Bollicine, dopo 7 anni i consumi tornano a crescere

Dicembre e le feste sono un barometro dei consumi nazionali. “Per le bollicine italiane – dice Giampietro Comolli fondatore di Ovse e di Ceves nel 1991 – dopo 7 anni di decrescita, stimiamo, nei canonici 25 giorni di festa, una ripresa molto significativa, segno di un ritorno d’innamoramento verso le bollicine. Purtroppo non è così per tutto l’alimentare. La strada del recupero è lunga per tutti”. Al botto della festa non si rinuncia e ciò fa registrare una crescita prevista del 3,9%, passando da 54 a 56,1 milioni di bottiglie vendute. Di queste, circa il 30% è consumato fuori casa, non ancora in grado di attaccare il mitico record del 48% degli anni boom. Valori quasi stabili all’origine (+0,4%), valori in crescita al consumo. Il giro d’affari dovrebbe attestarsi per queste feste a 445 milioni di euro, in crescita del 2,2% rispetto al 2014.

Giampietro Comolli
Giampietro Comolli

Meno tappi per i metodi tradizioni leader, da Trento a Franciacorta: i topbrand  Ferrari, Berlucchi, Bellavista insieme superano i 5 milioni di bottiglie stappate. Regressione o conferma dati ultimi anni per Asti, Brachetto d’Acqui, Oltrepò Pavese. “Non hanno una motivazione prioritaria di scelta” questa la causa dei cali per certe bollicine. In horeca i segnali sono ancora molto stazionari, niente grandi numeri: segni positivi solo per le etichette leader e per il Prosecco doc. Anche per le feste 2015-2016 il fenomeno Prosecco spumante veneto si conferma il più richiesto. Valdobbiadene docg e Prosecco doc, particolarmente richiesti in cenoni e catering, segnano al consumo un prezzo, fra 3,60 e 6,90 euro/bott, confermati o in calo i prezzi di altre denominazioni. A ruba, il primo giro di offerte nella Gdo per Trento e Franciacorta, fra 5,70 e 8,75 euro/bott. Il Cartizze tiene il prezzo fra 9,50 e 14 euro, dimostrandosi il metodo italiano più caro in assoluto. Buoni segnali di crescita vengono anche dai piccoli brand locali, regionali, come Gavi e Lambrusco. Segnano ancora un calo il Cava spagnolo e altri di importazione, mentre lo Champagne cresce ma solo per i grandi brand e riserve; calo invece delle etichette francesi di primo prezzo e mass market.

Dall’estero segnali molto positivi, anzi è un record dei record: in tutto il mondo saranno stappate (solo durante le feste e in 84 paesi) 165.000.000 di bottiglie (+24% sui consumi delle feste 2014). “Azzardando, ma basandoci su 25 anni di esperienza – annota Comolli – questo volume può rappresentare il 47% del totale esportato nell’anno 2015 che rappresenterà anche un nuovo record. Già nel 2013 e poi nel 2014 l’Italia è diventato il primo paese al mondo per esportazione di vini spumanti e bollicine (escluso i frizzanti) e già durante le festività 2014 le bollicine effervescenti made in Italy erano le più stappate al mondo. “Ma attenzione a non sparare dati falsi o presunti per solo effetto mediatico” perché si droga il mercato.  Nel 2015 il superamento dei numeri di Champagne, Cava ed altri da parte del fenomeno Valdobbiadene docg e Prosecco doc è ancora più evidente all’estero. Piace a tutti: tecnologia e qualità, alta beva e ampia scala abbinamenti, oltre a morbidezza e prezzo giusto, sono i punti di forza del Prosecco (docg-doc) per un consumatore sempre più attento e sempre più votato a scelte autonome e non guidate. Saranno gli Inglesi ancora una volta a superare gli Americani per il numero di calici bevuti durante queste feste di fine anno. I Tedeschi riagguantano la terza posizione a danni dei Russi, in fase molto critica e un po’ meno propensi a bere internazionale.




Un brindisi natalizio? Con le birre bergamasche

birre coi fiocchiLe bollicine delle feste non sono solo quelle di spumanti e champagne. Sono anche quelle delle birre artigianali bergamasche. Al palafeste di Grumello del Monte il Birrificio Kaos, padrone di casa, e il Via Priula di San Pellegrino, con il patrocinio del Comune, organizzano da venerdì 18 a domenica 20 dicembre la seconda edizione di “Birre coi fiocchi”, evento natalizio che vede la presenza anche di altri due produttori orobici, il Birrificio Hop Skin di Curno e il Valcavallina di Endine Gaiano.

Dalle 18 alle 24 e la domenica dalle 11 alle 24 ci sarà la possibilità di assaggiare le varie tipologie alla spina e di abbinarle ai piatti della cucina regionale a base di birra, la cosiddetta zytho gastronomia, curati da Chicco Coria, chef e patron dell’One Restaurant di Dalmine. Sabato dalle 18 si terranno anche corsi di degustazione (su prenotazione), mentre per tutta la manifestazione saranno allestite bancarelle artigianali. Tutte le sere sono in programma concerti, mentre la domenica pomeriggio ci sarà l’esposizione e la possibilità di provare chitarre elettriche, mentre i più piccoli potranno divertirsi dalle 15 alle 18 con il truccabimbi e scattarsi un fotografia in compagnia niente di meno che di Babbo Natale.




Raviolificio Poker: “Chi ha il gusto della tradizione sa di che pasta siamo fatti”

pappardelle - CopiaSapori della  terra bergamasca e non solo, ricette tradizionali e innovative, questa in sintesi è la migliore descrizione dell’attività del Raviolificio Poker, che dal 1958 ad oggi ha allargato il proprio mercato salvaguardando la  forte impronta artigianale che lo caratterizza fin dalla nascita.

Dal 2008 l’azienda ha raddoppiato la superficie destinata alla propria attività, inaugurando un nuovo sito produttivo, situato ad Albano Sant’Alessandro.

La soddisfazione del consumatore finale sta alla base di tutte le scelte aziendali e rappresenta il vero metro di giudizio sul quale si incentiva e migliora la produzione. Questa filosofia si traduce da un lato nell’utilizzo di materie prime di alta qualità, principalmente fresche e non pre-trattate, nell’assenza totale di conservanti aggiunti, di addensanti nei ripieni e di esaltatori di sapidità, dall’altro nella costante innovazione tecnologica che consente di mantenere pressoché inalterate le caratteristiche organolettiche e nutritive del prodotto fino alla sua scadenza.

Una precisa scelta è anche quella della sostenibilità ambientale, testimoniata dall’installazione di un impianto fotovoltaico e di un generatore di azoto – il gas impiegato per il confezionamento in atmosfera protettiva – in sostituzione delle bombole.carciofi 2

Sono oltre 40 le specialità del Raviolificio Poker, dai classici della tradizione agli abbinamenti più creativi. La gamma dei prodotti segue due filoni: le ricette che attingono alla cucina tradizionale del territorio (su tutti due “campioni” come Casonsèi de la Bergamasca e Scarpinòcc de Par, quelli codificati dal marchio della Camera di Commercio “Bergamo Città dei Mille… Sapori”) e le novità, frutto di una costante ricerca gastronomica e della collaborazione con chef d’esperienza.

Le proposte sono varie e stuzzicanti: Tortelli alla formaggella di monte o al celebre formaggio Rosa Camuna , Saccottino alle noci con pasta di farina di castagne,  il Pizzoccherello (pasta con grano saraceno e nel ripieno gli ingredienti classici del condimento dei Pizzoccheri valtellinesi), senza dimenticare sapori mediterranei come il Raviol Pizza (con mozzarella, pomodoro e origano), i Ravioli agli scampi e vongole e il Fior di Pantelleria (con menta e ricotta), o ancora la riscoperta delle erbe nei Ravioli con ricotta, ortica e timo.  caramelle speck trevisana sfuso

L’azienda durante gli anni è cresciuta  sul versante commerciale, ampliando canali distributivi e orizzonti. Accanto a ristoranti, grossisti, catering, gastronomie e negozi specializzati, c’è anche la GdO e al bacino consolidato della Lombardia si affianca la vendita dei prodotti Poker sul mercato estero in Francia, Lussemburgo, Portogallo e Repubblica Ceca.

 

Pastificio – Raviolificio Poker

via Spallanzani, 28

Albano Sant’Alessandro

035 581454

info@raviolificiopoker.it

www.raviolificiopoker.it




Erbe officinali, a Solto Collina crescono anche quelle degli Inca e degli Indiani d’America

Asino del lago - Stefani SavardiLavanda, fiordaliso, erba Luigia, echinacea, camomilla e ancora achillea millefoglie, aneto, anice verde, arnica, calendula, coriandolo, cumino dei prati, dragoncello, farinello aromatico, fieno greco, ginepro, malva, melissa, menta, rosa canina, rosmarino, salvia, tarassaco, timo, verga d’oro. L’elenco può proseguire fino a coprire mezza pagina. Il nome non inganni. L’azienda agricola “L’Asino del Lago” di Esmate, frazione di Solto Collina, produce creme cosmetiche a base di latte d’asino e propone passeggiate nei boschi a dorso di somarello che fanno la gioia dei più piccoli, ma è anche una delle pochissime realtà della Bergamasca specializzate nella coltivazione di erbe officinali e aromatiche. Stefania Savardi, la titolare, ha da poco rilevato i campi dal suocero, Giorgio Lottici che, insieme all’attività, le ha trasmesso la passione. «Ho iniziato a Iseo nel 2009 con gli asini – racconta -. Sono agronoma e in quel periodo facevo assistenza tecnica e consulenza agli agricoltori. Un giorno ho deciso di unire la mia passione al lavoro e ho ritirato dei terreni in modo da considerare anche l’aspetto produttivo».

Oggi l’azienda conta 2.000 metri quadrati coltivati a ortaggi e peperoncini a Iseo e circa 2.500 metri quadrati fioriti di erbe aromatiche e officinali, a Solto Collina, in un’area circondata da boschi tra Esmate (600 metri in quota) e il monte Guglielmo (1.400 metri di altitudine).

Le erbe, una sessantina di varietà, vengono raccolte a mano, essiccate, trasformate in tisane e composti aromatici, quindi confezionate in sacchetti, bustine o barattoli. La coltivazione segue i criteri dell’agricoltura biologica. I terreni soleggiati di montagna e la scelta di aree piccole rendono del resto superfluo l’uso di prodotti chimici. La resa è bassa: su 10 kg di prodotto fresco si ricavano 7-8 grammi di prodotto essiccato, ma va bene così perché ciò che importa è la qualità.

«Ho avviato l’azienda proprio nel periodo di massima crisi ma anno dopo anno cresciamo – racconta Stefania -. Le erbe e in generale il comparto salutistico rappresentano una nicchia di mercato che tiene. Abbiamo sempre più clienti, sia privati che negozi di prodotti biologici in tutta la Bergamasca, nel bresciano e anche qualche intermediario su Milano. Quest’anno abbiamo avuto richieste di un importante birrificio che ha acquistato le nostre erbe per sperimentare delle birre aromatizzate».

monarda - erba officinale 2Ed è proprio sulla proposta delle erbe in cucina che l’azienda punta. «C’è molto interesse – spiega Stefania -. Le erbe insaporiscono e decorano i piatti, riducono l’impiego di sale e rendono i cibi più digeribili. È il caso del levistico montano, una sorta di sedano molto buono che è anche antiacido; dell’aglio orsino molto buono sulle patate lesse e nelle zuppe. Tra le erbe più particolari stanno incuriosendo quelle originarie del Brasile e dell’Argentina come la lippia argentina, conosciuta come tè degli Inca, molto profumata e buonissima nelle minestre, la verbena odorosa, digestiva-rilassante e la Monarda, un fiore rosso originario del Nord America che può essere usato nei risotti al posto dello zafferano e dà benefici nei casi di mal di testa e di cattiva circolazione. Come aromatiche piacciono molto le combinazioni di erbe e fiori per le grigliate, gli arrosti, i formaggi, le minestre. Tra le erbe officinali classiche, invece, vanno per la maggiore la malva, la camomilla, la calendula, l’echinacea».

Nella gestione dell’azienda Stefania non è sola: l’aiutano il marito Matteo Lottici, i genitori che si occupano dei campi a Iseo, e i suoceri Giorgio e Gabriella che l’affiancano con la loro lunga esperienza nella coltivazione di erbe e fiori a Solto Collina. In cantiere per il futuro ci sono progetti ambiziosi: «La burocrazia come avviene per tutte le piccole imprese ci rallenta ma vorremmo espandere le erbe officinali e proporle non solo per le tisane, avviare collaborazioni con birrifici e produrre confetture aromatizzate alle erbe e composte salate».

www.asinodellago.it




Beltramelli, l’allievo di Marchesi che ha conquistato Parigi

Vittorio Beltramelli - chefL’art de vivre italien si ritrova nel talento di uno cuoco originario di Averara, 41enne, da un lustro executive chef e socio del Nolita, al secondo piano dello show room Fiat, tra gli Champs Elysée e l’Arc de triomphe a Parigi.

Le specialità di Vittorio Beltramelli – è di lui che parliamo – sono state apprezzate da star come Beyoncé e il marito Jay-Z, dal sindaco della capitale francese Anne Hidalgo e dai calciatori Ezequiel Lavezzi e Zinedine Zidane, mentre Pharrell Williams si è complimentato con un tweet. La sua storia comincia in una trattoria di famiglia a Castelleone, nel Cremonese. Tra quei tavoli Vittorio si appassiona ai fornelli e decide di iscriversi all’Istituto Alberghiero di San Pellegrino. A 23 anni entra nella squadra di Alain Ducasse nel suo ristorante monegasco Le Louis XV. Dall’anno dopo si fa le ossa dedicandosi ai ristoranti di Gualtiero Marchesi a L’Albereta di Erbusco e nel 2001 a Parigi, dove a sette mesi dall’apertura conquista una stella Michelin, che gli viene confermata per tre anni. Nella capitale francese dà prova della propria bravura anche all’hotel Castille, all’Escoffier e al ristorante stellato Il cortile. Dal 2011 è consulente della gastronomia italiana per Jean-Pierre Coffe nella trasmissione Viviment dimanche.

Beltramelli, tra Italia e Francia stile e gusti sono ancora differenti?

«Anni indietro sì, oggi un po’ meno. Gli italiani riescono a esportare meglio i loro prodotti e nelle carte dei ristoranti francesi è facile trovare ravioli e risotti di tradizione transalpina. È la conseguenza della globalizzazione culinaria che ha ridotto le diversità».

La cucina francese è considerata la più raffinata al mondo. Come spiega questo primato?

«I nostri cugini sono bravi a valorizzarsi. I grandi chef sono delle celebrità, Fernand Point è stato il più rivoluzionario, Paul Bocuse alla soglia dei novant’anni è ancora un’istituzione vivente. Noi non siamo capaci di rendere merito ai nostri maestri. Per nove anni ho lavorato per Marchesi, lo ritengo un mito, mentre in Italia sembra poco più di un cuoco qualsiasi. Un francese porta grande rispetto verso la figura dello chef, da noi sta avendo successo solo negli ultimi tempi grazie alla vetrina televisiva, in modo però sbagliato».

Si riferisce ai programmi come Masterchef?

«Sui giovani i cooking show hanno effetti negativi. Trovo giusto far conoscere la professione, ma non deve passare il messaggio che è un mestiere da prendere alla leggera, perché comporta sacrifici, richiede un impegno 24 ore su 24, non è un gioco. Non basta assemblare quattro ingredienti, dietro un piatto ci sono ore e ore di preparazione».

In Francia è arrivato nel 2001, a 27 anni. Ha faticato a inserirsi?

«All’inizio mi sono scontrato con la diffidenza. Proponevo  una cucina a tema, ma volevo entrare a fondo nelle radici. Capitava che i clienti rispondessero: questo non lo conosco, quello non può essere italiano. E finivano per richiedere la stessa decina di pietanze arcinote: cotoletta, scaloppine, gnocchi, spaghetti al pomodoro. Erano fermi. Ci sono voluti tempo e pazienza.  Le conoscenze a Parigi si sono ampliate, anche perché gli spostamenti oggi sono più facili, si assaggia un piatto in vacanza e lo si ritrova da me».

nolita- chef Beltramelli - ParigiQuali sono i clienti più preparati ed esigenti?

«Rimaniamo noi italiani. Possediamo una varietà importante. Dalla Lombardia alla Sicilia passando per il Lazio si incontrano sapori diversi, siamo abituati a mangiare bene anche a casa nostra e a recarci meno al ristorante. I francesi sono più puntigliosi e astuti».

Nel senso che il Camembert viene lanciato come un’eccellenza più del Parmigiano quando non è superiore?

«Tra i due formaggi non c’è paragone, però noi pecchiamo di faciloneria. Lo mettiamo in commercio a 12 mesi pur sapendo che la stagionatura perfetta è a 36. A farne le spese è il prodotto. I francesi, al contrario, rispettano regole e tempi. Anche gli spagnoli ci sorpassano in prestigio internazionale. Noi avremo pure il San Daniele, ma loro sono riusciti a inserire il Pata Negra nei testi della gastronomia mondiale».

Restando in tema di rivalità, che è forte soprattutto in materia di vini e formaggi, chi vince?

«Non perché sono italiano, ma sicuramente noi per la più vasta offerta regionale. L’importante è che non si faccia un melange, il vino del Salento va gustato nel Leccese, così come l’olio. Gli spaghetti con le vongole a Venezia non sono come a Bari, tanto meno a Milano. In una preparazione si ritrova il clima, l’aria di quella terra. Non capisco come si possano acquistare le ciliegie che provengono dal Cile a prezzi folli a dicembre. Non è più ragionevole comprarle a giugno quando sono più buone?».

A proposito di materie prime, come si rifornisce?

«Importo pasta da Fratelli Setaro di Torre Annunziata, le mozzarelle mi arrivano ogni settimana da un piccolo produttore di Napoli. Il riso è di Tenuta Castello nel Vercellese, il tartufo di Urbani, i formaggi di Guffanti, gli affettati di Rulliano. Ho provato anche a far arrivare le verdure, ma i costi sono troppo elevati. Faccio fatica a far capire al cliente che quella cima di rapa costa di più perché ha percorso mille chilometri».

La Francia è il secondo mercato mondiale per McDonald’s, come se lo spiega?

«Non esiste un’alternativa che faccia concorrenza. Nelle brasserie paghi tre o quattro volte di più rispetto al fast food. Da noi, invece, puoi scegliere di gustarti un buon panino o una pizza senza spendere molto più di un Mc menù».

I francesi a tavola cosa ordinano?

«L’antipasto o entrée e un piatto forte, che sia il primo o il secondo non importa. Noi siamo gli unici al mondo ad avere più portate».

Nolita2- chef Beltramelli - PargiNolita4 - chef Beltramelli ParigiQuali sono le specialità più richieste al Nolita?

«Mi piace rivedere la tradizione secondo le regole dell’alta cucina, come la amatriciana che però preparo con una pancetta fatta da noi, delicate cipolline mignon, cotte a bassa temperatura con burro chiarificato. Oppure il maialino cotto per 17 ore, a 67 gradi, al vapore e caramellato al momento con miele alle spezie come pepe rosa e anice stellato, l’insalata di polipetti fritti guarniti da salsa Caesar e il risotto con purea di pomodoro e salsa allo zafferano e arancio, con spolverata alle olive nere».

Nella sua collezione di libri c’è “La mia nuova grande cucina italiana” di Marchesi, tradotta anche in giapponese. Cosa le ha insegnato il grande maestro?

«A essere diretti, il cliente deve capire attraverso tecniche di alto livello cosa vuoi proporgli. Più il sapore è buono e più se lo ricorderà».

L’Assemblea francese ha stabilito il reato di spreco alimentare, i supermercati sopra i 400 metri quadrati devono donare le eccedenze in beneficenza. Una legge utile contro l’indigenza?

«Eccome, la Francia è il paese più socialista d’Europa, non dimentica di aiutare i meno fortunati. Anche l’istruzione è molto più accessibile, rispetto a noi, per i meno abbienti. Nel mio caso, ciò che rimane del brunch domenicale a buffet è ritirato da un’associazione benefica».

I suoi piatti sono composizioni artistiche che stupiscono. Da uno a 10, quanto conta l’aspetto?

«Il piatto deve meritarsi un 10 per bontà e un 10 per l’estetica. Suggerisco ai miei chef che devono saper tirar fuori la parte femminile che è in loro, non servono mille guarnizioni o ingredienti. Come diceva Chanel, la chiave di volta dell’eleganza è la semplicità. Vale nella moda come nella gastronomia».

Dichiara di non voler nutrire solo stomaci affamati, ma cervelli alla ricerca di nuove sensazioni e di avere come motto, cibo per la mente. Cosa significa?

«È riduttivo affermare che faccio da mangiare. Se fosse solo così,  avrei già appeso il grembiule al chiodo. Passare quindici ore in cucina non può essere solo un lavoro. È molto di più».

Cosa consiglierebbe ai giovani aspiranti cuochi?

«Fornirsi di caparbietà e un pizzico di fortuna. Voilà, tout ici.




Gourmets Degustateurs, la cena degli auguri al “One Restaurant”

Da sinistra: Chicco Coria, Stella Silipo, Anna Belotti ed Ernesto Tucci, presidente del Club dei Buongustai di Bergamo
Da sinistra, Chicco Coria, Stella Silipo, Anna Belotti ed Ernesto Tucci, presidente del Club dei Buongustai di Bergamo

Nel ricordo di Pino Capozzi, la delegazione bergamasca dei Gourmets Degustateurs – fondata anni orsono dal compianto albergatore/ristoratore di Città Alta – s’è ritrovata nei giorni scorsi per gli auguri natalizi. Un’occasione propiziata dalla moglie Stella Silipo, che prosegue l’attività associativa sulle orme di Pino supportata dalla sommelier Anna Belotti. Punto di ritrovo: il “One Restaurant” di Dalmine, guidato dallo chef Chicco Coria.

Una riunione conviviale durante la quale sono stati ricordati altri due esponenti del mondo enogastronomico bergamasco scomparsi di recente: Roberto Gambirasio, del ristorante “Cadei” di Villongo (l’attività prosegue grazie alla moglie Tarcisia), e Stefano Cardaci, noto per la sua abilità nel proporre piatti “alla lampada”. Nel corso della serata, Coria ha servito il Cilindro di capasanta con scampi, gamberi, verza e tartufo nero, il Risotto mantecato con formaggi d’alpeggio e fondente di cipolla al pepe nero e Lombo di cervo con castagne, riduzione al Valcalepio, rosmarino su purea di patate. Abbinati i vini delle case Vallerenza, Vignalta e Leone de Castris.




“Qualità dell’offerta enogastronomica”, il TCI premia Al Carroponte

Al carroponteTCIA poco più di un anno dall’apertura, Al Carroponte, l’enoteca-bistrot di via De Amicis a Bergamo, incassa un nuovo riconoscimento dal mondo della critica gastronomica. Alla lista, infatti, si aggiunge anche il “Premio Buona Cucina” del Touring Club Italiano, consegnato a Milano il 30 novembre scorso al patron Oscar Mazzoleni in occasione della presentazione della guida “Alberghi e Ristoranti d’Italia 2016”. Il premio, che vanta ormai una lunga tradizione, viene attribuito dal TCI ad esercizi selezionati, che si distinguono per la qualità dell’offerta enogastronomica e per il tono accogliente e curato del locale.  Luigi Cremona, autore della Guida Ristoranti d’Italia ed opinion leader nel settore, ha così inteso “confermare ed evidenziare la grande attenzione di Al Carroponte per la qualità dell’offerta, in ambito sia culinario sia enologico, oltre alla passione per i dettagli”.




World Cheese Awards, quattro medaglie per i formaggi bergamaschi

world cheese award 2015Due argenti e due bronzi è il bottino conquistato dai formaggi bergamaschi ai World Cheese Awards 2015, competizione casearia tra le più importanti al mondo, che ha visto in lizza – dal 26 al 29 novembre scorsi a Birmingham – 2.727 formaggi provenienti da 26 paesi, degustati e valutati da una commissione di 250 esperti da 22 nazioni.

Gli argenti sono andati entrambi al caseificio Arrigoni Battista di Pagazzano, premiato per il Gorgonzola Dolce Dop e il Taleggio Dop. La medaglia di bronzo se la sono aggiudicata invece il Taleggio Dop “Vero Arrigoni Sergio” dell’azienda di Olda di Taleggio e il Quadrello di bufala, formaggio morbido a crosta lavata del caseificio Quattro Portoni di Cologno al Serio.

Nella kermesse l’Italia ha ottenuto complessivamente 9 medaglie d’oro, 29 argenti e 27 bronzi, ma non è riuscita a piazzare nessun esemplare nei top 16, tra i quali è stato eletto il campione mondiale, Le Gruyère AOP Premier Cru, Cremo SA brand della svizzera von Muhlenen, che ha ottenuto 69 degli 80 punti massimi, uno in più dei due formaggi arrivati secondi, Tomme Brebis-Chèvre, della francese Onetik e la Burrata di La Credenza, importatore di formaggi italiani con sede a Londra.

L’Italia ha però ottenuto quattro posti tra i primi 62 formaggi, i cosiddetti Super Gold, con due Parmigiani del reggiano  Consorzio Conva, il pecorino stagionato Moliternum Giganteum della sarda Central e il San Pietro in Cera d’Api della Latteria Perenzin, nel trevigiano.

L’anno prossimo il campionato si svolgerà a San Sebastian, in Spagna




Al Carroponte si stappano le bollicine di Monzio Compagnoni

Al carroponteMercoledì 9 dicembre, alle 20.30, l’enoteca-bistrò “Al Carroponte” di via De Amicis, a Bergamo, propone una serata dedicata ai Franciacorta dell’azienda Monzio Compagnoni. Le bollicine accompagneranno un menù incentrato sui prodotti di mare, con abbinamenti studiati dallo chef Alan Foglieni e dal patron e sommelier Oscar Mazzoleni.

Si parte con il “Mini Prawn’s roll”, ovvero gamberi con maionese al lime, sedano ed erba cipollina nel pane al burro abbinati al Franciacorta Brut 2010, e si prosegue col Carpaccio di storione bianco affumicato Calvisius, barbabietola e arancia servito con il Saten 2010 e col Riso alle vongole mantecato al mascarpone annaffiato dall’ Extra brut 2008. Si arriva così alla Spalla di maialino in lunga cottura, funghi shitaki e patata Hasselback esaltata dalla Riserva blanc de noirs nature 2007 e al Cioccolato e mandarino abbinato al Moscato di Scanzo Don Quijote 2008. Il costo a persona è di 60 euro. Info e prenotazioni: 035 2652180, info@alcarroponte.it




Pampero, quella la brezza marina che spira sul lago di Endine

Pampero - Tiziano e Celestino Ferrari
Tiziano e Celestino Ferrari

Forse è solo una sensazione personale ma il nome Pampero, associato ad un ristorante, evoca l’immagine di un locale nel quale sia la carne, magari un asado argentino, e non certo il pesce di mare a farla da padrone. Nel caso del Pampero di Ranzanico al Lago, in via Nazionale 229, la chiave corretta di lettura viene offerta dal dorso di un’elegante brochure edita nel 2007 in occasione del trentesimo anniversario di attività: Pampero è il vento rinfrescante delle pampas sudamericane che addolcisce i picchi torridi estivi, è una brezza di rinnovamento.

E il senso di freschezza, ma anche di particolare cura, è quello che accoglie non appena si entra nel parcheggio incontrando un graziosissimo laghetto artificiale con ninfee e germani reali che sembra voler lanciare una sua sfida personale al lago di Endine appena al di là della strada.

Quasi quarant’anni portati egregiamente è il minimo che si può dire del Pampero, spazioso per i suoi circa cinquanta coperti e arredato con sobria eleganza, mentre per l’estate c’è anche la terrazza con vista sul lago. Un locale di livello, come conferma anche la segnalazione nella guida Michelin.

I fratelli Tiziano e Celestino Ferrari avevano rispettivamente 21 e 23 anni quando sono partiti da Fino del Monte e hanno iniziato questa avventura nel 1977, giovani ma con le idee molto chiare. «Il locale era un bar quando lo abbiamo rilevato – racconta Tiziano che è lo chef – poi siamo cresciuti piano piano sino a raggiungere la struttura attuale e a consolidare la nostra presenza come punto di riferimento per la cucina di mare. Abbiamo puntato sin dall’inizio sul pesce».

pampero piatti (1)Pesce di mare in riva ad un lago, forse un controsenso? «Nel cuore e nella testa ho il mare perciò il pesce è indiscutibile protagonista della mia cucina – dice senza esitazione -. L’ho scelto perché credo in una cucina fatta al momento, con tempi di cottura ridotti, ripulita dal superfluo e con il meno possibile di grassi. Una cucina naturale che valorizzi la qualità della materia prima».

“Poco ma pensato” è il motto che sembra suggerire il menù del Pampero, che in una pagina condensa le proposte della cucina, riservando comunque per ogni portata almeno due voci ai prodotti della terra, con piatti che, tra l’altro, suonano più che stimolanti, come i tortelli ricotta e paruch di montagna o il rognoncino di vitello con crostini di polenta e senape. Sei antipasti, cinque primi e cinque secondi costituiscono invece l’orizzonte nel quale spaziare alla ricerca del piatto di pesce più gradito, magari lasciandosi consigliare da Celestino Ferrari.

Pampero salaFin dalla descrizione emerge la costante ricerca e la cifra di una cucina in evoluzione. Un buon modo per apprezzarla può essere il menù degustazione di pesce, proposto a 63 euro a persona, dolce, caffè e vino compresi. Tartar di ricciola, filetto di tonno rosso con agretto di lampone e salmone marinato agli agrumi, trilogia di mare in cotture diverse quali antipasti. Risotto al basilico, granciporro e zucchine croccanti come primo seguito da boccon di pescatrice su battuta di funghi porcini e vaniglia, per dessert pesche caramellate all’amaretto. Il Pampero aderisce anche all’iniziativa trentacinqueuro.it con un interessante menù guidato al prezzo, come vuole il circuito, di 35 euro per un minimo di due persone. E non mancano serate speciali e a tema.

«Mi aggiorno continuamente confrontandomi anche con i colleghi – conclude Tiziano Ferrari – e definisco la mia cucina classica con innovazione ma soprattutto grande attenzione alla qualità degli ingredienti. Del lago? Apprezzo in modo forse non del tutto consueto quello che mi offre: la selvaggina e i funghi quando ci sono. Cucino per passione, per trasmettere emozioni».

Nel 1999 i fratelli Ferrari hanno coronato un altro dei loro sogni tornando a Fino del Monte, all’Hotel Ristorante Garden dove opera personale di piena fiducia sotto la loro diretta supervisione.
Ristorante Pampero

In cantina oltre 800 etichette. A sorpresa dominano i grandi rossi

pampero cantinaCon le sue oltre ottocento etichette, la carta dei vini del Pampero si propone come una delle più corpose ed interessanti offerte dal panorama della ristorazione provinciale. Cantina a temperatura e umidità controllate, selezione che spazia tra i rossi, i bianchi, le bollicine e i distillati nazionali e stranieri per offrire un’ampia e qualificata scelta a clienti del ristorante, ma anche a quanti sono alla ricerca di qualche prodotto d’eccellenza da degustare magari a casa in compagnia di amici. Anche un servizio di enoteca, quindi, dietro al quale è evidente come l’attenzione vada oltre gli interessi commerciali rivelando un’autentica passione. amore

«Abbiamo curato la cantina sin dall’inizio della nostra attività ed è un settore al quale, personalmente, tengo molto – racconta Celestino Ferrari che nella conduzione del ristorante si occupa della sala –. Per le nostre esigenze forse sarebbe bastato anche meno, visto che la nostra è una cucina a base di pesce ed una buona selezione di vini bianchi sarebbe anche potuta bastare. Ma, come si suol dire, al cuor non si comanda ed è così che siamo arrivati a numeri e a nomi decisamente importanti».

La passione per il vino Celestino l’ha coltivata anche attraverso costanti aggiornamenti dopo aver frequentato i tre corsi annuali organizzati dall’Ais, l’Associazione Italiana Sommeliers. «La presenza delle etichette di tutti i grandi vini rossi italiani e francesi è frutto soprattutto dei miei interessi – confessa -. Per molti dei grandi bianchi e dei grandi rossi possiamo proporre una selezione che spazia a ritroso nel tempo per le dieci annate indicate come migliori. È notevole nella nostra cantina anche la presenza della bollicine con diverse marche di champagne ed i produttori nazionali più importanti. Sì, con un certo orgoglio posso affermare tranquillamente che i grandi classici soprattutto piemontesi e toscani ci sono tutti con qualche presenza anche di eccellenze della altre regioni».

E per la serie che al Pampero non ci lascia mancare nulla un bello spazio lo hanno anche i distillati. «Sono per il piacere del dopo tavola – suggella Celestino –. Abbiamo gli whisky più pregiati di diversa provenienza e poi rum, cognac e Bas Armagnac. Ma non ci facciamo prendere da manie esterofile: abbiamo infatti una buona serie di grappe italiane».

via Nazionale, 229
Ranzanico al Lago
tel. 035 811304
www.ristorantepampero.com
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