Regioni “gastro-alimentari”, la Lombardia tra i fondatori della rete europea

La Lombardia è tra i fondatori della Rete delle Regioni gastro-alimentari d’Europa, il cui iter ha preso il via nei giorni scorsi a Bilbao, nei Paesi Baschi, a margine della fiera enogastronomica di alto livello “Gustoko”, manifestazione che ha visto proprio la Lombardia come regione ospite.

«La rete mira a riunire – spiega l’assessore all’Agricoltura con delega all’Agroalimentare, Gianni Fava – Regioni che abbiano prodotti tipici, sviluppati a livello locale, con lavorazioni sostenibili e tradizionali o biologiche, ma anche territori regionali che siano aperti all’innovazione e alla sperimentazione in una gastronomia di alta qualità, capace di attrarre turismo».

Il nome della rete, proposto dalla Lombardia, è Regal, Re’seau des Re’gions gastro-alimentaires, che si adatta alla pronuncia dei diversi fondatori, tra i quali Paesi Baschi e Aquitania (Francia).

«Un’Europa delle Regioni enogastronomiche è possibile – ha evidenziato Fava – e sono orgoglioso che la Lombardia sia tra i fondatori, in particolare per la storia della cucina del nostro territorio, che da sempre ha saputo valorizzare i prodotti locali, integrandoli in una sapiente e secolare globalizzazione e che oggi conta 33 prodotti a marchio Dop e Igp e che, con 58 ristoranti stellati nel 2016, si colloca al primo posto a livello nazionale».




Cacciagione, un mese di proposte nei ristoranti bergamaschi

Per gli amanti della selvaggina e dei sapori di terra torna la rassegna “Caccia in cucina”, organizzata dall’Ascom di Bergamo e dall’Anuu (associazione di cacciatori che a livello provinciale conta più di 5.000 iscritti) in collaborazione con il Consorzio di Tutela del Valcalepio e giunta alle 14esima edizione. Per un mese, dal 20 febbraio al 20 marzo, 26 ristoranti (2 in città e 24 in provincia) propongono nel proprio menù piatti a base di cacciagione con l’obiettivo di valorizzare una tradizione culinaria diffusa sul territorio.

La manifestazioncaccia in cucina - logoe, che negli anni scorsi aveva respiro regionale e si svolgeva in diverse province lombarde, quest’anno, complici le difficoltà delle Amministrazioni provinciali nel garantire il sostegno, viene portata avanti solo in Bergamasca, dove ha sempre riscosso grande successo in termini di adesioni e gradimento.

Rispetto al passato ci sarà più tempo per gustare le diverse proposte, l’iniziativa dura infatti un mese, anziché una settimana, in tutti i locali. La mappa è ampia e va dalla montagna alla pianura al lago, senza dimenticare la città e l’hinterland. Anche i piatti spaziano e interpretano le diverse carni in abbinamenti e cotture classiche o innovative. Alcuni ristoratori hanno anche scelto di condividere le proprie ricette con gli appassionati, che potranno trovarle pubblicate sulla rivista dell’Anuu.

I locali aderenti

  • BERGAMO
Ristorante Il Circolino – vicolo S. Agata 19 – tel. 035 218568

Pasta fresca al ragù di lepre; Stufato di cinghiale con polenta (fino all’8 marzo)

Ristorante Ol Giopì e la Margì – via Borgo Palazzo 25/g – tel. 035 242366 (chiuso il lunedì)

Trofiette alla lepre tartufate; Cosciotti di cervo al Valcalepio

  • ALBINO
Ristorante Isola Zio Bruno – via Serio 24 – tel. 035 751687 (chiuso il lunedì)

Risotto con pernice al profumo di tartufo; Stufato di capriolo al Valcalepio

  • ALZANO LOMBARDO
Trattoria del Brugo – località Burro snc – tel. 327 503032

Tortelli al cinghiale in salsa di verdure brasate; Bocconcini di cervo in salmì con polenta “rustida”

  • AMBIVERE
Trattoria Visconti – via A. De Gasperi 12 – tel. 035 908153 (chiuso il martedì e mercoledì)

Pappardelle al ragù di fagiano; Polenta con cinghiale

  • BOTTANUCO
Ristorante Villa Cavour – via Cavour 49 – tel. 035 907242 (chiuso la domenica sera)

Terrina di fagiano con misticanza e aceto di mele; Lepre in salmì con polenta

  • BRANZI
Ristorante Corona – via San Rocco 8 – tel. 0345 71042 (chiuso il martedì e mercoledì)

Tortelli di selvaggina ai mirtilli; Polenta taragna con capriolo in salmì e cervo alle erbe alpine

  • CAPRIATE SAN GERVASIO
Osteria Da Mualdo – via Privata Crespi 6 – Frazione Crespi – tel. 02 90937077 (chiuso la domenica sera e il lunedì)

Bottoni di pasta fresca ripieni al cinghiale selvatico, bietola appassita, Strachitunt fondente e melograno; La quaglia: coscette brasate lentamente con polenta rustica e petto arrostito, servito con zucca e sedano appena cotto allo zafferano

  • CASTIONE DELLA PRESOLANA
Ristorante La Teglia – via Papa Giovanni XXIII 20 (chiuso il martedì)

Capriolo in salmì; Filetto di cervo al vino rosso; Cinghiale in umido

  • FINO DEL MONTE
Ristorante Garden Hotel – via Papa Giovanni XXIII 1 – tel. 0346 72369 (chiuso il lunedì)

Lasagnette al salmì di lepre con formaggio piccante; Petto d’anatra con mele caramellate e uvetta

  • FORESTO SPARSO
Ristorante Il Platano da Gira – via Franzi 5 – tel. 035 930118 (chiuso martedì sera e mercoledì)

Farfalle al ragù di lepre

  • GAVERINA
Ristorante K2 – Località Moletti 1 – tel. 035 814262 (chiuso il lunedì)

Cucina casereccia e pasta fresca con cacciagione

  • GRUMELLO DEL MONTE
Ristorante da Ubaldo – via Fontana Santa snc –tel. 035 830243 (chiuso il sabato a pranzo)

Gnocchi di polenta con ragù di selvaggina; Stracotto di cinghiale con polenta di Rovetta

  • MAPELLO
Trattoria Bolognini – via Divisione Alpina Tridentina 11 – tel. 035 908173 (chiuso il martedì)

Tagliatelle con la lepre; Bocconi di cinghiale al rosmarino

  • PIAZZATORRE
Albergo Ristorante Piazzatorre – via Centro 21 – tel. 0345 85033 (chiuso il mercoledì)

Pappardella fresca all’uovo con ragù di camoscio; Sminuzzato di cervo alle erbe di montagna

  • PONTERANICA
Ristorante da Tandy – via 8 marzo 15 – tel. 035 5292072 (chiuso il mercoledì)

Risotto alla fagianella e timo limonato; Bocconcini di capriolo al cioccolato amaro e composta di mirtilli

Trattoria Del Moro – via Castello 42 – tel. 035 573383 (chiuso il lunedì)

Foiade al sugo di lepre; Polentina con cinghiale e verdurine

  • RIVA DI SOLTO
Ristorante Bellavista – via Gargarino 23 – tel. 035 986034 (chiuso il martedì)

Cinghiale con polenta

  • SCHILPARIO
Hotel Ristorante S. Marco – via Pradella 3 – tel. 0346 55024 (chiuso il lunedì)

Le Pappardelle fresche al nostro ragù di cinghiale al coltello; I Bocconcini di cervo stufati alle bacche di ginepro e polenta grezza

  • SERIATE
Ristorante Al Centro – corso Roma 1 – tel. 035 4235467 (aperto venerdì, sabato e domenica sera)

Tagliatelle di castagne e ragù di cinghiale; Polenta taragna con bocconcino di cervo

  • SERINA
Ristorante La Fenice – via Dante Alighieri, 14 – tel. 0345.66315

Bocconcini di cervo panna e noci; Ravioli di cinghiale con stufato di cipolle

  • SPINONE AL LAGO
Ristorante Da Pacio – via G. Verdi 5 – tel. 035 810037 (chiuso le sere di martedì e mercoledì)

Tris di selvaggina con polenta taragna; Cervo, canguro, antilope, cinghiale

  • TRESCORE BALNEARIO
Ristorante della Torre – piazza Cavour 26/28 – tel. 035 941365 (chiuso domenica sera e lunedì)

Terrina di fagianella ai profumi del bosco in pasta sfoglia su Porto rosso ristretto; Costoletta di cervo alla Maria Stuarda con spuma di castagne e topinambur

  • URGNANO
Ristorante Quadrifoglio – via D. Alighieri 780 – Fraz. Basella tel. 035 894696

Tagliatelle di pasta fresca al salmì di lepre; Polpa scelta di cinghiale con funghi porcini e polenta

  • VILLONGO
Ristorante Cadei – via Roma 9 – tel. 035 927565 (chiuso il lunedì e martedì sera)

Brasato di cinghiale con polenta; Bocconcini di cervo alla boscaiola

  • ZOGNO
Ristorante Da Gianni – via Tiolo 37 – tel. 0345 91093 (chiuso il lunedì)

Polenta taragna con bocconcini di cervo




Pubblici esercizi e home restaurant, obblighi a confronto

home restaurantPoiché propone un servizio di somministrazione nei confronti di un pubblico, l’home restaurant, secondo la Fipe, non può essere esercitato in luoghi privati e dovrebbe essere sottoposto ai medesimi obblighi dei pubblici esercizi.

Per dare un’idea delle norme di legge e dei requisiti a cui è assoggettata la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, soprattutto alcoliche, la Federazione ha stilato un elenco, che diventa, di conseguenza, quello delle violazioni imputate agli home restaurant.

La serie conta 22 voci, ma non esaurisce, precisa la Fipe, l’intera gamma delle prescrizioni: somministrazione di cibi e bevande anche alcoliche senza autorizzazione; comunicazione al Questore, in caso di circoli; licenza Utf per prodotti alcolici; mancato accertamento della sorvegliabilità dei locali (di competenza della autorità di Pubblica Sicurezza per quelli posti a livello superiore a quello stradale); violazione delle disposizioni urbanistiche e sulla destinazione di uso degli edifici; assenza di certificazione dei requisiti professionali e morali del titolare; somministrazione di alimenti e bevande senza comunicazione alla autorità sanitaria; assenza piano Haccp; certificazione formazione dipendenti in materia igienico sanitaria; nomina responsabile Haccp ed attestato del relativo corso; inidoneità sanitaria attrezzature; formazione sanitaria addetti; iscrizione Cciaa; iscrizione Inps titolare; eventuale presenza lavoratori in nero; rispetto del divieto di fumare; tabelle alcolemiche in caso di chiusura dopo le ore 24; etilometro a disposizione dei clienti in caso di chiusura dopo le ore 24; indicazione allergeni presenti nei prodotti somministrati; abbonamento speciale Rai per tv o altro apparecchio diffusione musica; versamenti diritti di autore e connessi Siae ed Scf; tracciabilità e rintracciabilità alimenti; sicurezza sul lavoro; corresponsione tassa sui rifiuti a livello di privato e non di pubblico esercizio.




L’home restaurant si fa largo anche a Bergamo. «Ma servono regole»

immagini fornite da WelcHome Restaurant

 

Ormai da anni la sharing economy sta entrando nella quotidianità di sempre più persone. È una tendenza che coinvolge molti settori e in grado di offrire diverse tipologie di servizi. A volte è il prezzo del servizio stesso, altre volte invece è proprio l’originalità della proposta ad attirare chi si approccia a questo mondo da fruitore. La sharing economy si sta sempre più affermando come un “nuovo modo” di usare, di consumare, di operare. Un modo molto vicino ai recenti stili di vita, che utilizza gli strumenti delle nuove generazioni, diretto e facilmente comprensibile, immediatamente fruibile, per l’appunto… social!

Anche nel mondo del cibo qualcosa è cambiato. Il cibo e tutto quello che ruota attorno al mondo dei fornelli è sempre più social, sempre più ricercato e condiviso. È cambiato l’approccio nei confronti dello stesso, è cambiato il modo in cui si consuma. Il buon cibo è diventato interesse di molti e, probabilmente, prima di questi ultimi anni, tra le cose più fotografate e celebrate. Il bisogno di condividere, l’essere tornati a dare questo valore simbolico al cibo, probabilmente ha stimolato la diffusione e la ricerca di questo tipo di fruizione. Ecco che case private diventano Home Restaurant, luoghi in cui consumare informalmente del cibo preparato dai proprietari, in compagnia di persone sconosciute, oppure con gli stessi “homer”. La logica è quella di condividere le spese, consumando cibo preparato ad hoc, in compagnia e in totale condivisione e conoscenza reciproca. Il metodo è molto simile a quello di un’informale cena con amici, compresa la caratteristica di occasionalità dell’attività. Ma dal momento che l’home restaurant si rivolge a persone spesso non conosciute, non sono ben chiari e compresi quali possano essere i limiti di questa attività, per evitare di concorrere in maniera sleale a quelle attività di somministrazione, in primis i ristoranti, spesso schiacciati tra burocrazia, normative da rispettare e fisco. L’home restaurant manca completamente di regolamento anche per quel che riguarda la sicurezza alimentare, dal momento che non sono semplici cene tra amici, ma vi è la chiara possibilità di creare dei veri e propri micro business.

A Chiuduno l’iniziativa di tre amici: «Per noi è divertimento e condivisione»

WelcHome Restaurant - Chiuduno (4)Anche in Bergamasca si possono trovare diverse occasioni per una cena in casa. A Chiuduno, da un piccolo gruppo di amici è nato WelcHome Restaurant (welchomerestaurant.wordpress.com), che non manca di considerare i problemi che questo buco legislativo crea a tutti coloro che volessero intraprendere questa attività, ma anche a chi svolge la tradizionale attività ristorativa. «Io – dice Giancarlo, uno dei tre fondatori – ho tentato più volte di capire come praticare questa attività, ho cercato di informarmi, ma ovviamente le istituzioni non mi sanno dare delle risposte perché in effetti delle risposte non ci sono». L’home restaurant è una pratica che per la legislazione italiana non esiste, nonostante ormai da tempo si sia diffusa e stia diventando sempre più popolare. «Sono molti quelli che mi contattano chiedendo come si fa – racconta ancora Giancarlo – questo vuol dire che c’è interesse a riguardo».

Per i tre ragazzi di Chiuduno questa è una grande passione che non fa pensare ad alcuna intenzione di fare business eludendo la normativa. Infatti organizzano, quando riescono, al massimo una cena al mese e tutto è pubblicizzato sul loro sito web e sulla loro pagina Facebook. Giancarlo, Barbara e Daniele hanno altre occupazioni: commerciante il primo, educatrice all’asilo nido la seconda e operaio il terzo. «Ci conosciamo da alcuni anni – racconta Barbara – e abbiamo sempre fatto delle cene con gli amici, siamo un numeroso gruppo. Come in tutti i gruppi, noi tre eravamo quelli appassionati di cibo e cucina e…è andata a finire che cucinavamo sempre noi». Ma anche la location non è banale, «io abito qui e questo spazio l’ho sempre messo a disposizione dei miei amici – spiega ancora Giancarlo -. I cuochi c’erano, lo spazio anche, ecco che amici, amici di amici, hanno iniziato a chiederci di organizzare delle cene, proponendocele anche loro stessi: dal compleanno da festeggiare tra amici a quello con i parenti, alle cene a tema per passare una serata in compagnia, etc. e il gioco è fatto. Barbara aveva sentito parlare di questa nuova cosa, gli home restaurant e quindi perché non provarci? Noi organizziamo anche una festa in paese e ci piace, appunto, darci da fare: goliardicamente abbiamo iniziato a pensare ad alcune proposte e siamo entrati a far parte di alcune piattaforme di social eating».

Da qui la ricerca delle materie prime a km zero, quasi tutti gli ingredienti (nei limiti del possibile) utilizzati sono prodotti a Chiuduno e dintorni. «Il tutto è più uno sfizio nostro – racconta ancora Barbara –, gli amici ci facevano i complimenti e, attraverso la condivisione con estranei, ci siamo messi alla prova. Ovviamente i menù e le cene rispecchiano molto i nostri gusti: cuciniamo quello che ci piace, dal filetto di maiale in crosta di pancetta con i profumi, alle pere caramellate al miele, fino alle tagliatelle al cacao fatte in casa». «È una vera esperienza sociale – conclude Giancarlo –, per noi divertimento e condivisione. Non è un ristorante e non deve esserlo. A noi piacerebbe che questa pratica venisse considerata, riconosciuta e di conseguenza normata e tutelata». Dalla sua definizione e regolamentazione probabilmente inizia la tutela stessa anche di questa pratica che, non avendo definizione, potrebbe essere facilmente attaccata nonché snaturata per fini diversi da quelli per cui è nata.

La Fipe: «Attività fuori da ogni controllo, un’escalation da contrastare»

Chi non vede di buon occhio gli home restaurant sono i ristoratori e le associazioni di categoria che, per tutelare le attività, chiedono a gran voce che si legiferi in merito. La Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, lo scorso 19 gennaio ha presentato in Parlamento un’audizione chiedendo così la regolamentazione degli home restaurant. L’associazione denuncia «l’enorme diffusione, anche attraverso canali on line e social network» di queste attività e il rischio di costruire un canale alternativo a quello della ristorazione, ma completamente fuori controllo. L’allarme è per la possibilità che l’abusivismo finisca col prevalere sull’attività occasionale e saltuaria, generando così dei meccanismi di concorrenza sleale. «Infatti, si è notato – riferisce l’associazione – che mentre nel passato esistevano pochi operatori che effettuavano tale attività nell’ambito della cerchia delle proprie conoscenze, ora l’abusivismo si è “ingegnerizzato” con la nascita di associazioni o enti similari che raggruppano tali operatori».

Non solo, l’attività di somministrazione delle bevande è soggetta a numerosi e complessi adempimenti, a tutela della salute pubblica, ma anche ad esempio per il controllo rispetto alla somministrazione di bevande alcoliche. Per questo motivo, ad ora, la Fipe chiede che le autorità contrastino gli home restaurant, dal momento che in molti casi sono diventate delle vere e proprie attività, completamente fuori controllo. In realtà, il Ministero dello Sviluppo Economico ha fornito una parziale risposta all’assenza di regolamenti, con la risoluzione n. 50481 del 2015, affermando che la disciplina commerciale applicabile agli home restaurant è quelle relativa alle attività di somministrazione di alimenti e bevande al pubblico sia per quanto riguarda il possesso dei requisiti necessari (morali e professionali) sia per l’obbligo di presentazione di una Scia per l’inizio dell’attività, ma nulla di più.

Senza dimenticare la tutela dei consumatori…

Per concludere, entrambe le parti ritengono fondamentale un regolamento. È necessario al fine di tutelare innanzitutto il consumatore per quanto riguarda la sicurezza alimentare, dal momento che le tossinfezioni alimentari sono di natura prevalentemente domestica. Inoltre risulta necessario al fine di tutelare le attività ristorative, sottoposte a rigidi controlli e norme severe, onere che ha un peso economico e non solo. Infine, una precisa regolamentazione risulta necessaria al fine di tutelare anche chi si dedica con passione e dedizione a questa attività occasionale, avendo come fine ultimo il creare una vera esperienza sociale e conviviale, in cerchie più o meno ristrette, con una vera condivisione di esperienze, tempo e spese, senza che diventi un business, rimanendo così un’attività profondamente diversa da quella ristorativa. Probabilmente qualsiasi divieto potrebbe stimolare la diffusione segreta degli home restaurant, completamente fuori controllo, con la minaccia di seri rischi in materia di sicurezza alimentare pubblica, nonché di concorrenza sleale a chi, giorno dopo giorno, si adopera per il rispetto delle normative in materia fiscale e di sicurezza alimentare.

 

 




Bergamo “capitale” europea della gastronomia, alla Bit la presentazione

L’intervento del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori

La Lombardia Orientale sotto i riflettori alla Bit, la Borsa internazionale del turismo di Milano, per il titolo di Regione Europea della Gastronomia che sfoggerà nel 2017.

Il sistema che riunisce i territori di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova nella promozione del patrimonio enogastronomico e delle bellezze naturali, storiche e artistiche ha messo sul piatto le proprie carte nel corso di una conferenza stampa allo stand delle Regione Lombardia alla quale hanno partecipato il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, di Brescia Emilio Del Bono, di Cremona Gianluca Galimberti, il vicesindaco di Mantova Giovanni Buvoli, insieme con Danilo Maiocchi, direttore generale della Direzione Commercio Turismo e Terziario della Regione, e Roberta Garibaldi dell’Università di Bergamo, direttrice scientifica del progetto

La proposta è di scoprire e gustare – lentamente, facendo esperienza – l’eccellenza del food and drink in un contesto che va dal lago di Garda al fiume Po, dalle Alpi alle colline, con città d’arte, di storia e di tradizione e sei siti patrimonio dell’Umanità.

conferenza stampa Bit regione europea gastronomiaIl “pacchetto”, che ora può contare anche sul sito dedicato www.eastlombardy.it, è forte di 22 ristoranti stellati (di cui due 3 stelle), 10 tra i migliori ristoranti nella guida Gambero Rosso, 22 ristoranti Identità Golose. E poi vini (con 2 Docg, 13 Doc e Igt), acque minerali, come la S. Pellegrino, 16 prodotti Dop, 9 Igp, 11 Presìdi Slow Food e tanti prodotti artigianali di qualità, valorizzati anche attraverso l’importante presenza delle 8 Strade del Vino e dei Sapori. Ci sono inoltre 753 agriturismi e 115 fattorie didattiche e, per quanto riguarda l’innovazione e la ricerca della qualità nella produzione, migliaia di aziende con coltivazioni o allevamenti Dop e Igp. Numeri e realtà che posizionano la Lombardia Orientale ai vertici delle classifiche relative alla gastronomia.

Completano l’offerta turistica oltre 143mila posti letto, una fitta rete di trasporti, due grandi aeroporti, l’alta velocità ferroviaria, una forte presenza di strutture ricettive complementari quali campeggi e B&B.

Con questo progetto la Lombardia Orientale valorizza il patrimonio enogastronomico, arricchendo in modo innovativo l’offerta turistica con l’integrazione delle filiere e, in particolare, di tre target tematici:

  • turista enogastronomico: un target prettamente attento al food&wine, quindi con un’offerta dedicata ai principali profili. I gourmet, appassionati e raffinati; i foodies, attivi sperimentatori; gli enogastroculturali, attenti alla dimensione culturale del cibo; i lifestyle enogastronomici, buon cibo se in un locale trendy; attenti alla cucina sana, ma anche responsabile; con bisogni speciali, ed in ultimo turisti enologici
  • turista culturale e leisure: potrà scoprire le città d’arte, il ricco patrimonio artistico e i numerosi siti Unesco, i paesaggi collinari del Garda, in connubio con una offerta culinaria di tutto rilievo
  • turista sportivo, attivo: legato alla montagna, alla tradizione alpina, al cicloturismo e agli sport di acqua dolce nei laghi o negli importanti fiumi, dove potrà godere nel 2017 di insoliti break fra salute e gusto.

L’offerta contempla percorsi del gusto inediti firmati da grandi cuochi e numerosi eventi enogastronomici, distribuiti durante il corso dell’anno: dalle piccole sagre alle grandi manifestazione internazionali, come il Festival del Franciacorta, Pianeta Gourmarte o la Festa del Torrone, incluso un grande evento di apertura e di chiusura del 2017, che offriranno opportunità ludiche e di degustazione dei numerosi prodotti tipici locali. Il 2016, che vedrà Mantova Capitale Italiana della Cultura, è considerato un importante momento di lancio per un 2017 dedicato al cibo e al saper fare cibo. Senza dimenticare il Monteverdi Festival, che nel 2017 celebra i 450 anni della nascita del compositore cremonese, o il conosciutissimo Festival della Letteratura di Mantova.

«Essere Regione Europea della Gastronomia  – hanno spiegato i promotori – è anche una strategia basata sulla collaborazione, per favorire lo sviluppo locale socio-economico, attraverso un approccio di rete a filiera corta, che includa in una rete di impresa i numerosi attori locali, affinché si promuovano attraverso azioni congiunte promozionali. Attività di sensibilizzazione per la cittadinanza, progetti ad hoc per le scuole, convegni, presentazioni pubbliche e workshop con l’obiettivo di informare e sensibilizzare alla sostenibilità, alla cultura del cibo, alla qualità, alla riscoperta delle tradizioni e all’innovazione. Nella certezza che la cultura passa anche da ciò che mangiamo».

Ben chiari gli obiettivi finali. Se oggi sono 11,5 milioni le presenze nella Lombardia Orientale, di cui il 62% stranieri, con una permanenza media di 3,1 giorni. La sfida raccolta dai territori è quella di ampliare, mettendosi insieme, la propria attrattività con una strategia che punta a creare un’offerta che sia maggiormente targetizzata, più vicina alle esigenze del visitatore, più esperienziale ed emozionale, in grado di toccare il cuore e la mente dell’ospite prendendolo per la gola, più sostenibile ed eticamente accettabile, più innovativa e più attrattiva con numerosi prodotti.

 

 




Milano, alla prima del “Salon” persino gli abiti sono di cioccolato

Tre giorni di degustazioni, eventi, esposizioni ed un unico grande protagonista: il cioccolato. Arriva a Milano, dal 13 al 15 febbraio a The Mall, lo spazio polifunzionale nel nuovo Business District di Porta Nuova Varesine, il Salon Du Chocolat, evento nato a Parigi nel 1994 e oggi presente in 30 città su quattro continenti per una media di 20 manifestazioni all’anno.

Gli organizzatori Roberto Silva Coronel e Pietro Cerretani raccontano così le motivazioni che li hanno convinti ad “importare” in Italia il format espositivo parigino: «In Italia, negli anni passati, abbiamo sempre avuto un certo timore reverenziale nei confronti dei cugini francesi in tema food in generale, e cioccolato nello specifico. Salvo poi accorgerci che i nostri maîtres chocolatier non erano secondi a nessuno, anzi vincevano premi in Francia, così come i produttori italiani – dal Piemonte alla Sicilia – sono di assoluta eccellenza. Nel nostro Paese il cioccolato vale 3 miliardi di dollari, le nostre esportazioni continuano a crescere e ad oggi hanno raggiunto un valore complessivo di 665 milioni di euro (siamo i primi sul mercato cinese). L’altra motivazione, forse la più importante, è che il pubblico italiano è attento e colto, sa riconoscere la qualità e richiede food experience all’altezza. Per questo faremo di tutto per stupire i visitatori».

abito cioccolato 2

Cinque sono i temi che connotano il salone milanese. Il primo è il connubio tra cioccolato e fashion: l’evento “Chocolate Fashion Show celebrerà il talento creativo di giovani stilisti del Naba Fashion Lab di Milano. Gli studenti in collaborazione con i dieci maitres chocolatier di Ampi – Accademia Maestri Pasticceri Italiani (nello specifico: Davide Comaschi vincitore del World Chocolate Masters di Parigi 2013, Giancarlo Cortinovis, Alessandro Dalmasso, Denis Dianin, Francesco Elmi, Fabrizio Galla, Gianluca Mannori, Pasquale Marigliano, Roberto Rinaldini, Alessandro Servida) progetteranno dieci abiti realizzati con il cioccolato che animeranno la serata di gala del 12 febbraio sempre al The Mall. La sfilata verrà replicata sabato e domenica mentre gli abiti verranno esposti durante i tre giorni di apertura al pubblico.

Il secondo filone è la sensorialità della chocolate experience, sintetizzato nell’hashtag #ChocoSense. Gli ospiti potranno vivere degustazioni sensoriali legate al cioccolato e ai suoi migliori abbinamenti grazie alla collaborazione della Compagnia del Cioccolato presieduta da Gilberto Mora, dell’Istituto Internazionale Chocolier guidato da Luigi Odello.

Con #Chocoshow si vuole invece raccontare il tema legato alle esibizioni e masterclass dei grandi maîtres chocolatier italiani, internazionali. Un ruolo decisivo l’avranno sia i maestri dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani, capitanati da Iginio Massari e da Gino Fabbri sia altri noti pastry chef italiani e internazionali che si esibiranno in sorprendenti showcooking a base di cioccolato.

Il quarto cluster è #Chocofamily, giochi e attività per bambini e famiglie per conoscere, giocare, sperimentare e degustare. I professionisti di Kikolle Lab gestiranno i laboratori a tema e intrattenimento, in un’ambientazione che richiamerà il celeberrimo mondo di Willy Wonka, liberamente ispirata al romanzo di Roald Dahl. Nei giorni di San Valentino, non potranno mancare anche iniziative ad hoc per gli innamorati.

Infine #Chocoshopping è la grande area dedicata allo shopping del cioccolato. Chi visiterà il Salon du Chocolat Milano potrà portare a casa il meglio della produzione nazionale e internazionali delle grandi pasticcerie del mondo.

Il Salon du Chocolat Milano sarà un evento per il pubblico e per gli operatori del settore. La giornata di lunedì 15 febbraio sarà anche dedicata agli operatori: buyer, pasticceri, esperti e professionisti potranno incontrare le aziende espositrici, seguire workshop tematici e formativi.

 




Settimana della Birra Artigianale, adesioni al via

birra artigianale people 2Sono ufficialmente aperte le adesioni alla Settimana della Birra Artigianale che ritorna da lunedì 7 a domenica 13 marzo 2016, per il sesto anno consecutivo, coinvolgendo birrifici, locali e negozi specializzati sull’intero territorio nazionale. Per sette giorni in tutta Italia si susseguiranno iniziative dedicate alla birra artigianale: degustazioni, promozioni, cene con abbinamenti, visite a birrifici, presentazioni di nuove birre, mini festival e molto altro ancora.

Come gli altri anni la partecipazione alla Settimana della Birra Artigianale è totalmente gratuita. Chiunque proponga o promuova la birra artigianale può aderire: quindi non solo pub e birrifici, ma anche beershop, ristoranti, bistrot, enoteche, associazioni di settore, siti di e-commerce, ecc. I soggetti aderenti dovranno lanciare almeno una promozione oppure organizzare almeno un evento dedicato alla birra di qualità nei sette giorni della manifestazione. L’adesione può essere effettuata online direttamente sul sito www.settimanadellabirra.it.

settimana birra artigianale Logo-fb-appLa Settimana della Birra Artigianale è un’idea del blogzine Cronache di Birra (www.cronachedibirra.it) nata con la finalità di sostenere un settore in forte ascesa. La manifestazione si rivolge sia agli appassionati sia ai semplici curiosi e, in generale, a chiunque voglia sfruttare un’occasione unica per conoscere meglio le meraviglie brassicole dei produttori artigianali. Lo scorso anno è stato superato il totale dei 600 aderenti e sono stati proposti 464 eventi e 353 promozioni: l’obiettivo per il 2016 è di superare queste importanti cifre.

Domenica 6 marzo si svolgerà un grande evento di presentazione dedicato a tutti coloro che condividono lo spirito dell’iniziativa.




Quella volta che Caravaggio quasi accoppò un garzone d’osteria

CARAVAGGIO-AUTORITRATTO“Faccio un salto al bar”. È nozione comune che tale pronunciamento di intenti, oggidì del tutto innocente, non manchi di essere accolto dalle più arcigne tra madri e consorti con almeno un’occhiataccia di riprovazione. Ciò di cui coniugi e genitrici non sono forse al corrente è che le ragioni dell’anacronistico biasimo sono ormai vecchie di un paio di millenni. Ancor ai nostri giorni i locali dove prendere un cicchetto o un caffè pagano infatti lo scotto della pessima fama che, invero non senza fondamento, all’epoca della Roma imperiale bollava le tabernae.

A quei tempi, a dar retta a Giovenale, le frequentazioni delle bettole di cui traboccavano i bassifondi della Città Eterna erano tutto fuorché raccomandabili: malfattori, marinai, schiavi fuggitivi, boia e – sic – fabbricanti di catafalchi. Una siffatta ghenga di avventori finiva inevitabilmente per attirare anche qualche entraîneuse, spesso appartenente alla più stretta cerchia familiare del titolare della mescita. Alle lucciole della casa il diritto latino accordava peraltro singolari liberatorie professionali: ancora nel VII secolo, secondo i disposti della Lex Romana Curiensis, appartarsi con la moglie del tabernario non costituiva infatti adulterio. Non sorprende dunque che ai membri della casta senatoriale fosse elevato divieto di convolare a nozze con le figlie degli osti.

Se nelle bottiglierie più malfamate libagioni smodate e meretricio la facevano da padrone, non mancavano altresì locali di profilo meno ambiguo nei quali il vino era accompagnato da una più ortodossa offerta di cibo ed alloggio. Questa bipartizione tra taverne di equivoca nomea e più rispettabili hostarie venne di fatto mantenuta anche nel corso del medioevo, nel quadro di un generale impulso a regolamentare e moralizzare l’attività dei pubblici esercizi. Risale ad esempio al 1270 il bando con il quale la Repubblica di Venezia vietava ai locandieri di fornire ospitalità a donne di malaffare, inibendo inoltre la vendita di bevande che non fossero distribuite dai grossisti incaricati dall’amministrazione.

Le frodi alla mescita erano in effetti tutt’altro che inusuali, perpetrate soprattutto somministrando intrugli ottenuti dalla rifermentazione di vinacce esauste, o brode in via di acetificazione. A copertura dei raggiri, i gestori solevano confondere la bocca della clientela addolcendola con spicchi di finocchio offerti a guisa di amuse-guele. Da tale malvezzo è derivata la singolare voce “infinocchiare”, ancor oggi in uso per designare l’adozione di condotte levantine. Un ulteriore filone di imbroglio atteneva inevitabilmente ai quantitativi serviti. Ecco dunque che lo scarno corpo degli statuti cinquecenteschi della valle di Scalve, nel disciplinare il complesso dominio delle vettovaglie, aveva come unica previsione l’assoggettamento delle vinerie all’obbligo di avvalersi esclusivamente dei boccali bollati dalle autorità, per evitare che, nello spillare dalle botti, gli osti finissero per essere di mano troppo parca.

Che le libagioni propinate nelle bettole non potessero certo essere ascritte alla categoria dei grandi cru risulta evidente da innumerevoli testimonianze. Spicca in particolare il celebre sonetto di Cecco Angiolieri – amico di Dante Alighieri ed impenitente cantore degli ozi da taverna – nel quale il poeta giungeva ad affermare che persino la sua consorte in preda all’ira gli facesse meno uggia del vino servito nelle fiaschetterie. Emblematica è poi la sentenza di Alvise da Cà da Mosto, esploratore veneziano che verso la metà del quattrocento guidò un paio di spedizioni lungo le coste atlantiche dell’Africa: al succo delle patrie uve il pioniere della Serenissima dichiarava di preferire addirittura la linfa fermentata stillata dalle palme dai selvaggi del Senegal.

Se truffe e sofisticazioni erano all’ordine del giorno, non mancano comunque le attestazioni d’esistenza di locali condotti con perizia e probità. Colpisce in special modo quella di Jacques La Saige, mercante di seta della Fiandra francese che il 12 aprile del 1518, sulla via verso la Terrasanta, si trovava alle porte di Torino. Fermatosi per rifocillarsi all’Osteria della Croce Bianca di Rivoli, nei suoi appunti di viaggio il pellegrino riporta con stupore che, in abbinamento all’ottimo pasto, gli venne proposta una selezione di ben dieci diversi vini alla mescita, tutti di eccellente livello.

Un altro paio di aneddoti, stavolta di più chiaro marchio bergamasco, contribuisce infine a far luce sulle condizioni di lavoro nelle locande del XVI secolo. Del primo, invero a tinte piuttosto fosche, siamo debitori alla penna dell’infaticabile zibaldonista Donato Calvi. Nell’Effemeride si narra infatti di un cruento incidente consumatosi il 14 ottobre 1583 presso l’Osteria delle Due Ganasse, ubicata lungo l’attuale via XX Settembre. Nell’esercizio prestava opera un giovane garzone meneghino – all’epoca il nostro capoluogo era in assai più floride condizioni di Milano –  di nome Gasparo Gariboldi. L’inserviente, giunto prima dell’alba a riassettare i locali dal servizio della sera precedente, dopo aver compiuto le proprie incombenze si era appisolato su una sedia accanto al focolare. Per colmo della sventura, proprio sopra il suo capo erano appesi degli spiedi utilizzati per arrostire carni ed uccelletti. D’improvviso la fibbia che reggeva una delle acuminate aste si allentò, e quest’ultima nel cadere trafisse il collo del malcapitato trapassandolo da lato a lato. Richiamati dalle urla del poveretto – appunta laconicamente il cronista – i maldestri soccorritori, “volendoli strappare il ferro dalla gola, li strapparono in vero l’anima dal corpo”.

Il secondo episodio, ancorché di ambientazione romana, ha come protagonista nientemeno che Michelangelo Merisi da Caravaggio. Lo stizzoso artista, già nelle peste con la giustizia papalina per innumerevoli precedenti, si ficcò vieppiù nei guai malmenando e tentando addirittura di uccidere un povero cameriere dell’Osteria del Moro, reo di non aver saputo rispondere se i carciofi che stava servendo al pittore fossero stati cucinati nell’olio anziché nel burro. Tra arnesi di cucina che si trasformavano in armi letali ed avventori pronti a sguainare la sciabola per delle quisquilie, è dunque arduo definire quanto dura potesse essere la vita di uno sguattero di cinque secoli fa.




Musica, massaggi, docce: la dolce vita delle mucche della cascina Guardiola

Azienda agricola Ciocca - Treviglio - Antonio Ciocca e la moglie Antonella ViolaNella Bassa bergamasca un’azienda agricola ha scoperto il “segreto” per produrre formaggio, burro e yogurt eccellenti: il latte di mucche coccolate da spazzolatrici, allevate con un’alimentazione naturale ascolta
ndo musica in sottofondo e senza stress da super mungitura. Il caseificio è nella cascina Guardiola alla Geromina, frazione di Treviglio, dove c’è anche uno spaccio con i prodotti di altri agricoltori a chilometro zero, gestito da marito e moglie, Antonio Ciocca e Antonella Viola.

Ma non si può considerare l’attività casearia senza aver prima visitato l’azienda agricola in via del Bosco, in aperta campagna, avviata nel 1965 dal padre di Luigi, Antonio. Fin da allora l’allevamento rispettava i cicli della natura e i bovini erano solo 25. Nel 1992 è avvenuto il passaggio al figlio. Oggi i capi sono 110 e continuano a vivere in una condizione di cura invidiabile con tanto spazio e comfort a loro disposizione. Le mucche hanno un loro nome e sono parte preziosa di un’attività a carattere familiare, come dimostra il loro trattamento: si pretende che producano “solo” 25 litri di latte in media al giorno, sono nutrite con erba e fieno, partoriscono fino a otto volte e quando invecchiano sono messe in un’area più tranquilla. Nella stalla c’è anche una grossa spazzolatrice verde elettrica: gli animali autonomamente ci mettono sotto la testa e si fanno massaggiare collo e orecchie. Se il macchinario non si aziona, richiamano l’attenzione dell’addetto. Le mucche si coricano su morbidi materassini in gomma. E, d’estate, sopra le mangiatoie, ci sono docce nebulizzatrici che grazie ai ventilatori rinfrescando l’aria e le invogliano a mangiare.

azienda ciocca mucca che si spazzola da sola«Vuole sapere quale sarà il mio prossimo passo? Vorrei creare il pascolo, lasciarle libere, ci ho già provato ma non è facile, sono animali intelligenti – è il afferma Ciocca -. Un giorno, mentre stavo rifacendo il pavimento della stalla, avevo messo le bovine in un’area recintata, ma due vacche hanno spinto contro una loro compagna, riuscendo così a scavalcare l’ostacolo».

Ci sono anche stati alti e bassi, superati con costanza e dedizione al lavoro. «Avevo 400 capi, di cui 180 da mungitura, ho investito, assunto dipendenti e iniziato a vendere latte alle industrie, entrando in un circolo vizioso – spiega Ciocca – perché poi sei costretto a produrre sempre di più dal momento che il prezzo viene abbassato e non riesci più a far fronte alle spese. Gli animali, negli allevamenti intensivi, sono portati a fornire fino a sessanta litri di latte al giorno e così sfiancati, dopo un paio di parti, finiscono al macello».

Nel 2001 una malattia contagiosa gli ha imposto l’abbattimento di tutti i capi. Ma il trevigliese si è rimboccato le maniche e ha ricomposto la mandria, aprendo nel 2008 i distributori di latte crudo a Cavenago, Capriate, Suisio e Bellusco. Tuttavia, dopo il successo iniziale, il progetto non ha suscitato più il forte interesse iniziale. «Se non fai altro, non campi», si è detto l’allevatore che ha cambiato rotta, decidendo di dedicarsi alla trasformazione del suo latte. Chi si reca in cascina è attratto dal gusto unico di due formaggi speciali che, già nel nome delle due frazioni, sono un omaggio al territorio: Cerreto, compatto e dolce, realizzato da latte intero, stagionato da un mese e mezzo a tre mesi, che può somigliare alla fontina, e Geromina, a pasta morbida, con almeno otto mesi di stagionatura, prodotto da latte spannato in forme che raggiungono i nove chili.

I prodotti sono finiti anche in vetrina per tutta la durata di Expo nel padiglione allestito vicino all’albero della vita. Le varietà casearie sono tante: c’è il mucchino, che piace ai bambini, simile al caprino, ma prodotto con latte vaccino, e i freschissimi come mozzarella, ricotta, crescenza e primo sale. Nelle formagelle, stagionate per due mesi, si spazia con i sapori: possono essere al peperoncino, al pistacchio, alla cannella, alle olive, all’erba cipollina, al finocchio e ai capperi. Il latte è conferito all’Associazione produttori latte della Pianura Padana e a Copagri per il progetto “Buono e onesto”, che consiste nel confezionamento diretto dagli allevatori. Il suo simbolo, presente sulle confezioni in tutta Europa, è la mucca Onestina colorata con la bandiera del Paese di origine. Con questo latte, i soci producono il Sovrano, un formaggio a pasta dura stagionato 25 mesi, con latte vaccino all’80% e di bufala al 20, Fattorie Bresciane con caglio vegetale e meno sale, stagionato 12 mesi, il Supremo, a 15 mesi, con solo latte vaccino. Ci sono anche la Guardiola, spalmabile, e il Pronto pentola, una miscela macinata perfetta per mantecare risotti o pasta. Lo yogurt è, oggi, solo bianco. «Non utilizzo nient’altro che prodotti di stagione, pertanto non essendoci fragole, more o mirtilli che mi rifornisce la Cascina Pelesa, preferisco non aggiungere frutta che non conosco», conclude Ciocca.

formagelle azienda ciocca




Porto senza “segreti” all’Avalon

Luca Castelletti
Luca Castelletti

Il “Vinho do Porto”, o semplicemente Porto, è un vino portoghese prodotto nella valle del Douro, terza regione vinicola al mondo ad essere stata oggetto di protezione. Si tratta di un vino liquoroso che viene prodotto esclusivamente con uve provenienti dalla valle che prende il nome dall’omonimo fiume. Tra i vitigni più utilizzati, il Tinta Cão, il Tinta Barroca, il Touriga Nacional, il Touriga Francesa e il Tinta Roriz (detto anche Tempranillo). serata Porto

Sicuramente tra i più conosciuti e apprezzati vini da meditazione, il Porto è diffuso in svariate tipologie commerciali. Che piaccia lo si è visto anche lo scorso mercoledì, quando al circolo Avalon di via Angelo Maj, Luca Castelletti, patron dell’enoteca al Ponte di Ponte San Pietro, ha organizzato una serata di degustazione di Porto vintage, che ha fatto il pieno. Relatore, preciso nel descrivere nascita ed evoluzione del vino liquoroso, Lucio Lorusso. In mescita vini unici, di annate uniche, come, tanto per citare alcune etichette,  il Sandeman del ’78 e il Diez del ’74 o il Feist dell’81. Gli abbinamenti?  Classici, dal formaggio a pasta dura fino al cioccolato. Pubblico numeroso e coinvolto.