Val del Fich, i formaggi da premio della “Giamburrasca” dei caprini

Federico Cornolti
Federica Cornolti

Nessuna emozione quando le telecamere di Linea Verde l’hanno ripresa tra le stalle e i prati dell’azienda, durante la mungitura e la preparazione delle sue “creature” a chilometro zero, ricotte e formaggelle, con tanto di consegna a domicilio nei paesi limitrofi, mentre da quest’anno ha avviato anche una fattoria didattica per i bambini.

Ma è sui formaggi che si concentra la critica, dopo il riconoscimento prestigioso già incassato da Federica nel concorso milanese Onaf 2016 “All’Ombra della Madonnina» per la doppietta stracchinello-tronchetto. Da quel momento la sua vita non è stata più la stessa e nel giro di un paio d’anni è diventata una delle allevatrici più “mediatiche” del Bel Paese, dimostrando di cavarsela assai bene non solo nella caseificazione e nell’allevamento, ma anche davanti a microfoni e telecamere. Lei però è fatta così, spontanea come il suo sorriso, e ama ricordare come tutto nacque poco più di tre anni fa, nell’anno in cui a Milano frequentava la facoltà di Veterinaria all’Università, con indirizzo “Allevamento e Benessere Animale”.

Federica racconta di aver deciso di fare il tirocinio in un allevamento di capre «poiché è l’animale da reddito che mi ha sempre affascinato sin da bambina». Così iniziò a frequentare l’Azienda agricola Gamba, dove Battista Leidi, il vero guru italiano dei caprini, insegnandole l’arte della caseificazione, non le risparmiò ruvidezze e rilievi. «I primi giorni – ricorda – furono difficili soprattutto perché Battista era molto rigido nei suoi insegnamenti, ma col passare dei giorni mi sono sempre più legata a lui e il tirocinio è durato più del dovuto. Cercavo di unire la teoria e gli studi universitari con la tecnica e la tradizione che mi trasmetteva Battista: lì ho capito che quello era il lavoro che avrei voluto fare e con l’appoggio dei miei genitori ho deciso di buttarmi in questa avventura, coronando il mio sogno: lavorare con gli animali».

Federica Cornolti

L’attività parte con 15 capi in lattazione stabulati in una piccola struttura provvisoria: Federica inizia a lavorare il primo latte in un piccolo laboratorio mentre aspetta i premessi per la struttura finale. «Ad oggi possiedo 40 capi in lattazione e lavoro un buon quantitativo di latte che viene completamente trasformato per la produzione di formaggi freschi, formaggelle, ricotte e yogurt». La soddisfazione più grande sono i complimenti dei clienti e della critica, specie in occasione del concorso milanese all’Ombra della Madonnina.

caprini - azienda agricola Val del Fich (2)«La Giuria mi ha assegnato l’eccellenza per il tronchetto crosta fiorita: è stata una sorpresa perché non avrei mai pensato, visto la mia poca esperienza, di raggiungere un premio del genere». L’entusiasmo è la sua arma in più, quella che le fa reggere la giornata anche a ritmi infernali: «Mungo le capre due volte al giorno, do da mangiare agli altri animali e poi parto con la caseificazione. Adesso mi sto attrezzando per organizzare i campi estivi con i ragazzi. È un lavoro sette giorni su sette. Anche se cerco di godermi al massimo i momenti di relax. A Pasquetta sono andata in montagna, ma prima di partire e una volta tornata, mi aspettavano le capre da mungere: non mi pesa, è la mia vita».

Con i clienti ha un rapporto speciale, in tanti le danno del tu, c’è empatia quasi immediata: «Mi piace il rapporto diretto con la gente: ascolto tutti, mi vanno bene i complimenti, ma ascolto anche i consigli e faccio tesoro anche delle critiche quando arrivano. Il consumatore cerca disperatamente la genuinità: preferisce venire al mio spaccio anziché andare al supermercato, ma in questo modo mi sento anche investita di tante responsabilità, perché devo dar loro i messaggi giusti, per una corretta alimentazione o uno stile di vita sano». E tanto per non farsi mancare niente, Federica ha varato anche una linea di confetture: «Le produco insieme a mia mamma e mia nonna. Diciamo che è un’idea intergenerazionale: è bello fare qualcosa insieme alla propria famiglia, e sono pure buone!».

Federica Cornolti - azienda agricola val del fich (2)Ma tornando alla sua antica vocazione, nonostante sia stata molto tempo, recentemente, davanti a taccuini e telecamere con disinvoltura disarmante, Federica confessa che la sua più grande emozione resta quella che le capita abbastanza spesso, ormai, in stalla: «È quando vedo nascere un capretto: a quel punto tutta la fatica scivola via e resta soltanto una grande gioia».

Azienda Agricola “Val del Fich”

via Cornella
Ponteranica
346 1045697



Alto Sebino, passeggiata gastronomica con i sapori della collina

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Tutti in marcia domenica 21 maggio a Solto Collina per l’undicesima edizione di “Profumi di Collina”, la camminata enogastronomica tra le località dell’Alto Sebino, una bella passeggiata con panorami naturali in cui la fatica di ogni tappa sarà ricompensata dalla degustazione di piatti locali.

Si parte alle ore 9.30 dall’oratorio San Giovanni Bosco di Solto Collina. La prima tappa è a Esmate, con la degustazione, dalle 10, di tisane dell’azienda agricola “L’asino del lago” di Solto Collina e del miele dell’Apicoltura Morandini di Fonteno. Seconda sosta, dalle 11, alla chiesetta di San Defendente per l’antipasto a base di salame, coppa e pancetta di produzione locale con bocconcino del lago. Il primo piatto, Garganelli di Solforino, sarà servito all’oratorio di Riva di Solto, a partire da mezzogiorno, mentre un’ora dopo, al campo sportivo di Fonteno si troverà il secondo: lombatina di maiale al forno con patate sabbiate o formaggella e stracchino del Monte Bronzone. È qui che sarà possibile per i bambini provare le cavalcate sugli asini proposte dell’azienda agricola “L’asino del lago”. Per la frutta e per il dolce di Solforino si torna al punto di partenza, dove i primi arrivi sono previsti dalle 14.30. Piatti e prodotti saranno accompagnati da acqua e vini. Per chi non ce la fa a coprire tutto il percorso a piedi, sono organizzate due navette, tra la terza e la quarta tappa e tra la quarta e l’ultima. Sul percorso si troveranno informazioni e promoter del territorio.

Il costo di partecipazione è di 20 euro per gli adulti, 10 per i ragazzi da 12 a 14 anni, 5 euro per i bambini da 6 a 11 anni. Le prenotazioni si ricevono fino a venerdì 19 maggio. La manifestazione è organizzata dalla Pro Loco La Collina, info www.prolocolacollina.it – 348 0811402




Slow Fish, il pesce buono e sostenibile torna protagonista a Genova

Slow Fish, l’evento internazionale dedicato al pesce e alle risorse del mare, approda al Porto Antico di Genova dal 18 al 21 maggio 2017.

“La rete siamo noi” è il tema dell’ottava edizione dell’appuntamento – organizzato dall’associazione Slow Food Italia e dalla Regione Liguria, in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali – che a partire dal 2004 ha consolidato un insieme di conoscenze, scambi e relazioni tra centinaia di “nodi”: pescatori, artigiani e cuochi da tutto il mondo che si incontrano per condividere e sostenere un approccio buono, pulito e giusto alla filiera ittica, alla biodiversità marina e all’equilibrio delle acque dolci.

Per saperne di più tornano anche le Conferenze, in cui i grandi temi scientifici al centro dei dibattiti internazionali – cambiamento climatico, valorizzazione delle risorse e sprechi – sono approfonditi da ricercatori, interpreti del mondo della pesca e istituzioni con un linguaggio accessibile e diretto.

Per aiutare i visitatori a “leggere” l’evento, i ciceroni di Slow Food propongono i Percorsi Slow “Che pesci prendere”, pensati per le scolaresche e il pubblico in visita. Il punto di partenza è Casa Slow Food, dove incontrare le comunità della pesca provenienti da tutto il mondo, aggiornarsi sui progetti della Chiocciola e sfogliare le ultime novità pubblicate da Slow Food Editore.

Da qui si salpa per un divertente viaggio tra gli stand, dove dialogare con esperti ed espositori, assaggiare specialità ittiche e approfondire le tematiche al centro della manifestazione. Come ad esempio il binomio cibo-salute, per chiarire dubbi e sfatare falsi miti sul pesce a tavola, grazie ai Master of Food guidati da dietisti e cuochi. Non può mancare un focus sulla tutela della biodiversità, narrata (e proposta in degustazione) dagli chef dall’Italia e dal mondo all’opera nei 15 appuntamenti della Cucina dell’Alleanza: un vero e proprio teatro in cui gli attori cucinano e raccontano gli ingredienti delle loro ricette, provenienti da produzioni rispettose dell’ambiente e del benessere animale.

E per chi vuole vedere i protagonisti della rete internazionale sbizzarrirsi ai fornelli, l’appuntamento è tra le bancarelle di pesce fresco e conservato, olio, sale e spezie del Mercato con i Fish-à-porter: una cucina, nello stile della Boqueria di Barcellona, nella quale cuochi e pescatori si alternano preparando piatti semplici e gustosi e spiegandone la storia, gli ingredienti, le particolarità.

Coorganizzatrice di Slow Fish fin dalla sua prima edizione, la Regione Liguria presenterà quest’anno uno spazio di promozione turistica dal nome #Lamialiguria, caratterizzato da ristorazione continua e degustazioni, incontri con pescatori e artigiani, laboratori del gusto con il pesto in diretta.

Ma non finiscono qui le novità di Slow Fish 2017, che si affiancano agli appuntamenti ormai immancabili per gli habitué della manifestazione genovese: oltre all’Enoteca con 300 etichette italiane, Piazza delle Feste ospita la Mixology, per imparare a bere consapevolmente e carpire tutti i segreti dai migliori bartender genovesi. Ai calici di vino e ai cocktail si abbinano le creazioni di Pizza n’ Fish, con i pizzaioli italiani attenti alla ricerca delle materie prime di stagione e del proprio territorio, e le proposte del Punto Gamberi, per apprezzare i gamberi rossi e rosa appena pescati nelle acque sanremesi, nelle loro forme più pure e sublimi, semplici ed essenziali.

Gli amanti della tradizione brassicola italiana possono invece soddisfare la propria curiosità ricercando il proprio stile in Piazza Caricamento e abbinando a un buon boccale di birra lo street food delle Cucine di strada, dei Food truck e degli spazi delle regioni italiane: un vero e proprio condensato di tradizioni gastronomiche regionali on the road. E per completare in bellezza la giornata a Slow Fish, ecco i grandi nomi della gastronomia italiana negli Appuntamenti a Tavola: sei cene i cui protagonisti sono piatti che parlano di acque dolci e mari aperti, dall’anteprima di mercoledì 17 a domenica, godendo dell’affascinante vista di Eataly Genova o respirando le atmosfere del centro storico con il Cavo Ristorante.




Il lecca lecca? Fu inventato a Bergamo

La fioritura di denominazioni e di presìdi a designare le eccellenze gastronomiche del nostro Paese non è certo esclusivo vezzo dei nostri giorni. Risale infatti a cinque secoli fa la compilazione da parte del poligrafo milanese Ortensio Lando – eccentricamente temerario al punto di imbarcarsi, tra le cruente reprimende della controriforma, nella prima traduzione in Italiano delle opere di Martin Lutero – del più antico tra i repertori delle specialità della Penisola. Poco più di cent’anni dopo toccava all’incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli redigere un memorabile censimento grafico delle principali prerogative di molte città d’Italia circa le robe mangiative, racchiuso nella stampa di una singolare riffa seicentesca intitolata gioco di cucagna.

Non stupisce che una così puntuale rassegna figurativa di leccornie risalga al secolo che, nell’arco dell’ultimo millennio, contende all’undicesimo la poco invidiabile palma dei picchi storici di indigenza e di inedia. Più del pugno di quatrini che il succinto regolamento della scommessa metteva in palio, non v’è dubbio che ai giocatori dell’epoca stesse a cuore l’onirico approdo alle maggiormente ambite tra le caselle del percorso ludo-gastronomico. Del resto, non è mistero che il mito del paese del bengodi abbia attinto i vertici di popolarità proprio allorché le generali condizioni di vita si adagiavano sui livelli più miserevoli.

Il seicentesco gioco della cuccagna
Il seicentesco gioco della cuccagna

L’opera d’arte, destinata in origine a far da tappeto al lancio dei dadi sui tavolacci di qualche taverna piuttosto che da decoro alle pareti dei palazzi patrizi, contiene una gran copia di rivelazioni assai preziose per gli storici dell’alimentazione. In essa si provvede ben più di un’asettica elencazione di prelibatezze – espressione per giunta di un’Italia monca che vedeva tracciato a Napoli il proprio limitare meridionale. Ogni specialità vi è difatti ritratta con apprezzabile grado di dettaglio, esibendo con precisione la morfologia da cui era contraddistinta quattro secoli or sono.

Alcune delle leccornie sono icone tutt’oggi vitali ed immediatamente distinguibili dei patrimoni alimentari regionali: è il caso dei cantuchi (cantucci) di Pisa e della rosolia – attualmente chiamata ratafià – sabauda; delle persiche (pesche) di Verona e del turone cremonese, della busecha meneghina e delle spongate di Reggio Emilia. Non meno attuale è il lustro degli insaccati parmensi e modenesi, nonché della mortadella di Bologna, la cui centralità nella tavola da gioco trova presumibilmente ragione nei natali petroniani dell’incisore.

Altre tra le ghiottonerie illustrate dal Mitelli sono passate attraverso secolari processi evolutivi, che ne hanno più o meno profondamente modificato denominazione e caratteristiche. Delle gatafure genovesi – antesignane delle celebri torte liguri di verdura – scriveva nel cinquecento il già menzionato Ortensio Lando, chiosando che così erano denominate perché le gatte volentieri le furano (rubano) e vaghe ne sono. Non è dato di sapere quale i felini dell’era moderna prediligessero tra la versione alle biete e quella alla cipolla, di cui Bartolomeo Scappi forniva le ricette nella coeva Opera. Nelle provature romane non è altresì arduo individuare le progenitrici di mozzarelle e scamorze dell’Agro Pontino, mentre il cuore del distretto di produzione dell’antico formaggio di Piacenza è negli ultimi secoli migrato a sud-est di qualche miglio, fondendosi con quello del parmigiano.

L’aldilà delle memorie gastronomiche ha, infine, ineluttabilmente accolto tra le sue brume un buon numero delle specialità vagheggiate lungo la tratta della seicentesca cuccagna. La tardiva comparsa dei broccoli napoletani scandiva ormai il crepuscolo dell’era, protrattasi appunto sino al termine del XVII secolo, nella quale la civiltà alimentare partenopea era designata come quella dei mangiafoglie, spianando la strada alla calata dei mangiamaccheroni. Delle trote che sguazzavano nei laghi di Mantova, così come della persicata ferrarese e dei pinoli ravennati – all’epoca rinomati al punto da meritare alla città rivierasca l’eponimo di bolla dil pignoli – oggi si serbano solo sbiadite rimembranze. Eguale sorte è toccata al pane di Padova, del quale già nel XIX secolo il clinico patavino Antonio Faggiani lamentava l’irreversibile decadenza. Irrimediabilmente trapassata è anche la prelibatezza a celebrazione della quale il Mitelli aveva riservato a Bergamo una tappa del suo itinerario. Si tratta del cinamomo confetto, a riguardo del quale già ci si è dilungati nel numero di Affari di Gola del novembre 2014. È comunque d’uopo tornare brevemente sul tema, giacché dall’incisione emergono nuovi ed interessanti particolari.

Il "lecca solo" bergamasco raffigurato nel seicentesco gioco della cuccagna
Il “lecca solo” bergamasco raffigurato nel seicentesco gioco della cuccagna

Colpisce anzitutto la singolare conformazione dello storico dolciume. In virtù della sua appartenenza al dominio della confetteria, ci si sarebbe attesi un morselletto oblungo o tondeggiante. Ma la raffigurazione che ne fornisce la stampa è quella di un sottile stecco di scorza di cannella, che da fonti del tempo sappiamo rivestito di zucchero. Quanto poi alle modalità del suo consumo, è affatto eloquente l’indicazione lecca solo che correda l’icona.

Questi indizi paiono convergere verso una curiosa conclusione. La letteratura gastronomica tende ad individuare nella Gran Bretagna del XVII secolo la culla di quello che nel mondo anglosassone è chiamato lollypop. In realtà il più antico lecca-lecca di cui si abbiano dettagliate notizie è proprio il cinamomo confetto di Bergamo, i cui natali sono da collocarsi nella prima metà del cinquecento. È indiscutibile che si trattasse di un prototipo ingegnosamente atipico, di un mangetout del quale nulla andava perduto. L’asticciola di legno aromatico che ne costituiva lo stelo – ed al contempo l’anima – era infatti da sgranocchiarsi dopo che la glassa che la ricopriva si era dissolta. In un’epoca di fiatelle pestilenziali, vieppiù appesantite dal largo consumo di agli e cipolle crudi e da condizioni di igiene orale sulle quali è preferibile glissare, la cannella d’altronde rappresentava uno dei più efficaci palliativi per le problematiche di alitosi.

Al di là di queste contingenze, spiccano le benemerenze della Consorteria degli Speziali ed Aromatari di Bergamo. Oltre ad aver dato vita alla prima specialità locale di autentica fama planetaria, la leggendaria corporazione ha infatti titolo ad annoverare, tra le proprie patenti di invenzione, anche quella dell’archetipo di uno tra i più popolari dolciumi di ogni tempo.




Concorso enologico, al via “Premio Qualità Italia 2017”

Concorso ViniAnche quest’anno, il Concorso enologico nazionale “Premio Qualità Italia 2017”, organizzato dalla Scuola di alta formazione e perfezionamento “Leonardo” di Città Sant’Angelo, si farà in Abruzzo. Il Concorso è stato approvato dal ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali e – dopo il successo delle passate edizioni, con la partecipazione di cantine di tutte le regioni d’Italia e con numerosi riconoscimenti per la professionalità dello staff organizzativo, delle commissioni di valutazione e dell’organizzazione generale – si appresta a registrare una significativa partecipazione con adesioni di cantine di varie regioni italiane. I campioni dovranno pervenire alla sede della Scuola “Leonardo” entro il 9 giugno prossimo. Le degustazioni inizieranno il 14 giugno e la premiazione avrà luogo il 1° luglio. Il regolamento, la scheda d’iscrizione e il verbale di prelievo sono consultabili sul sito www.premioqualitaitalia.org e la mail di riferimento è: concorso@premioqualitaitalia.org (tel. 085.21963).

Anche quest’anno l’organizzazione si propone lo scopo di mettere in evidenza la migliore produzione italiana per le categorie dei vini ammessi al concorso, valorizzare le tipicità italiane e regionali, presentare al pubblico le tipologie dei vini caratteristici di ogni regione, premiare lo sforzo delle Aziende produttrici e stimolare il continuo miglioramento qualitativo dei loro prodotti contribuendo così alla divulgazione del brand Italia nel mondo. I vini premiati saranno poi oggetto, per l’intero 2017, di particolari azioni promozionali da parte della Scuola Leonardo.

Ecco le categorie di vino a concorso:

  • IGT (Indicazione Geografica Tipica: Rossi, Bianchi e Rosati)
  • DOC (Denominazione di Origine Controllata: Rossi annate 2016, 2015, 2014, 2013, 2012 e precedenti, Bianchi annate 2016, 2015 e precedenti, Rosati)
  • DOCG (Denominazione di Origine Controllata Garantita: Rossi e Bianchi e Rosati)
  • Vini Frizzanti (Rossi DOC e IGT, Bianchi DOC e IGT, Rosati DOC e IGT)
  • Vini spumanti (Rossi VSQ, DOC VSQ e IGT VSQ, Bianchi VSQ, DOC VSQ e IGT VSQ, Rosati VSQ, DOC VSQ e IGT VSQ)
  • Vini passiti (DOC, IGT)



Italia in Rosa, a Moniga 132 cantine con il meglio dei rosé italiani

ChiarettoItalia in Rosa prepara un decennale da record: la rassegna dei Rosé italiani e dei Chiaretti torna nel ponte della Festa della Repubblica (2-4 giugno) schierando 132 cantine per un totale di 194 etichette in degustazione. Numeri mai raggiunti prima dalla ormai storica vetrina gardesana del drink pink, in programma come sempre a Moniga del Garda, città del Chiaretto. E sarà proprio il classico rosé della riviera bresciana del Garda a fare gli onori di casa con la partecipazione di 33 aziende associate al Consorzio Valtènesi, in una tre giorni che registra anche un boom di adesioni dalla Puglia con ben 26 insegne. Presenza quest’ultima che rafforza l’asse strategico Valtènesi-Salento, sancito quest’anno dalla collaborazione fra Italia in Rosa e Roséxpo, in programma a Lecce dall’8 al 10 giugno: a Moniga parteciperanno i 19 produttori riuniti nell’associazione deGusto Salento, mentre il Consorzio Valtènesi sarà schierato a Lecce con un pool di una quindicina di cantine, a configurare quella che si preannuncia come una settimana promozionale di alto livello all’insegna del bere rosa con focus particolare sui territori maggiormente vocati a questa produzione.

A Moniga sventoleranno anche le bandiere del Veneto (15 cantine), della Toscana (che sarà presente anche con l’associazione Rosae Maris- Vini Rosati di Maremma), della Sicilia e del Piemonte (sette aziende in entrambi i casi). Ma le dimensioni dell’evento sono destinate a crescere ulteriormente nei prossimi giorni grazie anche all’adesione di altre realtà come Le Donne del Vino, il Consorzio Oltrepò Pavese, la sezione toscana della Fivi ed altre ancora. In qualità di ospiti internazionali non mancheranno inoltre i raffinati Rosé della Provenza. La manifestazione si terrà nel castello di Moniga, tipica costruzione difensiva del territorio che risale al periodo tra il XIV e il XV secolo, dove ora è a disposizione una grande area per eventi con un panorama di grande suggestione sul lago di Garda: l’ingresso costa 10 euro con degustazione libera di tutti i vini, cui vanno aggiunti 3 euro di cauzione per sacca e bicchiere che verranno restituiti alla riconsegna.

Info: www.italiainrosa.it




Città alta, fino a domenica la festa del casoncello

de-casoncello -sfoglina Giusi

Si apre alle 19 di venerdì 12 maggio, in una Città Alta addobbata a festa con drappi e stendardi, la seconda edizione dello Street Casoncello, l’iniziativa gourmet nell’ambito di De Casoncello, manifestazione nata lo scorso anno per celebrare i 650 anni del piatto tipico bergamasco che quest’anno si confronta con le paste ripiene di Mantova, Cremona e Brescia, dato il titolo di Capitale europea della gastronomia assegnato alla Lombardia orientale.

Il borgo storico sarà animato sfogline, cuochi, ristoratori, musici e figuranti e si potranno gustare varie tipologie di questi scrigni golosi, infatti, ogni famiglia, ogni ristorante, ogni cuoco ha la sua ricetta che naturalmente, considera la migliore.

Da piazza Mascheroni e da piazza Mercato delle Scarpe partiranno due percorsi gemelli che, attraverso diverse tappe, racconteranno la storia dei casoncelli. Infine in piazza Vecchia, attraverso pannelli narranti, verranno svelate le particolarità delle diverse paste ripiene della Lombardia Orientale. Tutto sarà “condito” con balli, musiche per finire con uno spettacolo in costume che riporterà un fatto delittuoso “a base di casoncelli” realmente accaduto nel 1393.

L’ormai famosa sfoglina bergamasca Giusy si esibirà nella chiusura di scarpinòcc, casonsèi e dei “casoncelli storici” sotto i portici del Palazzo della Ragione.

Il programma prosegue nel pomeriggio di sabato 13 maggio (dalle 17 alle 19)  quando, sotto i portici del Palazzo della Ragione, lo chef Francesco Gotti del direttivo della Nazionale Italiana Cuochi, terrà una “lezione di casoncelli” svelando trucchi, segreti e tecniche di cottura. Infine, domenica 14 maggio in piazza Vecchia, verrà allestito il Palo della Cuccagna per bambini e adulti con “gustosi” premi e animazione mentre alle 17 i campioni in carica “Gli acrobati della cuccagna” parteciperanno alla tappa bergamasca del Campionato Italiano.

Durante lo Street Casoncello sarà distribuito il libretto “De Casoncello e delle altre paste ripiene” contenente la storia e alcune ricette di casoncelli bergamaschi e delle altre paste ripiene della Lombardia Orientale.




Aimo a Bergamo, in cucina all’Accademia del Gusto

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Aimo Moroni e la moglie Nadia (foto Brambilla e Serrani)

Talmente noto che basta il nome. Aimo (Moroni), insieme alla moglie Nadia, è uno dei miti della cucina italiana, quella che parte dai migliori prodotti della terra. Toscano di origine, a Milano da settant’anni, due stelle Michelin, dal 2012 ha passato il testimone ai fornelli de Il Luogo di Aimo e Nadia (altro nome “in purezza”, per quella trattoria diventata felice punto di incontro tra creatività e arte, memoria gustativa italiana e gesto contemporaneo, oggi guidata dalla figlia Stefania) agli chef Alessandro Negrini e Fabio Pisani, in forza al progetto dal 2005.

Non ha però smesso di trasmettere cultura gastronomica e mercoledì 10 maggio ha condiviso la propria esperienza e visione all’Accademia del Gusto di Osio Sotto, in un pomeriggio dedicato ai professionisti, insieme a Fabio Pisani. Per chi vuole un assaggio del pensiero dello chef, ecco la nostra intervista

Settant’anni di presenza a Milano, una lista di riconoscimenti che continua ad allungarsi: si sente un maestro?

«Io sono un cuoco. Ho dato la vita per la mia idea di ristorazione, di una cucina che fosse esattamente come io la sentivo. Una cucina fatta di passione e amore, in cui la qualità della materia prima riveste un ruolo fondamentale. Non ho mai pensato che il mio lavoro dovesse riempire il cassetto e raggiungere riconoscimenti e stelle. Poi sono arrivati… La prima stella nel 1980, la seconda dieci anni dopo. Non me le aspettavo proprio. Quando arrivò la seconda, quasi svenni. Ma i più grandi riconoscimenti arrivano dall’apprezzamento dei tuoi clienti, quando alla fine della serata vengono in cucina per ringraziarti e dirti che è stata un’ottima cena. Questo è ciò che ti rimane davvero dentro al cuore».

Che cos’è cambiato di più nel mondo del cibo?

«Sicuramente negli ultimi anni si è affermata sempre più la “moda” di cucine etniche. Ben venga la grande cucina di altri Paesi (la grande cucina, però!), ben venga lo street food, ma non dobbiamo dimenticare la nostra cultura gastronomica. Oggi a Milano è più facile trovare un ristorante che prepara sushi piuttosto che uno che cucini un buon risotto alla milanese. Ed è un vero peccato perdere le nostre radici. Perché la cucina è cultura, storia e civiltà».

I suoi piatti hanno attraversato i decenni, qual è il segreto?

«Credo che sia essere sempre stato coerente con una mia idea di cucina e di cucina italiana. Nell’aver creato piatti che nascevano dall’amore e dalla conoscenza del prodotto, interpretati con fantasia e creatività, ma sempre fedeli a sé stessi. Perché, come amo ripetere, la cucina non è ricca o povera, è buona. Quando mi si chiedeva perché non avevo in carta caviale e ostriche ho sempre risposto che il mio caviale era il pane e pomodoro e le ostriche il mio paté».

Ci racconta come è nato un suo piatto famoso?

«Gli spaghetti al cipollotto, nati nel 1965 e ancora oggi uno dei piatti simbolo del ristorante. Volevo fare una variante degli spaghetti aglio e olio, buonissimi, ma l’aglio di questa ricetta inibiva il palato e diventava quindi difficile apprezzare i piatti successivi. Così cominciai a lavorare sul cipollotto. Ci impiegai una settimana, chiuso in cucina, a fare le prove. Quando finalmente sentii il gusto che avevo in mente, mi commossi. Ecco come sono nati gli Spaghetti con il cipollotto fresco di Tropea, peperoncino di Diamante, basilico ligure e un filo di olio crudo della mia terra. Un giornalista scrisse che questo piatto è come la Settimana Enigmistica, vanta più di settanta imitazioni!»

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La squadra de Il Luogo di Aimo e Nadia. Da sinistra, Alessandro Negrini, Fabio Pisani, Nicola Dell’Agnolo, Stefania Moroni e Alberto Piras (foto Sara Magni)

Il suo nome è legato indissolubilmente a quello di sua moglie Nadia. Oggi è vostra figlia Stefania a dirigere Il Luogo. Quanto conta la famiglia in un’attività di ristorazione?

«Nadia ed io abbiamo iniziato a lavorare insieme da ragazzini e siamo stati insieme 24 ore al giorno per tutta la vita. E ha funzionato, ha funzionato benissimo! Alla fine degli Anni 80 nostra figlia Stefania incomincia a lavorare con noi, con iniziative che consentono di diffondere la conoscenza della nostra cucina in Italia e all’estero e avvia la collaborazione con l’artista e scienziato Paolo Ferrari da cui nasce il progetto del Luogo tuttora in progress. Nel 2005 arrivano in cucina Alessandro Negrini e Fabio Pisani, che apprendono e proseguono il nostro lavoro e lo fanno con un nuovo spirito, con una nuova consapevolezza, nuove conoscenze anche tecniche. Oggi la cosa che ci rende più orgogliosi è sapere che tutto il nostro lavoro non è andato perso, ma va avanti con nostra figlia Stefania e Alessandro e Fabio, una vivace famiglia allargata».

Per la sua cucina ha scelto non uno ma due eredi. Ai fornelli la coppia funziona meglio?

«Con noi ha funzionato e sta funzionando benissimo con Alessandro e Fabio. Il dialogo e il confronto arricchiscono. Ognuno di loro ha la propria esperienza, la propria storia e il proprio modo di essere, ma viaggiano entrambi sullo stesso binario, con un’unica visione».

Lei è anche stato consigliere dell’Epam, il sindacato milanese dei pubblici esercizi. Qual è il valore dell’associazionismo?

«L’associazionismo è importante quando diventa non solo un momento di scambio di idee e di confronto su problemi che riguardano la categoria, ma ha anche la capacità di creare un fronte unico su determinate questioni e problematiche comuni».

Oggi che si definisce “felicemente pensionato” cucina ancora?

«Oggi cucino per i nipoti e gli amici. Dopo aver trascorso una vita intera con pentole e fornelli, non posso più farne a meno, la cucina è nel mio Dna e a casa continuo a sperimentare, per passione. Non so usare il tablet, ma con una padella in mano riesco ancora ad emozionare gli amici!»

A proposito di clienti, qual è l’episodio che ricorda con più piacere?

«Diversi anni fa, quando eravamo ancora una trattoria e qui intorno a noi era solo campagna, capitarono dai noi un signore ed una signora con autista che si erano persi in una notte di forte nebbia. Suonarono il campanello e ci chiesero aiuto. Avevano fame, preparai loro gli spaghetti al cipollotto. Mi chiesero un doppio bis. Dopo due settimane arrivò da Vienna una bellissima lettera in carta pergamenata che ringraziava e diceva: Carissimi Aimo e Nadia gli spaghetti al cipollotto erano come la nona sintonia di Beethoven. Firmato Rita e Leonard Bernstein, uno dei più famosi compositori del Novecento».

Guide e Tripadvisor, cosa ne pensa? E dei blogger?

«Ho sempre cucinato per il piacere di cucinare e per il cliente. Le Guide sono utili, ma non possono essere il fine. I blogger? Ho un’altra età…».

Guarda i programmi di cucina in tv?

«La cucina mi piace farla, più che guardarla».

La sua è una cucina di prodotto. Dalla terra bergamasca ne ha attinto qualcuno?

«Dai migliori produttori in terra Bergamasca attingo soprattutto i formaggi, lo stracchino, il taleggio, lo strachitunt e il quartirolo della Presolana. Ma anche salami e vini. È una terra le cui eccellenze dovrebbero essere valorizzate di più».




Un lago diVino, a Sarnico 40 cantine in piazza nel weekend

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Postazioni di degustazione di vino e bollicine, percorsi guidati tra bar e negozi del borgo, laboratori e occasioni di incontro all’insegna di buon bere. Sabato 6 e domenica 7 maggio a Sarnico ritorna “Un lago diVino”, la due giorni dedicata agli appassionati di vini e buoni sapori.

Dalle ore 16 alle ore 22 le piazze della cittadina ospiteranno le eccellenze enologiche del territorio. Le cantine tra cui scegliere saranno circa 40. La mostra mercato permetterà di conoscere le etichette delle cantine più note e di aziende vinicole emergenti della Franciacorta e della Valcalepio. E in più alcuni produttori della Valcamonica, delle Langhe, dell’Oltrepò pavese e della Puglia.

sarnico lago di vino 2La formula è quella ormai consolidata. Con l’acquisto di un ticket (in vendita allo stand dell’organizzazione al costo di 12 euro) si riceverà una tasca da sommelier con un calice. A quel punto si potrà iniziare a esplorare le vie di Sarnico, degustando sorso dopo sorso i vini proposti. Sono previste degustazioni guidate, laboratori Slow Food (sull’olio extravergine, sui salami del progetto 13 lune, sulla sardina essiccata tradizionale del lago d’Iseo, sui caprini delle varie province lombarde), in collaborazione con la scuola alberghiera Serafino Riva di Sarnico, truccabimbi e concerti.

La manifestazione è organizzata da Sarnicom, l’associazione commercianti di Sarnico. Per maggiori informazioni: pagina Facebook Un Lago di Vino Sarnico.




“Masticare Cultura”, lo spettacolo teatrale si gusta al ristorante. Ecco il programma

Saga Salsa - Silvia Baldini - foto Natascia Locati
Saga Salsa – Silvia Baldini – foto di Natascia Locati

Sedere alla tavola di un ristorante, guardare uno spettacolo, scambiare pensieri e visioni. Questo è Masticare Cultura, il cartellone organizzato dalla residenza teatrale Qui e Ora nell’ambito del progetto Coltivare Cultura con il quale la compagnia è attiva nella Bergamasca con il sostegno di Fondazione Cariplo.

Si tratta di quattro appuntamenti in altrettanti locali della provincia che uniscono il piacere di una buona cena a quello del teatro. Si comincia giovedì 4 maggio al ristorante Tavernacolo di Osio Sotto (inizio ore 20.30, costo di menù e spettacolo 25 euro) con Cappuccetto Rosso Relativo di Andrea Pinna e Valentina Scuderi (Teatro del perché). Seguiranno tre repliche di Saga Salsa di Qui e Ora, il 22 maggio all’agriturismo Molino dei Frati di Trescore Balneario (costo 32 euro), il 25 maggio al ristorante Nettuno di Comun Nuovo (30 euro) e il 7 giugno al ristorante Ol Fa di Osio Sotto (30 euro).

Masticare Cultura è stato tra i primi esperimenti con i quali la compagnia si è misurata per immaginare un modo nuovo di progettare cultura, diventato poi uno dei cardini del proprio progetto. «Masticare Cultura – spiega Francesca Albanese, co-direttore artistico – è condividere uno spazio del quotidiano per vivere una socialità con persone da conoscere e per avvicinarsi in maniera piacevole al teatro. Compiere un atto sociale e culturale insieme, perché la cultura torni a essere vissuta dalle persone in maniera spontanea, perché il cibo possa alimentare il pensiero, per nutrirsi di bellezza, perché il rito dello “stare a tavola” possa costruire comunità. La coniugazione cibo-teatro si è dimostrata virtuosa, non solo nell’originalità dell’idea (che presuppone anche una particolare selezione delle opere da rappresentare) ma anche nel mettersi a disposizione delle economie del territorio, creando sinergie che movimentando l’offerta culturale hanno avuto ricadute felici anche su altri servizi, in questo caso la ristorazione».

È raccomandata la prenotazione.

Giovedì 4 maggio 2017- ore 20.30

Ristorante TAVERNACOLO

piazza Papa Giovanni XXIII 16 – Osio Sotto
Menù e spettacolo 25 euro

Lupo Cappuccetto Rosso Relativo

Teatro del perché

Cappuccetto Rosso Relativo

di e con Andrea Pinna e Valentina Scuderi
musiche Stefano De Ponti ed Eleonora Pellegrini

Cappuccetto Rosso Relativo ragiona sui cliché, gli stereotipi, i simboli, le meschinità di oggi e di sempre, prendendo come pretesto e filo conduttore una delle favole più note al mondo: Cappuccetto Rosso, di per sé stessa simbolo e crogiolo di metafore che riguardano non solo l’infanzia, ma anche i ruoli che gli esseri umani ricoprono fra loro. I due attori – autori, con il solo ausilio di un leggio e di un’innata mancanza di vergogna, interpretano tutti i ruoli: il lupo vegano iscritto al WWF, la nonnina antropofaga, il cacciatore critico letterario, Cappuccetto Rosso fashion victim, la mamma ex detenuta e tanti altri, in un susseguirsi di situazioni paradossali. Ma, alla fine, Tiziano Ferro che c’entra?

INFO E PRENOTAZIONI

quieora.organizzazione@gmail.com
+39 345 2185321
www.quieoraresidenzateatrale.it
www.coltivarecultura.it