La parola d’ordine è sempre e solo “chiudere”. Ma così si dà il colpo di grazia alle nostre imprese

Il fine settimana è stato attraversato da due novità drammatiche e rilevanti. Emerse peraltro in giorni nei quali la nostra Associazione ha lanciato la campagna social “Il Futuro non (si) chiude”, che rappresenta il grido d’allarme per la situazione drammatica che le imprese del commercio stanno vivendo in questo delicato momento storico. Quello che sta avvenendo è la persecuzione, nel nome del contrasto alla pandemia, di un modello di pluralismo imprenditoriale e distributivo che tiene insieme tradizione e innovazione, imprese familiari e società di capitali, persone e territori. Attività che esprimono quell’economia della “socialità” che è il tratto distintivo del “made in Italy”, e che assicurano vivibilità e qualità della vita nelle nostre città e nei centri storici.

Ma è anche un accanimento, perché le notizie picchiano duro e sempre in un’unica direzione. La prima è la conferma dell’area rossa in Lombardia che ha vanificato qualsiasi aspettativa per la settimana pre pasquale del commercio non alimentare. Complice anche le positive condizioni climatiche che potevano offrire un aiuto ai molti negozi di abbigliamento, calzature, gioiellerie. Una perdita di fatturato stimata, secondo i dati elaborati dalla nostra Associazione, in circa 85 milioni di euro, per esercizi considerati dal Governo (non da noi e nemmeno dalla gente comune) non di prima necessità.
La maggior parte di queste vendite si canalizzeranno ancora verso il commercio elettronico con pochissime ricadute sul territorio e nessuna sulla vita dei centri storici. Un colpo tremendo ma non il peggiore perché ce lo attendavamo, considerato che da giorni le anticipazioni sull’andamento della pandemia lasciavano presagire il peggio.

L’altra novità deleteria è l’anticipazione sul proseguimento per l’intero mese di aprile della chiusura delle attività commerciali. Su due piedi è ancora impossibile stabilirne la ricaduta economica e speriamo che, come poi verificatosi in Germania, si possa tornare indietro rispetto agli annunci.
Ad ogni modo la comunicazione è stata devastante da un punto di vista morale. Un colpo pesante, forse “di grazia” verso l’istinto di sopravvivenza dei migliaia di imprenditori coinvolti che stanno pagando un prezzo assurdo e spropositato verso il contrasto alla pandemia. Le reazioni delle persone coinvolte, imprenditori ma anche lavoratori, non mancano: un mix di depressione, rassegnazione e si avverte persino l’aumento della rabbia sociale. Come è possibile tenere chiusi i negozi e vuoti i ristoranti quando gli assembramenti sono frequenti e dappertutto? Perché devono pagare solo alcuni?

Queste dichiarazioni sul prolungamento sono un grave errore del Governo e del Premier Draghi. Quando il Ministro della Salute interviene sui giornali racconta le sue ragioni (che riconosciamo come valide), senza però dare spazio al contraddittorio o alla sintesi di chi rappresenta anche altri interessi. Speranza non offre mai soluzioni a problemi che affliggono milioni di italiani. La parola d’ordine è “chiudere e basta”. Come se non costasse niente a nessuno. E quando vuole essere più gentile chiede un ulteriore sforzo come se fossimo sempre e solo all’inizio, e come se questo passo fosse realmente ancora sostenibile.

Ci aspettavano molto da questo nuovo Governo e dal suo presidente del consiglio e sapevamo che Draghi non potesse fare miracoli ma pensavamo che fosse più capace, rispetto al precedente, di trovare un equilibrio tra i delicati interessi in gioco. E che potesse assumersi maggiori responsabilità nell’affermare che anche questa economia, che è parte integrante del sistema Paese, è fondamentale per l’Italia e gli italiani. Invece, constatiamo che non c’è alcuna reale protezione degli interessi in gioco, né volontà e né capacità di trovare strade nuove rispetto a prima. Chiusura ad oltranza, contributi irrisori e annunci clamorosi. Mentre una parte di italiani affronta la seconda e personale tragedia di questa pandemia.

 




Amazon sbarca anche a Cividate al Piano: “Siamo esterrefatti dei proclami trionfalistici del Sindaco”

“Come Associazione siamo esterrefatti dei proclami trionfalistici per il nuovo insediamento logistico di Amazon nella Bassa. Ce li saremmo aspettati dal rappresentante della multinazionale ma non dal Sindaco di Cividate al Piano, che dovrebbe essere più cauto nell’annunciare i vantaggi di questo nuovo polo logistico targato Amazon. Certamente, con il buco delle leggi attuali e l’assenza di programmazione, chiunque può oggi insediarsi dove e come vuole con vantaggi economici solo per lui, privato, e per il Comune in cui avviene l’ubicazione, mentre tutte le altre comunità limitrofe si accollano gli svantaggi economici, ambientali e sociali  La cosa più imbarazzante di tutto ciò è l’utilizzo strumentale nella comunicazione dei 900 nuovi posti di lavoro che il polo logistico creerà nei prossimi anni. Un “annuncio per i grulli” come direbbero in Toscana.

In primo luogo,  sarebbe opportuno interrogarsi su quanti posti questo polo brucerà nella nostra provincia. Inoltre, dovremmo anche chiederci quale qualità dei posti di lavoro vogliamo per i nostri figli. Ben documentati, dubitiamo infatti che con la qualità di quei posti i bergamaschi potranno condurre una vita felice e, soprattutto, come sostiene il Sindaco di Cividate, guadagnarsi le risorse per comprarsi una casa.

C’è poi la questione dell’impatto viabilistico e dell’inquinamento ambientale come rovescio della medaglia rispetto ai vantaggi che il nuovo polo Amazon porterà ai cittadini di Cividate e dei paesi contigui: Quello che il Comune introiterà dall’ennesimo ennesimo investimento di una multinazionale straniera sarà scaricato sui costi di sostegno del reddito e sui servizi sociali delle comunità, perché i guadagni dei grandi colossi non si fermano mai nei territorio. Il futuro lo stiamo scrivendo oggi per le generazioni che verranno. L’appello che ci deve accomunare tutti è quindi di alzare il nostro senso di responsabilità”.

 




Zona arancione? Cambiamo strategia. Riapriamo i ristoranti di sera per ridurre gli assembramenti

Stiamo per tingerci nuovamente di arancione e anche questa volta non sarà uno scherzo. Se la questione sembra non far più notizia l’incubo per il commercio ritorna. Per bar e ristoranti torna il dramma della chiusura mentre la ridotta mobilità colpirà tutto il commercio. Peraltro la pandemia si mangerà la seconda Pasqua dopo quella dell’anno scorso e, speriamo di no, tutto il mercato degli eventi religiosi in programma in primavera.

La nuova ondata della pandemia, la terza, ci sta riportando indietro alle settimane terribili di ottobre dove molte persone si sono ammalate e gli ospedali sono andati in affanno. Non nascondiamo la gravità della situazione e anzi ne siamo preoccupati. La pandemia purtroppo non si è mai fermata da oltre un anno e il virus ha continuato a circolare mentre le misure restrittive sono state pesanti. Dall’inizio di questa brutta vicenda e nemmeno dopo oltre un anno siamo riusciti ad elaborare una strategia che consenta di evitare queste continue chiusure con un sistema che possa assicurare il contrasto alla pandemia con la possibilità del lavoro delle imprese e degli addetti.

Non si può accettare il concetto che queste attività, per loro natura, producono occasioni di uscita e assembramenti e quindi devono essere chiuse, perché parte dal concetto che uno Stato di diritto, non potendo far rispettare una legge, ne crea un’altra più pesante che è certo di far rispettare. È come se per evitare che la gente passi con il semaforo rosso si impedisse di utilizzare l’automobile!

Nella realtà qualcosa di diverso e di nuovo esiste in questa questione. Ed è stata l’occasione per Fipe, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, di incontrare il nuovo Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, per sottoporre la questione della revisione delle norme relative alle zone gialle e arancioni. La posizione è stata sintetizzata in un documento ufficiale del 23 febbraio scorso, quando ancora c’erano speranze di poter rivedere l’impianto del Dpcm per alleggerire le chiusure serali.

In queste settimane la chiusura serale dei pubblici esercizi e dei ristoranti ha portato ad un fenomeno in tutta Italia di “mala movida” che ha creato assembramenti di persone che consumavano per strada e in gruppo. Sebbene la cosa fosse vietata, i capannelli erano talmente tanti e numerosi che non è possibile controllarli ed evitarli. Questa novità ha messo in luce la necessità di un cambiamento. Non si può impedire un servizio controllato e sicuro, come da linee guida, nei bar e ristoranti per favorirne uno caotico e pericoloso per strada. L’arrivo della bella stagione enfatizzerà questo problema.

Occorre quindi che il Comitato Tecnico Scientifico del Governo prenda in considerazione un cambio radicale della strategia. Consentire il consumo al tavolo in bar e ristoranti vietando ogni tipo di asporto di bevande potrebbe favorire un consumo ordinato riducendo gli assembramenti esterni che potrebbero e dovrebbero essere puniti.
Questa è la nostra proposta che speriamo diventi propria di molti altri soggetti coinvolti, Sindaci e Prefetti. Questa sarebbe il reale cambiamento per far convivere salute e lavoro e per offrire una possibilità di sopravvivenza a migliaia di imprese sull’orlo del baratro.

 




A Bergamo non servono nuovi alberghi. L’offerta ricettiva basta a soddisfare le stime di crescita

A Bergamo non servono nuovi alberghi. Non lo diciamo certo per difendere interessi corporativi, ma perché il problema è evidente e sono i numeri del turismo a dirlo. Devono ascoltare e capirlo i potenziali investitori. Togliersi cioè dall’immaginario dell’onda lunga di Expo 2015 (che è finito 6 anni fa) e dall’idea che l’aeroporto di Bergamo possa crescere all’infinito. Questo sta creando un sovradimensionamento dell’offerta di stanze che pagheranno dazio. Bergamo è Bergamo e non è Venezia.

Quelli più vecchi di me ricordano l’effetto dei mondiali ’90 che portarono a Milano alla chiusura degli alberghi nei dieci anni successivi alla fine del mondiale di calcio. I nuovi insediamenti alberghieri della Grumellina e di via Autostrada che congiuntamente al nuovo albergo all’aeroporto, all’ospedale al Chorus life e in via Pignolo porteranno a un quasi raddoppio delle stanze nei prossimi cinque anni.

Abbiamo già detto che l’amministrazione comunale di Bergamo non ha alcuna responsabilità in questi progetti che derivano da vecchie autorizzazioni o da progetti di privati già autorizzati. Non deve però minimizzare il problema che esiste ed è reale perché l’epilogo l’abbiamo già visto nel nostro territorio sia sulle montagne sia sul lago. Di eccesso di offerta muoiono le strutture ricettive e le località nelle quali sono inserite.

L’investimento per un nuovo albergo, di solito notevole, richiede un lauto canone d’affitto a carico del futuro gestore. I ricavi dell’albergatore derivano dal numero di stanze occupate (tasso di occupazione) per la tariffa media. Sui prezzi della stanza d’albergo a Bergamo non aggiungeremo altro nel dire che sono statici da molti anni e che già questo costituisce un annoso problema di remunerazione degli investimenti. Ora però incombe quello più grave del calo dell’occupazione.

I dati sul turismo della città e dell’hinterland mostrano una crescita negli ultimi anni. A crescere però non sono i dati delle presenze alberghiere ma solo quelli dell’extralberghiero. Nei prossimi anni ci attendiamo che i flussi turistici tornino ai livelli di crescita pre-Covid ma aumenterà il turismo leisure e diminuirà il segmento business, che soffrirà dei cambiamenti intervenuti con lo smart working. In questo modo guadagneranno ancora presenze l’extralberghiero, mentre perderà il turismo negli alberghi. Inoltre, nel leisure la stagionalità non aiuterà, in quanto è solita concentrarsi solo in pochi periodi dell’anno e nel fine settimana (a differenza del turismo professionale che è continuo e occupa cinque giorni la settimana).

I dati pubblicati negli osservatori del Turismo della Provincia di Bergamo evidenziano che il tasso dei posti letto negli alberghi ha perso quasi tre punti percentuali negli ultimi tre anni scendendo dal 52,4% al 48,6%. In questo modo, confidando nel recupero delle presenze in tempi ragionevoli, diciamo con il 2023 dovremo tenere conto che nei prossimi 5 anni arriveranno non meno di 500 nuove stanze d’albergo a Bergamo e hinterland.

Il risultato atteso sarà di una diminuzione di altri 5 punti percentuali di presenze di occupazione media. Solo con una crescita potenziale tra il 15% e il 20% delle presenze sarà possibile mantenere le già magre ma sostenibili posizioni attuali. Difficile realmente raggiungere questi risultati. Giusto dirlo perché chi vuole investire lo sappia. I nuovi alberghi non andranno facilmente a regime mentre ci potranno essere altre chiusure eccellenti.