La Confraternita di San Lucio apre le porte al “Re del Taleggio”

Confraternita San Lucio -Intronizzazione ritSan Lucio, protettore dei casari di tutto l’arco alpino e dei “formaggiai” di molte città del Nord Italia, dona anche il nome alla Confraternita fondata a Piacenza da poco più di un anno e che riunisce “per chiamata” (come nei club di servizio, Rotary, Lions, etc) tutte quelle figure (allevatori, produttori, affinatori, critici, giornalisti, distributori) che si sono distinte in campo caseario a livello nazionale.

Il club non è altro che una “costola” dell’associazione fondata in Francia nel 1969 dal mitico Pierre Androuet, conosciuto anche come il “Papa del formaggio”, che ne è stato anche il presidente fino al 1992, quando il suo posto è stato preso dal collega e connazionale Roland Barthelemy.

Della “casa madre” facevano già parte due bergamaschi: Giulio Signorelli “Ol Formager” e Bruno Gritti, l’inventore del Blu di Bufala.

La denominazione originaria è la “Guilde des fromagers – Confrerie de Saint Uguzon” (Sant’Uguccione è il nome francese di San Lucio) che tiene i suoi capitoli periodicamente un po’ in tutte le regioni della pianura padana. Tra i “confratelli” più recenti è entrato a far parte del capitolo italiano, nell’ultima conviviale tenutasi in provincia di Reggio Emilia, il bergamasco Massimo Taddei, titolare con la moglie Camilla dell’omonima azienda di Fornovo San Giovanni e presentato nell’occasione come il Re del Taleggio (Raspelli docet), fresco di doppia affermazione all’Alma Caseus durante il Cibus, a Parma, e al CaseoArt a Pandino con due dei suoi “campioni”.

confraternita san lucio - gonfaloneLa Gilda Internazionale è presente in 33 Paesi, tra cui una dozzina di nazioni europee, ma c’è anche in Russia, Stati Uniti d’America, Canada, Australia e Giappone, oltre ad alcuni Paesi Latino Americani. «In questa logica di crescita, non poteva mancare l’Italia – dichiara Hervé Davoine, presidente della Confraternita italiana di San Lucio – e gli italiani che credono nella Confraternita come strumento di valorizzazione culturale di tutta la filiera del latte potranno, una volta “intronizzati”, dare il loro contributo alla causa».

Davoine, che alla vicepresidenza, oltre a Anna Maria Sepertino, ha voluto anche uno dei massimi esperti italiani come Vincenzo Bozzetti, cremonese, molto noto anche in Bergamasca, spiega che «l’associazione è in rapida crescita: anche in quest’ultimo incontro sono entrati a farne parte una decina di nuovi soci, che individuiamo in tutta la filiera, dagli operatori professionali ai casari, ai tecnici della filiera latte, agli stagionatori, agli addetti alla vendita».

Il presidente Davoine ha un obiettivo: «Ci piacerebbe che l’immagine del comparto caseario crescesse in Italia come meritano i numeri della sua economia. In Francia l’uomo dei formaggi è riconosciuto come artigiano di alto profilo: ci sono corsi, scuole, diplomi, concorsi. È un mestiere nobile, che attira molti giovani: lavoriamo per far crescere anche in Italia la reputazione come merita».

In tanti si sono stretti attorno a Taddei nella riuscita serata reggiana dell’“intronizzazione” a Castelnuovo di Sotto: tra i primi Vittorio Emanuele Pisani, storico direttore del consorzio Taleggio prima e attualmente del Provolone Valpadana, anch’egli in Confraternita da qualche mese. Tra i nuovi confratelli anche Libero Stradiotti, presidente del Consorzio Provolone Valpadana Dop. «Questo mio ingresso nella Confraternita – ha spiegato il titolare dell’azienda di Fornovo -, oltre ad essere un grande privilegio, è il miglior riconoscimento al lavoro fin qui svolto, sia nel mio caseificio dove cerco di salvaguardare e riproporre i formaggi della tradizione bergamasca, spesso dimenticati, sia in ambito istituzionale dove in passato mi sono reso parte attiva alla fondazione di due Dop, Quartirolo Lombardo e Salva Cremasco. Ma in particolare un pensiero lo rivolgo al mondo del Taleggio Dop di cui sono stato per quasi 20 anni vicepresidente, presidente fino al 2014 ed attualmente ancora consigliere».

Camilla e Massimo Taddei
Massimo e Camilla Taddei

L’azienda ha superato da tempo il secolo di vita: è stata fondata dal bisnonno di Massimo, Giandomenico, nel 1885, ed è stata tra le festeggiate da Tuttofood il mese scorso con una serata di gala speciale in onore di tutte le sue aderenti “centenarie” a Villa Reale a Monza.

Anche Taddei ha le idee chiare per cercare di incoraggiare la cultura casearia in Italia: «Penso sia fondamentale tornare a spiegare alla gente come si fa e che cosa è il formaggio: l’ho notato anche in alcuni incontri onlus (come quello con l’università della terza età) dove sono stato invitato per parlare delle origini e delle principali differenze delle produzioni casearie. Quando si apre la discussione ci si accorge di come oggi siamo bombardati tutti i giorni da “teorie” alimentari che spesso non hanno nessuna “pratica”, ma creano solo confusione e falsi allarmismi. Fare invece della comunicazione corretta, spiegando le qualità dei nostri campioni caseari è la chiave per fidelizzare i consumatori».

C’è poi un aspetto, che vede Massimo con la moglie Camilla da sempre in prima linea: valorizzare il primato caseario di Bergamo in Italia, prima di tutto sul fronte Dop, ma non solo. Qualcosa si è fatto durante l’Expo con il progetto “Forme”, da tre anni la Casa degli Alti Formaggi di Treviglio consolida una divulgazione esemplare, ma le potenzialità per spingersi ancora oltre ci sarebbero. «A patto che – sottolinea Taddei – si trovi finalmente il giusto equilibrio “geografico”, eliminando quella ormai obsoleta diatriba tra i produttori di montagna e pianura. Solo allora si potranno organizzare manifestazioni magari legate alla bellezza monumentale della nostra città, chiedendo anche l’impegno dell’amministrazione pubblica ad investire nel comparto, dove, oltre alle Dop, ci sono produzioni casearie di grande tradizione. Questo porterebbe alla valorizzazione del territorio esaltando anche le risorse umane della filiera, dagli allevatori ai casari, dai produttori agli affinatori, che in provincia sono di assoluta eccellenza».




Riva di Solto, ecco la sagra che esalta il pesce di lago

riva di solto menù del pescatore

La Sagra del pesce di Riva di Solto torna nell’area feste Giardino della Doana dal primo al 3 luglio. La manifestazione è arrivata alle 21esima edizione e si caratterizza da sempre per una precisa scelta di qualità e tipicità dei piatti.

riva di solto - area sagra pesceIn tavola arriva infatti solo il prodotto fresco dello storico pescatore della sponda bergamasca del Sebino, in un menù che negli anni si è arricchito di gusto e creatività. Accanto ai più tradizionali pesci al forno ripieni o al gettonatissimo menù del pescatore (che comprende bruschetta con olio locale, un piatto misto di pesce di lago con trota marinata, tinca fritta, pesce sottolio alla griglia, sardina fresca alla griglia, polenta, oltre a patatine fritte e formaggio) si sono aggiunti, ad esempio, le bavette al coregone, i fusilli alle sarde e i filetti di persico dorati, per accontentare anche i palati più curiosi.

A dare un tocco in più è la posizione suggestiva, affacciata sul lago, che ne ha fatto un evento di richiamo non solo sulle province di Bergamo e Brescia, ma anche di Milano. Quest’anno purtroppo non sarà così facile raggiungerla, a causa della frana sulla litoranea da Sarnico che continua a rendere inagibile il tratto alle auto. La zona può quindi essere raggiunta da Solto Collina o da Lovere.

La sagra si caratterizza anche per il grande coinvolgimento. Nata con l’obiettivo di raccogliere fondi per le squadre di calcio del paese, ha continuato a destinare i proventi in beneficenza e mobilita ad ogni edizione più di cento volontari, in gran parte giovani, che, cosa davvero insolita, «non occorre sollecitare, ci chiamano loro per lavorare – dice Daniela Negrinelli, componente del direttivo del comitato organizzatore – perché è in fondo un grande divertimento per tutti».

gruppo riva di solto




Festambientelaghi, a Castro torna la sagra gourmet

LegambienteCastro2015-07-01-193LegambienteCastro2015-07-01-191Ritorna a Castro Festambientelaghi, la sagra promossa ogni inizio estate da Legambiente Alto Sebino che porta in piazza i piatti gourmet. L’appuntamento è da questa sera (mercoledì 29 giugno) a domenica 3 luglio all’area feste sul lungolago.

La rassegna è una proposta unica nel panorama delle sagre bergamasche. Nel menù non si trovano i classici casoncelli, formaggi fusi e salamelle, ma piatti ricercati, preparati con materie prime di qualità e secondo procedimenti attenti alla salute, presentati con la cura di un ristorante stellato. Con due benefici: un conto contenuto e lo scenario suggestivo del lago.

Da non perdere gli gnocchi di zucca in bottarga di lago, il filetto di coregone gratinato in passerella (omaggio alla installazione di Christo che fino al 3 luglio collegherà Monteisola alla terraferma), l’anguilla di nonna Agnese, le grigliate, i taglieri di formaggi della Val Palot e della Val Camonica e la pagnottina di Castro. Per vegetariani e vegani il menù offre tante proposte a partire dai maccheroni monococco con bietole pungenti e la cipollata stufata. E per chi desidera fare un aperitivo o una cena veloce c’è una ricca lista con proposte di street food.

lo chef Dario Tagliasacchi
lo chef Dario Tagliasacchi

A corredo della proposta enogastronomica sono previste passeggiate e visite guidate al Parco della gola del Tinazzo, laboratori ecologici per i bambini e incontri tematici.

Anche quest’anno la rassegna conferma la sua attenzione per la solidarietà rinnovando il sostegno alla Associazione Angelman, onlus bergamasche che raccoglie fondi per sostenere la ricerca scientifica sulla Sindrome di Angelman. Per ogni commensale 1 euro del coperto verrà destinato a finanziare la borsa di studio di una giovane ricercatrice bergamasca all’Erasmus MC di Rotterdam in Olanda.

Per maggiori informazioni: www.legambientealtosebino.org

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Bergamo vista da Gualtiero Marchesi. Peccato che i formaggi siano camuni

marchesi mazzola
Un fermo immagine del video che racconta l’itinerario di Gulatiero Marchesi a Bergamo

Ci sono anche Bergamo e le Valli tra i sette itinerari firmati da Gualtiero Marchesi per mostrare il “Bello e il Buono della Lombardia” nell’ambito del progetto #SaporeinLombardia promosso da Explora e presentato nei giorni scorsi.

L’obiettivo è promuovere l’attrattività turistica ed enogastronomica con percorsi tra tradizione, cultura e storia locali. I racconti vengono sintetizzati in video, racconti, ricette, un libro e un sito web e oltre a quello su Bergamo ci sono i capitoli “Milano”, “Cremona e Mantova”, “Valtellina”, “Franciacorta e Lago di Garda”, “Brianza e Pavia”, “Lago di Como e Varese”.

I confini territoriali però non sono proprio così rigidi. La sezione dedicata alla nostra provincia ha infatti come sottotitolo “Dove nasce la Rosa Camuna” e nel video, mentre si fa rifermento ai nove formaggi Dop del Bergamasco, si citano invece le specialità della Valle Camonica come il Silter e la Rosa Camuna, appunto, oltre al Grassina Val d’Angolo e al Casolet, che ha origini trentine ma è preposto anche in terra bresciana.

Non mancano comunque i riferimenti più schiettamente nostrani, come il pastore Danilo Agostini che richiama le sue pecore, in apertura del video, la sosta del maestro Marchesi da Alessia Mazzola, chef di Al Gigianca che prepara i casoncelli ed un suo piatto di carne di pecora gigante bergamasca con crema di patate e chutney di barbabietola, passando per il monastero di Astino, luogo del cuore di Gino Veronelli, per la Fondazione Donizetti, Lovere e l’Accademia Tadini, la cucina della famiglia Cerea.

È vero che quando si parla di turismo e attrattività le frontiere è meglio abbatterle, ma forse un po’ più di precisione non sarebbe guastata.




Steak, il regno della tagliata strizza l’occhio al franchising

«Suddivido i ristoranti in categorie: ci sono quelli dei grandi chef, che fanno una classe a parte; ci sono i ristoranti a conduzione famigliare, che hanno le loro caratteristiche ben precise, poi ci sono i ristoranti cinesi. Noi, invece, siamo per il gusto urbano in continuo divenire di piatti e sapori: vogliamo far mangiare bene con prodotti italiani sani ad un giusto prezzo». Così Marina Bongiorno, imprenditrice di successo nel settore dell’abbigliamento e dell’attrezzatura antinfortunistica, interpreta il ruolo dello Steak Restaurant, in via Fermi al numero 10 a Curno, del quale è titolare. «Un bel salto dall’antinfortunistica alla ristorazione? Sì, certamente – ammette -, ma c’è un filo conduttore. Il progetto è nato per caso ma è stato approfondito. Il legame della nostra azienda storica con il mondo della ristorazione è infatti radicato, visto che forniamo divise per il personale di cucina e di sala a diverse realtà in tutta Italia comprese le scuole professionali. I contatti quindi non mancano ad ogni livello per poter attingere informazioni e professionalità con un interscambio di idee».

SteakIl locale, è molto bello con i suoi arredi che uniscono sapientemente stile essenziale e tocchi originali e, soprattutto, accogliente dai colori rosso e nero che risaltano. Altre definizioni sarebbero riduttive, visto che con la professionalità e cordialità del personale di sala ci si sente immediatamente a proprio agio, accompagnati anche da una discreta musica in sottofondo. Come sempre, comunque, l’attenzione maggiore va a ciò che viene servito in tavola, che viene presentato con un originale e curato menù tutto illustrato, quasi per gratificare prima gli occhi e poi il palato. Piatti unici, antipasti, primi, secondi di carne e pesce, pizze, insalatone in crosta di pizza, carta dei dolci, carta dei vini: una proposta completa con un mix di innovazione e tradizione tra cucina italiana ed internazionale a prezzi decisamente equi. I primi vanno dagli 8 ai 12 euro, i secondi di pesce dai 10 ai 17 di gamberi e scampi alla catalana, le tagliate, servite con contorno, da 15.50 a 21 per quella di filetto, senza contare l’interessante soluzione del “Basta un piatto”. La nota in più è che il coperto non si paga mai, altro punto a favore del mettere a proprio agio gli ospiti.

tagliata«Abbiamo quattro cuochi, uno per ogni settore, e non lasciamo nulla all’improvvisazione – spiega la patronne -, usiamo soprattutto materie prime certificate. Il menù cambia ogni sei mesi e per la pausa pranzo abbiamo sempre un piatto del giorno a prezzo economico (primo, secondo e contorno più acqua e caffè a 10 euro, oppure c’è il del piatto speciale a 15 euro ndr.). La nostra è anche una clientela bussiness e il nostro obiettivo principale, come detto, è quello di trovare il giusto rapporto tra prezzo e qualità. Cerchiamo la massima soddisfazione del cliente e non mettiamo certo in gioco la buona reputazione ottenuta nel tempo dalle aziende della nostra attività principale, anzi cerchiamo sempre di migliorarci. Può sembrare un paradosso, ma forse è meglio non essere nati ristoratori, così ci mettiamo più attenzione e curiosità per arrivare a delle novità e comunque a fare bene sempre». Dell’accattivante carta una parte rilevante è dedicata alle tagliate. Ci sono la degustazione del tris di tagliate, la tagliata allo Steak, la tagliata di filetto allo Steak, la tagliata rucola, grana, aceto balsamico e pinoli, la tagliata profumata alla salsa Steak e la tagliata francese. Per non farsi mancare nulla c’è anche la tagliata di pollo con rucola, pomodorini e ricotta salata. «Ebbene sì, siamo specialisti sulle tagliate – ricorda Marina Bongiorno –. Anzi, in verità, non ne facciamo un mistero, ci siamo autoincoronati “re della tagliata” e facciamo il possibile perché questo titolo non venga messo in discussione. Si tratta solo di provare!» Ambiente e cucina meritano senz’altro una visita, a maggior ragione se si considera che il conveniente rapporto qualità-prezzo ricercato dalla proprietà è stato senz’altro raggiunto.

I punti di forza della formula

Marina Bongiorno
Marina Bongiorno

Un’idea nata per essere replicata. Non poteva infatti fermarsi solo a Curno l’iniziativa di Marina Bongiorno con la realizzazione, per il momento, dell’unico Steak Restaurant. È pronto infatti il pacchetto globale degli accordi economicocontrattuali per lo sviluppo di una rete in franchising. E scegliere Steak Restaurant significa poter disporre della certezza di un prodotto di qualità con materie prime certificate e in grado di soddisfare tutti i palati e la sicurezza di un menù capace di esercitare un forte appeal in linea con i trend di un consumo veloce, dinamico ed economico. Cosa chiede Steack Restaurant ai propri partner? La collocazione in aree anche non principali ma centrali, caratterizzate dalla presenza di uffici e zone commerciali che garantiscano un discreto bacino d’utenza anche negli orari diurni e la replica del format del locale originale con sala rossa e sala nera, stile minimalista post industriale, televisori che trasmettono sfilate di moda, oggetti preziosi (troni, cornici d’oro, ecc.), atmosfera intima, sottofondo musicale. I cani sono benvenuti, la griglia è a vista e il menù in diverse lingue. Menù che varia ogni sei mesi e che comprende piatti italiani e internazionali come la famosa tagliata alla francese con salsa Steak, la paella, i primi piatti di pasta fresca e i piatti di pesce. Alla pizza è stato riservato nella carta un trattamento particolare in quanto ad ogni tipo è stato abbinato un famoso Fashion brand. Ecco quindi che la pizza margherita è diventata pizza Prada, la napoletana Dolce & Gabbana e via di seguito. Tutto comunque è molto chiaro nel menù. Steak Restaurant fornirà ai propri affiliati un periodo di formazione di almeno tre mesi per il direttore, lo chef, il pizzaiolo e il responsabile di sala, un manuale operativo in particolare per la preparazione dei piatti e dettagli sulla loro composizione, le norme per l’accoglienza del cliente ed un piano di marketing e attività di comunicazione.

 

Steak Restaurant
via Fermi, 10
Curno
tel. 035 462504
www.steakrestaurant.it
chiuso la domenica

 

 

 




Parre, sapori tipici in abito tradizionale

parre - sapori e tradizioni - 2

Quanto a riscoperta e valorizzazione delle tradizioni, in primis quelle gastronomiche, Parre può fare scuola, come raccontano la cinquantenaria sagra degli
Scarpinocc, quella dei Capù e la più recente degli Gnocc in còla, e come ha dimostrato anche il secondo posto al premio Dattini di Assisi, dedicato alle Pro Loco e alla loro attività di promozione dei territori, ricevuto nell’ottobre scorso.

Sabato 25 e domenica 26 giugno tocca a “Sapori e Tradizioni”, manifestazione organizzata dalla Pro Loco con il patrocinio del Comune, che fa fare al paese un tuffo nel passato. Tra le vie e i cortili più caratteristici di “Parre Sopra” si svilupperà infatti un percorso storico-culturale lungo il quale gli abitanti in abbigliamento tradizionale mostreranno i lavori di una volta, offrendo una rivisitazione di come appariva la vita quotidiana cento anni fa.

Scultori del legno, mercatino di hobbisti e artigiani, spettacoli folcloristici dei gruppi locali di Parre e dell’alta Valseriana, giri in pony e dimostrazioni di ferratura dei cavalli. Per i più piccoli ci saranno laboratori e workshop di cucina per imparare la ricetta di Scarpinocc e Capù, laboratori di impagliamento e intreccio di gerle e cestini.

Spazio anche alla vendita di prodotti tipici bergamaschi come salumi, formaggi, mais spinato e tutti i prodotti inseriti nel progetto “Sapori Seriani e Scalvini” di PromoSerio, l’agenzia di promozione territoriale della valle. Si potranno assaggiare e acquistare anche birre artigianali dei micro birrifici della provincia di Bergamo e nei ristoranti locali gustare i tipici Scarpinocc e gli altri piatti della cucina bergamasca.

Sarà anche l’occasione per conoscere la storia e l’arte del paese attraverso visite guidate ai monumenti e alle chiese di Parre e con diverse mostre: una sulle miniere, la mineralogia e la speleologia delle montagne circostanti e una sul pastoralismo e la transumanza, attività tipiche degli abitanti di Parre fino a poco tempo fa.

In particolare, la mostra “Cargà Mut”, gentilmente prestata dal Festival del Pastoralismo di Bergamo, illustra attraverso 32 pannelli l’attività dell’alpeggio e quindi dell’allevamento di montagna nella sua dimensione produttiva e in quella culturale e simbolica. Otto le sezioni dell’esposizione: un’introduzione sulla terminologia e dati statistici essenziali, una parte sull’organizzazione dell’alpeggio, sull’oro delle Orobie (il formaggio), la vita in alpeggio, suoni e tradizioni, i segni del sacro, i bergamini, i pastori di ovini.

L’inaugurazione avverrà sabato alle ore 17 con i formaggi del progetto “ValOrobie, alpeggi da vivere!”. Interverrà il professor Michele Corti presidente del festival del Pastoralismo di Bergamo e docente di Zootecnia montana. La mostra sarà visitabile poi dal 27 giugno al 10 luglio dalle ore 14 alle 18 e dalle 20 alle 21.30 nella sala consigliare al Centro Diurno in via Duca d’Aosta.

Sabato sera alle ore 21 è in programma il concerto della banda di Parre sul piazzale del Comune, mentre domenica si terranno alle 18 il concerto della junior band, sempre sul piazzale del Comune, e alle ore 21 il concerto degli ottoni della Scala di Milano, al PalaDonBosco dell’oratorio in via Duca d’Aosta.

 




Tra Venezia e Chiasso brillano le “stelle” bergamasche

I cuochi in erba, sempre più di qualche anno fa, cercano di diversificare le proprie esperienze su vari tipi di cucine e così spesso si concedono trasferte fuori provincia (per non dire al di fuori dall’Italia) per crescere e capire meglio quali sono le opportunità che offre il mondo della ristorazione al giorno d’oggi. Magari giusto come apprendistato per poi lanciarsi in prima persona nell’apertura di un proprio ristorante. Ed è questo un processo naturale che va sicuramente oltre il difficile momento che vive l’economia del Mediterraneo o la volontà di guardare fuori dal proprio orto e che, in realtà è figlio dell’estrema facilità con la quale sempre più si viaggia e si ricercano nuove emozioni, o nuove fonti di ispirazioni diverse da quelle circoscritte a un unico territorio. Ne abbiamo parlato un paio di numeri fa con l’esempio di Francesca Parazzi, sous-chef del Marchal di Copenhagen, che, oltretutto, ha già lasciato il vecchio ristorante per aprire insieme al cuoco Christian Gadient il nuovissimo Spontum, sempre nella capitale danese. Un segnale inequivocabile di come tutto ormai accada più rapidamente e le opportunità per crescere, specie su piazze più dinamiche e meno tradizionaliste, siano all’ordine del giorno. Restando invece più vicini a casa, i bergamaschi d’asporto ai fornelli iniziano a diventare un piccolo e nutrito gruppo. Ma non solo, oltre a farsi le ossa, spesso si fanno notare per la bravura, per la dedizione al lavoro e per le capacità di fare gruppo.

Alba Rizzo (prima a destra) è chef al Venissa
Alba Rizzo (prima a destra) è chef al Venissa

E’ il caso, ad esempio, di Alba Rizzo, ventitreenne originaria di Verdellino che da neanche un mese rappresenta il 25% di un team affiatato e giovane, impegnato in quel di Venezia sull’Isola di Mazzorbo, nella cucina del ristorante Venissa (www.venissa.it). Alba, infatti, si occupa dei primi (soprattutto paste fresche e ripiene) in una brigata di quattro cuochi (caso forse unico al Mondo di un ristorante con un stella Michelin che mette in fila otto mani distribuite su antipasti, primi, secondi e dolci), nell’oasi di quiete creata qualche anno fa da Gianluca Bisol, uno dei più conosciuti produttori di prosecco. Qui ci si trova tra gli orti curati dai pensionati del luogo, circondati da bucolici paesaggi lagunari, con la vicinissima Burano a un tiro di schioppo visto che basta attraversare un ponte per raggiungerla, e la curiosità di una microproduzione di vino che vede qualche migliaio di bottiglie, il relax un po’ contadino oltre a una cucina di ispirazione decisamente local. Alba ha lasciato, almeno per ora, la campagna bergamasca dopo un lustro trascorso tra il Civico 17 a Ponteranica e la Braseria di Luca Brasi a Osio Sotto.

“Ed è stata una scelta meditata” dice ora “perché volevo mettermi alla prova e uscire dal guscio. Certo, questo non è il ristorante classico e turistico di Venezia. Lo si raggiunge con un po’ di fatica in mezz’ora di vaporetto e a Mazzorbo si è sempre un po’ isolati, ma forse è anche un vantaggio quello di non avere troppe distrazioni, almeno per me, così ho il tempo di pensare un po’, di ragionare sui piatti in modo di trovare con la giusta tranquillità la mia strada. Oltretutto sono finita a lavorare in un team giovane e spigliato, con altre due ragazze, una serba e una napoletana, e anche se io sono l’ultima arrivata il feeling è quello giusto. A Venissa mi occupo dei quattro primi, che di solito sono una pasta fresca, una secca, un risotto e uno gnocco, quasi sempre presenti nel menù”. Uno dei primi che Alba prepara è l’ottima pasta Verde Mare, con spaghetti Benedetto Cavalieri in salsa di zucchine e menta, con colatura e alici marinate cui si aggiunge un crumble di pinoli tostati.

Lasciando poi la laguna e avvicinandoci alla nostra provincia, Mauro Boroni invece, altro bergamasco doc, ha scelto la Svizzera, ed è diventato ormai da qualche tempo l’uomo di fiducia di Andrea Bertarini, cuoco stellato del ristorante Conca Bella di Vacallo, una frazione di Chiasso(www.concabella.ch). Forse è proprio questa la miglior cucina che si può incontrare oggi nel Canton Ticino, con i suoi piatti moderni e di grande fascino estetico, ma ricchi di sapore e che sanno affidarsi a un piglio rustico quando questo serve, vedi il caso dei Ravioli ripieni con capretto alle erbe, spugnole, mandorla e aglio nero, o dell’originalissimo Piccione di Bresse in doppia cottura, con rabarbaro e Campari.

Mauro Boroni
Mauro Boroni

Oltretutto approfittando di una cantina di tutto rispetto, riconosciuta come una delle meglio fornite in Svizzera e che, se non bastasse l’ottima cucina, da sola vale il viaggio. Il trentenne Boroni a dire il vero non è alla sua prima esperienza in un grande ristorante, visto che prima di passare al Conca Bella ha frequentato Aimo e Nadia a Milano e prima ancora ha seguito nelle sue scorribande Chicco Coria, sin dall’apertura della sua locanda Salvia e Rosmarino in quel di San Pellegrino Terme. Poi un altro bergamasco, Dario Ranza, altro orobico da esportazione e storico titolare della cucina dell’Hotel Villa Principe Leopoldo di Lugano da qualcosa come un quarto di secolo lo ha introdotto al Conca Bella. Ora, e almeno per i tre mesi estivi, Mauro Boroni ritorna al lago a spadellare sul rooftop del ristorante Panorama ospitato all’interno dello Swiss Diamond Hotel, dove si trasferisce temporaneamente la cucina del Conca Bella approfittando della bella stagione.




“Premiate trattorie italiane”, nel club entra anche la Visconti di Ambivere

Trattoria Visconti
Da sinistra: Alessandro Rota, Roberto e Daniele Caccia, Fiorella Visconti e Giorgio Caccia

La capacità di trasformarsi senza perdere la propria vocazione ha portato qualche settimana fa alla Trattoria Visconti un importante riconoscimento: l’ammissione all’associazione “Premiate trattorie italiane”, un sodalizio di osti dal Friuli alla Puglia legati da una filosofia comune, la salvaguardia delle tradizioni e lo sguardo al futuro. L’associazione è nata nel 2012 e raccoglie otto osti, premiati – di qui il nome – dal tempo, dalla storia e dalla clientela. Insomma, il gotha delle osterie italiane. Dopo essersi ritrovati per anni a incontri e premiazioni, serate gastronomiche e convivi, hanno deciso di dar vita a questa singolare associazione che ha lo scopo di innovare la tradizione e proiettarla nel futuro. La trattoria di Ambivere si aggiunge a insegne come Amerigo 1934 a Savigno (Bologna), Antica Trattoria del Gallo a Gaggiano (Milano), Antichi Sapori a Montegrosso di Andria (Barletta-Andria-Trani), Caffè la Crepa a Isola Dovarese (Cremona), La Brinca a Ne di Valgraveglia (Genova), Locanda Devetak a Savogna di Isonzo (Gorizia) e La Locandiera di Bernalda (Matera). I requisiti per diventare soci sono rigidi: forte identità gastronomica locale, prodotti poveri del posto, ricerca delle materie prime e del modo di lavorare, impegno a far conoscere il proprio territorio ai clienti. Un altro paletto fondamentale è il prezzo: per le Premiate Trattorie Italiane, un menù della tradizione composto da antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, acqua e caffè non deve superare i 50 euro a persona. Per festeggiare il nuovo ingresso bergamasco, i premiati osti si riuniranno nell’annuale cena dell’associazione alla Trattoria Visconti. La cena si terrà lunedì 27 giugno e sarà realizzata, come di tradizione, a più mani da tutti i ristoratori del sodalizio. «Siamo molto felici di far parte di questo gruppo perché ci consente uno scambio di conoscenze con gli altri patron – commenta Daniele Caccia -. Spostandoci di pochi chilometri, abbiamo modo di assaggiare dei piatti diversi, modi di cucinare diversi. È un arricchimento prezioso». «Il nostro lavoro – aggiunge – rimane lo stesso di sempre, cucinare i piatti regionali o locali e valorizzare il nostro territorio. Ogni zona ha delle tradizioni uniche, l’importante che si continuino a cucinare e non vadano perse. È la filosofia dell’associazione che tutti noi condividiamo».

La tradizione si racconta anche sul web

Trattoria Visconti, dettagli
Trattoria Visconti, dettagli

Uno si immagina che le trattorie – quelle vere, che puntano sulla filiera e sul rispetto religioso per la cucina locale – siano l’ultimo baluardo/avamposto, il più tenace, delle tradizioni e quindi le realtà più lontane dall’innovazione. Non è così. L’Ascom, nel corso dell’ultima assemblea annuale, tenutasi poche settimane fa a Bergamo, ha scelto proprio un oste come esempio di imprenditore proiettato al futuro, tra tutti i patron di ristoranti del territorio. «La Trattoria Visconti di Ambivere ha dimostrato che anche il ristorante più legato al passato può aprirsi al futuro senza rinnegare la propria anima ha spiegato il direttore Oscar Fusini. La trattoria, aperta nel 1932, ha conservato lo spirito di un tempo, ma ha saputo cogliere le novità del mercato in evoluzione. Fiorella Visconti e Giorgio Caccia insieme ai figli Roberto e Daniele sono riusciti nella sfida, in apparenza impossibile, di conciliare tradizione e cambiamento. «La prima e vera innovazione – dice Daniele Caccia – è stato andare controcorrente nella proposta, preparare le ricette storiche della Bergamasca e della famiglia in risposta all’appiattimento dei sapori».

I piatti della tradizione e le ricette di bisnonna Ida negli ultimi anni sono state affiancate da un menù vegano. La cantina si è allargata dai vini blasonati, alle etichette più nuove sino alle birre. Al ristorante si è aggiunto un orto di erbe. Infine, l’innovazione più grande: la trattoria ha portato la sua tradizione in rete. Tre mesi fa ha fatto debuttare un nuovo sito web (il quinto), facilissimo da gestire. Grazie alla collaborazione con la start up bergamasca Onlime, infatti, le news del sito si aggiornano automaticamente dai post sulla pagina Facebook. Il sito web si propone come una vetrina del ristorante: dà la possibilità di entrare nel locale, pregustare i piatti, conoscere i volti di chi lavora in sala, in cucina, sapere delle novità di stagione, ma anche di prenotare e di regalare un cena con pochi click. «Ci mettiamo la faccia, indichiamo chi siamo e cosa facciamo» dice Caccia che avvisa: «Sul web occorre dare le informazioni che interessano di più, come orari, giorno di chiusura e soprattutto i prezzi. Noi facciamo i casoncelli con la ricetta della bisnonna Ida e diciamo che costano 10,50 euro. Chi va sul sito è contento di sapere quanto sono buoni, ma lo è ancora di più se sa quanto spende». Per ora il sito propone soprattutto testi e immagini ma la trattoria è decisa a puntare sui video «perché sono quelli che funzionano di più». Il filmato della patron Fiorella che prepara i casoncelli e spiega ingredienti e passaggi in dialetto bergamasco, con sottotitoli in italiano ha avuto un successo clamoroso ed è diventato presto virale registrando più di 30mila visualizzazione e 250 condivisioni.

 

 

 




Numero uno al mondo, Bottura: «È la cultura l’ingrediente principale in cucina»

Massimo Bottura durante lo showcooking del settembre scorso a Bergamo
Massimo Bottura durante lo showcoking del settembre scorso a Bergamo

La cucina di Massimo Bottura è la migliore del mondo. Già numero due nella classifica “50 Best Restaurant”, l’Osteria Francescana dello chef modenese è ora salita sulla vetta del prestigioso premio della rivista inglese Restaurant Magazine, arbitro e guida del gusto internazionale al pari delle stelle Michelin. Bottura è stato votato da un panel di oltre mille esperti di gastronomia di tutto il mondo e incoronato vincitore nell’evento in scena questa notte nel lussuoso Cipriani Wall Street di New York. Ha scalzato dal vertice i fratelli Roca di El Celler de Can Roca, di Girona, mentre al terzo posto si è piazzato l’Eleven Madison Park di New York.

Il risultato rilancia ad altissimo livello la cucina italiana, che ha ottenuto anche il 17esimo posto con il ristorante Piazza Duomo di Enrico Crippa ad Alba, il 39simo con Le Calandre degli Alajmo a Rubano e il 46esimo con il Combal Zero di Rivoli, di Davide Scabin, new entry nella graduatoria.

«Il miglior ingrediente per il futuro è la cultura. La cultura porta conoscenza e apre consapevolezza». Queste tra le prime ed emozionate parole del nuovo “numero uno”. Un concetto che gli è caro e che aveva avuto modo di illustrare anche nell’intervista rilasciata ad Affari di Gola nel 2010. Ve la riproponiamo.

 

«È la cultura l’ingrediente principale in cucina»

di Roberta Martinelli (da Affari di Gola, maggio 2010)

È nella top ten dei migliori ristoranti al mondo. Come si sente?

«È una soddisfazione ma anche una grande responsabilità. Quando si vince un premio devi immediatamente pensare al futuro, tornare a casa e reinvestire. Subito provi un sentimento di gioia poi pensi agli eventi che devi fare, ai clienti che fanno centinaia di chilometri per venire da noi e ti rendi conto che dovrai cercare di rimanere al ristorante il più possibile per cucinare, poi salutare, poi ringraziare. Ringraziare è una parola fondamentale per noi chef. Prima bisogna ristorare, poi far passare dei bei momenti agli ospiti».

Come si arriva a un riconoscimento così importante?

«È il risultato di un lavoro di squadra, di un lavoro giorno dopo giorno, testa bassa, tanta umiltà e 10% di talento come diceva Picasso».

Qual è l’ingrediente più importante in cucina?

«Il pensiero, la tua cultura. È l’ingrediente che non puoi comprare. Per la tecnica puoi avere il più grande tagliatore del mondo, per la materia prima il miglior parmigiano ma il tuo pensiero è unico e irripetibile. Cucinare significa trasmettere attraverso la tua passione emozioni. Ai giovani lo dico sempre: studiate, studiate, più studi e più approfondisci i tuoi interessi».

Quali sono i piatti che più la rappresentano?

«Piatti che stiamo pensando e che saranno in carta nel futuro: la patata in attesa di diventare tartufo, l’insalata di pollo che non c’è, la zuppa di rottura di confine tra il dolce e il salato, con piselli e asparagi».

C’è una definizione giusta per la sua cucina?

«È una cucina moderna, attuale, che vive il presente. Una cucina in evoluzione, che prende il meglio della materia prima e la trasforma con grande rispetto».

Cosa significa fare avanguardia in cucina?

«Per fare l’avanguardia non puoi criticare, devi conoscere tutto, dimenticare e creare dal nuovo. I cuochi che non interpretano musica scritta da altri e la suonano loro sono chef d’autore».

C’è un limite a quanto si può far pagare un piatto o una cena?

«Ci sono ristoranti nei quali si spendono 700/800 euro che devono chiudere perché hanno spese troppo alte e altri che hanno prezzi più bassi, 20 coperti e poco personale che fanno altrettanta fatica. Anche chi cerca di tenere prezzi contenuti deve sempre fare i conti con ciò che è il costo del personale: il costo dato dai ragazzi che sacrificano la loro vita, perché credono nell’avanguardia. Poi è logico non esagerare, stare attenti al mondo che sta cambiando».

Dove sta andando la cucina italiana?

«Al massimo del livello. Solo noi in Italia forse non abbiamo capito che questa nuova cucina è formata da un gruppo solido di gente che si rispetta, di cuochi che stanno portando la ristorazione italiana ai vertici assoluti. Dobbiamo solo riuscire a fare sistema, avere appoggio istituzionale».

Conosce la cucina bergamasca? E i nostri ristoratori?

«Apprezzo molto i fratelli Cerea».

Ora che è considerato tra i migliori chef al mondo non si monterà la testa?

«Non credo. Odio l’arroganza. Se mi chiede quale materia prima ho cucinato le rispondo l’arroganza di certi cuochi che abbiamo cucinato e servito».

Cosa c’è nel futuro di Bottura?

«Sempre il futuro».

 

A Bergamo lo chef c’era stato invece nel settembre scorso nella speciale edizione di GourmArte in occasione dell’Expo tra la Domus Bergamo di piazza Dante e il Balzer. Ecco cosa aveva preparato e la galleria dell’evento

 




Arlecchino, da mezzo secolo protagonista della ristorazione bergamasca

C’è aria di festa al ristorante-pizzeria Arlecchino di Bergamo. Il locale di piazza Sant’Anna, indirizzo storico della ristorazione orobica che ha ospitato generazioni di bergamaschi, domenica spegnerà 49 candeline e segnerà una altra tappa del suo cammino fatto di cibo e ospitalità. L’anniversario è importante due volte perché coincide con la storia della pizza a Bergamo.

Il segreto di tanta longevità sta in una formula che, nonostante sia passato quasi mezzo secolo, non è mai cambiata. Il sorriso che ti accoglie ogni volta che vai, l’accoglienza mai artefatta, il tono famigliare e la cucina semplice e essenziale che si fa valore.

A Bergamo “l’Arlecchino” lo conoscono tutti, ci sono passate generazioni di bergamaschi: ragazzi, famiglie, politici, sportivi, professionisti, attori.

La storia inizia il 12 giugno 1967 quando Franco Previtali, insieme all’amico e collega Orazio Lazzari aprono il loro ristorante. Franco ha 23 anni, è la prima pizzeria gestita da bergamaschi in città e ad aiutarli ci sono le mogli, Emilia e Lucia.

Originario di Bianzano, Franco, classe ’43, energia, simpatia e piglio deciso, ha una preparazione poliedrica: ha imparato il mestiere sul campo, al forno delle pizze, al bar, in cucina, in sala, in gelateria. Prima di aprire il ristorante lavora al Pianone, al Dell’Angelo in via Borgo Santa Caterina e alla Marianna, dove conosce il futuro socio. Sono anni d’oro, quelli, e giorno dopo giorno Franco intreccia la vita con la cucina senza mai perdere di vista l’unica cosa che per lui conta davvero: «far stare bene la gente».

Franco Previtali
Franco Previtali

Altri tempi, anche se l’idea di convivialità è rimasta la stessa. Franco Previtali è stato uno dei primi bergamaschi a credere nelle potenzialità della pizza. L’intuizione di far scoprire ai bergamaschi questo piatto e, anni dopo, la decisione di proporre tra i primi il piatto unico, segna la storia del locale trasformandolo in pochi anni in uno degli indirizzi più apprezzati da chi ama la buona pizza e la buona cucina.

Il sodalizio con Orazio Lazzari dura 29  anni. Dal ‘96, dopo la scomparsa del socio, Franco conduce il ristorante affiancato dalle figlie Enrica, Francesca e Patrizia e dal genero Gianfranco Rotini. Nel 2007, a suggellare l’impegno di 40 anni di attività, arriva il “Riconoscimento al lavoro per il progresso economico” da parte della Camera di Commercio.

Oggi come un tempo l’anima del locale rimane Franco e l’Arlecchino è uno dei punti fermi della ristorazione bergamasca. Un porto sicuro per chi vuole mangiare bene. La simpatia e la professionalità del patron e dei suoi collaboratori sono in parte il segreto del successo dell’Arlecchino. Molti dei dipendenti sono qui da oltre vent’anni, come lo chef Tiziano, il pizzaiolo Domenico detto Baffo e Rosario e Battista, impeccabili in sala.

Il resto lo fanno la semplicità, l’entusiasmo, la volontà oggi come ieri di accogliere al meglio i clienti e i piatti “storici”:  l’insalata esotica, le zuppe, la cassoeula, la ribollita, il fagotto, farcito di mozzarella, prosciutto crudo, pancetta e peperoncino rosso, e le pizze: Arlecchino con carciofi, bresaola, quartirolo, radicchio rosso e mozzarella e Lambada a base bianca con mozzarella, cipolle rosse, peperoncino e pancetta.