Cavoli e dintorni, a Bergamo vince la tradizione

«Sapete come nascono i bambini? Sotto un cavolo», esclamavano divertite e con un pizzico di malizia le contadine affaccendate nei campi, quando vedevano passare qualche giovanotto. Quelle ragazze, che nel secolo scorso raccoglievano cavoli nelle piantagioni dell’Europa centrale con un punteruolo di legno, erano chiamate levatrici. Proprio come le ostetriche. Già, perché il loro compito era tagliare il cordone ombelicale che legava metaforicamente questi ortaggi alla terra. Eppure, la fantasiosa interpretazione di quelle giovani donne laboriose sull’origine della vita traeva spunto da presupposti reali. Simbolo di fecondità, il cavolo veniva seminato in marzo e raccolto dopo circa 9 mesi, come accade per la gestazione. In passato questa pianta rappresentava l’unico alimento capace di garantire il giusto apporto di vitamine e sali minerali nei freddi periodi invernali. E ancora oggi resta una delle verdure più gettonate, grazie alle molteplici proprietà benefiche e antitumorali decantate da esperti nutrizionisti.

Cavolo verza all'OrtomercatoArancioni, verde smeraldo e persino viola, le varietà di cavolo presenti in natura sono le più disparate. Nell’arco dei millenni, infatti, la grande famiglia delle brassicacee ha subito parecchi incroci che hanno prodotto una gamma pressoché infinita di queste piante. Dal pak choi orientale al cavolo nero toscano, dai broccoli ai cavolini di Bruxelles, dal cavolo riccio a quello rosso, dalle cime di rapa alla verza, c’è davvero l’imbarazzo della scelta per chi vuole sbizzarrirsi tra i fornelli. Eppure i bergamaschi a tavola scelgono quasi sempre la tradizione. E così, quando vanno a fare la spesa, preferiscono andare sul sicuro acquistando i cavolfiori bianchi: «I primi freddi hanno incentivato i consumatori ad acquistare cavoli per i minestroni o per le insalate a base di verdura cotta – conferma Ezio Benigni della BBR ortofrutta, azienda che si occupa di commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi freschi o conservati all’Ortomercato di via Borgo Palazzo –. Il più acquistato è il cavolfiore bianco, seguito dal romanesco a piramide, che ha un sapore più dolce, e dai broccoletti. Il cavolo verde tondo, invece, si vende di più nel Bresciano e nel Veronese che in Bergamasca».

Fabio EustacchioIl prezzo dei cavoli può variare in base alla richiesta e alla deperibilità come spiega un produttore, Fabio Eustacchio, Orticola Eustacchio di Levate: «I cavoli che porto all’ortomercato di Bergamo sono stati raccolti il giorno precedente. Più tempo restano sui bancali, più il prezzo scende. Dopo la raccolta, un cavolo può durare circa una settimana prima di finire in padella. Ovviamente, prima lo si consuma, maggiori sono le proprietà nutritive di questo ortaggio. Per esempio a metà ottobre vendevo cavolfiori, broccoletti e cavolo romanesco a 80 centesimi al chilo, a fine ottobre a 1,20/1,50 al chilo. Il cavolo verza, invece, ha prezzi più stabili dai 40 ai 60 centesimi al chilo. Il problema è che ormai la gente è poco abituata a seguire la stagionalità di un prodotto. Oggi si trovano frutti e ortaggi estivi tutto l’anno, ma il prezzo in inverno è il doppio e la qualità è inferiore. E noi produttori diventiamo matti per accontentare il cliente». Dietro ogni ortaggio che finisce sui bancali, insomma, si nasconde una lunga storia. «E se i clienti la conoscessero – prosegue Fabio Eustacchio – pagherebbero volentieri il doppio per portarsi a casa questi cavoli. Per me lavorare è una passione, dormo pochissimo, mi alzo alle 2.30 per andare all’ortomercato di Bergamo a vendere la mia verdura. Ho 30 anni e lavoro in questa azienda insieme a mio padre Ferrante, a mio fratello e a mio zio da quando ne avevo 15. I cavoli che sto vendendo in questo periodo li ho seminati a maggio e raccolti a ottobre. Abbiamo avuto un buon raccolto, nonostante il caldo estivo. Per fortuna non ci sono state forti grandinate. Quando ad agosto la temperatura è salita a quasi 40 gradi, ho passato intere giornate a innaffiare le mie piantine e c’è una grande soddisfazione quando alla fine le vedi crescere bene, proprio come un figlio. Il vero ortolano non ha l’orologio al polso, segue la luce del sole. Quando viene buio presto, si passa dai campi al magazzino».

In generale, il consumo di cavoli quest’autunno è aumentato. Cavolfiore bianco, broccoletti e cavolo romanesco restano i più gettonati mentre le varietà colorate, dal viola all’arancione, rappresentano un mercato di nicchia e, vista la richiesta limitata, parecchi agricoltori sono restii a produrlo. A confermare questa tendenza è Martino Bonacina che, insieme al fratello Giancarlo, gestisce un’azienda agricola in via San Martino della Pigrizia: «Ho provato a coltivare i cavolfiori viola ma su 50 piante raccolte, 30 le ho mangiate io perché i bergamaschi preferiscono i prodotti classici. I tradizionali cavolfiori bianchi sono quelli che vanno di più. Al secondo posto c’è il cavolo romanesco a pigna. Qui sui colli i cavoli crescono molto meglio che in altre zone della Bergamasca. Il clima, l’orientamento dei raggi solari, la posizione, favoriscono la produzione. Ultimamente va molto di moda anche il cavolo nero. Colpa di Antonella Clerici – è la sua spiegazione – che nel suo programma ha sponsorizzato molto questa varietà che, fino a qualche tempo fa, era appannaggio della Toscana. Vista la crescente richiesta, l’anno prossimo ne produrrò qualcuno in più».

Angelo ViscardiTra le biodiversità più amate nel nostro territorio c’è poi una produzione autoctona: il cavolfiore dei Colli di Bergamo. Merito delle sue piccole dimensioni e delle sue foglie tenere. A coltivarlo da anni, con cura e dedizione, è Angelo Viscardi che nella sua azienda agricola in Borgo Canale fa crescere questi cavolfiori i cui semi vengono tramandati da generazioni. «Tutto è iniziato con mio nonno Luigi, poi è subentrato mio papà Battista e ora tocca a me conservare e preservare questa semenza di cavolo marzatico. Sono ormai rimasto uno dei pochi contadini a produrla. Ad ogni raccolto si selezionano i semi delle piante più belle e si riseminano la stagione successiva. Il mio cavolfiore si differenzia da quelli che si trovano in commercio perché è più piccolo e ha un colore panna-avorio. Le sue foglie sono così tenere che si possono mangiare cotte nel minestrone, hanno molte proprietà benefiche e curative. Sui Colli il mio cavolfiore cresce bene perché resiste alle gelate. Coltivo anche il cavolo nero perché c’è molta richiesta ma non con semi autoprodotti. E poi ho le foglie di verza che sono molto utilizzate nei ristoranti della Valle Seriana, in particolare a Clusone, per la preparazione del Capù, involtino di verza ripieno di carne trita».




Vino, la 4R diventa produttrice e recupera un vigneto nel centro di Rosciate

La 4R-Villa Domizia  di Torre de’ Roveri ha siglato un’alleanza con la Cantina Sociale Bergamasca di San Paolo d’Argon per ristrutturare e rilanciare 10 ettari di vigneto nel centro di Rosciate.

Un nuovo e interessante progetto si aggiunge quindi alle attività dell’azienda commerciale – tra le più vivaci nel settore della distribuzione di bevande e di vino, in primis per la zona orobica -, che da tempo ha sposato la causa del vino del territorio, diventando protagonista anche nella produzione, ormai prossima alla soglia delle 70mila bottiglie all’anno. Dal 1995, infatti, la 4R ha iniziato a dar vita a una gamma di vini in bottiglia in grado di rivalutare il territorio secondo un preciso disegno strategico e progettuale. Il tutto nella consapevolezza delle grandi opportunità offerte dai vini a denominazione di origine e con la voglia di offrire un concreto contributo alla tutela e alla promozione, tanto che il 7 marzo del 2002 la 4R è entrata a far parte del Consorzio Tutela Valcalepio, che tra l’altro uno dei quattro fratelli Rota, Enrico, presiederà dal 2011 al 2014.

«Da allora – spiega Giampietro Rota, presidente della 4R – la nostra passione e ricerca non ha più avuto tregua. E il percorso avviato ci ha portato a concludere anche un accordo storico con il maggior produttore di uve e di vino di Bergamo: la Cantina Sociale Bergamasca. La scelta sulla Cooperativa di San Paolo d’Argon, quale partner di riferimento, è assai facile da spiegare. La Cantina Sociale Bergamasca da sempre rappresenta il fulcro dell’innovazione in Valcalepio e da tempo desiderava intraprendere la strada della produzione biologica. Se a questo sommiamo il fatto che con la dirigenza della Cantina stessa è in atto una forte e motivata collaborazione da ormai 15 anni, diventa scontato comprendere i presupposti della scelta».

«Assieme a loro – annuncia Rota – abbiamo dato vita a un progetto ventennale che comprende la ristrutturazione e la lavorazione in comune di un vigneto di quasi 10 ettari nel comune di Scanzo, proprio nel centro di Rosciate. La novità, però, riguarda la filosofia che abbiamo scelto di seguire: il vigneto sarà coltivato allo scopo di ottenere una produzione biologica, nel pieno rispetto di quello che, ad ogni effetto, può essere considerato un vero e proprio giardino in mezzo al centro abitato. Strategie chiare, quindi, sempre con una visione lungimirante per anticipare le evoluzioni del mercato, soprattutto quello estero. L’esportazione è diventata per noi parte integrante della nostra missione. I mercati in cui operiamo, dal Lussemburgo al Brasile, dalla Corea del Sud al Belgio, come d’altro canto anche gli altri, sono assai sensibili alla produzione biologica».

L’intenzione è quella di produrre vini quali Valcalepio Bianco Doc, Valcalepio Rosso Doc, Terre del Colleoni Incrocio Manzoni 6.0.13 Doc e Terre del Colleoni Incrocio Terzi Doc. Proprio questi ultimi due vitigni sono oggi ancora poco coltivati a Bergamo e il problema dell’approvvigionamento di queste uve sta diventando assai serio, motivo in più per scegliere di gestire direttamente la produzione di uva. «Senza contare un altro aspetto che ci ha spinti a questa scelta – conclude Rota -, ovvero il contributo alla riqualificazione del territorio: abbiamo sempre insistito sull’importanza del rispetto di quella che è una grande peculiarità dell’enologia in Bergamasca, quella vicinanza ai centri abitati che fa della Valcalepio il “Giardino di Bergamo”. Quella del biologico è una sfida che in pochi hanno accettato nella nostra provincia e noi, assieme alla Cantina Sociale, siamo lieti di fungere ancora una volta da volano per quello che riteniamo essere un plus produttivo importante da presentare sul mercato».




Serina, il negozio di alimentari apre una sala di lettura

Non mancano certo le idee e la voglia di realizzarle al giovane Daniele Cavagna e alla sua famiglia che in Val Serina hanno dato vita ad una virtuosa integrazione tra prodotti e servizi per conquistarsi spazi e clienti nel difficile contesto della montagna.

Nel “Mondo Paganì“, come è stata chiamata la rete delle attività familiari ispirandosi al soprannome di nonno Luigi, ci sono un’azienda agricola dedicata alla produzione di latte di asina, un bed and breakfast, entrambi a Oltre il Colle, il negozio di alimentari specializzato in prodotti tipici “Paganì Antichi Sapori”, a Serina, e pure le proposte della guida alpina Mattia Cavagna.

Offerte che finiscono anche in pacchetti soggiorno, i cosiddetti “Pagabox”, oppure sfilano nel negozio on line.

L’inpagan - sala lettura - gastronoteca (1)tento è trasmettere suggestioni ed emozioni oltre al semplice gusto di una vacanza, di un formaggio o di un vino e a fare da filo conduttore si ritrova, spesso e volentieri, il piacere della lettura, autentica passione in casa Cavagna, con Daniele che è anche scrittore di romanzi. E se già da qualche tempo il negozio (reale e on line) ha lanciato degli intriganti abbinamenti tra vini e libri, oggi amplia questa vocazione inaugurando una sala lettura, ossia uno spazio ad ingresso libero allestito a fianco del punto vendita (in via Dante Alighieri, 34) dove è possibile fermarsi a leggere, magari approfittando dello scambio libri già avviato, e decidere di assaggiare i prodotti selezionati dal negozio o scambiare qualche chiacchiera con altri appassionati buongustai.

Il nome è Gastronoteca, dall’incontro dei termini Gastronomia e Biblioteca, ed è un ambiente rustico e caldo caratterizzato dal legno e dagli attrezzi della vita contadina, dove non mancano però le comodità “moderne”, a cominciare dal wifi gratuito.

pagan - sala lettura - gastronoteca (3)«Abbiamo voluto creare questo spazio perché abbiamo notato che il nostro servizio di scambio libri è piaciuto molto, sia ai residenti che ai turisti – dichiarano i promotori -, così abbiamo pensato di valorizzare l’iniziativa aggiungendovi l’aspetto gastronomico. Pensiamo che la Gastronoteca sia il primo locale di questo genere, se non altro in zona, e siamo convinti che sia un arricchimento dal punto di vista dell’offerta di servizi per tutta l’area circostante».

pagan - sala lettura - gastronotecaLa Gastronoteca è anche il luogo dove avranno sede le future iniziative organizzate da Paganì, come corsi di degustazione, incontri tematici sul vino, sui formaggi e sui libri. «Ciò che ci piace – rilevano – è proprio questo intrecciarsi tra i prodotti tipici e la letteratura. In questo spazio, infatti, oltre agli eventi e agli assaggi, è sempre attivo lo scambio libri. Ognuno può consultare i numerosi libri presenti e farne ciò che vuole, quindi anche prenderli e portarli a casa, contribuendo a sua volta con altri libri che magari non usa più. L’idea è di creare un luogo dove la cultura e la gastronomia si incontrano, dove poter stare in tranquillità a leggere un buon libro e dove arricchire la propria sfera di conoscenza personale in ambito culturale e gastronomico».

L’inagurazione ufficiale avverrà lunedì 7 dicembre, dalle 16 alle 19.30, con ingresso libero. All’evento parteciperà anche l’azienda Agricola De Toma, storica produttrice di Moscato di Scanzo, che presenterà le proprie idee regalo per Natale, tra cui diverse novità.

 




Villongo, cena delle streghe nel ricordo di Roberto Gambirasio

Ben prima che prendesse piede e diventasse una festa molti anche in Italia, al ristorante Cadei di Villongo Halloween era già una serata speciale. Nata 22 anni fa da un’idea del patron Roberto Gambirasio, con piatti ispirati alla stagione buia e al suo mistero, viene portata avanti con affetto e dedizione dalla famiglia dopo la sua scomparsa, nel 2013.

Ristorante Cadei - serata delle Streghe 2015 - Tarcisia al lavoroAnche quest’anno, quindi, il 30 ottobre attorno alla tavola non sono mancate astrologhe e cartomanti che, alla fine della cena, con carte e tarocchi, hanno scrutato nel futuro degli intervenuti. In cucina, invece, la moglie Tarcisia ben coadiuvata dalle figlie Cristina e Claudia, seguendo le indicazioni di Roberto, si è impegnata a preparare nella continuità della tradizione un menù ad hoc. La serata aperta con l’aperitivo delle streghe è proseguita con riso nero con gamberi e zucchine, spiedino di carne con polenta scura ed una torta dedicata ad Halloween come dolce conclusione.

Al ristorante Cadei i piatti escono spesso dai ricordi delle ricette dei “nonni” che riportano i commensali ad assaggiare alcune tradizioni della cucina bergamasca. In primis le paste fresche come i “fuiade”,  i “teedei”, come anche dei gustosi casoncelli e la specialità dei “nosecc”, gli involtini di verze.

La serSerata streghe Cadeiata delle streghe, oltre ad essere motivo d’incontro di tutti gli amici che frequentano il locale, ha ricordato la passione di Roberto Gambirasio per la cucina e la convivialità e fatto respirare per qualche ora un’atmosfera magica.




Ecco “Sit Down”, la cena che fa bene a tutti. Ai tavoli sei ragazzi disabili

Sit DownSembra di essere sul set di “Hotel a sei stelle”, la docu-fiction trasmessa da Rai 3 che racconta l’esperienza lavorativa di sei ragazzi speciali affetti dalla sindrome di Down e altre disabilità intellettive. La differenza è che, questa volta, l’opportunità professionale è offerta sul campo da Maté, il risto-market di Treviglio. L’iniziativa, che ha debuttato il 10 novembre ed è l’unica nel territorio bergamasco, si chiama “Sit Down”, la cena che fa bene a tutti. E, in effetti, fa riflettere i clienti del locale, abbatte luoghi comuni e pregiudizi sulla diversità, ponendo attraverso il cibo l’attenzione sulle tematiche sociali. E aiuta chi, essendo in condizioni svantaggiate, si scontra con un muro, l’impossibilità effettiva di entrare nel mondo del lavoro. I sei nuovi camerieri provengono dalle cooperative Insieme di Treviglio e Fili intrecciati FA di Brignano.  Per tutti è la prima esperienza in un luogo pubblico. Anche se all’apparenza appaiono sicuri, in realtà l’emozione è tanta.Sit Down 3

C’è Simone, il più grande con i suoi 33 anni, da Misano. “Mi sono sempre dato da fare con lavori di meccanica, ma ora mi diverto, sono in compagnia e sto bene”, dice sorridente. Ylenia, 22 anni, vive a Treviglio. “Paura di sbagliare? Certo ce l’ho, ma può capitare a chiunque – dice -. Qui non si scherza, facciamo sul serio”. I loro compagni sono Paolo, 28 anni, di Cascine San Pietro, Roberta, 30 anni, di Treviglio, Alice, 27, di Ghisalba. E Marco, 21, di Romano, che nella sala affollata ha letto il discorso che aveva preparato: “So portare i bicchieri e le portate, so apparecchiare, sistemare coltelli e forchette, disfare la tavola. Sono contento, ma non mi basta perché voglio  migliorarmi – afferma commosso -. Prometto che farò del mio meglio, ci impegneremo tutti”.Sit Down 2

I ragazzi non improvvisano: si sono preparati seguendo per due mesi il corso di operatore di sala  all’Abf di Treviglio. Al loro primo giorno in un vero ristorante, si sono presentati in modo professionale con indosso la divisa, alcuni servendo dietro al bancone riso, affettati, focacce, antipasti, cous cous, altri dandosi da fare soddisfacendo i clienti ai tavoli. L’appuntamento continua ogni martedì, dalle 18.30 a mezzanotte, e vedrà impegnati a turno un paio di ragazzi, che saranno pagati per le ore di servizio prestate grazie a un contratto come tirocinanti. Importante la collaborazione con le due cooperative, dal momento che i neo camerieri saranno seguiti passo a passo dagli educatori. “Il nostro gruppo è nato nel 1979. Da allora ci sono stati tanti progressi grazie a iniziative fuori dall’ordinario che usano diversi linguaggi, come il coro, il teatro. Siamo stati scelti anche come maestri di giardinaggio a Cervia, ora abbiamo colto con entusiasmo questa nuova opportunità che accresce l’autostima dei nostri ragazzi” – commenta Armando Ambivero, che presiede la cooperativa trevigliese. L’attività sarà impegnativa e gratificante. “Daranno una lezione di efficienza e caparbietà perché il cibo è portatore sano di convivialità”, commenta Giuliano Mattavelli, socio di Matè.

 




Perché difendiamo il depennato risotto con le rane (rumene)

Il risotto con le rane
Il risotto con le rane

Da modesto cultore di storia del cibo, non riesco che a sorridere dinnanzi all’inflessibilità dei disciplinari gastronomici del nostro tempo. Il cuoco che azzardi l’inserimento di un velo di cipolla nella ricetta dei bucatini alla gricia, o di uno spicchio d’aglio in camicia nel condimento degli spaghetti all’amatriciana, assai difficilmente sfugge ad un processo per iconoclastia. Eppure in passato tra i fornelli regnava la più spensierata approssimazione. Del biancomangiare – a buon titolo la più celebre pietanza medievale – l’illustre studioso Jean Luis Flandrin ha censito oltre trenta versioni, tutte significativamente divergenti. Descrivendo poi la preparazione di una vivanda di pollo al melograno, il Liber de Coquina – capostipite trecentesco dei ricettari di cucina del nostro paese – suggerisce che, in sostituzione dell’agrume, il piatto possa essere insaporito con un tutt’altro che pertinente brodo d’erbe. E la sequenza degli esempi potrebbe protrarsi all’infinito.

Non sorprende dunque la fresca manifestazione di intransigenza gastronomica che giusto in queste settimane è trapelata dalla nuova edizione de  “La tradizione a tavola”, curata dalla prestigiosa Accademia Italiana della Cucina per i tipi delle Edizioni Bolis. Dalla ponderosa raccolta di ricette – ben tremila, a compendio degli usi alimentari della Penisola  – si apprende infatti che è stato depennato il risotto con le rane perché i piccoli anfibi “ormai non sono più quelli del territorio, vengono dall’estero”. Ad esempio – si puntualizza – dalla Romania.

Di primo acchito, l’impulso a dare privilegio alle ricette contraddistinte da chiaro vincolo di territorialità delle materie prime parrebbe del tutto commendevole. E del resto quello del “chilometro zero” è uno dei temi oggi più in voga. Ma, a ben vedere, si tratta di un profondo equivoco. Da un canto, la nostra tradizione gastronomica – anche quella che affonda le proprie radici nelle epoche più remote – si è sempre tenuta ben lungi dall’autarchia. E’ vero che alcuni degli ingredienti di più chiara derivazione allogena sono passati attraverso un prolungato processo di assimilazione produttiva – è il caso del pomodoro, della patata, del mais, dello stesso riso. Ma altri, come aringhe, stoccafisso e baccalà, sono sempre stati e sono destinati a rimanere inderogabilmente forestieri.

Dall’altro, la morfologia stessa delle materie prime di cucina è tutt’altro che statica. Se l’intendimento dell’Accademia Italiana della Cucina è semplicemente quello di preservare i sapori di “una volta”, è bene precisare che ci si trova nel dominio delle imprese irrealizzabili. Secoli di incroci ed ibridazioni hanno irrimediabilmente modificato aspetto e profilo gustativo di tutte le specie coltivate ed allevate per l’alimentazione umana. Si prenda il caso del maiale: i capi oggi presenti sul territorio nazionale appartengono per lo più a varietà straniere il cui bagaglio genetico ha ben poco in comune con quello del suino di ceppo italico dei nostri antenati. Ma nessuno si sognerebbe mai di proporre il bando delle specialità di norcineria ricavate dalle carni dell’anglosassone large white dall’albo dei prodotti tipici Italiani.

Il depennamento del risotto con le rane – ancorché rumene – dalle ricette della nostra tradizione culinaria pare dunque un poco opportuno esercizio di purismo. Ed il pensiero corre inevitabilmente ad un memorabile apologo in dialetto milanese di Carlo Maria Maggi, vecchio di oltre tre secoli ma pur sempre attualissimo: el poverett leccard (di bocca buona), che no possend fà i verz co’l cervellaè (cervellato) no’l se contenta de mangiai co’l lard.




“in dispArte”, ecco il locale che mixa cibo e cultura

Il locale in dispArte (Foto Antonio Milesi)
Il locale in dispArte (Foto Antonio Milesi)

Inaugurato “in dispArte”, un luogo di incontro a Bergamo, in pieno centro. Un locale per fare arte e cultura, in via Madonna della Neve 3, promosso da Cristian Sonzogni e Natale Malena.

Vi si possono trovare mostre di pittura, fotografia, musica e teatro, ma anche una biblioteca con duemila volumi selezionati per portare alla luce titoli e autori che meritano di essere letti.

L’intenzione dei titolari è quella di far vedere che anche a Bergamo c’è un luogo dove poter trovare un gruppo di persone capace di esprimere talento ed emozione, senza l’assillo del business. “Sì perché in dispArte – affermano Malena e Sonzogni – nasce così: per dare modo a chi abbia qualcosa da dire di farlo notare attraverso la forma d’arte che meglio gli si confà. Per far sì che i nostri tesori non restino nascosti”.

In dispArte è però anche bar (già attivo) e ristorante (a partire dalla fine di novembre, affidato allo chef Stefano Asperti), con apertura dalle 7 alle 2 di notte, senza giorno di riposo.

Seicento metri quadrati divisi in due: da una parte, il ristorante che punta sulla semplicità e su prodotti di qualità, provenienti da tutta Italia e da altri Paesi, spiegati e raccontati ai clienti nei dettagli; dall’altra, un’area espositiva e un’area eventi per musica (ogni sabato), teatro (ogni venerdì), interviste e convegni (ogni domenica).

Poi, la rivista: un mensile già attivo da settembre, con arte e cultura in primo piano. E un obiettivo: portare a galla ciò che sta un po’ nascosto, ma che ha qualità importanti e nulla da invidiare a ciò che è più popolare. Musica, teatro, cinema, letteratura, e qualsiasi altra cosa possa essere classificata come arte o cultura.

http://indisparte.com/




A Treviglio il ristomarket che fa cucinare il cliente

Matè come Madre terra è il nuovo ristomarket di Treviglio che trasforma il cibo in esperienza di vita. Per la prima volta, nella Bergamasca sbarca una formula innovativa: oltre alla forte attenzione alle intolleranze, i prodotti possono essere acquistati nella bottega del locale e cucinati dallo stesso cliente nell’area “You cook”.

Alla base del progetto c’è una filosofia salutistica, concetti come la nutraceutica e la nutrigenomica che spingono a consumare alimenti che ci fanno stare meglio e, in alcuni casi, ci aiutano a guarire. «Nei  prossimi anni, la scienza riuscirà a mappare il genoma del cliente ottenendo informazioni preziose per fargli assumere ciò di cui necessita», spiega Fabio Duca della società Treverde che ha ottenuto lo spazio nell’ex Upim dopo essersi aggiudicata il bando comunale. Per rifornire il locale è nata la cooperativa agricola Cascine nelle terre di ghiaia con una decina di soci tra Arzago, Pandino, Treviglio e Pontirolo. I loro prodotti sono in vendita, dalle 8 alle 20, nella bottega. Si possono trovare carne bovina romagnola e marchigiana, pasta fresca, verze, patate e la zucca dalla buccia verde scura, oltre a valeriana, soncino e lattuga garantiti dalle estese serre.

Dopo aver fatto la spesa il cliente può decidere di cucinare per 14 suoi ospiti nell’area show cooking: al centro ci sono i fornelli, attorno i commensali che assistono alla preparazione. Si può provare l’esperienza affiancati da uno chef dell’Abf di Castel Rozzone oppure delegare al cuoco ogni mansione. Lo chef di Maté è Roberto Raimondi. Scegliendo dal menù su tablet si possono gustare le sue prelibatezze, le torte e i pasticcini di carne di Gio Fenili, il gelato fior di mucca ottenuto da latte appena munto, la birra prodotta da Heineken a Comun Nuovo, non pastorizzata e con solo 4,8 gradi o scegliere tra 25 etichette del distributore piemontese Vino libero. A metà novembre comincerà la lezione alimentare “Bella bimbi”, il sabato e la domenica a pranzo. I ragazzi, sempre più bombardati da spot di merendine, avranno davanti a loro un buffet ricco di tentazioni: chi sceglierà le combinazioni più bilanciate sarà premiato. Il 10 novembre debutta “Sit Down”: ogni martedì, alcuni bambini si trasformeranno in camerieri per far riflettere sulla loro patologia. I posti sono 115 all’interno, altrettanti fuori d’estate. Prezzi per tutte le tasche, dai 9 ai 15 euro a pranzo fino ai 45 per la cena.




Cuoco dell’anno, un bergamasco sul podio

il piatto di Simone Cadei, Lingua con salsa verde scomposta

 

C’è un bergamasco sul podio dell’undicesima edizione del concorso Cuoco dell’anno, organizzato dall’Unione Cuochi Regione Lombardia (UCRLo) nel corso di Host, la fiera internazionale dell’ospitalità chiusa ieri a a Fieramilano Rho.

simone cadei 2È Simone Cadei, titolare con i due fratelli – anch’essi chef – del ristorante Simagò di Osio Sopra. Si è classificato al terzo posto nella competizione che ha visto in lizza 18 concorrenti, soci della Federazione di tutta Italia, e che aveva come tema “Del maiale non si butta via nulla”.

Si chiedeva di elaborare un piatto con le parti meno nobili e il quinto quarto del suino abbinate alla lavorazione di un cereale (come riso, orzo, mais). Cadei ha ottenuto il punteggio di 96,2 sul totale di 100 con il piatto “Lingua con salsa verde scomposta”. Il titolo di Cuoco dell’anno è andato ad Andrea Mantovanelli, dell’Associazione Cuochi Verona, con “Musetto di maialino e scampi” (punteggio 98,6) mentre in seconda posizione è arrivata la “Guancia di maiale” del bresciano Cristian Spagnoli.

Al debutto quest’anno, il concorso per la “Salsiccia 3.0”, così definita per l’utilizzo di strumenti professionali innovativi, è stato vinto da Michele Fiorito dell’Associazione Cuochi Brescia.

Queste, infine, le menzioni speciali assegnate dalla Giuria:
Coppa Aldo Sacchi, tecnica nell’uso dei fondi e salse: Luca Fasoli
Coppa Egidio Rossi, capacità tecniche dimostrate in giovane età: Giulia Corbellini
Coppa Fiorenzo Baroni, Premio Giuria popolare gusto visivo: Luca Piccinelli
Coppa Enzo D’Ellea, Premio speciale pertinenza al tema e ricerca: Mattia Giacomelli
Coppa Gian Paolo Cangi, miglior utilizzo di tecniche innovative: Pompeo Lorusso

Oltre a promuovere il confronto professionale, la presenza in fiera della Federazione Italiana Cuochi ha rappresentato una vetrina del mondo associativo per la vasta platea dell’evento, che in quattro giorni ha totalizzato oltre 150mila visitatori.

 




Tutti a mangiare fagiolini con le cotenne a Pizzighettone

scodella-Fasulin-de-l’òcDopo il record delle 25 mila presenze dell’edizione 2014 con turisti e buongustai di tutte le età e oltre 400 camperisti da tutta Italia, dopo la presentazione in grande stile dell’edizione 2015, Pizzighettone torna a diventare tra ottobre e novembre (solennità dei Defunti e Ognissanti) la capitale dei ‘Fasulin de l’òc cun le Cudeghe’ (Fagiolini dall’occhio con le cotenne), con l’omonima maratona gastronomica dentro le mura, riscaldate dai grandi camini d’epoca, che anche quest’anno va in scena nella versione del doppio week end: Sabato 31 Ottobre e domenica 1 novembre e di nuovo Sabato 7 e Domenica 8 Novembre. Durante la festa non c’è possibilità di prenotare i tavoli, per partecipare è sufficiente inviare mail a info@fasulin.com, precisando nome, cognome, mail e cellulare di riiferimento, serata prescelta e numero di commensali. Quest’anno si prevedono 16mila porzioni di Fasulin (62 quintali cucinati espresso con tre cotture al giorno, a partire dall’alba, serviti in fumanti scodelle in coccio), oltre 250 volontari pizzighettonesi di tutte le età al lavoro. E poi le materia prime, tutte di esclusiva provenienza locale e tutte a chilometro zero, compreso il fagiolino dall’occhio di Pizzighettone, da agricoltura locale, coltivato a circa 500 metri dalle mura, col recupero così oltre che di un antico piatto tipico anche di una antica coltura della tradizione contadina locale, in uso fino agli Anni Sessanta.