Al via IMeat a Modena. E domenica c’è la finalissima del Campionato Italiano Giovani Macellai

Si svolgerà il 12 settembre in occasione dell’unica fiera in Italia dedicata al negozio di macelleria, gastronomia e ristorazione specializzata

Creare un contesto di relazione dove domanda e offerta possono incontrarsi per ampliare le rispettive attività e valutare nuove e moderne idee e strategie in un mercato che deve inevitabilmente evolvere e guardare a un futuro più aperto e innovativo. È sempre stato questo l’obiettivo della società Ecod fin da quando, qualche anno fa, ha dato avvio al progetto fieristico iMEAT che, crescendo di edizione in edizione, è diventato una realtà ben definita nel contesto fieristico nazionale. La settima edizione di iMEAT si terrà dal 12 al 14 settembre 2021 a ModenaFiere.

Le novità dell’edizione 2021

Tante le novità dell’edizione 2021 a cominciare dalla suddivisione dell’esposizione in tre aree distinte: una dedicata ad attrezzature, macchinari, ingredienti; l’altra, iMEAT Eccellenze, alle specialità di prodotto finito; infine, la novità programmata da tempo e rimandata per cause di forza maggiore: iMEAT Farm, ideata per mettere in collegamento allevatori e produttori di carni di alta qualità con il mondo della macelleria allo scopo di creare una sinergia costruttiva.
Confermati i tre giorni espositivi proprio per riuscire ad intercettare un target di visitatori ancora più ampio, con esigenze di spostamento e programmazione diversificate dando ai negozi di macelleria e di gastronomia, alla ristorazione e alle aziende agrituristiche, l’opportunità di essere presenti per aggiornare o innovare la propria attività.

La finalissima del Campionato Italiano Giovani Macellai

Il programma di eventi collaterali, oltre ai corsi teorico-dimostrativi, contempla una giornata dedicata alle gare e altre iniziative in corso di definizione. Tutto nell’ottica di creare suggestioni da trasporre e personalizzare nel proprio negozio o attività. Sempre vivace l’attività di Federcarni, operativa nell’area offerta da Ecod: come ogni anno, infatti, la Federazione Nazionale Macellai parteciperà e domenica 12 settembre, presso l’area Federcarni, si svolgerà la Finalissima del Campionato Italiano Giovani Macellai (clicca qui) In programma ci sono anche altre iniziative che offriranno momenti di formazione e intrattenimento.

Registrazione esclusivamente online

Attualmente sono attive le registrazioni online per visitare iMeat: l’ingresso è gratuito ma la registrazione online è obbligatoria (in fiera non sarà attiva la biglietteria). Sul sito di iMeat è possibile richiedere il biglietto di ingresso compilando, in tutte le sue parti, il modulo di registrazione online: per accedere al sito clicca qui.

Per accedere al quartiere fieristico di ModenaFiere sarà obbligatorio essere in possesso del Green Pass.

 




Un settembre di “Moscato Gastronomico” tra degustazioni di salumi e formaggi abbinati alla Docg

Giovedì 9 settembre secondo appuntamento dell’iniziativa del Consorzio di tutela con il Gruppo Gastronomi e Salumieri di Ascom Confcommercio Bergamo

L’unicità del Moscato di Scanzo si abbina ai sapori tipici bergamaschi. Giovedì 9 settembre secondo appuntamento targato “Moscato Gastronomico”, iniziativa organizzata dal Consorzio di tutela del Moscato di Scanzo in collaborazione con il Gruppo Gastronomi e Salumieri di Ascom Confcommercio Bergamo.
Per quattro giovedì, gli esperti gastronomi e salumieri del gruppo Ascom presenteranno le peculiarità di formaggi e salumi locali abbinati alla pregiata Docg bergamasca. Le degustazioni si tengono nell’affascinante sede del Consorzio a Scanzorosciate (via Colleoni 38). Il programma prevede giovedì 2 e 16 settembre “Moscato di Scanzo e i salumi della Bergamasca”, mentre giovedì 9 e 23 settembre “Moscato di Scanzo e i formaggi della Bergamasca”. Le degustazioni cominceranno alle 18 e per ogni appuntamento sono previste 5 sessioni da 30 minuti ciascuna (massimo 8 partecipanti alla volta).
L’iniziativa il “Moscato Gastronomico” – inserita all’interno del cartellone degli eventi del “Settembre del Moscato di Scanzo” – si chiuderà giovedì 30 settembre con una tavola rotonda aperta a giornalisti ed esperti del settore dedicata agli abbinamenti del Moscato di Scanzo.

Per accedere alla degustazione è richiesto il Green pass e la prenotazione è obbligatoria. Per informazioni e prenotazioni: tel. 0356591425 – info@consorziomoscatodiscanzo.it.




“A tavola con il Moroni” in Valle Seriana: nei ristoranti aderenti si gustano le ricette del Cinquecento

Piatti studiati da Leonardo Bloch, esperto di gastronomia antica, in collaborazione con l’Accademia del Gusto di Osio Sotto e la Trattoria Moro di Albino

Il Moroni si celebra anche a tavola. Ascom Confcomemrcio Bergamo, aderendo alle iniziative legate all’anniversario dell’artista albinese nei 500 anni dalla sua nascita, propone “A tavola con il Moroni”, un menù con i piatti che venivano presentati sulle tavole bergamasche del ’500 studiati da Leonardo Bloch, esperto di gastronomia antica. Per tutto il periodo dell’iniziativa, ristoranti dei comuni della Valle Seriana che hanno aderito all’iniziativa proporranno dei piatti di una volta per un viaggio nel tempo tra gusti, sapori e tradizioni rinascimentali.
I piatti sono stati studiati dall’esperto Leonardo Bloch e resi “fattibili” grazie alla collaborazione tra l’Accademia del Gusto di Osio Sotto e la Trattoria Moro di Albino. L’adesione è libera e gratuita e ciascun ristoratore può decidere di proporre l’intero menù o anche solo un piatto.

Le ricette di “A tavola con il Moroni”

Il menù è composto da tre primi, un secondo, una torta salata e tre dessert. Il tris di primi comprende: i “Maccaroni coperti di agliata di Bartolomeo Scappi”, molto diffusi nella Lombardia del XVI secolo, abbinati ad una salsa agliata, popolare nella Bergamo del ’500, presentati secondo la ricetta di Bartolomeo Scappi, cuoco rinascimentale di alto livello che pubblicò il più grande trattato di cucina del tempo; I “ravvioli da magro (casoncelli)”, sul modello dei tortelli ripieni di formaggio ricostruiti secondo Cristoforo Messisbugo, scalco alla corte Estense che scrisse un importante libro in cui sono elencati tutti gli elementi necessari per approntare un banchetto principesco oltre a numerose ricette, meticolosamente dettagliate; “Foiade condite con una salza verde”, sempre secondo le ricette di Scappi.
Come secondo, viene proposto il “Cinghiaro in brodo lardiero di Torquato Tasso”, un brodo lardiero di cinghiaro che riprende uno spunto fornito da Torquato Tasso e, in alternativa, la “Torta de Formag”, una torta di formaggio che a Bergamo nel secolo del Moroni doveva godere di ampia popolarità.
Tra i dessert ecco serviti “Fiadoncelli di Bartolomeo Scappi”, “Offelle sfogliate alla lombarda di Bartolomeo Scappi e “Casoncelli bergamaschi all’antica”.

I ristoranti che aderiscono all’iniziativa

 

Ristorante al PonteAlbino (Via Stazione, 6)

“Ravvioli da magro (casoncelli) di Cristoforo Messisbugo”

Cinghiaro in brodo lardiero di Torquato Tasso”

www.ristorantealpontealbino.com

 

Trattoria MoroAlbino (Via S. Alessandro, 2)

Tagliere di affettati tipici della Valle con “Torta de Formag”

“Frastagliate al pesto di erbe selvatiche”

“Cinghiale lardiero come da antica ricetta”

www.trattoriamoro.it

 

Albergo Garden Fino del Monte (Via Papa Giovanni XXIII, 1)

“Ravvioli da magro (casoncelli) di Cristoforo Messisbugo”

www.albergogarden.net

 

Mari’s Family – gastronomia ambulante di Castione della Presolana

“Offelle sfogliate alla lombarda di Bartolomeo Scappi”

 

Per rimanere aggiornati su tutte le nuove adesioni: www.ascombg.it – www.valseriana.eu

 




Il sentiero dei caprini: un gustoso itinerario tra le valli orobiche

Alla scoperta delle produzioni di formaggio di capra e non solo di quattro giovani allevatori della bassa Valle Brembana e Val Brembilla 

L’allevamento della capra ha avuto un forte successo negli ultimi decenni. Il motivo è da ricercare nel fatto che il consumatore ha imparato ad apprezzare sempre più il formaggio di capra per le sue caratteristiche aromatiche e gustative, ma anche per questioni dietetiche, a cui sempre più persone sono molto attente. Ma attenzione, per prima cosa è importante sfatare alcuni miti. Il latte di capra ha il lattosio. Come per i formaggi vaccini, la lunga stagionatura porta a una riduzione dello stesso, fino alla sua sparizione, ma come tutto il latte, anche quello di capra contiene lo zucchero. E contiene grassi. Anzi, ha spesso un contenuto di grassi maggiore rispetto al vaccino, ma semplificando al massimo possiamo affermare che hanno una struttura meno complessa e quindi il nostro organismo li assimila più facilmente.
Infine, il caprino che si trova comunemente sui banchi dei supermercati è un formaggio fresco prodotto a partire da latte vaccino con una coagulazione acida (e non presamica, quindi non viene utilizzato in prevalenza caglio animale). È  proprio questa lavorazione che regala al famoso caprino le sue caratteristiche. Se di capra, per la legge, deve essere specificato in etichetta. Sono tanti i giovani e le donne che si sono avvicinate all’allevamento di capre. Sono animali più piccoli, che necessitano di spazi più contenuti, e sono più gestibili, in termini sempre di dimensione dell’animale. E poi, c’è stato un notevole balzo in avanti per quanto riguarda la qualità dei formaggi prodotti. Sono sempre più le tecniche di caseificazione utilizzate per valorizzare questo latte, ma non solo.
La provincia di Bergamo conta moltissimi allevatori di capra che trasformano il loro latte in proprio. In particolare, abbiamo pensato a un piccolo itinerario tra la bassa Valle Brembana e la Val Brembilla. Quattro allevatori che con dedizione lavorano ogni giorno per produrre autentici gioielli caseari.

 

A Ponteranica, i caprini creativi

Una piccola azienda agricola nata a Ponteranica dalla grande passione di Federica che, durante gli studi universitari, ha deciso di avviare da zero un piccolo allevamento di capre di razza Saanen. Era il 2012 e oggi, dopo circa 9 anni, l’azienda agricola Val del Fich conta ben 60 capre in lattazione. L’azienda è tutta al femminile e l’attività viene svolta da Federica coadiuvata dalla mamma. Il latte prodotto dalle capre viene tutto lavorato a crudo in azienda, con la produzione di formaggi di vario tipo, poi le ricotte, lo yogurt e golosi budini, ma anche gustose conserve, come i caprini sott’olio, proposti in diverse versioni.
«Mia mamma ha passione per le confetture – racconta Federica – ne produciamo di particolari da abbinare ai nostri formaggi». Nel periodo primaverile la proposta spazia anche verso le confetture di fiori. Curiosa è, ad esempio, la confettura di primule, prodotta sempre in azienda. E poi, le creme spalmabili, dalla classica bianca, fino a quella alle erbe e al peperoncino. Tra le novità, la crema spiritosa, a base di peperoncino, peperone, pomodoro, erba cipollina e prezzemolo, perfetta per un aperitivo. E ancora, lo sciroppo di fiori di sambuco, da diluire, per una bevanda dissetante. Insomma, la creatività non ha confini. I formaggi e le confetture sono acquistabili da lunedì al sabato dalle 16 alle 18 allo spaccio in azienda. Poi il sabato mattina al mercato agricolo del Parco dei Colli. Inoltre, da sempre, in azienda si effettuano le consegne a domicilio a Bergamo e paesi limitrofi gratuitamente.

 

A Zogno, un giovane ambizioso

Prima di risalire la valle, merita una tappa l’azienda agricola Cristian Locatelli. Siamo a Zogno e Cristian non è un giovane qualsiasi. Classe 1998, ha deciso con coraggio di assecondare i suoi sogni e dar vita all’omonima azienda agricola. Sono ormai alcuni anni che in Valle Brembana alleva i suoi animali, con l’aiuto del papà. Una scelta autonoma la sua: Cristian, infatti, non è nato in una famiglia di agricoltori e non aveva esperienze di questo tipo alle spalle. Il suo piccolo caseificio si trova sulle rive del fiume Brembo, in una bellissima oasi naturale che in zona viene chiamata proprio Bremp. Per raggiungere lo spaccio bisogna fare una piccola passeggiata a piedi, parcheggiando l’auto prima di un piccolo ponte pedonale.
Attualmente alleva 40 capre e 20 vacche per la produzione del latte che trasforma a crudo nel piccolo caseificio aziendale. Qui produce diverse tipologie di formaggio: dal misto capra, a base di latte vaccino e caprino. È un formaggio a pasta semi-dura, dalla grande pezzatura e adatto alla stagionatura. E poi i caprini freschi, le croste fiorite, gli stracchini e le formaggelle sempre di capra. Non manca anche lo yogurt (sia vaccino che caprino), ma anche le panne cotte con frutti di bosco, caramello e cioccolato. Merita particolare menzione (anche se è un formaggio a base di latte vaccino) lo strachì del bremp: una lavorazione a doppia pasta con erborinatura naturale, dai sapori intensi e l’aroma complesso.

 

A Sottocamorone, l’evoluzione continua

Nicolò Marchetti ha una vera passione per i suoi animali. Attualmente alleva oltre 100 capre di razza Camosciata delle Alpi in val Brembilla, per la precisione nella frazione Sotto Camorone. Lui in stalla e l’amico Lorenzo Cremaschi in caseificio lavorano ogni giorno latte di capra crudo per la produzione di stracchini, formaggelle, caprini freschi, croste fiorite e ricotta. Gli animali sono alimentati a fieno e, nel periodo primaverile ed estivo, erba fresca, falciata due volte al giorno. Questo aspetto, unito alla lavorazione a latte crudo, garantisce una complessità aromatica unica. I formaggi possono essere acquistati direttamente in azienda nel piccolo spaccio annesso al caseificio.

 

In Val Brembilla, di generazione in generazione

Proseguendo in Val Brembilla, superata la frazione Sottocamorone, si arriva a una deviazione che prosegue fino all’abitato di Laxolo e poi scende verso Berbenno. Da qui, bisogna prendere la strada che prosegue verso Blello per arrivare all’Azienda Agricola Salvi. Oggi sono le giovani sorelle Giulia e Alessia che proseguono c on l’attività di famiglia, iniziata con nonno Luigi, poi passata nelle mani di papà Domenico, che oggi è aiutato dalle due figlie, rispettivamente Giulia, classe 1996, e Alessia, classe 2001.
«Avevamo solo vacche, poi nel 2014 mio papà ha deciso di iniziare ad introdurre le capre – racconta Giulia – perché all’epoca vendevamo solo il latte, senza trasformarlo». Da un paio di anni la famiglia ha deciso di dedicarsi anche alla trasformazione e al momento Alessia, neodiplomata al liceo linguistico, svolge i lavori di caseificazione. Giulia, studentessa di veterinaria, si dedica invece all’allevamento e alla commercializzazione dei prodotti. Oltre alle vacche, oggi in azienda sono allevate 80 capre di razza Camosciate delle Alpi tutte in lattazione. Vengono prodotti i classici a base di capra: dai caprini freschi, alle croste fiorite, gli stracchini di capra, le formaggelle proposte a diverse stagionature, lo yogurt e il misto vacca capra. Tutti i prodotti (compresi i formaggi a base di latte vaccino), si possono acquistare presso lo spaccio aziendale.

 




Kombucha, l’elisir di lunga vita 

Nata in Manciuria questa bevanda fermentata è un vero e proprio toccasana. Scopriamo come prepararla.

Lo chiamano l’elisir di lunga vita. È il kombucha, una bevanda fermentata a base di tè, frizzantina, dal gusto sia dolce sia acidulo, parente di birra, vino, kvas e tepache, ma anche di tanti altri alimenti come yogurt, kefir, kimchi, crauti e tempeh. Gustosa e fresca, è facile da preparare a casa. A illustrarne proprietà, benefici e preparazione è il libro “Kombucha, kefir e oltre” di Alex Lewin e Raquel Guajardo per Guido Tommasi Editore.  

Il kombucha contiene batteri “amici”, antiossidanti, polifenoli, enzimi, probiotici e un’alta concentrazione di acidi e vitamina B. Importante per il sistema nervoso e  per rafforzare quello immunitario, questo “champagne” migliora la digestione e il metabolismo, purifica e disintossica, riduce i dolori articolari e agisce in modo benefico su muscoli, reni e nella cura delle malattie cardiache.  Inoltre, gli acidi contenuti hanno proprietà anti-invecchiamento e ringiovanenti sulla pelle e degli organi e favoriscono la rigenerazione cellulare.
Le dosi consigliate sono, per gli adulti, mezza tazza a stomaco vuoto due volte al giorno oppure 30 minuti prima dei pasti principali per migliorare metabolismo e digestione; per i bambini, a seconda dell’età e del peso, si va dall’80 al 20 per cento della dose raccomandata per i grandi. Per i nostri amici a quattro zampe, si suggerisce un cucchiaio al giorno nella ciotola dell’acqua; per i cani di grandi dimensioni si può raddoppiare la dose. 

Le origini tra storia e leggenda

Il kombucha è nato nella Manciuria, regione dell’Asia nord orientale. A inventarlo si narra sia stato il medico coreano Kombu che le ha dato il nome unito alla parola cinese cha (tè): secondo la leggenda, infatti, nel 415 d.C. il dottore utilizzò la “madre” (insieme di batteri e lieviti) per curare l’imperatore giapponese Inyko. Dall’Oriente, l’utilizzo del kombucha si diffuse prima in Russia e poi, attraverso la Germania Orientale, nel resto d’Europa. Altri racconti riportano, invece, che la bevanda sia stata inventata nel 220 a.C. in Cina, durante la dinastia Qin, dove era conosciuta come “tè dell’immortalità”. L’americana Hannah Crum, definita la mamma del kombucha, elenca 39 nomi per la preparazione. Tra questi, champagne della vita, fungo miracoloso, birra di tè, il divino tsche. È possibile che, come per molti cibi fermentati, il kombucha sia nato per caso. Forse qualcuno preparò un tè dolce, poi versò la parte rimanente in una tinozza, scoprendo che con il passare dei giorni acquisiva un odore interessante. Oppure l’inventore, nel preparare un aceto di frutta, provò ad aggiungere un po’ di tè dolce e poi iniziò a usare più tè e meno frutta. 

Come si prepara: tè, zucchero e “scoby” 

Bevanda viva, il kombucha è preparato a partire da una base di tè zuccherato, fermentato con una coltura di batteri e lieviti, meglio nota come scoby (symbiotic colture of bacteria and yeast, ovvero comunità di batteri e lieviti che vivono in simbiosi) o “madre” del kombucha.
Secondo il metodo di preparazione tradizionale, la coltura è fatta fermentare in tè nero, tè oolong o tè verde zuccherato per 8/12 giorni in un contenitore di vetro, per evitare eventuali reazioni con recipienti di plastica o metallo. Meglio, quindi, non usare neanche cucchiai o arnesi in metallo e assicurarsi di maneggiare la coltura sempre con le mani ben pulite. Il barattolo deve rimanere coperto: l’ideale è un pezzo di stoffa fermato con un elastico, che faccia passare l’aria ma non insetti e polvere. Passato il tempo, il liquido può essere filtrato e consumato, conservato in barattoli chiusi. Occorre accertarsi, quando si mette lo scoby nel tè zuccherato, che la bevanda sia tiepida tendente alla temperatura ambiente. Se è calda, la coltura morirà. Per un secondo kombucha, oltre allo scoby, al tè e allo zucchero, servono nel contenitore anche 250 ml circa del vecchio kombucha che servirà come starter e faciliterà la fermentazione.

L’ultima tendenza: kombucha al caffè

Il kombucha al caffè è l’ultima moda tra gli appassionati della bevanda nera che si presta alla variante. Il caffè è, infatti, ricchissimo di tannini, fondamentali nel processo di fermentazione di questa bevanda.La moda si è diffusa facilmente e in nazioni come Stati Uniti e Australia è possibile acquistare Kombucha Coffee imbottigliato. Così come il kombucha di tè, anche quello al caffè inizia con l’infusione dell’ingrediente principale in acqua bollente per 15 minuti.
Una volta realizzato l’estratto di caffè sarà necessario dolcificarlo facendo attenzione che lo zucchero si sciolga completamente nell’infusione. Si fa raffreddare a temperatura ambiente il caffè zuccherato e si aggiunge lo scoby. Si copre il recipiente in vetro con un pezzo di stoffa e si lascia fermentare per un periodo tra i 7 e i 10 giorni a seconda delle temperature, finché non si sarà formato un nuovo scoby di kombucha. Lo scooby non potrà più essere utilizzato per produrre kombucha di tè.

Il Jun, la variante con il miele

Il jun è una variante del kombucha fatta usando il miele come dolcificante. È pronto in minor tempo rispetto al kombucha, forse perché lo zucchero (disaccaride) usato per il kombucha ha bisogno di essere scisso nei suoi due costituenti fruttosio e glucosio, mentre il miele (per lo più monosaccaride) usato per il jun non necessita di questo passaggio.  Il jun si produce a temperature inferiori rispetto al kombucha e viene meglio con il tè verde. Il kombucha può avere una forte nota di aceto, mentre il Jun acquisisce al contempo le note floreali del miele impiegato per la sua preparazione.  Si bolle l’acqua in un pentolino; si toglie dalla fiamma e si mette dentro il tè, lasciando in infusione per 5 minuti. Poi si levano le foglie e si uniscono l’acqua a temperatura ambiente, la coltura e il miele e si mescola con un cucchiaio di legno finché non si scioglierà. Poi si trasferisce il liquido in un barattolo di vetro che si coprirà con un pezzo di stoffa, fermandolo con un elastico. È possibile fare una seconda fermentazione in frigo con aggiunta di frutta fresca tagliata a pezzetti. 




Fantasia e creatività nell’estate dei bartender

Dalla rivisitazione dei grandi classici anni ‘80 ai mocktail alla frutta e agli elevated cocktail: ecco i trend della bella stagione 

Osare, osare e osare. E quest’anno ancora di più. Tra rielaborazioni di grandi classici anni Ottanta, drink analcolici alla frutta ed elevated cocktail, i trend dell’estate 2021 strizzano l’occhio alla fantasia dietro al bancone come conferma Andrea Villa, bartender di M10cafè (Lesmo), campione italiano nella categoria “Coffee in good spirits” e docente dell’Accademia del Gusto di Ascom Confcommercio Bergamo:  «Quest’anno la tendenza va su tre linee principali a cominciare dai cocktail Iba anni 80, mai usciti di moda e anzi tornati alla ribalta in questi mesi in cui le chiusure anticipate hanno spinto i barman a concentrarsi sugli aperitivi. La voglia di sperimentare ha così portato ai remake dei grandi classici rivisti con prodotti di nicchia e più ricercati. Penso ad esempio al Negroni con gin, vermouth e bitter particolari o al Daiquiri con rum differenti, succo di limone fresco e sciroppo di zucchero home made».

La ricerca del salutare che ha contraddistinto questo anno di pandemia si riflette invece in mocktail poco alcolici e drink a base di frutta bio o spremute e con estratti di frutta fresca e dalla gradazione alcolica contenuta.  «Sono di facile preparazione, l’importante è giocare con la fantasia e scegliere i giusti abbinamenti frutta-verdura con le sode – conclude Villa -. Per chi ama invece le sfide a colpi di creatività e abilità tecnica si può osare con gli elevated cocktail, drink con preparazioni home made per ottenere gusti più complessi e articolati e con tecniche all’avanguardia prese in prestito dal mondo della ristorazione, dalle riduzioni al fat washed e milk washed. Con la chiarificazione, ad esempio, si può proporre un Bloody Mary trasparente dall’effetto wow garantito».

 

Il negroni & il mare

Ingredienti:

3 cl vermouth Cocchi

3 cl gin mare

3 cl gajardo bitter radicale

2 cl acqua di mare

Garnish:

Crustas di sale maldon

Scorza di arancia candita e rosmarino bruciato

 

Mockfruit

Ingredienti:

5 cl di succo di melograno

15 cl di acqua frizzante

5 cl spremuta di pompelmo rosa

1 cl sciroppo d’agave

Garnish:

Arancia disidratata e crustas di zucchero

 

Old crispy fashioned

Ingredienti:

4.5 ml Rye whisky bacon fat washed

2/3 gocce di Angostura

1 zolletta di zucchero (o 2 cucchiaini di zucchero) soda

Garnish:

Scorza di arancia

Ciliegina al maraschino

Bacon croccante




Nasce Biova Bergamo, la birra artigianale ottenuta dal surplus di pane dei panificatori Aspan

Presentata in assemblea la nuova iniziativa sostenibile nel segno della filiera corta per dare nuova vita al pane invenduto in collaborazione con Biova Project

Si chiamerà Biova Bergamo la birra artigianale ottenuta dal surplus di pane dei panificatori Aspan. È la nuova iniziativa sostenibile per dare nuova vita al pane invenduto presentata in occasione dell’assemblea annuale dell’ Associazione Panificatori Artigiani della Provincia di Bergamo . L’idea nasce dalla collaborazione con Biova Project, start up innovativa ideatrice di un progetto di economia circolare per trasformare il surplus alimentare in prodotti dal nuovo valore aggiunto. Verrà creata quindi un’etichetta di birra speciale per la provincia di Bergamo, realizzata con il pane recuperato dai panettieri bergamaschi, con l’obiettivo di limitare gli sprechi e ridurre il consumo di materie prime ed energia e creare benefici per tutti i partecipanti al progetto.

“Tutto ha inizio recuperando il pane, che oltre ad essere uno degli alimenti base della nostra dieta è purtroppo anche uno dei più sprecati – spiega Massimo Ferrandi, presidente Aspan -. Grazie alle sue caratteristiche, tuttavia, il pane può essere portato a nuova vita, utilizzandolo nel processo di birrificazione”.

La ricetta nel segno della filiera corta locale

La ricetta ideata da Biova Project prevede che da 170 kg di pane recuperato si ottengano circa 2.500 litri di birra, vale a dire più di 7.500 bottiglie da 33 cl. Questa strategia non solo abbatte gli sprechi, ma permette di risparmiare fino al 30% di materie prime, e contestualmente viene risparmiato all’ambiente l’immissione di ben 1365 kg. di CO2, pari a 5 voli aerei tra Roma e Londra. “Il progetto – prosegue Ferrandi – si basa sulla sinergia con i nostri panificatori e Biova Project che ritirerà nel mese di luglio l’invenduto presso alcuni panifici e lo trasformerà in birra artigianale. Il prodotto sarà poi nuovamente a disposizione dei panifici aderenti”.

La caratteristica di queste birre è di “lasciare parlare il pane”: ricette classiche della tradizione birraia, con un tocco di sapidità dato proprio dal pane; un gusto che colpisce, almeno quanto la bontà dell’operazione.   Anche per la parte di distribuzione è prevista una filiera corta locale: la birra prodotta si troverà da settembre esclusivamente nei panifici Aspan. Un prodotto unico e particolare perché racconta il valore aggiunto che porta con sé: un futuro più sostenibile.

 




Aglio orsino, un’erba spontanea sempre più amata in cucina 

Il suo aroma particolare lo rende perfetto nella preparazione di moltissime ricette

Sarà per l’aroma che ricorda l’aglio, sarà perché cresce facilmente in molte zone della penisola italiana, sarà che è facile da riconoscere, raccogliere e lavorare, ma l’aglio orsino sta avendo un grande successo tra cuochi e appassionati. 

Cosa è e dove si raccoglie

L’aglio orsino non è nient’altro che una spontanea che cresce bene nei boschi di tutta Italia: la nostra provincia ne è piena, soprattutto in concomitanza dei torrenti e dei corsi d’acqua, dove si creano zone vallive con acqua piovana stagnante. Le zone umide sono infatti quelle perfette per la sua crescita e il suo sviluppo. Passeggiando tra i boschi, quando la si incontra, si viene subito avvolti dal suo piacevole profumo, un po’ come avviene con l’erba cipollina.
Le foglie sono larghe e lanceolate, dalla consistenza carnosa e dal colore verde scuro lucente. Si riconoscono molto facilmente perché crescono fitte sul terreno senza lasciare spazio ad altre erbe e, quando si spezzano, rilasciano il piacevole sentore. Per il primo mese le foglie sono soggette a un rapido sviluppo, poi compaiono i bulbi che danno vita a l’infiorescenza. I fiori, piccoli e bianchi, sono perfetti per decorare e guarnire i piatti. Entrambe le parti possono essere utilizzate in cucina (così come il bulbo): oltre all’aroma, le parti fogliari presentano caratteristiche gustative molto simili all’aglio, senza però avere l’inconveniente della difficile digestione. 

È una delle prime specie aromatiche a comparire e già dalla prima metà di marzo si possono osservare le prime foglie spuntare dal terreno e, pian piano, coprire il terreno circostante. La fioritura invece avviene più tardi, verso la prima metà di aprile. Ci sono anche diverse aziende agricole dedite alla coltivazione delle erbe spontanee che stanno iniziando a coltivarlo, al fine di trasformarlo in conserva e renderlo disponibile così tutto l’anno. La sua raccolta è molto semplice: basta tagliare le foglie alla base e pulirle bene prima di lavorarle. 

 

I principali utilizzi in cucina 

Sono davvero molte le ricette che è possibile valorizzare attraverso il corretto utilizzo di questa erba spontanea, sia a crudo che cotto. Le sue foglie, ma anche i suoi fiori, si possono utilizzare a crudo, ad esempio, per guarnire un’insalata primaverile, ma anche per aromatizzare il burro da utilizzare in abbinamento a carni e pesci, specialmente dopo la cottura sulla griglia. Si prepara lavorando il burro con uno sbattitore elettrico e, successivamente, bisogna sminuzzare la foglia incorporandola al composto che va trasferito su un foglio di carta da forno, dandogli la forma desiderata. Si conserva in frigorifero e lo si utilizza tagliandone un pezzettino alla volta, secondo necessità: è perfetto, ad esempio, in abbinamento a una bistecca di manzo cotta sulla brace, ma anche a una braciola di maiale oppure a un branzino appena grigliato. È possibile anche insaporire una minestra di verdure, una zuppa oppure una vellutata. Ma anche saltato in padella con fresche mazzancolle dei nostri mari. Le foglie di aglio orsino, precedentemente cotte, sono perfette anche per guarnire la frittata, ma anche una torta salata o delle polpette. 

Ma proviamo a pensarlo anche come ingrediente in un risotto, in abbinamento a un formaggio erborinato o ben stagionato, ma anche a uno stracchino stagionato a dovere, dove gli aromi dati dalla proteolisi spinta ben si amalgamano a quello dell’erba. Oltre all’abbinamento con il formaggio, è perfetto anche quello con insaccati e salumi grassi, come una buona salsiccia artigianale oppure la pancetta croccante. La foglia, essendo resistente, è ottima anche per essere utilizzata per la preparazione di gustosi involtini, utilizzando le foglie più grandi che, dopo essere state sbollentate pochi minuti in acqua, sono da disporre a coppie formando una croce, pronte per essere farcite, poi ripiegate, legate e cotte a piacere. Infine, anche l’uovo vuole la sua parte: per un piatto rustico una ricetta di gran gusto potrebbe essere la polenta abbrustolita, con un ovetto perfetto (cotto a bassa temperatura, lasciando il tuorlo liquido) e un poco di aglio orsino, in crema o tagliato a listarelle. 

Il pesto di aglio orsino e la crema 

La pratica comune per l’utilizzo di quest’erba spontanea in cucina prevede la sua riduzione in pesto o crema. La procedura è molto semplice e può variare in basi ai gusti personali. Dopo aver raccolto le foglie fresche e averle mondate per bene, sono da pestare o tritare al frullatore con la frutta secca scelta. A differenza del basilico, le foglie di aglio orsino sono meno delicate e non anneriscono, anche se le temperature si alzano durante la lavorazione. È possibile utilizzare mandorle, ma anche pinoli, nocciole oppure noci.
Prima di procedere alla lavorazione delle foglie, è bene tritare la frutta secca che grazie al rilascio degli oli renderà il processo migliore. Infine, è necessario aggiungere abbondante formaggio grattugiato, come del Grana Padano Dop oppure del pecorino, ancora più saporito e aromatico. In questo modo andremo a ridurre la leggera pungenza della crema, rendendola davvero piacevole, soprattutto se abbinata a prodotti grassi, in grado di “arrotondare” e smorzare un po’ le caratteristiche gustative dell’erba spontanea. 

In Val Brembana una linea di conserve dedicate all’aglio orsino 

Dal 2012 in Valle Brembana opera l’azienda agricola Della Fara, nata da un’idea di Italo Della Fara, imprenditore innamorato delle erbe spontanee che ha iniziato il recupero di un piccolo appezzamento a San Giovanni Bianco e si è subito dedicato alla coltivazione del paruch, una spontanea molto diffusa sulle Orobie e notoriamente utilizzata in cucina. Oggi l’azienda ha investito nella coltivazione dell’aglio orsino e nella sua lavorazione. La spontanea, dopo essere stata raccolta, viene trasformata in due conserve, la crema di aglio orsino e l’arrabbiato: un condimento a base di aglio orsino, con l’aggiunta di pomodoro e peperoncino, perfetto per condire una pasta, ma anche per crostini e bruschette. Infine, la conserva leggermente piccante è stata utilizzata anche per la produzione di golosi grissini aromatizzati. 

 

Idee, abbinamenti e ricette

Il risotto con aglio orsino, lumache e arancia

Una ricetta dello chef Edo Codalli della cascina Belvedì di Ubiale Clanezzo unisce l’aromaticità dell’aglio orsino alle lumache trifolate e all’acidità dell’arancia. Per prima cosa è necessario preparare la crema con le foglie di aglio orsino, frullandole con del ghiaccio, un pizzico di sale e poco pepe. Nel mentre, si prepara il brodo per la cottura del riso a base di cipolla e i gambi delle foglie dell’aglio orsino. Quindi è il momento della preparazione del risotto, partendo dalla sua tostatura. Successivamente è bene sfumare con del vino bianco e procedere alla consueta cottura con il brodo preparato. A metà cottura si aggiunge la crema e, alla fine, si manteca normalmente con burro e abbondante formaggio. Al piatto si aggiungono le lumache precedentemente stufate in padella, un poco di polvere di porcini essiccati, della paprika e qualche cucchiaino di marmellata di arancia. In alternativa è possibile utilizzare semplicemente le sue scorze. Una ricetta che valorizza a spontanea e la rende elemento essenziale al fine di dare ulteriore valore a un “semplice”, ma non banale, risotto alle lumache. 

Cannelloni al farro, cime di rapa, patata e crema aglio orsino

Questa è la proposta vegan dello chef Francesco Locatelli, dell’agriturismo Polisena. I cannelloni sono preparati a partire da una pasta fresca a base di farro al 100% che permette di ottenere una sfoglia rustica che ben si abbina alle caratteristiche gustative dell’aglio orsino. Una volta preparata la pasta, unendo farina, acqua e un cucchiaino di curcuma, è necessario lasciarla riposare in frigorifero, per poi tirarla e ricavarne dei rettangoli della dimensione di 16 cm x10 cm. La pasta va poi sbollentata e fatta raffreddare in acqua e ghiaccio, asciugandola bene. Il cannellone è pronto per essere farcito con un ripieno a base di cime di rapa, patata cotta a vapore e successivamente schiacciata. Le cime vanno tagliate molto fini a coltello e saltate a temperatura medio alta in una padella. Una volta freddi vanno amalgamati con l’aggiunta della buccia grattugiata di mezzo limone, olio e un pizzico di sale. Per la crema, bisogna sbollentare le foglie, poi raffreddarle e tritarle con l’aggiunta di poco olio. Quindi passare i cannelloni in forno, spolverandoli con della mandorla tostata e olio di oliva extravergine. Quindi infornare per 10 minuti a 170°C. Da servire sulla crema di aglio orsino e da guarnire con le fogliette delle cime di rapa, erbette e fiori a piacere.

E sulla pizza è un perfetto alleato per una proposta fuori dagli schemi

Anche il condimento per la pizza può avere la sua stagionalità. Al fianco dei condimenti classici, sono sempre più i locali che propongono ricette con ingredienti stagionali, giocando sugli impasti ma anche su cotture, forme e colori. Ecco che le erbe spontanee possono quindi essere alleate vincenti quando si vuole proporre qualcosa di diverso. Il formatore e tecnico del settore pizzeria Pietro Tallarini, professionista presso l’azienda Laura Catering, ha pensato ad abbinamenti particolari partendo da una base pizza preparata con farina multi cereale: una base rustica che ben si presta a sostenere l’aroma intensa dell’aglio orsino. Ad esempio, condita con mozzarella fior di latte in cottura e poi farcita con lo stracchino del monte Bronzone, il pesto di aglio orsino e fiori di pancetta arrotolata. Oppure una base di focaccia rustica farcita con ingredienti a crudo: una fettina di burrata fresca, il pesto di aglio orsino, l’acciuga del Mar Cantabrico e un pomodorino semi dry. Infine, Pietro ha pensato anche a una ricetta tutta primaverile e estiva, a base di asparagi, uova, mozzarella, crema di aglio orsino tutto messo in cottura e – per finire – una polvere di bacon croccante.

 




Bar e ristoranti: in zona bianca nessun limite di capienza ai tavoli

Il massimo delle 4 persone al chiuso rimane solo per la Valle d’Aosta, unica regione ancora in zona gialla

 

Tutta Italia in zona bianca, con eccezione della Valle d’Aosta collocata ancora in zona gialla. Con Ordinanza del 18 giugno 2021 il Ministero della Salute ha infatti disposto il passaggio dal 21 giugno in zona bianca anche di Basilicata, Bolzano, Calabria, Campania, Marche, Sicilia e Toscana. Inoltre, come precisa la Fipe, a partire dal 22 giugno per la zona bianca viene meno il limite massimo di capienza di 6 persone per tavolo, negli spazi al chiuso, in precedenza previsto con Ordinanza del Ministero della salute del 4 giugno (si ricorda che la limitazione già non riguardava i tavoli all’aperto – cfr. cartello Fipe). In zona gialla, invece, permane la limitazione delle 4 persone per tavolo, salvo che siano tutte conviventi.

Abolito il coprifuoco anche nelle zone gialle

Infine, da ieri anche per i territori collocati in zona gialla (dunque, allo stato, solo la Valle d’Aosta) viene meno ogni limitazione oraria agli spostamenti e quindi anche all’esercizio delle attività di ristorazione. Per le misure di prevenzione applicabili al settore dei pubblici esercizi si consiglia di consultare le check list Fipe (ristorazione, cerimonie, stabilimenti balneari e giochi), elaborate sulla base delle linee guida della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome approvate con Ordinanza del Ministero della Salute dello scorso 29 maggio.




Il panificio Tilde sulla guida del Gambero Rosso. In Bergamasca è l’unico a ottenere i “3 pani”

Il forno artigiano di Castel Cerreto, Treviglio, ha ricevuto il massimo riconoscimento. Merito di un pane di filiera, lunghe fermentazioni naturali e alte idratazioni

Il forno artigiano Tilde di Castel Cerreto, frazione di Treviglio, si conferma tra i migliori in Italia. Il panificio è stato inserito nella guida “Pane & panettieri d’Italia” 2022 del Gambero Rosso, “Bibbia” delle eccellenze gastronomiche, che seleziona e recensisce i migliori locali dove comprare il “vero” pane, di filiera, preparato con passione, riconoscendo il lavoro che c’è dietro.

Otto i premiati in Lombardia. Uno solo in Bergamasca

Sono otto i panifici i premiati in Lombardia, 50 in Italia. Tilde è l’unico ad aver ricevuto, nella Bergamasca, il massimo riconoscimento, ovvero i “3 pani”. Il panificio, con annessa bottega per la vendita diretta, è gestito da Simone Conti con la moglie Marisol Malatesta, pittrice peruviana.
Tilde è il simbolo dell’infinito, impresso nel loro pane, usato in spagnolo e, fin dal Medioevo, dagli amanuensi per abbreviare risparmiando carta e inchiostro. La tradizione è di famiglia: il nonno paterno era agricoltore e aveva un banco al mercato di Treviglio. Il padre, Pino Conti, conosciuto per aver gestito la sua storica gastronomia a Treviglio, li ha ispirati e guidati.

Lunghe fermentazioni naturali e alte idratazioni

Simone e Marisol lavorano un pane certificato biologico, in grandi pezzature, risultato di lunghe fermentazioni naturali e alte idratazioni. Nel loro pane si trovano una serie di vecchie varietà recuperate come la Mentana, profumata e morbida, la Solibam, il farro Forenza, la farina Perciasacchi.
La lavorazione avviene sempre con pasta madre viva, ovvero farina e acqua fermentata per molte ore in modo da rendere il prodotto il più duraturo e digeribile possibile. Il processo di lavorazione di 24 ore permette di valorizzare il sapore e le caratteristiche di questi grani.

Simone ha due lauree, una in Lingue, l’altra in Editoria, oltre a un master in Gastronomia e Turismo Culturale all’Università di Scienze Gastronomiche e può vantare tanta esperienza tra Bristol e Londra, dove si è innamorato della panificazione. Oltremanica ha preso spunto da ciò che accadeva a Hackney, il quartiere londinese dove viveva con Marisol, dalla riscoperta delle botteghe e del cibo a chilometro zero. A Bristol, al Bordeaux Quay, ristorante all’avanguardia dal punto di vista della sostenibilità, ne ha appreso l’importanza, mentre all’E5 Bake House di Londra l’arte della panificazione, impastando ogni giorno a mano.

La guida “Pane & panettieri d’Italia” è nata tre anni fa e, per il terzo anno di seguito, Tilde ha ottenuto il riconoscimento.