domenica. Vogliamo fare di tutto perché sia valorizzato. Il  nostro Gruppo ha in programma un lavoro di ricerca degli strumenti che ci  possono portare verso quella che per molti versi rappresenta l’evoluzione dell’edicola moderna. Su questo fronte stiamo condividendo un progetto con i distributori locali al fine di sviluppare maggiormente le nostre attività e i nostri servizi. I contatti che ogni giorno stabiliamo sono un patrimonio  che va sfruttato: dobbiamo lavorare maggiormente sulla fidelizzazione della clientela, oltre a cogliere le opportunità offerte da una clientela di passaggio e dai turisti, per cui l’edicola rappresenta spesso un vero punto di informazione ed un primo importante riferimento”.

IL PROBLEMA
Anche le edicole fanno i conti con una contrazione dei consumi senza precedenti. “Bisogna fidelizzare la clientela: consigliare i clienti e proporre loro qualcosa che risponda ai loro desideri”.

IL PROGETTO
Stilare un accordo con i distributori locali per accompagnare le edicole nel loro processo di evoluzione e crescita, attraverso l’ampliamento delle categorie merceologiche in vendita. “Dobbiamo ampliare la nostra proposta e diversificare l’offerta commerciale. Le prime sperimentazioni, a partire dalle sigarette elettroniche, stanno dando soddisfazioni e segnali positivi importanti”.

LA SFIDA
Cambiare l’edicola, trasformando chioschi e rivendite in punti di riferimento per le più svariate esigenze. “Bisogna capitalizzare le migliaia di contatti che ogni giorno riceviamo, dalla richiesta di informazioni all’acquisto del biglietto dell’autobus o del giornale”.

IL NUOVO CONSIGLIO DIRETTIVO
Nel Consiglio, oltre al presidente Marco Paciolla, siedono come vice presidente Roberto Puntorieri, titolare dell’edicola “Il Viale” di Viale Vittorio Emanuele in città e come consiglieri: Nicola Pacifico dell’edicola-tabaccheria del Villaggio degli Sposi a Bergamo e Daliso Falamischia, gestore della rivendita di giornali presente all’aeroporto di Orio.




Il rettore: «Le politiche ingiuste rischiano di rendere vani i nostri sforzi»

di Stefano Paleari*
 
Tre anni or sono, all’inizio del mio mandato, avevo affermato che saremmo andati verso un progressivo ridimensionamento del peso dello Stato nel finanziamento all’Università italiana. Così è stato. Non mi aspettavo, tuttavia, che questo sarebbe avvenuto in modo così rapido e così poco ordinato. Negli ultimi tre anni, infatti, abbiamo assistito a una riduzione nel finanziamento statale all’Università per oltre l’11%. Se altri comparti della spesa pubblica o della spesa amministrata avessero percorso lo stesso cammino, l’Italia sarebbe oggi da tempo ben oltre il pareggio di bilancio. Vi bastino due numeri. Posti a 100 i valori del 2009, la spesa pubblica per la scuola oggi è a 95, quella per l’Università a 89. Tenendo conto dell’inflazione, l’Università che torna a 89 nel 2013 perde, rispetto al 2009, ben 22 punti percentuali. E questo malgrado l’intera spesa corrente pubblica al netto degli interessi sia invece cresciuta di 2 punti. Non solo, questo ripiegamento dello Stato dalla Scuola e dall’Università è coinciso, paradossalmente, con una sua maggiore presenza nei processi decisionali e con un ulteriore appesantimento del quadro normativo. E pensare che la riforma dell’Università doveva proprio servire, lo ribadisce l’articolo 1 della relativa legge, a rivitalizzare l’autonomia in un quadro ovviamente di maggiore responsabilità. I tagli decisi anche per l’anno in corso, consegnano al Governo che verrà un sistema nazionale indebolito e a un bivio drammatico. Anche per la nostra Università gli ultimi sono stati anni veramente difficili; nel 2013 il finanziamento statale ritornerà ai livelli nominali del 2006. Da allora, il grado di copertura dello Stato sulle spese caratteristiche è sceso di ben 17 punti percentuali. Ancora oggi, tuttavia, sono regolati centralmente il  turnover, il livello delle retribuzioni, il quadro generale dell’offerta formativa, le procedure di reclutamento e i meccanismi di funzionamento di tutte le attività. Il risultato finale evidenzia quindi minori risorse e, contemporaneamente, minore autonomia. La nostra Università, che continua ad essere sotto-finanziata rispetto alla media nazionale per una cifra prossima ai 15 milioni di euro all’anno, ha retto solo in virtù di una politica di rigore, dello sforzo di riprogettazione di tutte le iniziative, molte delle quali in condivisione con i soggetti territoriali, e per l’impegno richiesto a tutti i collaboratori e agli studenti. Il limite, tuttavia, è stato raggiunto. Un limite che attiene più ancora alla serietà che ai finanziamenti. Perché la serietà è una forma di rispetto per i cittadini, per gli studenti e per le loro famiglie e per tutti coloro che svolgono il ruolo di civil servant in questo Paese.
Mi permetto di chiedere due sole cose: coerenza e semplicità. Per la coerenza, si abbia il coraggio di dire quanto e come l’Università deve essere finanziata; si provi a prendere un qualunque Paese europeo e lo si assuma come modello, visto che è con l’Europa che ci dobbiamo in primo luogo costantemente confrontare. C’è un’ampia scelta, dal Regno Unito dove le rette per gli studenti sono ora prossime alle 9.000 sterline all’anno, alla Germania, dove l’Università è finanziata dalle Regioni ed è praticamente gratuita per gli
studenti per i quali, tuttavia, esistono ferree regole di accesso e di mantenimento. Oppure, se nessun modello si adatta alla nostra realtà, se ne costruisca uno nuovo che abbia, appunto, il dono della coerenza. Ad esempio si dica con chiarezza che quando lo Stato finanzia meno l’Università, sono alla fine gli studenti e le loro famiglie a pagarne in gran parte il conto. Per la semplicità, il Legislatore si adoperi affinché non si abbia bisogno di interpreti nella lettura delle norme che si chiede di applicare in ogni attività. Si faccia in modo che il nostro tempo sia speso per migliorare la qualità di ciò che diamo ai nostri studenti e la qualità della nostra attività di ricerca, piuttosto che nel
rincorrere rompicapi normativi che la stessa scienza giuridica fatica a interpretare. Vedete, queste cose le affermo più con rammarico che
come forma di rimprovero. Grazie al confronto con altri Paesi e altre Università ho maturato la convinzione del grandissimo potenziale che il nostro Paese possiede in materia di Università. (…). Ecco perché vorrei fare una proposta, una proposta non una provocazione: il nostro Paese per rinascere dovrebbe offrirsi come il terreno per la crescita dei giovani di tutta l’Europa e non solo. Pensate, in Italia le Università dell'Europa; in Italia il luogo d’Europa dove si formano i giovani di tutto il mondo. Sembra una sfida temeraria, lo è, ma se non ci diamo un grande progetto non possiamo pretendere di motivare i nostri giovani. Daremmo un'opportunità di intrapresa e nuova forza alle nostre città; la nostra tradizione non sarebbe più un peso ma una nuova risorsa. Gli esempi della nostra Storia ci inducono a percorrere questa strada. C’è una “comunanza dei destini”, quella che lega l’imprenditore al lavoratore, il medico al paziente, il banchiere ai suoi debitori, l’insegnante ai suoi allievi, chi ha di più a chi ha di meno; su questa “comunanza dei destini” si costruisce il tessuto connettivo di una comunità e anche di una Nazione. Non basta un insieme di contratti ben fatti, serve la consapevolezza dello stesso destino per generare il sentimento fiduciario e la proiezione in avanti di una società. (….) Proviamo oggi a immaginare i nostri prossimi dieci anni. Molte sono le intelligenze che
possiamo mobilitare, già presenti e che dobbiamo convincere ad accompagnarci. Quello che stiamo imparando, osservando le tendenze in atto nella nostra città e sul nostro territorio, è che siamo alla ricerca di un sentiero capace di promuovere nuovo sviluppo e di riconciliare modi di vedere e di essere anche molto diversi. Ognuno di noi è chiamato a esercitare un ruolo e una proposta. Una proposta che non ha paura di essere interessata, nel senso che esprime un genuino interesse. Bergamo ormai da molti anni è una città che vede la presenza dell'Università. Non è però ancora una “città universitaria”, cioè una città che pone anche l'Università al centro dei suoi progetti e che intorno ad essa costruisce una chiara strategia di proposta territoriale. Non possiamo più affidarci al caso, lo sviluppo non è mai né automatico né casuale. Sappiate che l’Università c’è e vuole svolgere la sua parte. L’unico rischio che intravedo è che il protrarsi di politiche ingiuste e inique su scala nazionale verso i sistemi educativi rendano vani i nostri sforzi, quantomeno perché ci costringono costantemente alla trincea (…).

*Dalla relazione del Rettore dell’Università di Bergamo all’inaugurazione dell’Anno Accademico




Pmi, tre mosse per far sbocciare le “invenzioni”

Se l’innovazione è un fattore strategico di competitività, brevetti e marchi sono gli strumenti che permettono di trasformarla in un autentico valore per l’azienda. È su questa considerazione che si basa il nuovo progetto della Camera di Commercio “Tutela e valorizzazione della Proprietà Industriale a supporto dell’innovazione e della competitività delle Mpmi bergamasche”, un percorso che parte a febbraio e durerà 18 mesi, articolato in tre diverse azioni. Si tratta, volendo semplificare, dell’evoluzione dello sportello “Valorizzazione della proprietà intellettuale”, con l’introduzione di interventi mirati di sensibilizzazione e orientamento, di percorsi formativi e il potenziamento dei servizi personalizzati.
La nuova iniziativa può contare sul finanziamento del ministero dello Sviluppo Economico, ottenuto attraverso un bando, e vede confermati gli attori che hanno dato vita alla precedente esperienza: la Camera di Commercio come promotore e finanziatore, l’azienda speciale Bergamo Sviluppo per la realizzazione, il contributo tecnico-scientifico dell’Ufficio Marchi e Brevetti della Camera di Commercio e del Coges, Centro per l'innovazione e la gestione della conoscenza dell’Università di Bergamo, e il raccordo di 14 associazioni di categoria provinciali, tra le quali l’Ascom, chiamate da un lato a raccogliere le esigenze delle aziende, dall’altro a divulgare le opportunità legate alla tutela delle “invenzioni”. Al team già consolidato si aggiungono professionisti esperti in materia di proprietà industriale, che affiancheranno le imprese che già hanno intrapreso un percorso in tal senso. 
Il progetto si rivolge alle piccole e medie realtà, che, a differenza di quelle più grandi, non possono contare su funzioni di ricerca e progettazione strutturate e il più delle volte non riescono perciò a sfruttare appieno i propri punti di forza. «Le piccole imprese hanno sempre fatto innovazione – evidenzia Angelo Carrara, presidente di Bergamo Sviluppo -, ma raramente si sono dedicate a trasformarla in un vantaggio competitivo. Se un tempo si potevano far valere altre prerogative, come i minori costi o la flessibilità, oggi che le occasioni scarseggiano e il mercato è il mondo intero l’unica risorsa rimasta sono le proprie competenze e specificità ed è per questo motivo che è fondamentale codificarle in modo corretto». L’esempio può venire dai Paesi di diritto anglosassone – è stato rilevato nel corso della presentazione – dove la mentalità dell’innovazione e della sua tutela è più sviluppata, anche attraverso un uso più frequente del copyright su innovazioni “minori”. «Le aziende dovrebbero imparare a stendere una sorta di curriculum – prosegue Carrara –, come fanno i giovani, che indicano tutte le loro esperienze, compreso il pony pizza per mantenersi agli studi. Significa identificare le proprie capacità, metterle e sistema e creare una stratificazione. Un’adeguata tutela del patrimonio di competenze facilita anche il mettersi in rete – aggiunge –, altro passo fondamentale per non perdere, a causa delle piccole dimensioni, occasioni importanti».
«Il progetto – spiega Cristiano Arrigoni, direttore di Bergamo Sviluppo – è un ulteriore tassello nell’azione di promozione e supporto all’innovazione che è tra le linee programmatiche dell’Ente camerale. Si tratta di un sistema organico di iniziative e di servizi per rispondere ai diversi bisogni imprenditoriali». Il primo passo è la sensibilizzazione, realizzata attraverso incontri sul territorio (ne sono stati programmati tre), incontri seminariali per fornire le principali conoscenze e metodologie (altri tre interventi) e un servizio di assistenza individuale e di orientamento di primo livello «che darà la possibilità – fa notare il direttore – di trovare in un unico luogo le persone giuste per tutte le informazioni di base». Ad un livello successivo si collocano i percorsi formativi (nei mesi di maggio 2013 e marzo 2014) per favorire la comprensione e la gestione di alcuni aspetti specifici, «su tutti – dice ancora Arrigoni –, secondo quanto emerso dal confronto con le aziende, la valorizzazione commerciale della proprietà industriale e la possibilità di farla valere per facilitare l’accesso al credito». Infine, per le imprese che hanno già consolidato processi di gestione e tutela, è prevista l’assistenza tecnica mirata in diverse aree, per un totale di oltre 600 ore, a partire da febbraio.      
«L’Ufficio brevetti e marchi – ricorda Andrea Vendramin, dirigente delle attività anagrafiche e dei servizi di sistema alle imprese della Camera di Commercio – oltre all’informazione sulla legittimità di compilazione dell’istanza offre un accompagnamento pre e post registrazione. Dall’assistenza nella ricerca sulla brevettabilità e sulle condizioni di novità alla contrattualistica fino al monitoraggio sul deposito di domande potenzialmente concorrenziali. A questo nuovo progetto camerale si affianca, in un reciproco  potenziamento, lo sviluppo del Pip, Patent Information Point, con nuove risorse informatiche, tecnologiche e umane».
«Per il Coges, centro di ricerca dell’Università al quale partecipano un dipartimento del mondo ingegneristico e uno umanistico – afferma la direttrice Caterina Rizzi -, significa proseguire l’esperienza molto positiva intrapresa con lo sportello. Per i nostri ricercatori è fondamentale incontrare e lavorare con le aziende, perché consente di verificare costantemente le metodologie e di aggiornare gli strumenti». Attraverso l’orientamento di primo livello si verifica la brevettabilità o si fanno ricerche ulteriori per sviluppare meglio il prodotto, ma lo scarto fondamentale, secondo la docente, è fornire le conoscenze per fare in modo che le pmi sviluppino in autonomia il percorso. «Perché oltre alla tutela c’è la valorizzazione, ovvero interrogarsi su come possono essere utili e avere un valore aggiunto sul mercato, ed è un’attività che deve essere sistematica. Esistono, ad esempio, motori di ricerca brevettuali free che si può imparare a consultare».