Gambero Rosso, i migliori gelati d’Italia: riconoscimenti anche per due bergamaschi

Le migliori gelaterie bergamasche per il Gambero Rosso sono l’Oasi American Bar di Fara Gera d’Adda e La Pasqualina di Almenno San Bartolomeo. Anche quest’anno le due gelaterie hanno ricevuto i prestigiosi Tre Coni (il massimo riconoscimento previsto) nella Guida Gelaterie d’Italia del Gambero Rosso presentata al Sigep di Rimini  che raccoglie il meglio della gelateria italiana di qualità, con 400 indirizzi e una mappa completa dal Nord al Sud Italia.

tova (Chantilly a Moglia), una a Monza (L’alberto dei gelati) e una a Pavia (VeroLatte a Vigevano).

Premiazione Gambero Rosso Gelateria L’Oasi American Bar

 

Riccardo Schiavi




Gelato, una passione italiana senza stagioni

Quella degli italiani per il gelato artigianale è una passione che non conosce stagioni. La domanda pressoché costante da parte dei consumatori sta spingendo sempre più locali adaccorciare il periodo di chiusura invernale e restare aperti 12 mesi l’anno.
A certificarlo sono i dati raccolti da Fipe, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, inseriti all’interno della “Guida di business della gelateria” presentata a Rimini in occasione della 41esima edizione di Sigep, il Salone internazionale della gelateria, pasticceria, panificazione artigianale e caffè, dove Fipe è presente con un apposito spazio espositivo.
Un vero e proprio manuale di 9 capitoli e 250 pagine che parte dalla fotografia della situazione attuale e analizza un comparto del fuori casa italiano il cui valore complessivo supera i 4,2 miliardi di euro. “Quello del gelato – sottolinea il Presidente di Fipe Lino Enrico Stoppani – è un settore estremamente vivace nel quale la qualità, non solo del prodotto ma anche dell’imprenditoria, è sempre più decisiva per il successo. Un mercato in espansione, un prodotto sempre più apprezzato, ma un comparto caratterizzato da forte turnover, concorrenza agguerrita e margini ridotti. È proprio in contesti come questo che conoscere il mercato, sviluppare un modello di business credibile e impegnarsi ad innovare diventa decisivo per assicurarsi prospettive di successo imprenditoriale. In questa nuova Bussola di Fipe si offrono prima di tutto una mappa di contesto, e poi tante indicazioni operative per chi vuole investire in questo settore, o per chi vuole ripensare
il suo posizionamento e ricercare occasioni di innovazione commerciale nel settore del food italiano, affrontandolo nel suo complesso con una visione professionalmente strutturata”.

UN TRAINO PER IL SUD
Quello del gelato è un business che affonda le proprie radici in particolare nel sud Italia e sulle isole. E’ qui che si trova infatti il 43% delle 39mila gelaterie sparse per lo stivale.
Un’eccezionale fonte di lavoro, visto che l’intero settore, complessivamente, occupa in maniera diretta oltre 74mila persone e genera un fatturato complessivo di 4,2 miliardi di euro.

IN GELATERIA 365 GIORNI L’ANNO
I dati presentati nella Guida certificano come il 37% delle gelaterie lavori ormai tutto l’anno, tanto da rinunciare alle tradizionali chiusure stagionali. Un’attività su quattro, al contrario, sceglie comunque di chiudere i battenti durante il periodo invernale, in particolare tra novembre e gennaio. Per quanto riguarda le abitudini dei consumatori, invece, la voglia di gelato si concentra soprattutto nel pomeriggio: l’81,8% degli intervistati da Fipe si concede un cono o una coppetta come spuntino pomeridiano, mentre per il 66% del campione, si tratta di un ottimo dopocena. Poco meno di un italiano su quattro sceglie il gelato come alternativa al pranzo (22,3%) o alla cena (24,9), e solo il 16% degli intervistati si lascia tentare
già nelle prime ore della mattinata.

GELATO ARTIGIANALE, PASSIONE NAZIONALE
Con il passare degli anni i palati degli italiani si stanno facendo sempre più fini, tanto è vero che sempre più persone, in particolare uomini over 65 residenti al sud o sulle isole, dichiarano di mangiare esclusivamente gelato artigianale. Ma cosa significa gelato artigianale? Per il 79% dei consumatori si tratta di un prodotto preparato con materie prime fresche, mentre per il 65% degli intervistati è quello che si trova nelle gelaterie dotate di un proprio laboratorio. Quel che è certo è che nell’88% dei casi quello che si ricerca quando si sceglie un gelato artigianale è un perfetto connubio tra qualità e gusto.
Per questo il 95% degli intervistati predilige negozi specializzati: non pasticcerie o bar, insomma, ma gelaterie “pure” che quindi offrono soltanto questo tipo di prodotto.
Una garanzia di qualità, appunto, che si traduce in un’elevata capacità di fidelizzare i clienti. Il 63% delle persone dichiara infatti di avere una propria gelateria di fiducia, in cui è possibile trovare un prodotto genuino (66,8%) e un vasto assortimento di gusti (33,2%).
Quando capita di dover cercare una gelateria nuova, solo un italiano su tre si affida ai social network. La percentuale sale a sfiorare il 38% se si considera chi cerca consigli su TripAdvisor o su Google. A farla da padrone resta il passaparola: l’89,9% delle persone si fida infatti dei suggerimenti dei propri conoscenti.

SUL CONO VINCE LA TRADIZIONE
Quando entrano in gelateria, gli italiani si scoprono conservatori: le creme vincono di misura sulla frutta, ma in generale ognuno sceglie sempre gli stessi gusti. Sul gradino più alto del podio, con il 21,8% di preferenze, troviamo il cioccolato, tallonato dalla fragola (21,3%) e dalla nocciola (20,2%). Medaglia di legno per il limone, fermo al 19,5%, che stacca comunque di oltre 6 punti percentuali il pistacchio.




La pizza a Bergamo ha il sapore della Costiera, di Tramonti

Il Capodanno tramontino quest’anno si festeggia a Bergamo. Per il primo anno la pizzeria “Da Nasti” ha ospitato il tradizionale convivio annuale dei pizzaioli di Tramonti che hanno portato la più celebre e invidiata specialità campana al Nord e nel mondo. Dal comune sparso e diviso in tredici frazioni nella vallata dei Monti Lattari, perle della Costiera Amalfitana, negli anni del boom economico partirono tanti “paesani” pronti ad abbandonare l’agricoltura per inseguire il loro sogno imprenditoriale e diventare ristoratori. La concentrazione di pizzerie tramontine al nord è dovuta anche al “Caseificio Giordano” di Oleggio, in provincia di Novara, fondato da Amedeo Giordano che, lasciata Tramonti nel 1946, nel 1955 ottiene la licenza per la lavorazione del latte, iniziando così a produrre in prima persona la “mozzarella fior di latte” secondo la migliore tradizione dei Monti Lattari. I monti tramontini devono infatti il nome “Lattari” ai pascoli di mandrie di vacche e greggi di capre da cui si mungeva un latte dalle qualità organolettiche e nutritive così straordinarie da far diventare la zona un punto di riferimento per tutta l’attività casearia della Campania. Il fior di latte da qui si è diffuso nel mondo come latticino d’eccellenza, a partire dalla celebre pizza offerta nel 1889 alla Regina d’Italia Margherita in visita a Napoli.
Dal surplus di produzione di un prodotto, come il fior di latte, ancora poco conosciuto in Piemonte come in Lombardia, Amedeo Giordano lancia l’idea ai compaesani di Tramonti di aprire dei locali al nord e così, tra il 1960 e il 1990, l’azienda conosce un successo strepitoso, iniziando a servire un numero sempre maggiore di pizzerie, la cui fortuna va di pari passo con quella dell’azienda casearia. Risale al 1953 la gustosissima “invasione” del Nord Italia con la pizzeria Marechiaro di Novara, fondata dal tramontino Luigino Giordano.

L’asse Tramonti- Bergamo tra pizza e “core”

Carmine Nasti e Salvatore Ferrara

Domenico Giordano

 

A Bergamo negli anni Sessanta il capostipite dei “tramontini”, più precisamente della frazione di Campinola, è Umberto Mandara che apre nel 1963 “L’Ancora”, oggi in Via Quarenghi. Giovanni Nasti sceglie Bergamo nel 1967, dopo l’esperienza di una pizzeria a Busto Arsizio: apre un primo locale in Via San Bernardino e poi ristruttura in Via Zambonate, nella sede attuale, la storica Trattoria Emiliana, aperta dal 1850. Ci sono poi le famiglie de Il Vesuvio e di Marechiaro a portare i sapori della Costiera Amalfitana in città. Con poca, o addirittura nessuna esperienza nella ristorazione, ma un bel bagaglio di cucina casalinga e tanta voglia di fare. Quasi ogni famiglia tramontina aveva infatti in casa il forno a legna per sfornare il pane biscottato di farina integrale ed era un rito fare la pizza con lo stesso impasto e condirla con pomodori sponsilli, tenuti in conserva sotto i porticati, olio di oliva, aglio, origano.
“Quando sono arrivato a Bergamo con papà Giovanni e i miei fratelli ero un ragazzino- racconta Carmine Nasti, ospite della reunion dei tramontini di Campinola-. La nostra famiglia era di estrazione agricola ma con impegno e sacrifici, papà ha costruito giorno dopo giorno un’insegna che oggi gestisco con mio fratello Gino e i nostri figli e che dà lavoro a venti persone”. Il locale Da Nasti in Via Zambonate è stato completamente ristrutturato per creare un ambiente dal respiro contemporaneo, dove assistere, grazie alla cucina e alla pizzeria a vista, alla preparazione di piatti e alle continue infornate. “È la terza grande ristrutturazione del locale- spiega il patròn Carmine Nasti-. Nell’attuale sala principale c’erano le stalle, quando più di 50 anni fa rilevammo la Trattoria Emilia”. Non mancano gli omaggi a Tramonti, dalla scritta sul bancone del locale con il motto “Intra montes ubertas” (ovvero terra tra i monti) alle piastrelle dipinte a mano che affiancano la pizzeria e il suo forno, alla scritta sul muro, accompagnata dall’anno di inaugurazione, il 1967, nella sala principale.

Altra insegna storica, dal 1970, è “Il Vesuvio”, in Borgo Santa Caterina, che si appresta a festeggiare i 50 anni di attività: “Mio papà Giovanni, ex dipendente statale nel corpo di Guardia Forestale, accettò la scommessa di diventare imprenditore, rilevando la pizzeria Cristallo con mia mamma Filomena – racconta Salvatore Ferrara, alla guida della pizzeria con i fratelli Teresa, Alfonso e Luigia, che si dividono i compiti tra amministrazione, cucina e forno della pizza- La sede è sempre quella attuale e negli anni si è prima rinnovata, negli anni Novanta, e poi ingrandita, negli anni Duemila, raddoppiando la capienza a 250 posti”. Ad allargare la rappresentanza di pizzaioli di Tramonti in città anche Domenico Giordano del “Marechiaro” di Via Borgo Palazzo (all’angolo con Via Camozzi): “Nel 1985 papà Antonio decise di aprire un locale a Bergamo, città dove la sorella Filomena aveva riscosso successo con una pizzeria- racconta-. Qui inizia la storia del “Marechiaro” e della sua cucina mediterranea e pizzeria di cui porto avanti la tradizione”.

Vittorio Nasti

Vittorio Nasti, fratello di Carmine, dopo anni di gestione della pizzeria Bella Napoli, rende l’appuntamento con una buona pizza senza orario con la gestione del Velvet Pub- La Bella Napoli Birreria-Pizzeria di Via Camozzi. “La nostra sfida- spiega- è animare la città, che conta sempre più turisti, anche di notte, con un mix tra intrattenimento e cucina, a partire da una pizza realizzata a regola d’arte”.

 

 

 

 

 

 

 

L’evento

Il gruppo di pizzaioli tramontini a Bergamo, Da Nasti

da sinistra: Oscar Fusini, Carmine Nasti e Giorgio Rossi

Il 2020 segna i quasi sessant’anni di presenza della grande dinastia di pizzaioli di Tramonti nella nostra città. “Una bella storia da continuare a raccontare- ha sottolineato Oscar Fusini, nella duplice veste di direttore Ascom Confcommercio Bergamo e di Affari di Gola-. Negli anni Sessanta Bergamo e Tramonti non avevano nulla in comune eppure sono riuscite a scrivere insieme una storia di successo, con ben 12 pizzaioli in città. In questi anni hanno saputo valorizzare le loro radici e il loro prodotto”. Giorgio Rossi ha lanciato l’auspicio che Bergamo diventi ambasciatrice della pizza, a partire dal fior di latte, attraverso l’evento internazionale dedicato al formaggio “Forme” che la città ospita: “La pizza ha origini antiche e rappresenta anche nei colori l’Italia. Bergamo si sta distinguendo per la sua proposta culinaria ben oltre i confini provinciali e ha le carte in regola per farlo, nonostante non sia un prodotto tipico del luogo, attraverso la pizza. Perché oggi si riscopre più vicina che mai a Tramonti”. Carmine Nasti ha proposto per festeggiare il capodanno tramontino un menù mediterraneo e una pizza gourmet ai grani antichi e semi con fior di latte, carciofi, tartare di scampi dell’Adriatico al lime, burrata, bottarga di muggine e germogli di bietola Tra i piatti, il baccalà confit legato in foglia di alloro, crema di fagioli di Pigna e cipolla di Tropea agrodolce come antipasto, seguito da paccheri di Gragnano con rana pescatrice, pomodoro corbarino, capperi di Linosa e olive taggiasche. Il pranzo è proseguito con dentice del Mediterraneo con papaya e gorgonzola e per accompagnare il brindisi finale, panettone con uvetta di zibibbo, cedro e arancia canditi e crema al mascarpone. Ad accompagnare i piatti, una scelta di vini che omaggia sia Bergamo che Tramonti e i terrazzamenti che si affacciano sulla Costiera Amalfitana, tra mare, monti e brezza di tramontana.




Enrico Bartolini, mister 8 stelle

La Guida Michelin 2020 assegna importanti riconoscimenti a Bergamo. In città brilla la nuova stella, assegnata a “Impronte”, allo chef Cristian Fagone. Enrico Bartolini- che nel 2016 ha riportato la stella al “Casual” in Città Alta – può contare su una vera e propria “costellazione”: con otto stelle su cinque locali all’attivo, è lo chef più splendente d’Italia. Grazie a lui, Milano torna nell’Olimpo della ristorazione, con la terza stella che risplende al Mudec in Via Tortona, al terzo piano del Museo delle Culture, dopo i fasti leggendari del Maestro Gualtiero Marchesi. Li abbiamo intervistati per scoprire quali sono gli ingredienti segreti di una cucina di successo.

Ha festeggiato le tre stelle al “Mudec” e i 40 anni cucinando alla mensa dei poveri “Pane Quotidiano” di Milano. Enrico Bartolini è stato incoronato dalla Guida Rossa e oggi vede brillare ben otto stelle. Ma non dimentica gli ultimi e non nasconde l’emozione per il risultato incredibile raggiunto: riportare le tre stelle a Milano e raddoppiare al “Glam” a Venezia. E continuare a far splendere una stella in Città Alta a Bergamo, al “Casual”, alla “Locanda del Sant’Uffizio” nell’astigiano, a L’Andana” in Maremma. Salutato come enfant prodige della cucina, con la prima stella a 29 anni, ha più che mantenuto le attese. “Mi sento come se avessi vinto un oro olimpico- commenta lo chef- .Ma non sono solo. I riconoscimenti agli altri ristoranti nascono dall’impegno e dalla passione di una squadra di professionisti che con me condivide un progetto, un’idea e un messaggio gastronomico”. E la dedica è tutta per la sua squadra, dalla sala alla brigata. Perché gli ingredienti segreti della sua cucina sono racchiusi in tre “c”: cultura, condivisione e complicità.

È chef e manager, con locali da gestire dalla Toscana alla Lombardia, al Veneto. Come si mantengono standard elevati senza teletrasporto e dono dell’ubiquità?
Ci si riesce solo costruendo un team e delegando. Ma la delega funziona solo se a monte si è condiviso e compreso un progetto, se lo si prende a cuore e lo si fa diventare non solo “commerciale”, ma anche culturale. Ho scelto per ogni locale uno chef resident: Donato Ascani a Venezia, Alex Manzoni a Bergamo, Gabriele Boffa nel Monferrato e Marco Ortolani in Maremma. Ognuno di loro interpreta un luogo e condivide con me un pensiero preciso. È fondamentale mantenere relazione, scambio e comunione di intenti.

Quale ingrediente non può mancare nella sua dispensa?
La cultura: nel conservare gli ingredienti, metterli in ordine e farli sostare in un frigorifero o su uno scaffale per poi cucinarli
e servirli al meglio.

Il piatto o il prodotto che non si stanca di assaggiare?
Con molta semplicità, uno degli ingredienti che capita quotidianamente nel mio piatto è l’olio extravergine di oliva. Ha annunciato di voler mettere mano al suo risotto rapa e
gorgonzola.

Come è il suo rapporto con i signature-dish?
Tutti i piatti in menù devono raccontare la filosofia di un ristorante, di un luogo e delle persone. I cosiddetti “signature- dish” tracciano un’identità e riconoscibilità precisa per gli ospiti. Non sono indispensabili, però sono fiero di avere in carta il “Risotto alle rape rosse e salsa gorgonzola”. In un momento in cui non era evoluto come gli altri piatti, l’avevamo
sciato solo nel menù degustazione “I Classici”. Poi però è ritornato nella versione “Evoluzione”. I piatti che cucinavo dieci anni fa, come i Bottoni olio e lime con salsa cacciucco, hanno oggi contenuti nuovi e una nuova golosità.

Come definisce la sua cucina?
I miei piatti raccontano sapori antichi in chiave moderna.

Quali sono le tendenze più suggestive in questo momento per la ristorazione?
Mai come in questo momento la cucina italiana sta vivendo un momento di grande brillantezza. La sfida, per i prossimi anni, potrebbe essere quella di portare nel mondo un messaggio più moderno rispetto all’idea attuale della cucina italiana.

Che consigli dà a un giovane chef?
Seguire un’identità, italiana o territoriale, e soprattutto coltivare il legame con le persone; guardare al migliore della categoria come stimolo, ma senza rinunciare a personalità e gusto. Il successo non è fatto di volumi o di etichette, ma sta nel portare un messaggio a tante persone, aumentando il desiderio di condividere un’esperienza, in questo caso gastronomica.

Ha vissuto a Bergamo. Come valuta la città da un punto di vista gastronomico?
È una città ricca di risorse, con tradizioni “casalinghe” di cucine saporite, per cui andare al ristorante non significa solo “mangiare bene”, ma ricercare un’esperienza. Molti hanno una forte impronta tradizionale e altri applicano la visione contemporanea della cucina. Tra questi c’è “Impronte”, che ho avuto il piacere di visitare. Si coglie la formazione dello chef, che sa esaltare i sapori proprio come si aspetta un gourmet quando si siede a tavola per lasciarsi divertire dalla creatività, dalla tecnica della cucina e dalla concretezza degli Eningredienti e da un servizio di sala molto caloroso.

 

photo © Paolo Chiodini




Bocuse d’Or Italia al via. Beltrami (Fipe): “Un’occasione da non perdere anche in chiave turistica”

Giorgio Beltrami e Carlo Cracco

È stata presentata oggi, 15 gennaio, da Cracco in Galleria la Selezione Italiana Bocuse d’Or Italia che si svolgerà il 27 gennaio ad Alba, in provincia di Cuneo, organizzata dall’Accademia Bocuse d’Or Italia in collaborazione con la Federazione Italiana Cuochi e aziende primarie del settore. L’obiettivo è individuare lo chef che guiderà il Team Italia alle gare europee di Tallin 2020, in programma il 28 e il 29 maggio, con l’obiettivo di guadagnarsi le qualificazioni alle finali del Bocuse d’Or di Lione 2021, la più importante competizione mondiale delle arti gastronomiche. Alla presenza delle autorità regionali e comunali sono stati presentati i tre team che parteciperanno alla Selezione composti rispettivamente da uno chef candidato, un commis e un coach che si affronteranno nella preparazione di due piatti, uno di pesce e uno di carne, utilizzando alcuni ingredienti principali selezionati dal Comitato Organizzatore e giudicati da una Giuria di Degustazione composta da 18 importanti chef italiani e da una Giuria Tecnica. Le tre squadre pronte a sfidarsi sono: il team al femminile toscano, con Marialuisa Lovari chef, commis Briget Gimmi, Susanna Del Cipolla coach; il team laziale con lo chef Andrea Del Villano, commis Francesco Prata e Filippo Crisci come coach; il team con lo chef Alessandro Bergamo, Francesco Anese commis e Lorenzo Alessio coach. I piatti della sfida avranno come protagonista il coniglio grigio di Carmagnola e la salsiccia di Bra per la carne, mentre lo sgombro del Mediterraneo con il carciofo di Sicilia esalterà i sapori del mare nostrum. Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Bar e Ristoranti Ascom Confcommercio e vicepresidente nazionale Fipe, ha sottolineato, in rappresentanza di Confcommercio, l’importanza del concorso in chiave turistica: “È importante che la ristorazione italiana prenda parte a questo grandissimo concorso internazionale, qualsiasi sia il risultato che riusciremo a raggiungere. La ristorazione,  con i suoi 46 miliardi di valore aggiunto ( il 34% sul totale), traina la filiera agroalimentare italiana, ed è più importante di Agricoltura e Industria Alimentare. Anche se il suo ruolo non è sempre riconosciuto. Lo vediamo per esempio nell’organizzazione del Bocuse d’Or. Negli altri Paesi europei il concorso viene sostenuto dai Governi come asset di attrattiva turistica, mentre da noi ciò non succede”. La cucina, ha aggiunto, è cultura, territorio, immagine, brand: “Da una recente ricerca su 700 mila post in lingua inglese, i ristoranti italiani sono al primo posto tra le dieci cose che i turisti apprezzano maggiormente della nostra nazione. Il food gioca un ruolo strategico nell’immagine del Paese, impatta sulla capacità di affascinare, attrarre e vendersi e ha un vero e proprio “potere d’influenza”. La cucina è un eccezionale portatore virale di stile di vita. Questa percezione è confermata dai dati visto che secondo questa ricerca internazionale, Il richiamo della cucina italiana, al netto della ristorazione veloce, muove un giro d’affari positivo per 158,2 miliardi di dollari. Per capirci, il secondo è il Giappone con un bilancio di 43,9 miliardi”. Componente materiale e componente immateriale si intersecano, accrescendo in modo esponenziale l’impatto positivo sulla vita delle persone, sull’economia, sull’immagine del Paese nel mondo: “Come pubblici esercizi abbiamo una responsabilità intrinseca in tutti coloro che hanno la capacità di influenzare: quella di promuovere valori, qualità, sostenibilità nel messaggio di stile di vita che portiamo con le attività del food- ha precisato Beltrami-. Tornando al Bocuse d’Or mi ha sempre impressionato il supporto che ogni Paese riesce a dare al suo rappresentante con investimenti in tempo, denaro e relazioni. I Paesi del Nord Europa non solo si possono permettere di fare certi investimenti, ma hanno deciso di farli per rivalutare la loro ristorazione, tanto che per esempio la Danimarca ha  dei progetti governativi che mettono al centro il cibo come elemento di promozione del brand del Paese.  E se lo può fare la Danimarca credo che possiamo farlo anche noi. Basta volerlo. Auspichiamo quindi che anche in Italia possa esserci da parte del Governo una simile attenzione, proprio per il valore economico e simbolico che il nostro settore ricopre”.

 




Ritorna Ingruppo, i menu stellati accessibili

Prende il via oggi, 14 gennaio, l’ottava edizione di Ingruppo, l’iniziativa che celebra l’alta cucina avvicinandola a tutti. La manifestazione è in programma fino al 30 aprile e coinvolge 20 ristoranti gourmet, di cui 8 stellati e 2 tristellati.
Su prenotazione, sia pranzo che a cena (tranne a San Valentino e a Pasqua, il 12 aprile) sarà possibile ordinare un menu completo – antipasto, primo, secondo, dolce, caffè, acqua e vino – al costo di 60 euro a persona. Per Da Vittorio, Sadler e Enrico Bartolini Ristorante il prezzo è di 120 euro a persona.

Alla rassegna aderiscono 16 ristoranti bergamaschi, 1 nel territorio di Monza e Brianza, 2 a Milano e 1 in provincia di Sondrio. Quest’anno ci sono due novità: il ristorante Impronte, di Bergamo, che con il giovane chef Cristian Fagone, ha conquistato la sua prima stella e il Cantinone di Madesimo (Valchiavenna), guidato da Stefano Masanti, uno dei pochi ristoranti in quota (1.550) ad aver conquistato una stella.
Da Vittorio e il Mudec di Enrico Bartolini. E poi, Sadler, Casual, Frosio, Il Saraceno, Loro e Osteria della Brughiera, tutti con una stella Michelin. Completano il gruppo, Collina, La Caprese, Lio Pellegrini, Al Vigneto, Antica Osteria dei Camelì, Posta, Roof Garden Restaurant, Tenuta Casa Virginia, Pomiroeu e Cucina Cereda

A sinistra, Francesca Mauri e Cristian Fagone del ristorante Impronte. A destra, Stefano Masanti, Raffaella Mazzina Stefano Ciabarri del ristorante Il Cantinone. Photo credit Guida InGruppo 2020 Paolo Picciotto e pag. 57 Paolo Chiodini

La formula smart di InGruppo, concentrato di cucina di qualità e territorio lombardo, è stata ideata otto anni fa da Giuliano Pellegrini del ristorante Lio Pellegrini per rendere accessibile ai millennial e non solo la gastronomia d’eccellenza come forma di cultura. 

La prenotazione può essere effettuata via telefono o via e-mail, contattando direttamente il ristorante prescelto, specificando anticipatamente la richiesta del menu «Ingruppo»”. Tutte le info sono disponibili su www.ingruppo.bg.it, anche in inglese.

I locali sono raccontati in “Ingruppo 2020, la Nuova Guida al piacere a tavola, edita da Mediavalue Edizioni, direttore editoriale Elio Ghisalberti, fotografie Paolo Picciotto. La guida è disponibile in forma gratuita presso i Ristoranti del gruppo.

 

 

 

 




2020 con lo scontrino elettronico Sei mesi di tempo per adeguarsi

Dal primo gennaio 2020 si è esteso l’obbligo di memorizzazione elettronica e trasmissione telematica dei corrispettivi (il cosiddetto scontrino elettronico, più correttamente chiamato documento commerciale) a tutti coloro che svolgono un’attività commerciale al dettaglio in Italia. Lo ha ricordato in un tweet il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Si tratta della nuova certificazione dei corrispettivi che va a sostituire i vecchi scontrini fiscali e le vecchie ricevute, già partita il primo luglio scorso per gli operatori con un volume di affari superiore ai 400mila euro. 
Per chi non è riuscito a dotarsi in tempo utile di un nuovo registratore telematico, è prevista una “moratoria” delle sanzioni di sei mesi (fino al 30 giugno 2020).
Gli esercenti che non si sono ancora dotati dei nuovi registratori telematici potranno dunque continuare ad utilizzare i vecchi registratori di cassa ed emettere lo scontrino fiscale senza incorrere in sanzioni purché i corrispettivi mensili vengano trasmessi attraverso un’apposita procedura telematica all’Agenzia delle Entrate dai propri intermediari. È molto importante, però, attivarsi il prima possibile per acquistare presso rivenditori autorizzati il registratore telematico oppure adattare, se tecnicamente possibile, il registratore di cassa già in uso.

Gli strumenti a disposizione per adempiere al nuovo obbligo

La nuova modalità di certificazione dei corrispettivi prevede l’impiego di strumenti tecnologici idonei, anzitutto, a garantire inalterabilità e sicurezza dei dati. Questi strumenti sono attualmente due: il registratore telematico e la procedura web “documento commerciale online”.
Il primo è quello che meglio si adatta alle attività dei commercianti al dettaglio (bar, ristoranti, panetterie, eccetera) che fino ad oggi hanno emesso scontrini tramite registratore di cassa o ricevute fiscali con una certa ripetitività. Con questo strumento la memorizzazione dei dati dei corrispettivi e l’emissione del documento commerciale si possono effettuare anche in assenza di connessione alla rete Internet. Basterà connettere l’apparecchio alla rete nel momento di chiusura di cassa e fino a quando l’operazione di trasmissione non sia avvenuta. La procedura web gratuita dell’Agenzia delle Entrate è invece più indicata per gli artigiani e i lavoratori autonomi che, al momento di effettuare l’operazione, hanno più tempo per compilare il documento commerciale.

Quali sono i vantaggi?
Non sarà più necessario tenere il registro dei corrispettivi: la memorizzazione elettronica e la trasmissione telematica dei dati sostituiscono, infatti, gli obblighi di registrazione delle operazioni effettuate in ciascun giorno. Non occorrerà conservare neanche le copie dei documenti commerciali rilasciati ai clienti, come avveniva con le copie delle ricevute fiscali.
C’è anche, infine, la riduzione dei costi per la verifica periodica del registratore telematico rispetto a quelli sostenuti per i tradizionali registratori di cassa, poiché si passa da un controllo annuale a una biennale. Chi, invece, usava bollettari madre/figlia e utilizzerà la procedura web dell’Agenzia delle Entrate non sosterrà più il costo di acquisto del bollettario.

Il contributo dello Stato per l’acquisto dei nuovi registratori telematici
Per l’acquisto del registratore telematico, o per l’adattamento del vecchio registratore di cassa, è previsto un contributo sotto forma di credito d’imposta pari al 50% della spesa sostenuta, per un massimo di 250 euro in caso di acquisto e di 50 euro in caso di adattamento.

Le convenzioni per gli associati Ascom
Per abbattere i costi legati all’acquisto di un nuovo apparecchio, Ascom Confcommercio Bergamo ha stipulato una convenzione con tre rivenditori di Bergamo (Brevi Due, Cadei Bruno e Steva Data Sistema) associati ad Ascom e a Comufficio-Confcommercio, l’Associazione che rappresenta gli operatori commerciali nei settori dell’informatica, delle telecomunicazioni e dell’automazione dei punti vendita.
Nel concreto la convenzione consente agli associati Ascom di usufruire di uno sconto sul prezzo di vendita del registratore telematico che è compreso tra l’8% e il 15%, a seconda della tipologia e tecnologia dell’apparecchio scelto. Per informazioni sulle convenzioni in atto contattare l’ufficio Innovazione e Digitalizzazione (referente Giorgio Puppi – tel. 035 4120123).




Tiziano Incani: “Sono il re della piadina”

A gennaio tornerà in televisione su Bergamo TV con la sua trasmissione “Bepi quiss”, versione Made in Bergamo dei classici quiz a premi. Tiziano Incani, in arte Il Bepi, cantante e presentatore bergamasco classe ’74 di Rovetta, è amatissimo, non solo nella nostra città. Con i suoi personaggi comici e le canzoni in dialetto che spaziano dal blues al country, dalla techno al folk, fa divertire da anni stuoli di fan raccontando la “bergamaschità” più genuina in modo divertente ma per nulla sciocco.
L’abbiamo incontrato in un giorno grigio di metà autunno. Lontano dai suoi soliti toni scanzonati e ironici, ci ha parlato di cibo, della difficoltà di fare musica di qualità, di nuovi
progetti che lo vedranno in una veste diversa da quella che conosciamo e di un certo suo sogno “megalomane”.

Che rapporto ha con il cibo?
Molto buono. Cibo e vino a volte per me sono una medicina. Nei momenti “no” mi hanno aiutato a stare meglio. In quanto ai piatti non sono uno che varia tantissimo. Per me conta tanto l’atmosfera, con chi e dove mangi.

Con il suo lavoro sarà spesso fuori a cena. Qual è il ricordo più bello legato alla tavola?
Ne ho parecchi. Molti sono legati alle feste e alle sagre dove ho suonato con il mio gruppo. Ci si siede al classico tavolone delle feste e si fanno delle pantagrueliche mangiate. Gli organizzatori ci trattano da principi.

Cosa mangia prima o dopo un concerto?
Tanti miei colleghi evitano certi cibi perché fanno male alla gola, io me ne frego. Con il tempo però ho imparato a evitare i fritti.

È goloso?
Di dolci no. Sono una buona forchetta ma faccio tanta attività fisica e smaltisco.

Rosso, bianco o birra?
Dipende dall’atmosfera. Il rosso lo collego alla stagione fredda, il bianco lo bevo d’estate. La birra mi piace sempre. Da ragazzo assaggiavo le birre più particolari, oggi apprezzo di più la lager bionda. Non la verso mai, la bevo dalla bottiglia, smodatamente, nella maniera grezza.

In cucina come se la cava?
In modo pessimo. Sono il re delle piadine, faccio delle ricette apprezzatissime ma so fare solo quelle. Per questo sono felice quando mi invitano. Ho un amico che cucina molto bene e ha un grande cultura del vino. Quando mi propone una cena a casa sua so che sarà una bella serata.

Qual è il piatto che ama di più?
Sono proprio un figlio di pasta e pizza, ne mangio in quantità. Mi piace in particolare la carbonara, non la mangio spesso e quando capita me la godo. Ha fatto del dialetto bergamasco una bandiera e la sua cifra musicale. È altrettanto “partigiano” con la cucina? Non vado alla ricerca di cucina tipica e non vivo a salame e polenta, ma i piatti bergamaschi mi piacciono quasi tutti, soprattutto il classico casoncello.

Un cibo che non sopporta?
Il cavolfiore, soprattutto se cotto. Ha un odore terribile. E forse non affronterei la nuova moda degli insetti, mi fa impressione.

Ristorante o trattoria?
Trattoria tutta la vita, mi piace la semplicità. Durante la settimana vado spesso a mangiare la pizza in un localinoa Rovetta, l’Antica Pergola. Trovo un’atmosfera in via di estinzione, poca gente, l’immancabile anziano che beve il calice al bar. Mi danno un tavolo in un angolo e mi godo la cena in tranquillità.

Se potesse scegliere una persona da invitare a cena chi sarebbe?
Probabilmente una bella donna. Per parlare di musica invece direi Franco Battiato, ma temo che non ci troveremmo bene a tavola, mi dà l’idea che sia complicato anche sui piatti, quindi scelgo Paolo Conte. In una sua canzone, dal titolo Snob, dice “Le cose che noi mangiamo sono sostanziose come le cose che noi diciamo”. Forse con lui parlerei un po’ meno di musica ma mangerei meglio. Lo porterei al Ristorante Commercio di Clusone dove si mangia sempre bene.

È vero che i fan la omaggiano con regali gastronomici?
Capita. Chi viene ai miei concerti da fuori Bergamo spesso mi porta prodotti tipici e vini della sua terra ed è una cosa che apprezzo molto.

Cantante, presentatore, ha scritto tre libri, partecipato persino a una soap (Un posto al Sole). Dove e in che ruolo la vedremo nei prossimi mesi?
Penso che lavorerò con estrema calma a progetti nuovi. A fine gennaio riparte il “Bepi quiss”. Contemporaneamente mi dedicherò a un progetto molto particolare che so dividerà il pubblico perché è molto lontano da quello che la gente vuole dal Bepi. Non ho premure perché quello della musica è un mercato martoriato. C’è un abisso tra le canzoni ai massimi livelli che si facevano negli anni Settanta e quella di oggi. La gente pretende di ascoltare musica gratis ma il disco figo costa. Questo alla fine ha influito sulla qualità, nessuno può permetterselo, soprattutto noi cantautori piccoli.

Ha un sogno nel cassetto?
Suonare in uno stadio pieno, alla fine siamo tutti megalomani. Lo dico anche in una canzone. Avere ai concerti molte persone che cantano le mie canzoni è motivo di soddisfazione, ma l’ambizione non la soffochi, neanche a 45 anni.

 




Addio a Vittorio Fusari. “Non vi ho lasciati, avete in eredità le mie ricette”

Il 2020 inizia con una brutta notizia. È morto ieri Vittorio Fusari, grande maestro della cucina italiana, tra gli artefici della crescita della Franciacorta, anima dell’alleanza dei cuochi di Slow Food e dal 2018 cuoco del Balzer di Bergamo.
Fusari, 66 anni, era ricoverato al Mellino Mellini di Chiari per problemi cardiaci. Ieri le sue condizioni si sono improvvisamente aggravate a seguito di un malore fino al tragico epilogo. Lascia la moglie Anna Patrizia Ucci medico al Papa Giovanni XXIII di Bergamo e fiduciaria Slow Food per l’olio dell’area sebino- franciacortina) e il figlio Giacomo. Molti i colleghi e amici che in questi giorni avevano seguito con apprensione e speranza l’evolversi della sua malattia e che lo ricordano con parole di stima e di affetto.
Uomo appassionato del suo lavoro, garbato, umile, sempre disponibile a raccontare e a condividere la sua filosofia del cibo e il suo amore per la sua Iseo e la Franciacorta. Nel 1981 aveva dato vita nel centro di Iseo a Il Volto, piccola osteria con cucina, nell’86 l’apertura de Le Maschere, ristorante d’autore e stella Michelin. Nel 2007 con Vittorio Moretti aveva dato vita ad Adro a La Dispensa Pani&Vini, un po’ ristorante un po’ dispensa di prodotti eccellenti del territorio.
Dopo un’esperienza a Milano come chef al Pont de Ferr sui Navigli, nel 2018 era arrivato a Bergamo in uno dei locali storici della città.
Sulla sua pagina facebook l’ultimo messaggio a sua firma: «Non vi ho lasciati, avete in eredità le mie ricette che raccontano le mie idee. Copiatele e fatele vivere costruendo attraverso il cibo un mondo migliore».
Ci uniamo al cordoglio dei colleghi, dei collaboratori e di tutto il territorio. 




Buon anno con ceci e zampetti

Da un punto di vista etnografico, le festività di fine anno rappresentano una profonda stratificazione di usi e credenze tra le quali, a ben vedere, quelle apportate dalla cristianità costituiscono una patina piuttosto superficiale. In passato i mesi più freddi erano un tempo di profonde inquietudini e di timori ancestrali, dominato dall’apprensione che l’indebolimento dell’attività solare imbaldanzisse gli spiriti dell’oscurità e dell’oltretomba. Il solstizio di inverno, in prossimità del quale la Chiesa ha calcolatamente collocato la festività del Natale, segnava il punto di svolta di questo ciclico avvicendamento di forze benefiche e malefiche, di cui l’umanità doveva propiziare il positivo epilogo tramite gli strumenti prescritti dal culto.

All’interno di questo quadro, le pratiche alimentari legate alle ricorrenze di fine dicembre hanno assunto un profondo valore simbolico, legato da un lato al tema del culto dei defunti, che per la loro collocazione in grembo alla terra erano eletti a custodi delle sementi sparse negli arativi, e dall’altro a quello della corroborazione, con un afflato per lo più sacrificale, dell’universale ripresa della fertilità dopo gli aspri rigori dell’inverno. Più che di un’antica cucina del Natale, acquista dunque significato parlare di una sequenza coordinata di gesti gastronomici che in passato dal cuore dell’autunno aveva sviluppo sino all’inizio del nuovo anno.

Due erano i motivi di spicco che si alternavano in seno a questo ciclo culinario, cui oggi si stenterebbe ad assegnare alcuna connotazione natalizia. Da un canto aveva distinzione una cucina dei semi – cereali e legumi – intimamente connessa alla devozione per i trapassati. A questa si intercalava la cucina del porco, al quale numerose culture del passato – dal microcosmo Greco-Romano a quello germanico-scandinavo – associavano strettamente la nozione di fecondità.

Lungo la prima linea ha risalto la zuppa di ceci e tempia di maiale che la tradizione milanese lega al giorno dei morti, la cui chiara ispirazione pagana trae evidenza dalla stridente trasgressione della regola di magro, ma anche l’antichissima minestra di grani mangiativi che Antonio Tiraboschi rammenta si consumasse a Bergamo a fine anno. Il maiale è ancor oggi incontrastato primattore sulle tavole natalizie dei paesi baltici e della Transilvania, ma non sorprende che  la testa lessata del suino venga servita il 25 dicembre sulle mense della bassa veronese, o che per la medesima ricorrenza nella marca trevigiana tra i bolliti con la pearà spicchi l’osso magòn (ossocollo). E neppure nella Bergamo ottocentesca del Tiraboschi poteva passare inosservato il florilegio di salumi da pentola – da prosciutti e zampetti a salsicciotti e cotechini – che nell’ultima decade dell’anno guarniva vetrine e scaffali delle botteghe cittadine.