Buoni pasto al collasso, gli esercenti chiedono subito una riforma

L’attuale sistema dei buoni pasto genera una tassa occulta del 30% sul valore di ogni ticket a carico degli esercenti. In pratica, tra commissioni alle società emettitrici e oneri finanziari, i bar, i ristoranti, i supermercati e i centri commerciali perdono 3mila euro ogni 10mila euro di buoni pasto incassati che accettano.

È la denuncia che arriva dalle associazioni di categoria della distribuzione e della ristorazione Fipe Confcommercio, Federdistribuzione, ANCC Coop, ANCD Conad, FIDA e Confesercenti per la prima volta riunite in un tavolo di lavoro congiunto.

Senza correttivi urgenti, a partire dalla revisione del codice degli appalti nella pubblica amministrazione, la stagione dei buoni pasto potrebbe essere destinata a concludersi presto e quasi tre milioni di dipendenti pubblici e privati potrebbero vedersi negata la possibilità di pagare il pranzo o la spesa con i ticket.

La crisi dei buoni pasto è l’effetto delle gare bandite da Consip per la fornitura del servizio alla pubblica amministrazione, che hanno ormai spinto le commissioni al di sopra del 20%. Ecco perché i vertici delle sei associazioni di categoria hanno deciso di scrivere al Ministro dello Sviluppo Economico e al Ministro del Lavoro, sollecitando la revisione del codice degli appalti nella pubblica amministrazione per garantire il rispetto del valore nominale dei buoni pasto lungo tutta la filiera.

Ma le iniziative non si fermano qui. Il tavolo, da un lato promuove una campagna di comunicazione congiunta che interesserà tutti gli esercizi della ristorazione e della distribuzione commerciale, dall’altro ha deciso di avviare un’azione di responsabilità nei confronti di Consip per aver ignorato i campanelli d’allarme in merito alla vicenda Qui!Group, azienda leader dei buoni pasto alla pubblica amministrazione che, dopo essere stata dichiarata fallita a settembre 2018, ha lasciato 325 milioni di euro di debiti, di cui circa 200 milioni nei confronti degli esercizi convenzionati.

Ascom Confcommercio Bergamo si unisce alla richiesta delle sigle nazionali: “Il sistema è al collasso. La filiera è in gravissima difficoltà e sempre più esercenti decidono di non accettarli – commenta il direttore Oscar Fusini -Esiste il rischio che la sostenibilità dei buoni pasto, per chi li accetta, sia possibile solo con una riduzione drastica della qualità del servizio offerto e di conseguenza che possano venire accettati solo in locali dedicati e con qualità inferiore. Il timore è che precipiterà la qualità del servizio e che aumenteranno i prezzi. A danno di tutti: consumatori, lavoratori esercenti”. “Non è possibile che lo Stato sia l’unico a guadagnarci a danno delle imprese e dei lavoratori, se il sistema non cambia è probabile che le imprese più illuminate spostino il benefit dal buono ad altre voci di welfare aziendale”.

Secondo la stima di Ascom tra città e provincia,  le imprese che accettano buoni pasto sono 830: 250 tra ristoranti, trattorie e pizzerie; 110 alimentaristi, distribuzione organizzata e grande distribuzione, 470 bar, caffè e gelaterie. In città, sono interessate 435 imprese, di cui 110 ristoranti trattorie e pizzerie, 65 alimentaristi, distribuzione organizzata e grande distribuzione, 260 bar, caffè e gelatiere.

IL PUNTO

  • Nel 2019 sono stati emessi 500 milioni di buoni pasto per un valore complessivo di 3,2 miliardi di euro.
  • A beneficiarne sono circa 2,8 milioni di lavoratori, di cui 1 milione dipendenti pubblici.

  • Per ciascun buono da 8 euro il bar, il negozio alimentare o il supermercato incassa 6,18 euro. Una volta scalati anche gli oneri finanziari si registra un deprezzamento del 30%: ogni 10mila euro di buoni incassati, gli esercizi convenzionati pagano circa 3mila euro.

  • Il sistema ha mostrato tutte le sue criticità nel 2018 con il fallimento di Qui!Group: 325 milioni di euro di debiti di cui circa 200 milioni nei confronti degli esercizi convenzionati. Da allora il governo non ha dato alcuna risposta concreta.

I NUMERI NAZIONALI

Ogni giorno circa 10 milioni di lavoratori pranzano fuori casa. Di questi, 2,8 milioni sono dotati di buoni pasto e il 64,7% li utilizza come prima forma di pagamento ogni volta che esce dall’ufficio. Complessivamente si stima che nel 2019 siano stati emessi in Italia 500 milioni di buoni pasto, di cui 175 milioni acquistati dalle pubbliche amministrazioni, che li hanno messi a disposizione di 1 milione di lavoratori. In totale, ogni giorno i dipendenti pubblici e privati spendono nei bar, nei ristoranti, nei supermercati i e in tutti gli esercizi convenzionati 13 milioni di euro in buoni pasto.

 

 




Immobili, i diritti e doveri degli agenti nella proposta d’acquisto

Venerdì 7 febbraio Fimaa Bergamo propone il seminario “La proposta d’acquisto: diritti e doveri dell’agente immobiliare nella sua compilazione”, in programma dalle ore 16.30 alle 18 nella sede cittadina di Ascom Confcommercio Bergamo (via Borgo Palazzo 137, Sala Conferenze). L’incontro intende mettere a fuoco, anche attraverso l’illustrazione delle situazioni controverse più frequenti, come concludere nel modo corretto la trattativa di acquisto di immobili, a tutela di entrambe le parti, sia dell’agente immobiliare che dell’acquirente. “L’approfondimento sul momento iniziale della trattativa nasce da una necessità emersa nel corso delle consulenze legali che la nostra associazione assicura agli agenti attraverso uno sportello dedicato- spiega il presidente di Fimaa Bergamo Oscar Caironi-. È utile indicare, anche attraverso l’analisi di casi concreti, le situazioni in cui la provvigione va corrisposta e quelle invece in cui non spetta, a tutela della trasparenza nei confronti del consumatore”.

Il seminario tratterà i seguenti temi: le “dichiarazioni tecniche” del venditore e le verifiche di conformità urbanistica, con Paolo Crippa, architetto. Elena Albricci, responsabile dell’area immobiliare Studio JLC, si concentrerà sulle “dichiarazioni giuridiche” del venditore e i rapporti con il condominio. Luca Baj, avvocato del Foro di Bergamo, Studio JLC affronterà il tema del deposito cauzionale, della caparra confirmatoria, del preliminare e di condizioni sospensive e risolutive per esercitare il diritto alla provvigione. Sara Vetteruti, responsabile litigation Studio JLC, si concentrerà sulle responsabilità del mediatore secondo la giurisprudenza di legittimità. L’incontro sarà moderato da Patrizia Gualdi, vice Presidente Fimaa, agente immobiliare.




Cristian Fagone “La stella? La dedico a mia moglie”

Un ex deposito di autobus, una coppia di sposi nemmeno trentenni e un progetto di vita e lavoro da oggi sotto una buona stella (Michelin). Cristian Fagone, chef bergamasco di Impronte, in Via Baioni, oggi 33enne, è tra le giovani promesse della ristorazione italiana segnalata dalla prestigiosa Guida Rossa. E la sua storia ha il sapore della favola. Con un diploma di geometra in tasca, bussa a 19 anni alla porta di Giancarlo Morelli, al Pomiroeu, a Seregno. Cresce a fianco di Philippe Leveillè, per poi andare a scuola dai fratelli Alajmo.

Dopo dieci stagioni di formazione e gavetta, a 29 anni, decide di mettersi in proprio nella sua Bergamo e la moglie sposa subito il suo progetto, lasciando la carriera nel marketing. Cercano un ex ambiente industriale da ristrutturare in città e in sette mesi di lavoro matto e disperatissimo, tra la concretezza del geometra e la frenesia creativa dello chef, nasce “Impronte”. Un loft dall’arredo minimalista, contraddistinto dal contrasto materico tra legno e acciaio e da una progettazione accurata dell’illuminazione. Qui nascono piatti pronti ad esaltare la materia prima, in un’interpretazione della cucina italiana molto personale e istintiva che- parola dello chef- punta a raccontare una storia e a costruire ricordi.

Dal 7 novembre di quest’anno, a meno di tre anni dall’inaugurazione del locale, è arrivata la prima stella: “È stato un bello choc- racconta Cristian Fagone che si è trovato a gestire duecento telefonate dall’oggi all’indomani-. Avevamo ricevuto l’invito per la cerimonia a Piacenza, ma finché non ho visto la giacca con ricamato il mio nome non ci ho creduto. E sono quasi svenuto per l’emozione”.

A chi dedica questo riconoscimento?

Senza dubbio a mia moglie, Francesca Mauri, che ogni giorno mi affianca in sala al ristorante.

Quanto conta il matrimonio perfetto tra le due anime del ristorante, sala e cucina?

I riflettori sono sempre puntati sulla cucina, ma nessuno chef può portare avanti alcun progetto senza la sala. L’arte dell’accoglienza e della presentazione dei piatti è fondamentale. Ed è in sala che si avverte maggiormente il bisogno di professionisti. Io sono fortunatissimo ad avere mia moglie, che è un portento, oltre che nell’ospitalità, in organizzazione, non a caso è stata responsabile marketing per una grande azienda. E riesce ad essere anche una mamma straordinaria.

Quali sono le cifre distintive della sua cucina?

Amo la cucina italiana con creatività mediterranea e influenze siciliane, terra di mio padre Carmelo, originario di Ramacca, in provincia di Catania. Adoro le note acide e legnose, capaci di amplificare il gusto e rendere più complesso un piatto e mi piace giocare con diverse consistenze e con il contrasto caldo- freddo.

Una sua ricetta emblematica per contrasti e complessità di gusto?

“In fondo al mar” cerca di portare in spiaggia, con una tartare di dentice marinata con limone, mandorla pizzuta di Avola, acciughe, ostriche, lattuga di mare e salicornia.

Quale ingrediente non può mancare nella sua cucina?

Non posso fare a meno di un ottimo olio extravergine, ancora siciliano, il monocultivar Nocellara del Belice.

Quando nasce la sua passione per la cucina?

Da bambino. Mia madre, Nicoletta Terraneo, è un’ottima cuoca e a lei mi rimandano i ricordi delle prime mani in pasta e delle pentole sul fuoco. Ma nella nostra dispensa sono sempre arrivati dalla Sicilia, tanti prodotti eccezionali, dal pomodoro alla ricotta salata, dall’olio alle mandorle.

Il suo non è un percorso canonico. Ha studiato da geometra ma dopo il diploma ha deciso di entrare in una grande cucina, al Pomiroeu…

Non avevo nessuna esperienza, ma tanta passione e voglia di fare. Lo chef Giancarlo Morelli mi ha dato fiducia e l’opportunità di imparare le basi della cucina e di mettermi alla prova con il lavoro di brigata. Sono stato un anno e mezzo nella sua cucina, prima di intraprendere nuove esperienze, a fianco di Philippe Lèveillè al “Miramonti l’altro” di Concesio e da Massimiliano Alajmo a “Le Calandre”, dopo aver frequentato il suo master di Cucina italiana.

Qual è stata l’esperienza più formativa della sua carriera?

Massimiliano Alajmo mi ha insegnato moltissimo, a partire dall’umiltà nell’approccio. E poi il rispetto profondo per la materia prima, che sta sopra a tutto. Ho capito che il mio lavoro l’ho scelto per necessità espressiva, per raccontare emozioni, senza inutili orpelli, ma al servizio degli ingredienti.

Qual è il complimento più grande che le si possa fare per un piatto?

Mi piace salutare sempre i clienti e ricevere il loro parere. Quando mi dicono che ho riacceso in loro un ricordo, capisco di avere fatto un buon lavoro. Perché per me in questo sta il senso del mio lavoro: trasmettere emozioni e ravvivare ricordi. Non c’è emozione più autentica del ricordo.

E il suo ricordo in cucina dove la porta?

Senza dubbio alla mia infanzia. Quante volte ho mangiato la pasta al pomodoro con la ricotta salata? Mi ricorda i pomeriggi d’estate con pentoloni di salsa di pomodoro al fuoco per avere la passata tutto l’inverno, il profumo dei pomodori maturati al sole e del basilico.

Ne è nato un piatto?

In realtà ne sono nati due. Fino a due anni fa proponevo un raviolo ricotta e pomodoro, con un ripieno di riduzione di pomodoro San Marzano, condito con olio, ricotta salata e una granita al limone. Poi in vacanza, in Sicilia, ho assaggiato una pasta alla Norma e così è nato il raviolo alla Norma, con melanzane e una granita al basilico.

Come cambia il suo lavoro da oggi? Quali nuovi progetti ha all’orizzonte?

Il mio progetto resta quello di sempre: fare contenti i miei clienti e continuare a sviluppare l’attività, cercando di innalzare sempre la qualità. Il lavoro non è cambiato ma l’effetto-stella c’è: abbiamo ricevuto tantissime chiamate.

photo di Matteo Zanardi



Non solo Spritz e patatine

Cosa c’è di meglio del gustare un aperitivo in compagnia dei propri amici? Nulla se si pensa che l’happy hour rappresenta uno dei momenti più rilassanti e conviviali della giornata. Ma se siete stufi della solita accoppiata “Spritz e patatine” nessun problema. Oggi l’aperitivo è infatti al centro di nuove tendenze come ci spiega Andrea Villa, barman e titolare del M10 Cafè di Lesmo, in Brianza, e docente dell’Accademia del Gusto.

Quanto è importante rinnovare il momento dell’aperitivo?

È fondamentale perché bisogna uscire dall’idea che l’aperitivo sia un semplice “aprire una bottiglietta di prodotto già fatto” e servire al cliente delle patatine in busta. Il mondo del bar e della miscelazione si sta infatti evolvendo con velocità impressionanti e sta al barista avere voglia e passione di informarsi, seguire corsi, aggiornarsi e, perché no, anche vedere come lavorano i locali di grande tendenza.

Secondo lei c’è un appiattimento dei gusti?

Si ma spesso i clienti ordinano sempre le stesse cose semplicemente perché i baristi offrono le stesse cose. Il nostro è un lavoro bellissimo ma che va fatto con passione, curiosità e grande apertura mentale. È quindi importante uscire dalle mura del proprio bar e rendersi conto che fuori c’è un mondo di tendenze e di consumatori che fanno richieste diverse dai soliti drink e dalle solite pizzette. Aprirsi a nuovi orizzonti, insomma.

Ma come può un barman orientare la scelta?

Con le giuste conoscenze si possono osare sperimentazioni di prodotto e tecniche innovative dietro un banco del bar, anche tradizionale, così come fanno i grandi chef in cucina. Da prodotti e combinazioni giuste nascono infatti nuovi aperitivi accattivanti, sia da un punto di vista visivo (vestito nuovo, nuovi bicchieri etc) sia da un punto di vista gustativo. Non bisogna dimenticare mai il prezzo (food&drink cost, ndr) e nemmeno il fatto che la parola aperitivo, che deriva dal latino aperire, vuol dire aprire lo stomaco per la cena a seguire.

Questo vale anche per il cibo?

Assolutamente sì e occorre invertire la tendenza che vede l’aperitivo diventare una cena a basso costo. Un vassoio curato, magari abbinato a drink particolari avrà sicuramente più effetto di un buffet raffazzonato con prodotti di scarsa qualità. E in ultimo il barman non deve mai dimenticare che il suo lavoro è anche quello di portare gioia al cliente per farlo sentire bene e appagato dall’esperienza aperitivo.

In conclusione: un consiglio per un aperitivo innovativo?

La regola è sempre quella: sperimentare, testare e proporre qualche variazione sul tema. Nel mio locale, ad esempio, propongo l’Americano, il grande classico dei cocktail predinner, aromatizzato al caffè, in pieno stile mixology. È ottimo in accompagnamento ad esempio a un tagliere di formaggi e salumi. L’importante è cercare di variare la carta drink e dare un’immagine innovativa del locale: il tutto per garantire la piena soddisfazione del cliente che non è solo un motivo per essere orgogliosi del proprio lavoro ma è anche una strategia di fidelizzazione in ottica di marketing.

LA RICETTA
AMERICANO AROMATIZZATO AL CAFFÈ

BICCHIERE
4 Tumbler basso

INGREDIENTI
4 cl di Campari aromatizzato con chicchi caffè
4 cl Vermouth rosso
Top Ginger Beer
Ghiaccio

GARNISH
Scorza di limone e fettina di arancia

PROCEDIMENTO
limone.

 




Campagna di Natale, raccolti 55 mila euro per le missioni

E’ di 55 mila euro il ricavato della raccolta fondi promossa da Centro Missionario diocesano, Ascom Confcommercio Bergamo e Websolidale onlus con la campagna di Natale “La stella ci custodisce! In cammini di fraternità”. A cui si aggiungono 5 mila euro, raccolti alla capanna dell’Eco di Bergamo e donati alle scuole dell’infanzia Adasm-Fism. 
Il sodalizio tra la diocesi e il mondo del commercio bergamaschi da quindici anni, durante il periodo natalizio, cerca di aiutare le realtà che vivono situazioni difficili in diverse parti nel mondo con svariate iniziative benefiche promosse in città che coinvolgono anche  scuole e oratori. Quest’anno uno degli appuntamenti più apprezzati è stato il Concerto di Natale nella Basilica di Sant’Alessandro in Colonna, con la regia del Conservatorio di Bergamo.

I contributi raccolti verranno destinati a quattro progetti: circa 6 mila euro sono stati destinati a un un progetto sul lavoro minorile e l’alfabetizzazione in Siria; 15 mila euro a percorsi educativi per contrastare l’arruolamento in Sud Sudan; 15 mila euro per arginare la deforestazione in Amazzonia; e  5 mila euro a Casa Amoris Laetitia, realtà della Fondazione Angelo Custode che ospita bambini con disabilità complesse e in fin di vita. 

 




Fida Confcommercio lancia la app anti-sprechi alimentari

Nel 2019 gli alimenti buttati sono diminuiti del 25% ma si calcola che finiscono nel cestino dei rifiuti prodotti per un valore complessivo di poco meno di 10 miliardi di euro. La lotta allo spreco coinvolge anche i negozi.  Fida Confcommercio ha lanciato una propria campagna contro gli sprechi. Si chiama “Last minute sotto casa” ed è una  app che consente al commerciante che ha in negozio alimenti, anche freschi, in prossimità di scadenza di inviare offerte scontate (dal 40 al 60%,) e al cliente di valutare in tempo reale una possibile spesa al risparmio.
La app è partita in diverse regioni del Nord e in Emilia Romagna ha prodotto una riduzione degli sprechi fino al 20%».

 

 

 
 
 

 




Alberghi. Abusivismo e bando regionale al centro dell’assemblea Ascom

Gli albergatori bergamaschi si confrontano in assemblea mercoledì 5 febbraio, alle 15, in Associazione (sala corsi) per fare il punto sul settore, dall’andamento del comparto alle novità legislative che impattano sulla categoria, dalle iniziative a contrasto dell’abusivismo alla formazione del personale. Nel corso dell’incontro si illustreranno anche le nuove opportunità per le strutture ricettive, a partire dal bando annunciato dalla Regione, che stanzia 17 milioni di euro per promuovere la riqualificazione di alberghi e accogliere al meglio i visitatori internazionali anche in vista delle Olimpiadi.

L’assemblea è un’importante occasione di confronto della categoria su temi cruciali per le nostre attività, in primis sul contrasto all’abusivismo ricettivo e sui risultati del codice identificativo regionale degli immobili (Cir)– commenta il presidente Giovanni Zambonelli, alla guida di Ascom e del Gruppo Albergatori-. Oltre ad analizzare i risultati dell’anno appena chiuso, guarderemo alle iniziative e alle opportunità offerte al settore, ponendo l’attenzione sulla formazione del personale”.

 




Effetto Coronavirus, a Bergamo l’interscambio con la Cina vale 1 miliardo di euro

Sei su dieci si aspettano conseguenze, resta un terzo di ottimisti sul timore che l’emergenza Coronavirus possa incidere sul business dell’impresa in Cina. Fino ad ora non ci sono avvisaglie o contraccolpi negli affari per quasi la metà delle imprese, ma per l’altro 50% le conseguenze, seppur limitate, si fanno sentire. Le informazioni sul virus sono chiare e spesso dirette per uno su tre ma per sei su dieci è ancora presto e bisogna aspettare per capire meglio le conseguenze. Uno su sei ha fonti dirette dalla Cina con cui segue questi aggiornamenti. Circa la metà, se la situazione fosse prolungata, potrebbe avere una riduzione del suo business estero. Lo rileva un’indagine di Promos Italia, l’agenzia nazionale delle Camere di commercio per l’internazionalizzazione, insieme ai numeri della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su oltre 200 imprese già attive sui mercati esteri sentite in questi giorni. “Dalla nostra indagine emerge che alcune conseguenze per il business delle nostre imprese in Cina sono già tangibili – spiega Alessandro Gelli, direttore di Promos Italia, l’agenzia nazionale delle Camere di commercio per l’internazionalizzazione – e che la preoccupazione per l’evoluzione degli affari nei prossimi mesi è alta. La maggioranza delle imprese intervistate, infatti, ritiene che, se la situazione non migliorerà, i rapporti economici con la Cina potranno ridursi. Detto ciò – prosegue Gelli – la maggior parte delle imprese ritiene che le informazioni ad oggi disponibili siano ancora troppo frammentarie e confuse per poter calcolare con chiarezza le ricadute che questa emergenza avrà sui loro affari nel breve-medio periodo, ma al contempo questa incertezza genera inevitabile preoccupazione”.

È di oltre 13 miliardi in nove mesi l’interscambio lombardo con la Cina sui 34 miliardi italiani. La Lombardia rappresenta infatti più di un terzo del totale nazionale (38,7%). L’import da solo vale circa 10 miliardi sui 24 nazionali (41%) e l’export 3 miliardi su 9 (33%). Le importazioni sono in crescita sia in Lombardia (+2,2%) che in Italia (+5,4%). In flessione l’export che consiste soprattutto in macchinari ma aumenta a livello regionale quello di prodotti alimentari (+8,6%), articoli farmaceutici (+5,5%) e abbigliamento (+4,2%) mentre a livello nazionale bene i prodotti farmaceutici (+11,8%) e i tessili (+5,2%). L’import lombardo privilegia l’elettronica (27,3% del totale), l’abbigliamento (12,6%) e gli apparecchi elettrici (11,2%), quello italiano il tessile (20%). Dopo la Lombardia le regioni più attive nell’interscambio sono Veneto ed Emilia Romagna (13% circa del totale) mentre Milano spicca tra le province con 6,4 miliardi di scambi (+3,6%, 4,7 di import e 1,7 di export). È seguita da Torino con 1,6 miliardi e da Lodi con 1,4 miliardi. Superano il miliardo anche Bologna, Bergamo, Napoli e Treviso. Tra le prime 20 anche le lombarde Monza Brianza, Brescia, Varese, Como e Mantova. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi e di Promos Italia, la struttura del sistema camerale a supporto dell’internazionalizzazione su dati Istat a settembre 2019 e 2018.

Se ci sono intoppi nel business con la Cina è consigliabile la mediazione, la Camera di commercio ha un centro specializzato. Per incentivare, consolidare i rapporti tra imprese italiane e cinesi e, soprattutto, per risolvere velocemente le controversie, evitando lentezze burocratiche e tenendo nel giusto conto le differenze culturali, è attivo dal 2005 il Centro ICBMC- Mediazione Italia Cina (Italy China Business Mediation Centre), un centro dalla doppia nazionalità, perché gestito per l’Italia dalla Camera Arbitrale di Milano e per la Cina dal Centro di mediazione del CCPIT di Pechino. Sono 100 le mediazioni fino ad oggi gestite tra imprese italiane e cinesi, in tempi rapidi, per controversie di diverso valore economico, da valori più bassi a fino ad arrivare a cause di 40 milioni. Il centro è un luogo neutrale in cui il mediatore, formato ad hoc, nella gestione di contenziosi commerciali italo-cinesi, aiuta le parti a dialogare, nella massima riservatezza. Perché la mediazione con la Cina? Nei rapporti tra imprese italiane e cinesi è sempre consigliabile inserire una clausola che preveda in caso di liti il ricorso alla mediazione perché andare in giudizio in Italia o in Cina potrebbe non risolvere il problema. Potrebbe essere difficoltoso andare a chiedere l’esecuzione di una sentenza di un tribunale italiano o intentare una causa in una sperduta città cinese. Il ricorso alla mediazione, a differenza del giudizio davanti al giudice, serve a mantenere i buoni rapporti commerciali con le imprese e partner cinesi.




Auto elettrica, tra luci, ombre e disinformazione

E’ un mercato dell’auto elettrica tra luci e ombre quello che emerge dal convegno dello scorso 27 gennaio in Ascom dal titolo: “Auto elettrica: vantaggi da subito. Bergamo si prepara alla nuova mobilità”,  che ha decretato la crescita delle immatricolazioni di auto ibride del 17,7% ed elettriche del 239,20% tra il 2018 e il 2019. Con l’annuncio che non dovrebbero tardare i nuovi contributi regionali,  la crescita potrebbe proseguire. Insomma buone notizie che possono favorire la scelta del mezzo elettrico grazie alla somma dei diversi contributi e bonus stabiliti dai diversi enti pubblici.

C’è grande attenzione sul tema dell’auto elettrica ed anche forte curiosità. D’altronde nell’area padana il periodo è il peggiore per la qualità dell’aria, mentre i blocchi del traffico creano apprensione. Il settore dell’auto pesa sul PIL e le ricadute non sono solo economiche ma ambientali, sulla salute delle persone e sulla qualità della vita.

Eppure sull’auto c’è altrettanta disinformazione per non dire pregiudizio. Dietro le “quattro ruote” c’è da sempre una carica ideologica perché l’auto rappresenta lo status symbol per eccellenza, con il retro-pensiero (vecchio) che il povero possa permettersi solo il mezzo pubblico mentre il ricco mezzi privati e costosi.

In questi anni il settore è stato penalizzato da una pressione fiscale e da campagne contrarie che hanno ridotto sensibilmente i numeri di un comparto che offre lavoro a molti. Il numero dei mezzi acquistati ne ha risentito ed ancora di più i valori delle vendite. L’ultima Legge di bilancio con la penalizzazione delle flotte aziendali e la campagna stampa conseguenti sono stati l’ennesimo esempio negativo.

Negli ultimi anni la battaglia a favore dell’ambiente, almeno da parte di molti, è stata spesso più di slogan che di reale informazione. Il diesel è bandito. Roma è l’esempio recente più eclatante di demagogia al servizio della politica.

Nella nostra Provincia il calo registrato delle vendite delle auto diesel tra il 2018 e il 2019 è del 28,3%. Ben 3.407 auto in meno a gasolio contro 2.996 auto in più a benzina e 122 (da 51 a 173) di auto elettriche. Allora la prima domanda è d’obbligo. Siamo certi che vendere auto a benzina anziché a gasolio sia la soluzione del problema?

Inoltre riteniamo che il profilo degli acquirenti di un auto elettrica sia elitario. Perché i costi di acquisto, al netto degli incentivi sono ancora troppo alti. Da un punto di vista sociale la nuova mobilità abbatte quindi i divari o li acuisce?

Eppure dal circolo non si esce. Le scelte politiche collegate all’auto sono spesso incongruenti con accelerazioni e brusche frenate in una direzione e nell’altra. Non è un caso che in Italia solo il 4,8% delle nuove auto vendute siano elettriche o ibride contro il 60,1% della Norvegia, il 14,5% della Finlandia, il 13,8% della Svezia e l’11,3% dell’Olanda.

Gli incentivi (limitati) da soli non bastano. Occorre agire su iniziative di valore culturale e su proposte semplici che cerchino di cambiare gli stili di vita delle persone, da noi ancora troppo basate solo sulla mobilità con l’auto. Le nostre città sono paralizzate dal traffico di automobili con una sola persona a bordo.

La nostra posizione è per una politica di equilibrio. Il nostro futuro si giocherà molto sulla qualità della vita nei centri urbani. Le città dovranno essere più belle, sicure e pulite. L’aria è determinante. Per il turismo poi il fattore sarà decisivo.

Allo stesso tempo non possiamo buttare la mobilità senza avere oggi una reale e concreta alternativa. Per le imprese non è pensabile sostituire in toto i loro mezzi senza certezza di ritorno dell’investimento. Le merci devono essere consegnate. Le persone devono poter andare a lavorare. Infine un settore così importante per l’economia come quello dell’auto non va abbattuto con l’incertezza e la demonizzazione.

Serve la consapevolezza e la pazienza che sulla mobilità elettrica siamo all’inizio. E’ un passo in avanti in una strada che sarà lunga e in salita. Per cambiare un parco auto, che in Italia è di 36 milioni di mezzi, serviranno molti anni e forti investimenti. Non meno di vent’anni passando probabilmente per l’auto ibrida e forse anche attraverso l’arrivo delle auto a idrogeno.

Sarà comunque importante arrivarci il prima possibile e ciascuno dovrà fare la sua parte.

 

 




Per aiutare gli operatori della filiera alimentare nasce Confali

La filiera agroalimentare ha una nuova voce in Confcommercio. Si chiama Confali “Alimentare, Insieme” il nuovo organismo di coordinamento della filiera agroalimentare di Confcommercio presentato a Roma alla presenza di esponenti del governo e della politica e di rappresentanti delle organizzazioni di categoria e delle imprese del settore. Confali unisce le sette Federazioni nazionali di categoria del comparto agroalimentare già presenti in Confcommercio: Assipan (Associazione Italiana Panificatori), Assocaseari (operatori settore lattiero-caseario), Confida (distribuzione automatica di cibi e bevande), Fedagromercati (operatori all’ingrosso agro-floro-ittico-alimentari), Federgrossisti (commercio all’ingrosso dei prodotti alimentari non deperibili), Fida (Federazione Italiana Dettaglianti dell’Alimentazione) e Uniceb (Unione degli Importatori ed Esportatori Industriali, dei Commissionari, dei Grossisti, Ingrassatori, Macellatori e Spedizionieri di Carni, Bestiame e prodotti derivati). Un coordinamento che conta, complessivamente, 65mila imprese associate, per un totale di circa 400mila addetti e un fatturato complessivo di oltre 51 miliardi, attraverso il quale Confali salda la rappresentanza del settore agroalimentare in un’unica grande organizzazione per dare più forza al dialogo con la politica e le istituzioni e informare il mercato e i consumatori secondo principi di correttezza, trasparenza e verità.

Per Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio e coordinatrice di Confali “è di fondamentale importanza, per la nostra Confederazione la nascita di un soggetto che racchiuda in sé tutta la filiera alimentare nella sua complessità, veicolando l’unitarietà e la complessità del settore, troppo spesso gestito a compartimenti stagni. Siamo convinti che si tratti di un cambio di visione strategico, non solo per le aziende rappresentate, ma anche per i nostri interlocutori istituzionali”.

Tra gli obiettivi del nuovo organismo: garantire la serietà e la solidità della filiera agroalimentare italiana; proporre temi ecosistemici, anche di interesse internazionale, quali la sostenibilità ambientale, il benessere animale e la biodiversità; sostenere il Sistema Italia garantendo, attraverso le sue imprese associate e i suoi imprenditori, un’equa gestione dei territori e il rilancio e lo sviluppo delle zone rurali; negoziare, a livello nazionale e internazionale, le politiche dei prezzi, la politica fiscale e del lavoro, la politica dei trasporti e della logistica; sostenere la qualità, la sicurezza alimentare e il prezzo per il consumatore finale; progettare e realizzare attività di formazione per gli operatori.