“Un dolce per il Moroni”, ecco i tre finalisti. La cena rinascimentale deciderà il vincitore

dolce moroniAlbino avrà presto il suo dolce. O meglio, ce l’avrà Giovan Battista Moroni, il più celebre dei suoi cittadini. Sono infatti state selezionate le tre ricette finaliste del concorso “Un dolce per il Moroni”, promosso dall’Associazione Percorsi albinesi nell’ambito delle iniziative dedicate al pittore e ai suoi legami con la città dove è nato, ha abitato per lungo tempo ed è morto.

La gara, riservata agli appassionati bergamaschi di pasticceria e cucina, ha raccolto ben 27 partecipanti (14 albinesi e 13 dal resto della provincia) che hanno accettato la sfida di creare un nuovo prodotto ispirato alla figura dell’artista, che possa anche diventare un simbolo gastronomico del territorio.

La fantasia non è di certo mancata e le proposte hanno spaziato tra ciambelle e dolci al cucchiaio, muffin e biscotti, frolle e torte variamente caratterizzate e farcite. Il regolamento chiedeva un prodotto da forno classico, che non avesse necessità di refrigrazione, privo di conservanti ed emulsionanti, con ingredienti facilmente repribili, porzionabile o monodose e l’invito ad utilizzare la farina di grano tenero coltivato in Bergamasca. Le scelte si sono indirizzate prevalentemente sugli ingredienti locali e tradizionali, castagne in primis, di cui è ricca la zona, e poi noci, nocciole, fichi secchi, mandorle, prugne, more, amarene, mele, farina di mais, ma anche di riso, per rispondere alle crescenti intolleranze, e pure la speciale “Birra del Sarto”.

A convincere la giuria, presieduta da Ivan Morosini – panificatore Aspan, docente e “medagliato” in diversi concorsi professionali, anche internazionali – sono stati i “Moroncelli”, ossia dei casoncelli con ripieno dolce, i “Brownies di polenta”, con mele, uvetta e noci, e una frolla con farina di castagne con ripieno di fichi secchi e noci. Gli autori restano ancora anonimi perché a decidere il vincitore sarà una giuria popolare composta da tutti i partecipanti alla cena rinascimentale a lume di candela in programma sabato 23 aprile nell’ex convento della Ripa a Desenzano di Albino, quando i tre dolci saranno serviti a chiusura del menù.

Prima, però, i finalisti avranno la possibilità di affinare le proprie ricette in un laboratorio professionale, affiancati dallo stesso Morosini, che realizzerà le tre preparazioni per la serata. In palio un premio di 300 euro offerto dall’Aspan.

In giuria c’eravamo anche noi di Affari di Gola, insieme al presidente di Promoserio che collabora all’iniziativa, Giudo Fratta, ai rappresentanti dei consumatori Zeno Bortolotti (Adiconsum) e Simonetta Spreafico (Federconsumatori) e ad Alma Meli e Giorgio Puppi per Percorsi Albinesi.

Per il verdetto occorrerà attendere la cena, che si annuncia come un vero e proprio tuffo nel tempo del Moroni, per lo scenario d’epoca, i figuranti in costume, gli eventi e il menù stesso, curato dalla trattoria Moro Da Gigi di Albino, che prevede orzotto con funghi porcini e ortiche servito con formaggio caprino e di monte su pane rustico e stufato di manza con caponata di verdure e polentino di miglio, caffè della moka. Prima della degustazione dei dolci del concorso sarà proposto un intermezzo teatrale con lo spettacolo “Albino Città del Moroni”, dove alcuni dei quadri più celebri del pittore albinese prenderanno vita. Prima della cena (prevista alle 19.30), invece, sarà possibile partecipare a delle visite guidate alla Chiesa superiore e alla mostra dei lavori dei ragazzi realizzati “Nella bottega del Moroni”. Il costo è di 16 euro per gli adulti e 10 per i ragazzi fino a 12 anni, bevande escluse. La prenotazione è obbligatoria entro giovedì 21 aprile (Assocazione Percorsi Albinesi, tel. 345 2232054; biblioteca comunale; agenzia viaggi Le Marmotte).




Week end all’insegna del Formai de Mut in 11 agriturismi

Formai de Mut dell'Alta Valle BrembanaUn weekend alla scoperta del prodotto simbolo dell’arte casearia bergamasca: il Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana DOP. E’ l’iniziativa proposta a Terranostra Bergamo in collaborazione con il Consorzio dei produttori del prestigioso formaggio per valorizzare e promuovere uno delle chicche casearie dei gioielli dell’agricoltura orobica. Il 16 e il 17 aprile prossimi, 11 aziende agrituristiche proporranno nel loro menù una degustazione o un piatto che abbia tra i propri ingredienti il Formai de Mut, che grazie alla creatività degli “agrichef”  potrà essere gustato in  tutte le sue sfumature. Le aziende agrituristiche che hanno aderito al progetto sono: Casa Eden di Morali di San Giovanni Bianco, Agricola San Fermo di Martinelli di Calcio, Alle Baite di Ceruti Roberta di Branzi, Cascina  Oglio di Cressi Giovanni di Sarnico, Az. Molino dei Frati di Vecchi e Donini di Trescore Balneario, Cascina Lama di Rotoli Paolo di Clusone,  Casc. Capetone di Facchinetti di Brignano Gera D’Adda, Agriturismo Marco di Battaglia di Bergamo, Ferdy di Quarteroni Ferdinando di Lenna,  La Grande Di Venturini di Misano Gera d’Adda e Il Montizzolo di Caravaggio.

Per la realizzazione dei piatti le aziende agrituristiche avranno a disposizione il Formai de Mut stagionato fino a 4-6 mesi e – in via del tutto eccezionale – il Formai de Mut alpeggio 2014 stagionato più di 20 mesi e il Formai de Mut alpeggio 2015 stagionato più di 8 mesi.




Non solo Scaropinòcc, Parre recupera gli “Gnòch in Còla”

LOCANDINA_GNOCH_IN_COLANon solo Scarpinòcc. Sabato 16 aprile a Parre debutta la “Sagra degli Gnòch in Còla”, manifestazione che valorizza un’antica ricetta delle nonne, realizzata con prodotti poveri e semplici, ma che creano un piatto gustoso. Simili agli gnocchi al cucchiaio, vengono preparati impastando solo farina e latte. Successivamente con un cucchiaio si ricava dall’impasto uno “gnòc” alla volta, si cuoce in acqua già a bollore e a fine cottura si condisce con abbondante burro, salvia e formaggio.

La sagra è organizzata dalla Pro Loco in collaborazione con il Gruppo Folckloristico Lampiusa e con l’Oratorio e si svolgerà al PalaDonBosco dell’oratorio in via Duca d’Aosta. Si inizia alle 18 con l’aperitivo e alle 19 aprono le cucine. Durante la serata è previsto un momento musicale con canti bergamaschi con il duo Artemisio e Loredana; a seguire ballo liscio e dalle 22.15 disco music con la cover band Siks live.

Per informazioni: www.prolocoparre.com – 331.7740890.




Ad Alzano torna la festa dello street food

big food festivalIl consiglio degli organizzatori è di arrivare affamati. Già, perché è difficile resistere alla tentazione del buon cibo di strada e se, in un unico luogo, si ritrovano più di venti proposte non si può fare a meno di assaggiarne almeno un po’.

Dopo il successo della prima edizione, lo scorso ottobre, torna allo Spazio Fase di Alzano (via Pesenti, 1), The Big Food Festival, tre giorni (da venerdì 15 a domenica 17 aprile) dedicati allo street food “itinerante”, quello che raggiunge piazze e manifestazioni a bordo di furgoni, ape car e carretti attrezzati, che con le loro forme e colori e con i packaging originali delle pietanze rendono ancora più festosa la degustazione.

L’evento è organizzato da Coffee N television, la squadra che sempre nello speciale contesto post industriale dell’ex Cartiera Pigna realizza con successo il Factory Market, rassegna di artigiani e designer creativi.

La lista dei partecipanti a The Big Food Festival spazia tra specialità regionali, internazionali e green in versione da passeggio per comporre il proprio personale viaggio tra cartocci di fritti, imbottiti golosi, spiedini, piatti tipici, birre e vini, da gustare sedendosi liberamente ai tavoli a disposizione.Le proposte bergamasche sono quelle di Be Typical, Eskimo pastry food truck, Ma prima un caffè, Tassino Eventi, Vaniglia & co. e Vineria Cozzi. Da fuori provincia, sempre in rigoroso ordine alfabetico, arrivano Ape Romeo, Ape Scottadito, Basulon, BBQ Valdichiana, Beestró, Farinel on the Road – Miasse Food Truck, @Family Food, Frittfood &., Il furgoncino, Il Cannolo Eccellenza Siciliana, La Polentina, Las Bravas Morelia, Olive Ascolane Migliori, Mozao – Tigelle e Gnocco fritto, Nina La Roulotte, Pizza & Mortazza, Rock Burger Milano, The Meatball Family, Tigella Bella Pavia.

Nelle giornate di sabato e domenica sarà allestito anche un mercato al coperto dei produttori locali con prodotti di stagione a km0. Ci sarà spazio anche per i birrifici artigianali, oltre che per workshop e per l’area bimbi in collaborazione con Mothern. Saranno allestite, inoltre, un’area con proiezioni tematiche di cortometraggi, documentari e video e un’area esposizione con poster d’annata e contemporanei legati al cibo e allo street-food. L’animazione è affidata a djset, street band e performance.

L’ingresso è gratuito e si mangia tutto il giorno, con orario continuato, il venerdì dalle 18 alle 24, sabato dalle 10 all’una e domenica dalle 10 alle 23.

Info




“Giovane dell’anno”, il premio dei cuochi va a una bergamasca

francesca plebaniAi tempi in cui i giovani scelgono di fare il cuoco per salire su un palcoscenico, Francesca Plebani, ventenne di Caravaggio, si è conquistata un premio per il lavoro dietro le quinte. Alla recente assemblea della Federazione italiana cuochi, a Quinto di Treviso, le è stato assegnato il riconoscimento di “Giovane dell’anno” per l’impegno messo a disposizione dell’associazione. Già, perché mentre i riflettori sono accesi sugli show cooking o le grandi cene, c’è anche chi deve scaricare e sistemare le merci, preparare le attrezzature, stare in cucina, aspetti che spesso si dimenticano ma sono fondamentali per la buona riuscita di un evento gastronomico. Ed è questo che Francesca ha fatto, meritandosi l’applauso dei colleghi e del presidente nazionale Rocco Pozzulo.

Al lavoro come commis da Sassella Ricevimenti di Casirate d’Adda, ha conosciuto la Fic attraverso il suo titolare, Fabrizio Camer, segretario dell’Associazione cuochi bergamaschi, vicepresidente regione e consigliere nazionale. «Mi ha proposto di iscrivermi due anni fa – ricorda – ed ho cominciato a partecipare alle iniziative. In particolare ho lavorato per il congresso di Firenze lo scorso novembre sul Cuoco 3.0 e ai campionati italiani della cucina di Montichiari. Ho fatto un po’ di tutto, come capita in queste occasioni, dal preparare pranzi e cene all’assistenza agli showcooking, al magazzino». «Sono belle esperienze – sottolinea -, perché permettono di lavorare con cuochi di tutta Italia, vedere come si svolgono i concorsi, scoprire piatti nuovi e sono tutti stimoli a fare di più. Ho avuto modo anche di conoscere maestri come Claudio Sadler e Davide Scabin».

Francesca ha scelto la carriera in cucina sulle orme del fratello, Andrea, morto prematuramente in un incidente stradale. «È a lui che voglio dedicare il premio, se faccio questo lavoro è anche nel suo ricordo – dice -. La soddisfazione è stata grande e mi spinge a dare sempre di più nella professione e nell’associazione».

I piatti che ama maggiormente cucinare sono i secondi di pesce e il suo obiettivo, in futuro, è affiancare la sorella Daniela, che invece ha studiato sala e che gestisce da otto anni il ristorante C’est la vie nella zona industriale di Caravaggio. Sa però che la gavetta è necessaria ed è intenzionata a collezionare ancora esperienze che le permettano di crescere.

francesca plebani 2




Una “Scaletta” che si tuffa nel Mediterraneo

Filippo Coglitore
Filippo Coglitore

A La Scaletta Cafè di Capriate San Gervasio la paella non è né alla catalana né alla valenciana ma di Filippo ed è il piatto più gettonato: quello per il quale il locale è famoso. La specialità spagnola è stata rivisitata da Filippo Coglitore, 57 anni, chef che con la moglie Luisa Barrecchia, 46 anni, in sala, conduce il ristorantepizzeria. Il loro sodalizio lavorativo è iniziato nel 1989. «Non è stato per eccesso di protagonismo – spiega Filippo – ma ormai le varianti sulla base della paella valenciana erano diventate tante e così ho voluto dare un messaggio chiaro, in modo che si capisse che c’era qualcosa di diverso. Ad esempio io ci metto l’astice e poi la serviamo in un contenitore particolare che ne esalta anche l’aspetto. Oltre che buona, insomma, è bella anche a vedersi».

La “storia” di Filippo è come quella di tanti ristoratori partiti dal sud. Nel ’74 ha lasciato la Sicilia con la classica valigia di cartone per fare esperienza nelle piazze turistiche più importanti come Madonna di Campiglio, Portofino, Forte dei Marmi ed infine è approdato a Milano. Sempre in cucina ad apprendere i segreti degli chef più esperti. «Nell’87 ho aperto il mio primo ristorante a Milano in città – racconta – e nel ’95 sono venuto a Capriate alla mia prima Scaletta a poca distanza da quella attuale, mentre qui ci siamo dal 2007. Ho avuto anche altre esperienze perché per due volte ho gestito contemporaneamente due locali, sempre a Capriate la Rosa Verde e a Bergamo la Taverna del Gallo in via San Bernardino».

La Scaletta Cafè è un locale arredato con gusto con la capienza di un centinaio di coperti all’interno. Molto utilizzato però è l’ampio dehors (80 posti) che viene sfruttato sia in inverno, riscaldato, sia in estate rinfrescato da getti di acqua nebulizzata. C’è anche un ampio parcheggio privato. Il costo medio di un pranzo varia tra i 35 e i 40 euro. La struttura è anche bed and breakfast, con tre camere e altre tre in arrivo.

«Che cucina facciamo? Più che descriverla bisognerebbe provarla – suggerisce il titolare – perché trovo difficile rendere con le parole i nostri sapori. Diciamo che si tratta della base di una cucina mediterranea, ampiamente personalizzata. Il riferimento rimangono il pesce e la cucina siciliana. Dedichiamo lo spazio necessario anche ai piatti di terra, tagliate e filetti per quanto riguarda la carne, alcuni risotti e i salumi affettati. Per ogni portata abbiamo anche un piatto vegano».

La scaletta cafè - capriate san gervasioData la lunga presenza, il locale ha consolidato una buona clientela e Filippo e Luisa seguono molto i dettagli, che a volte possono fare la differenza, come le eleganti mise en place ed il pane e le focacce che vengono preparati ogni giorno nel forno della pizzeria. C’è un listino che ricalca il menù principale per il servizio take away e per compagnie si organizzano anche tavolate di giro pizza. Ci sono poi cinque menù fissi, che comprendono dolce, acqua e caffè e che vanno dai 20 ai 35 euro. «Tra questi – afferma il titolare – quello al quale sono più affezionato è quello etneo con il richiamo alla mia terra d’origine. È un bel “viaggio” e fa capire un po’ la filosofia della mia cucina. È composto da una tartare di tonno con salsa agli agrumi, pesto di mandorle e salsa di soia, come antipasto. Per primo piatto sono previsti gli spaghetti con finocchietto selvatico e sarde, poi c’è un involtino di spada alla messinese e si finisce con un cannolo siciliano».

LA PROVA

Due aspetti colpiscono a La Scaletta Cafè di Capriate San Gervasio ancora prima di sedersi a tavola per il menù a prezzo fisso del mezzogiorno: un buffet molto assortito (con arancini e pizza, tra l’altro) e tovagliati in stoffa che ormai si incontrano sempre più raramente. La lista è al centro del tavolo, stampata, con le portate e l’indicazione che nei dieci euro del prezzo sono compresi oltre al primo e al secondo, buffet, servizio, acqua, vino e caffè e poi sono segnalati i costi per gli extra. Tra i primi, lasagne, casoncelli alla bergamasca e pasta al ragù o al pomodoro ci sono tutti i giorni così come tra i secondi l’arrosto al forno, il vitello tonnato, la bistecca ai ferri e l’insalata di mare rappresentano una costante.

Le portate che variano giornalmente vengono invece indicate a voce ed in occasione della nostra visita c’erano gli spaghetti alla caprese, i pizzoccheri, le costine alla brace con purè, le insalatone e il fritto di calamari e sarde fresche. Sul retro della lista ci sono i menù definiti “business special” che vanno dagli 11 euro ai 19 per il filetto di manzo ai ferri sempre tutto compreso. C’è anche un piatto vegano, il cous cous di verdure con salsa allo zafferano e ceci che costa 12 euro.

La nostra scelta non è molto razionale ma le proposte ci stuzzicano e passiamo quindi dal primo piatto di pizzoccheri all’insalata di mare per secondo. Dallo strano abbinamento scaturisce un commento molto positivo per un ottimo rapporto qualità-prezzo.

Ristorante Pizzeria
La Scaletta Cafè
via Bergamo, 38
Capriate San Gervasio
tel. e fax 02 90964826
www.lascalettacafe.it
aperto tutti i giorni



«I casoncelli? Troppo “strani” per i palati australiani»

Riccardo Morlotti - chef Australia Nonostante sia molto legato al piccolo paesino della Val San Martino in cui ha trascorso l’infanzia, Riccardo Morlotti ha viaggiato molto per perfezionare la sua arte culinaria. Per crescere professionalmente ha accettato di buon grado ogni sfida lavorativa, sia in Italia che Oltreoceano. E così, a soli 25 anni, ha già
cucinato per il ristorante Da Castelli di Palazzago, il Cappello d’Oro di via Papa Giovanni XXIII a Bergamo, il Best Western di Monza e Brianza, il Grand Resort Du Lac e Du Parc di Riva del Garda, per poi spingersi fino a Bangkok, dove ha preparato manicaretti in alcune delle più rinomate cucine tailandesi.

Ma la svolta per questo chef di Palazzago è arrivata in Australia. Al ristorante italiano Cafe Bellavista di East Perth ha esercitato per nove mesi come chef de partie. Si è poi trasferito a Mount Hawthorn all’Azure Italian restaurant dove per un anno e mezzo ha rivestito incarichi di crescente responsabilità come chef de partie e sous chef.

In attesa di esprimere al meglio la sua vena creativa in fatto di cucina italiana e orobica, oggi Morlotti lavora come cuoco di punta al Varsity di Nedlands, un sobborgo dell’area metropolitana di Perth. Anche dietro alle succulente costolette di maiale in salsa barbeque o alle insalate di zucca con mandorle tostate che si possono gustare in questo american bar si cela tutta la sua anima versatile e originale. E fare bella figura in un continente dove Internet e i mass media giocano un ruolo più determinante del passaparola è quanto mai essenziale.

Più che per Facebook o Tripadvisor, gli australiani vanno matti per Zomato, la piattaforma web che fornisce informazioni dettagliate, foto e recensioni su oltre un milione di ristoranti in 22 Paesi nel mondo. «Ho avuto esperienze personali negative con le recensioni online – spiega Riccardo –, il mio datore di lavoro controllava ogni singolo giorno le recensioni per leggere i commenti dei clienti e lamentarsi con me se qualcosa non era andato per il verso giusto. Allucinante! Per questo ora non leggo mai i commenti: ognuno è fatto a modo suo, con gusti differenti». In questi mesi trascorsi nell’altro emisfero, Riccardo ha anche capito che tra Bergamo e Perth c’è un abisso culinario che pare incolmabile. Ancora oggi piatti mediterranei, paste fresche fatte in casa o risotti al dente sono un privilegio per pochi selezionati ristoranti in Australia. Ecco perché l’idea di portare laggiù i casoncelli alla bergamasca pare una vera e propria utopia. Eppure Riccardo Morlotti un tentativo l’ha fatto. Con la freschezza e l’apertura mentale di un 25enne desideroso di sperimentare, ha cercato di scalfire le abitudini degli australiani. Ma il risultato non è stato proprio quello sperato. Quelle che da noi sono considerate delle prelibatezze, nell’altro emisfero, proprio non vanno giù: «Ho provato a proporre i casoncelli come piatto speciale in uno dei ristoranti italiani in cui ho lavorato – racconta – ma con molta delusione ho ricevuto solo critiche sul ripieno che per la clientela australiana aveva un sapore strano e troppo ricco di erbe. La cucina bergamasca è complicata da proporre perché usa ingredienti tradizionali molto difficili da trovare all’estero. L’unica cosa che sono riuscito a trovare è la polenta, ma non c’è paragone con quella bergamasca».




Bergamo, alla Domus il ristorante é didattico

02 TASTEL’Istituto alberghiero iSchool varca i confini scolastici di via Ghislandi 57, a Bergamo, e approda negli spazi della Domus Bergamo, in piazza Dante con una mission speciale: «Taste, a School Restaurant Experience», il ristorante didattico gestito, dal 6 aprile per un anno, direttamente dagli studenti. A confrontarsi con il nuovo progetto sono gli allievi delle classi seconda, terza, quarta e quinta dell’Istituto Professionale Alberghiero che si alterneranno elaborando piatti della tradizione con il chiaro scopo di concorrere al riconoscimento della Lombardia Orientale come Regione Europea della Gastronomia 2017. I ragazzi possono così mettere alla prova le competenze apprese nel corso di studi in iSchool e confrontarsi con una vera cucina e con veri commensali. Il tutto, contribuendo alla valorizzazione turistica locale in chiave enogastronomica.

01 TASTE«Il ristorante didattico è un’esperienza unica per i nostri studenti: un’occasione di formazione a diretto contatto con il mondo del lavoro. Attraverso la simulazione d’impresa, accresceremo le loro competenze e li metteremo faccia a faccia con l’operatività di un vero ristorante. Non solo, non saremo concorrenziali rispetto ai ristoratori del territorio, ma con loro lavoreremo in tandem, promuovendo le eccellenze locali e distinguendoci per un servizio dal carattere esclusivamente didattico, con una qualificata formazione professionale, e per la temporaneità della nostra proposta» – dichiara Valentina Fibbi, titolare con Francesco Malcangi di iSchool. Tutte attività che saranno coordinate dai docenti tecnico-pratici, mentre i ragazzi forniranno a ogni commensale una dettagliata illustrazione del menù, dei prodotti che lo compongono e delle tecniche di preparazione dei piatti che saranno degustati, sempre stagionali e non concorrenziali a Slow Food, promossi presso Domus in collaborazione con Mercato della Terra di Slow food e valorizzando la cantina ERG – Regione Gastronomica Europea. In collaborazione con altri esercenti e commercianti della città, inoltre, verranno organizzate iniziative a tema, che prevedranno anche il coinvolgimento dei più piccoli.

Non solo: il ristorante didattico, attraverso Domus Bergamo Off, consentirà agli studenti di conoscere e visitare i produttori con cui Domus crea una relazione preferenziale e nel periodo estivo potranno implementare l’esperienza attraverso l’Alternanza Scuola Lavoro. Progetto che concorrerà alla formazione professionale dei giovani che dall’impegno in Domus trarranno importanti feedback: alla clientela, infatti, in un punto all’interno dell’esercizio, sarà chiesto di esprimere il proprio giudizio corredato da eventuali suggerimenti. «Da sempre siamo convinti che la formazione lavorativa sia un privilegio e un’opportunità di apprendimento per i nostri studenti. Così, oltre a metterli in condizioni operative ottimali, li avviciniamo a un contesto in cui preparazione, risultati, tempo e attività caratterizzano sinergicamente la buona riuscita del servizio. Per questo abbiamo deciso di presentare loro questa sfida: in Domus, potranno mettere a frutto le competenze maturate nell’ambito di eventi istituzionali e di piazza, quali ad esempio I Maestri del Paesaggio o la Settimana dell’Energia o gli eventi al Museo delle Scienze Naturali Caffi stimolando ancora di più la loro fantasia e la loro professionalità. Siamo convinti che questa sarà per loro una grande occasione di crescita e che così facendo potremo contribuire sempre più alla creazione di un centro cittadino vivo, fucina di eccellenze e di creatività» – ha concluso Fibbi. Taste conta 35 coperti per il servizio in sala ed è aperto per tutto il periodo estivo, dal martedì al sabato, accessibile su prenotazione attraverso il sito dedicato www.taste.ischool.bg.it sull’app dove saranno sempre consultabili aggiornamenti di menù, preparazioni e disponibilità, o direttamente c/o Taste. Non solo, in loco sarà attiva una promozione temporary di prodotti degli esercenti locali, preparati con la collaborazione di stagisti iSchool. Il servizio sarà attivo dal martedì al venerdì, dalle 12:30 alle 14 e il meuù settimanale, a 12 euro, sarà compostoda un1 antipasto a buffet servito a vista, da un primo o un secondo (a settimane alterne) con piatto ERG della settimana alternativo al main course, un dolce a buffet servito a vista e un bicchiere di vino

 




È di Trescore il miglior gelato alla frutta

il vincitore - gelateria Lo Chef del Gelato - Trescore Balneario
Lo Chef del Gelato Vito Giammello premiato dal Maestro Pierpaolo Magni

È “Lo Chef del Gelato” di Trescore Balneario ad aver dato la migliore interpretazione dei gusti frutta, tema del quarto concorso di Gelateria artigianale promosso dai Gelatieri bergamaschi aderenti all’Ascom.

L’accostamento tra i gusti lampone al basilico di Riviera e banana allo zenzero con sfoglie di cioccolato fondente del Vietnam di Vito Giammello ha conquistato la giura, che ieri all’istituto alberghiero Serafino Riva di Sarnico ha valutato le creazioni delle 19 gelaterie bergamasche in gara e delle quattro squadre di allievi delle scuole alberghiere.

Il secondo posto è andato alla gelateria L’Oasi di Villongo di Giuseppe Mologni, che ha proposto “Mediterraneo”, ossia mandorla di Puglia aromatizzata agli agrumi di Sicilia e mirto di Sardegna con olio extravergine di Sicilia, mentre in terza posizione si è classificata La Voglia Matta di Zanica, di Daniel Rossi, con “Fusion benessere”, che ha abbinato due emblemi dell’alimentazione salutistica come le bacche di Açai e di Goji al gelato al pesto di pistacchio di Sicilia salato. Nella competizione riservata alle scuole alberghiere la vittoria è andata all’Ipssar di San Pellegrino con gli allievi Cassis, Bielli, Roncelli, Chiofano e Macetti che hanno presentato il gelato alle mandorle Garibaldine, valorizzando una varietà del frutto. In gara anche i “padroni di casa” del Serafino Riva, l’Ipssar Sonzogni di Nembro e il Cfp di Clusone.

La giuria era composta dal Maestro Pierpaolo Magni, fondatore della Coppa del Mondo della Gelateria, in veste di presidente, dagli chef Petronilla Frosio (ristorante Posta di Sant’Omobono), Roberto Proto (Il Saraceno di Cavernago), Alessia Mazzola (Al Gigianca di Bergamo) e dalla giornalista Emanuela Balestrino. I lavori sono stati coordinati da Luciana Poliotti, giornalista e studiosa di storia del gelato artigianale e della gastronomia.

Non nasconde la soddisfazione per il successo il vincitore Vito Giammello, 53 anni, che solo un anno fa ha aperto a Trescore la sua gelateria, nuovo sbocco professionale dopo una carriera nella ristorazione, come racconta l’insegna “Lo Chef del Gelato”. «Banane e lampone? No l’ispirazione non me l’ha data la canzone di Morandi – dice sorridendo – quanto l’abbinamento dei colori, che era uno dei parametri del giudizio. Il resto lo ha fatto il gusto, coltivato in tanti anni al lavoro in cucina. Sono un neofita del settore, ho ancora tanto da imparare – ammette -, e la vittoria mi dà fiducia per continuare su questa nuova strada che ho scelto di intraprendere perché mi dava la possibilità di sviluppare un’iniziativa in proprio. Gelato e gastronomia, del resto, sembrano sempre più spesso destinati a dialogare tra loro e io intendo propormi proprio come punto di incontro».

Giammello ha anche vinto la classifica dedicata al gusto, L’Oasi di Villongo quella dell’aspetto visivo, mentre per l’originalità è stata premiata La Crem di Vertova di Marcello Gusmini, che ha utilizzato pera, ricotta al cioccolato e mostarda cremonese. «Il concorso – commenta il presidente dei Gelatieri bergamaschi Ascom, Massimo Bosio – rappresenta un’occasione prima di tutto per incontrarsi tra colleghi, scambiare idee e informazioni, anche grazie al momento conviviale della cena di gala. Ma è pure uno stimolo importante per mettersi in gioco professionalmente. Ci partecipa, in fondo, vuole fare bene e così sperimenta, crea, approfondisce, ha l’occasione di uscire dalla visione strettamente commerciale del prodotto. Magari i gusti che abbiamo assaggiato non entreranno nelle vetrine dei punti vendita, ma sono comunque cose nuove e interessanti che fanno crescere il settore. La presenza di tre chef in giuria – evidenzia – ha spinto i concorrenti a pensare a qualcosa che possa finire anche in un piatto anziché sul cono ed è un’opportunità in più per le gelaterie, che spesso forniscono anche i ristoranti».

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I vincitori, la giuria e gli organizzatori




La costoletta alla milanese, tra vitelli e bufale

I temi del cibo e della sua storia paiono fornire un impareggiabile campo di tiro per la proverbiale propensione milanese a spararla grossa. Se ne ha evidenza sin dal XIII secolo, quando Bonvesin de la Riva, sbandierando l’opulenza dei consumi alimentari della metropoli lombarda, enumerava la bellezza di 300 forni del pane, 440 botteghe di beccaio ed oltre mille bottiglierie.

Combinazione vuole che in quegli anni a Parigi, le cui mura fornivano asilo ad una popolazione più che doppia di quella residente in riva ai navigli, fosse documentata la presenza di soli 62 panettieri, 42 macellai e 130 osti. Trascorrono poco più di due secoli, ed il repertorio delle frottole gastronomiche meneghine si rimpingua ulteriormente grazie all’eccentrica penna di Ortensio Lando. A quella che è a buon titolo considerata la capostipite delle guide enogastronomiche del Bel Paese, l’eclettico poligrafo allega invero uno scherzoso catalogo de gli inventori delle cose che si mangiano e beveno i cui nomi – superfluo precisarlo – sono dal primo all’ultimo inventati di sana pianta.

Ma le iperboli di Bonvesin e le fantasiose congetture del Lando quasi svaniscono dinnanzi all’alluvione di fanfaluche che negli ultimi 50 anni ha inondato la discussione sulle origini della costoletta alla milanese, e che ancor oggi stenta a rientrare negli argini. Il tema, va riconosciuto, è piuttosto delicato. La pietanza è stata infatti elevata ad emblema culinario del nostro Risorgimento e la questione della sua paternità è divenuta un punto d’orgoglio nazionale. Su un fronte si schiera chi poco patriotticamente insinua che si tratti di un imprestito austriaco, dato che a Vienna si cucina una scaloppa impanata alla quale, checché se ne dica, la vivanda meneghina somiglia parecchio. Dall’altro lato della barricata v’è invece chi ritiene che tali illazioni vadano controbattute con ogni mezzo, senza lesinare il ricorso a colpi bassi.

La sarabanda delle mistificazioni ha inizio nel 1963, anno in cui Felice Cunsolo – pubblicista siciliano autoelettosi paladino della gastronomia padana – dà alle stampe un volumetto celebrativo della tradizione culinaria lombarda. Nel testo si fa menzione di un fantomatico rapporto da Milano del Feldmaresciallo Radetzky a beneficio di tale conte Attems, qualificato come attendente del Kaiser Francesco Giuseppe. Nella relazione, apparentemente conservata all’Archivio di Stato di Vienna, si “informava l’imperial governo che i milanesi sapevano cucinare qualcosa di veramente straordinario, la costoletta di vitello intinta nell’uovo, impanata e fritta nel burro”. Peccato che nella capitale austriaca non vi sia traccia della missiva, ed ancor meno si abbia evidenza di alcun Attems che all’epoca figurasse tra i ruoli di vertice dell’esercito asburgico. D’altronde parrebbe quantomeno singolare che il serioso governatore militare del Lombardo-Veneto osasse addentrarsi in frivole digressioni gastronomiche nel relazionare il proprio quartier generale da uno dei punti più caldi dell’Impero.

Ancorché fabbricata ad arte, la storiella di Radetzky suona comunque apparentemente credibile: il Feldmaresciallo, buona forchetta ed impenitente donnaiolo, non manca di suscitare sottaciute simpatie anche tra gli avversari. Ci casca il Comune di Milano, che presta credito alla bubbola inserendola nella delibera di attribuzione della DE.CO alla ricetta. La bevono persino gli austriaci, i quali, facendo sfoggio di afflato cosmopolita, paiono finanche onorati di attribuire ascendenze d’oltreconfine alla loro schnitzel.

Dalla frottola si lascia abbindolare anche Gianni Brera, ben lieto di poter fare da grancassa alle rivendicazioni milanesi. Non pago, l’ineffabile elzevirista, a propria volta tutt’altro che schivo della boutade, rincara la dose millantando la testimonianza nientemeno che di Stendhal. Secondo Brera il grande scrittore francese, nel resoconto di una scampagnata effettuata nel 1818, avrebbe infatti encomiato la succulenza della fettina impanata degustata nell’agro a nord di Milano. Ma in realtà negli appunti brianzoli di Henri Beyle, tra scurrili allusioni alla facilità di costumi delle donne locali e didascaliche divagazioni sull’architettura delle dimore patrizie, della pietanza non v’è neppure l’ombra.

Screditata proditoriamente la comunque dubbia lectio della paternità asburgica, il fronte nazionale della costoletta deve quindi misurarsi con la ben più problematica assegnazione di un passato remoto alla vivanda. Vi si cimenta tale Romano Bracalini, che tra le pieghe dell’autorevole Storia di Milano di Pietro Verri scova un pranzo monastico del 1148 nel corso del quale furono serviti dei lombulos cum panitio. Ancorché intaccato dalla corruzione maccheronizzante del basso medioevo, è comune consenso che il latinorum dell’inciso ponga la parola fine al dibattito sulle origini. Ma, ancora una volta, le cose non stanno esattamente così.

Se invero sussistono pochi dubbi a riguardo della lombata cui allude il testo – ed ancor meno sulla sua cottura allo spiedo in un unico trancio – la decifrazione di panitio è altresì un rompicapo cui non riesce a fornire una soluzione definitiva neppure lo stesso Verri. L’eminente storico propone diverse glosse: una piuttosto improbabile polentina di panìco – o delle pagnottelle di fior di farina – da accompagnarsi al piatto, o ancora del pangrattato con cui, come illustrato da Martino da Como nel Quattrocento, si spolverizzavano gli arrosti sul finire della cottura. Certo è che, tra le diverse alternative, occorre far esercizio di assai fervida immaginazione anche solo per approssimarsi alla fattispecie di una braciola dorata nel burro.

Sgombrato il campo da forzature ed aperte falsificazioni, viene dunque da interrogarsi su quali siano le effettive radici della vivanda. La più accreditata tra le ricostruzioni provviste di serio fondamento storiografico è quella elaborata da Massimo Alberini, che menziona un celebre trattato del francese Menon – La Science du Maître d’Hôtel cuisinier, pubblicato nel 1749 – nel quale è racchiusa la ricetta delle cotelettes de veau frites. Da Parigi la piccata di vitello impanata sarebbe quindi giunta a Milano sotto il nome di cotoletta rivoluzione francese.

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Bartolomeo Scappi

Il colpo è di quelli che manderebbero al tappeto l’orgoglio gastronomico di un intero paese. Ma il fronte nazionale della costoletta può tirare un sospiro di sollievo: sussiste invero solida evidenza che la tecnica dell’impanatura delle carni sia di irrefutabili origini italiane. La sua prima codificazione è infatti riportata nella cinquecentesca Opera di Bartolomeo Scappi, che la propone per la preparazione di alcune frattaglie bovine. Alcuni decenni più tardi è il magistrato bolognese Vincenzo Tanara ne L’economia del cittadino in villa a ribadirne l’utilizzo per l’accomodamento di rigaglie ed altri tagli.

Tutt’altro che occasionalmente, entrambe le segnalazioni paiono convergere sulla città di San Petronio: se il Tanara spese l’intera esistenza all’ombra delle due torri, anche lo Scappi, prima della sua nomina a cuciniere pontificio, prestò a lungo servizio nel capoluogo emiliano alle dipendenze del Cardinal Campeggio. E combinazione vuole che Bologna sia parimenti patria di una rinomata scaloppa impanata, ancor oggi fritta nello strutto così come raccomandato cinque secoli fa dal cuoco secreto di Pio V. Scampato quindi il pericolo di un’indigesta affiliazione parigina, con ogni verosimiglianza la costoletta alla milanese deve comunque rassegnarsi a veder consegnato in mani forestiere – ancorché non straniere – il proprio titolo di primogenitura.