Serina, il negozio di alimentari apre una sala di lettura

Non mancano certo le idee e la voglia di realizzarle al giovane Daniele Cavagna e alla sua famiglia che in Val Serina hanno dato vita ad una virtuosa integrazione tra prodotti e servizi per conquistarsi spazi e clienti nel difficile contesto della montagna.

Nel “Mondo Paganì“, come è stata chiamata la rete delle attività familiari ispirandosi al soprannome di nonno Luigi, ci sono un’azienda agricola dedicata alla produzione di latte di asina, un bed and breakfast, entrambi a Oltre il Colle, il negozio di alimentari specializzato in prodotti tipici “Paganì Antichi Sapori”, a Serina, e pure le proposte della guida alpina Mattia Cavagna.

Offerte che finiscono anche in pacchetti soggiorno, i cosiddetti “Pagabox”, oppure sfilano nel negozio on line.

L’inpagan - sala lettura - gastronoteca (1)tento è trasmettere suggestioni ed emozioni oltre al semplice gusto di una vacanza, di un formaggio o di un vino e a fare da filo conduttore si ritrova, spesso e volentieri, il piacere della lettura, autentica passione in casa Cavagna, con Daniele che è anche scrittore di romanzi. E se già da qualche tempo il negozio (reale e on line) ha lanciato degli intriganti abbinamenti tra vini e libri, oggi amplia questa vocazione inaugurando una sala lettura, ossia uno spazio ad ingresso libero allestito a fianco del punto vendita (in via Dante Alighieri, 34) dove è possibile fermarsi a leggere, magari approfittando dello scambio libri già avviato, e decidere di assaggiare i prodotti selezionati dal negozio o scambiare qualche chiacchiera con altri appassionati buongustai.

Il nome è Gastronoteca, dall’incontro dei termini Gastronomia e Biblioteca, ed è un ambiente rustico e caldo caratterizzato dal legno e dagli attrezzi della vita contadina, dove non mancano però le comodità “moderne”, a cominciare dal wifi gratuito.

pagan - sala lettura - gastronoteca (3)«Abbiamo voluto creare questo spazio perché abbiamo notato che il nostro servizio di scambio libri è piaciuto molto, sia ai residenti che ai turisti – dichiarano i promotori -, così abbiamo pensato di valorizzare l’iniziativa aggiungendovi l’aspetto gastronomico. Pensiamo che la Gastronoteca sia il primo locale di questo genere, se non altro in zona, e siamo convinti che sia un arricchimento dal punto di vista dell’offerta di servizi per tutta l’area circostante».

pagan - sala lettura - gastronotecaLa Gastronoteca è anche il luogo dove avranno sede le future iniziative organizzate da Paganì, come corsi di degustazione, incontri tematici sul vino, sui formaggi e sui libri. «Ciò che ci piace – rilevano – è proprio questo intrecciarsi tra i prodotti tipici e la letteratura. In questo spazio, infatti, oltre agli eventi e agli assaggi, è sempre attivo lo scambio libri. Ognuno può consultare i numerosi libri presenti e farne ciò che vuole, quindi anche prenderli e portarli a casa, contribuendo a sua volta con altri libri che magari non usa più. L’idea è di creare un luogo dove la cultura e la gastronomia si incontrano, dove poter stare in tranquillità a leggere un buon libro e dove arricchire la propria sfera di conoscenza personale in ambito culturale e gastronomico».

L’inagurazione ufficiale avverrà lunedì 7 dicembre, dalle 16 alle 19.30, con ingresso libero. All’evento parteciperà anche l’azienda Agricola De Toma, storica produttrice di Moscato di Scanzo, che presenterà le proprie idee regalo per Natale, tra cui diverse novità.

 




Cuochi bergamaschi riuniti per la cena degli auguri

A conclusione di un anno intenso – tra incontri di formazione, approfondimenti, degustazioni, appuntamenti pubblici e solidali, concorsi e persino sfide sportive – l’Associazione Cuochi bergamaschi celebra uno dei suoi momenti più importanti e sentiti, il “Natale del Cuoco”, occasione per la grande famiglia delle berrette bianche per incontrarsi, scambiarsi gli auguri, ma anche guardare ai nuovi programmi.

La cena si tiene lunedì 23 novembre al ristorante Papillon di Torre Boldone (via Gaito, 36) a partire dalle 19.30.

menù Natale del Cuoco

Con la manifestazione si apre anche la campagna tesseramenti 2016. Grazie al contributo dello sponsor, i cuochi potranno partecipare alla cena e sottoscrivere l’iscrizione all’Associazione al costo promozionale di 50 euro. Per gli accompagnatori il costo è di 50 euro, di 25 euro quello per gli allievi.

Info: www.cuochibergamo.it  




Villongo, cena delle streghe nel ricordo di Roberto Gambirasio

Ben prima che prendesse piede e diventasse una festa molti anche in Italia, al ristorante Cadei di Villongo Halloween era già una serata speciale. Nata 22 anni fa da un’idea del patron Roberto Gambirasio, con piatti ispirati alla stagione buia e al suo mistero, viene portata avanti con affetto e dedizione dalla famiglia dopo la sua scomparsa, nel 2013.

Ristorante Cadei - serata delle Streghe 2015 - Tarcisia al lavoroAnche quest’anno, quindi, il 30 ottobre attorno alla tavola non sono mancate astrologhe e cartomanti che, alla fine della cena, con carte e tarocchi, hanno scrutato nel futuro degli intervenuti. In cucina, invece, la moglie Tarcisia ben coadiuvata dalle figlie Cristina e Claudia, seguendo le indicazioni di Roberto, si è impegnata a preparare nella continuità della tradizione un menù ad hoc. La serata aperta con l’aperitivo delle streghe è proseguita con riso nero con gamberi e zucchine, spiedino di carne con polenta scura ed una torta dedicata ad Halloween come dolce conclusione.

Al ristorante Cadei i piatti escono spesso dai ricordi delle ricette dei “nonni” che riportano i commensali ad assaggiare alcune tradizioni della cucina bergamasca. In primis le paste fresche come i “fuiade”,  i “teedei”, come anche dei gustosi casoncelli e la specialità dei “nosecc”, gli involtini di verze.

La serSerata streghe Cadeiata delle streghe, oltre ad essere motivo d’incontro di tutti gli amici che frequentano il locale, ha ricordato la passione di Roberto Gambirasio per la cucina e la convivialità e fatto respirare per qualche ora un’atmosfera magica.




Lo chef: «Insetti? In Cina ho assaggiato di tutto, ma non ho trovato spunti per la mia cucina»

Marino d'Antonio - executive chef Opera Bombana - PechinoSe in Italia sono proibiti, in tante altre aree del mondo gli insetti fanno tranquillamente parte dell’alimentazione e i nostri chef al lavoro da quelle parti hanno occasione di assaggiarli. Cosa ne pensano? L’abbiamo chiesto a Marino D’Antonio, executive bergamasco, di Cisano, dell’Opera Bombana, il locale aperto a Pechino dal tristellato.

«In Cina alcuni insetti sono mangiati regolarmente in regioni del sud, Hangzhou e Jiangsu, – ci racconta – anche scorpioni e cavallette, nello Yunnan, sono reperibili ma non sono molto comuni. Le formiche rosse giganti sono una vera prelibatezza per qualche cinese e servite solo in occasioni particolari. Sembra abbiano un potere afrodisiaco e sono molto costose: si fanno essiccare, si tolgono le zampe e si servono soffritte con verdure e salsa di soia. Le larve del bambù, invece, sono solitamente servite fritte, mentre il baco da seta, molto comune, viene cucinato saltato in pentola con olio e salsa di soia e spinaci o sedano oppure servito su uno spiedino e immerso in un brodo bollente con molte spezie e tanto peperoncino».

«Io ho assaggiato il baco da seta – svela – quello con il sedano e la salsa di soia. Era morbido, quasi gelatinoso dentro e croccante fuori, ma il sapore non è intenso, anzi è un po’ blando. Poi ho provato gli scorpioni, serviti sullo spiedino e grigliati. Anche in quel caso il sapore era coperto dal peperoncino e della griglia. Non si tratta comunque di un gusto forte o caratteristico, potrebbe ad un pesce o un pollo crudo scondito. Ho provato anche le formiche, ma non erano state pulite bene e qualche zampetta mi è rimasta in gola, una sensazione spiacevole. Il sapore era come di pollo fritto, mentre le cavallette fritte sono come le patatine».

Lo chef ha assaporato un campionario piuttosto vasto di insetti, ma non è stato colpito dal loro pregio gastronomico. «Onestamente al momento non mi danno grandi spunti per i miei piatti anche perché faccio cucina tradizionale italiana – evidenzia D’Antonio -. Sono comunque un alimento ricco di proteine e sali minerali e andrebbero forse rivalutati».




Insetti in tavola, «sono gli chef che possono fare la differenza»

Brodo di grilli dello chef sardo Roberto Flore

Il brodo di grilli dello chef sardo Roberto Flore

Fino a ieri trovare un insetto nel piatto era solo il segno del peggior livello di un locale, oggi può anche essere la proposta gastronomica più trendy e corretta in termini di sostenibilità alimentare. Basti pensare che nella cucina con cavallette e larve di scarabeo si cimenta niente meno che René Redzepi, del Noma di Copenaghen, giudicato a più riprese il miglior ristorante al mondo. Non si tratta solo di provocazioni o virtuosismi culinari, ma di una precisa linea di ricerca e sviluppo inquadrata a partire dagli anni Novanta dalla Fao, che nel consumo di insetti vede una delle risposte a quella che è stata anche la domanda dell’Expo: come sfamare un pianeta sempre più affollato che chiede cibo sicuro e nutriente e, nello specifico, dove trovare fonti di proteine a minore impatto ambientale, disponibili per tutti.

Osservata da un punto di vista è globale, l’entomofagia (è il termine con cui si indica il mangiare insetti), in realtà, non è poi questa gran stranezza, essendo pratica diffusa in Oriente, in Africa e in Sud America. Ed ora è molto più che un’ipotesi nei Paesi sviluppati. L’esposizione milanese è stata teatro del primo evento ufficiale in Italia in cui si sono mangiati insetti (nel padiglione del Belgio, Paese dove è stata autorizzata la commercializzazione di una decina di specie per uso alimentare umano, che si possono trovare anche al supermercato), convegni e pubblicazioni si sono moltiplicati e a pochi giorni dalla chiusura dell’evento è arrivato il sì del Parlamento europeo alla semplificazione delle procedure di autorizzazione del cosiddetto novel food, ossia tutto ciò che non è mai stato considerato cibo prima, comprese meduse, nuovi coloranti e cibi costruiti in laboratorio.

Marco Ceriani - ItalbugsPer saperne un po’ di più ci siamo rivolti a chi da tempo si dedica allo studio degli insetti per fini alimentari, Marco Ceriani, esperto in nutrizione e fondatore, sei anni fa, di Italbugs, che si occupa di ricerca e sviluppo di matrici alimentari sicure da insetti, per realizzare materie prime e nuovi alimenti. È insediata nel PTP Science Park di Lodi, primo parco tecnologico in Italia dedicato all’agroalimentare.

Cosa comporta la recente mossa dell’Europa sul novel food?

«Non che si possono produrre, vendere e consumare insetti. La normativa Europea non lo permette, anche se in alcuni paesi, come Belgio, Olanda e Francia, questo avviene già grazie a delle leggi nazionali, ma solo per il mercato interno. Ora il Parlamento ha dato un parere positivo sul novel food, significa che non ha ravvisato rischi o problematiche. È un passo che ormai ci si aspettava e che dà un’accelerata agli studi e alle ricerche».

Quanto passerà, quindi, prima di sgranocchiare cavallette?

«Bisognerà costruire delle leggi che dicano in che modo gli insetti potranno essere allevati e venduti. Si tratta in pratica di introdurre un nuovo elemento nella catena alimentare, prodotti che non sono mai stati commercializzati né consumati prima, dei quali occorre sapere cosa contengono e quali pericoli comportano, un percorso del tutto legittimo e normale, come per qualsiasi altra novità, fatto di analisi e verifiche. Nessuno ce l’ha con l’insetto…».

Dovrà però ammettere che non sembra una prospettiva golosa…

«Il gap europeo sul consumo di insetti è dato dal fattore disgusto, ma si può superare, come insegna la storia alimentare. Le patate ci hanno impiegato un po’ prima di essere apprezzate e la melanzana a passare da “insana” a regina del cucina mediterranea. Oggi però il processo è molto più rapido, basti pensare al successo del kebab e del sushi, molto distanti dalla nostra tradizione, e l’Expo ha ulteriormente accelerato il confronto e gli scambi».

Un piatto con insetti dello chef belga David Creëlle B
Un piatto con insetti dello chef belga David Creëlle

In che modo gli insetti possono essere resi meno disgustosi?

«Credo che un ruolo fondamentale possa recitarlo l’alta gastronomia. Che li propongano un locale del calibro del Noma o Carlo Cracco significa che hanno una valore gastronomico e sensoriale. Più in generale passa dagli chef la capacità di elaborarli in forma di brodi o estratti, di creare del cibo destrutturato come hamburger, polpettoni. Parlare di insetti commestibili non vuol dire mangiarli così come sono – è l’ipotesi più lontana nel nostro contesto -, ma utilizzarli per realizzare oli o farine perché no. Prima di tutto però c’è il grande capitolo dell’alimentazione degli animali nel quale gli insetti andrebbero a sanare alcuni problemi come l’estensione sproporzionata delle coltivazioni di soia per realizzare mangimi, o veri e propri controsensi come il fatto ai polli si danno sfarinati di pesce, mentre al pesce d’acquacoltura la soia, che mai in natura avrebbe occasione di mangiare».

Perché gli insetti sono il cibo del futuro?

«Perché la popolazione aumenta e sta cambiando dieta. Cina e India oggi vogliono nutrirsi di proteine ma non sarà possibile averle con l’allevamento tradizionale. Gli insetti hanno un ottimo indice di conversione nutrizionale, significa che con un meno di due chili di mangime vegetale si ottiene un chilo di proteine, per ottenere la stessa quantità nei bovini servono dieci chili di mangime. Questo accade perché non sprecano energia per mantenere la temperatura del corpo. E poi necessitano di poca acqua, di poco terreno, hanno deiezioni minime e producono pochi gas serra, insomma un impatto ambientale limitato a fronte di un importante apporto nutrizionale».

tabella insetti - proteineQuali nutrienti contengono?

«Soprattutto proteine, ma anche grassi polinsaturi, come gli Omega 3, alcuni sono pure ricchi di ferro e minerali. Sono inoltre poveri d’acqua, il che li rende un vero concentrato di elementi, con valori superiori rispetto a carne e pesce. I contenuti nutrizionali possono poi variare in base a come vengono alimentati e questo è uno dei temi allo studio ».

Ma sono sicuri?

«Quelli individuati come più interessanti per essere introdotti nella catena alimentare non contengono veleni per l’uomo. Anche la possibilità che trasmettano malattie infettive è remota, visto che hanno un dna molto diverso dal nostro. I rischi sono più che altro legati agli allergeni e alle contaminazioni ambientali, nello stessa esatta maniera per la quale una mela, riconosciuta come commestibile, può essere diventare pericolosa se piena di pesticidi. L’aspetto da mettere a punto è proprio questo, trovare le modalità migliori per una produzione sicura».

Con Italbugs su quali specie sta lavorando?

«Una nostra peculiarità è lo studio del baco da seta, di cui l’Italia era il secondo produttore al mondo. È interessante anche perché riprendere l’allevamento comporterebbe un recupero del territorio, visto che si nutre solo di gelsi, e della produzione della seta. Ci occupiamo anche di grilli, cavallette e di un insetto simile al baco da seta, il Mopane Worm, presente e consumato nel Sud dell’Africa. L’obiettivo è mettere in commercio degli estratti, ovviamente con una produzione realizzata all’estero».

Il legislatore italiano ha già posto attenzione all’allevamento e alla commercializzazione di insetti?

«Al momento no, neanche sul versante dell’alimentazione animale. Ma dovrà confrontarsi con questo tema perché il mercato si sta aprendo e le spinte sono sempre maggiori, tra Stati che li hanno già autorizzati e le posizioni dell’Europa. Occorrerà farlo per non essere tagliati fuori».

Insomma la strada è segnata…

«Con le dinamiche demografiche in atto, direi di sì. Non significa, si badi bene, che si dovranno mangiare per forza insetti, né che sostituiranno ogni altra fonte di proteine, sono però delle alternative, come del resto alghe, meduse e carne in provetta…».

Lei quali insetti ha avuto modo di assaggiare? Come sono?

«Ho mangiato grilli, cavallette, camole, il casu marzu cioè il formaggio trasformato da larve di mosca, mopane worm e pulce d’acqua, in Oriente sono proposti prevalentemente fritti, che è anche una modalità che offre maggiore igiene. Il paragone più calzante è quello con i crostacei, in generale si può dire che hanno un gusto che non disturba, niente di acido o strano. A tutti, del resto, è capitato di trovarsi in bocca un vermetto dopo aver addentato un’albicocca e, a parte la diversa consistenza, al palato non ha dato sensazioni sgradevoli. Il resto, come dicevo, lo possono fare gli chef. Recentemente ho mangiato una zuppa di zucca, panna e cavallette niente male».

 




Val Brembana, quante specialità regala lo zafferano!

Dietro a un piccolo fiore c’è una grande ambizione: il rilancio della montagna e della collaborazione tra chi la vive. Accade con il progetto Zafferano Oltre la Goggia, parte di una più ampia azione, stimolata dal Vicariato di Alta Valle Brembana, per ricreare il tessuto sociale che man mano si è perso. È un’iniziativa relativamente giovane, l’idea risale infatti solo a un paio di anni fa. «Zafferano Oltre La Goggia – dice Maria Calegari, una delle coordinatrici – nasce all’interno del progetto “Buone prassi” che mira all’abitare la montagna in modo diverso, stimolando così un ritorno al territorio e alle sue forme di sussistenza».

Diverse sono le famiglie e le aziende agricole coinvolte nel progetto, dalla presenza femminile decisiva e vasta. Nell’ambito specifico della coltivazione dello zafferano, si è cercato con successo di dar vita a un processo che va oltre la semplice coltivazione, ma che con azioni su più versanti ha permesso di ricreare una piccola economia locale. Questa sfida è stata sostenuta dall’Associazione Gente di Montagna che, mettendo in campo la conoscenza e l’esperienza dei suoi soci, ha saputo concretizzare l’intuizione. «Circa due anni fa – spiega Davide Torri, responsabile dell’associazione – il Vicariato dell’Alta Valle Brembana ha chiesto alla nostra associazione di fare un convegno e trattare il tema. Dopo esserci incontrati con alcune persone del posto, siamo giunti alla conclusione che un’azione sarebbe stata meglio di un convegno». Ecco che la macchina organizzativa si è messa in moto e, dopo alcuni incontri e dopo la formazione dei futuri coltivatori, nel 2014 sono stati impiantati i primi bulbi che hanno dato il primo raccolto nell’autunno del 2014. Raccolto che è stato utilizzato poi da alcune piccole realtà artigianali locali per delle preparazioni uniche. Sono stati prodotti la birra allo zafferano dal Birrificio Via Priula di San Pellegrino, il pane allo zafferano dal panificio Midali di Branzi e, successivamente, sono stati elaborati alcuni dolci dall’Officina del Dolce di Bergamo della pasticciera Camilla Beltramelli, originaria della Valle Brembana.

Diverse sono quindi le famiglie che hanno potuto mettere in produzione terreni inutilizzati, con vantaggi che vanno dall’integrazione del reddito grazie alla vendita dello zafferano alla ricostruzione di relazioni sociali, nell’interesse comune.

Esiste solo una varietà botanica di Crocus sativus al mondo. «Le sue caratteristiche – sostiene Sara Boroni, una delle coltivatrici – dipendono dal territorio in cui viene coltivato e da come vengono essiccati i fiori. È una coltura che richiede molta fatica e pazienza, anche perché i bulbi vanno costantemente monitorati e protetti, ma è anche una coltivazione piacevole e imprevedibile». Ogni mattina all’alba non manca una supervisione nei terreni per raccogliere i fiori pronti. Da questi vengono poi sfilati i tre stigmi e, successivamente, fatti essiccare: questa è un’operazione delicata infatti il rischio di bruciarli o, viceversa, di non essiccarli abbastanza predisponendoli alla marcescenza è sempre in agguato.

La stagione del raccolto 2015 è arrivata e nei prossimi mesi saranno disponibili i nuovi stigmi. Obiettivi per il futuro? «L’autosufficienza nella produzione dei bulbi e l’aumento della quantità dello zafferano prodotto e delle persone coinvolte – afferma Maria Calegari -, sia per quanto riguarda i coltivatori che eventuali realtà che utilizzeranno questo interessante prodotto».

La produttrice: «Una coltivazione che dà soddisfazioni»

Sara Boroni - zafferano Zogno«Mi sono trasferita in montagna circa 10 anni fa», inizia così la sua presentazione Sara Boroni, una delle giovani coltivatrici di zafferano. Classe 1981 e originaria di Bonate Sopra, abita con i suoi tre figli a Castegnone, una piccola frazione di Zogno, sopra Poscante. L’amore per la montagna l’ha portata ad allontanarsi dall’Isola bergamasca con il sogno di aprire un’azienda agricola, anche se la sua formazione è legata al mondo dell’arte, con un’esperienza di lavoro al fianco di un pittore. Le difficoltà in montagna sono tante, «una delle principali è stata  – racconta  – trovare dei terreni da coltivare, ma poi ho saputo che vendevano l’attuale mia abitazione, con dei terreni e ne ho subito approfittato». Due anni fa nasce quindi l’azienda agricola InCanto dove Sara coltiva ortaggi da specie antiche, di cui ha recuperato i semi grazie a scambi con altri contadini. La sua coltivazione si basa sull’autoproduzione dei semi e per il futuro programma di trasformare in loco i suoi prodotti e offrire ospitalità. Oltre che dalla frutta e dalla verdura, si è però lasciata coinvolgere dal progetto Zafferano OLG «perché è una specie che dà molta soddisfazione e poi, dal momento che mi trovo in montagna, non posso coltivare tutto quello che vorrei. Il mio obbiettivo è quello di arrivare ad autoprodurre i bulbi, capire come si potrebbero adattare a questa zona, anche se il rischio di perdita dei bulbi è molto alto, sino al 30-40% all’anno».

Una vera chicca, il pane allo zafferano di Midali

Baldovino Midali - pane zafferano ridBaldovino Midali tutte le mattine si alza e prepara il pane, è un panettiere. Un panettiere tuttofare perché nella sua vita coltiva tante passioni e attività. È anche fotografo naturalista e regista. «Un bel giorno – racconta – mi è arrivata una richiesta dai coltivatori di zafferano e ho aderito al progetto perché mi interessava far sapere che nella nostra valle si coltiva lo zafferano e che può essere utilizzato anche per fare il pane. Sono convinto che l’unità fa la forza». Midali ha presentato recentemente questo pane in occasione della giornata mondiale del pane a Expo Milano 2015. È un prodotto di nicchia nel vero senso del termine, perché non è il pane a cui siamo abituati, ma anche per il suo costo, non certo economico. «Per realizzarlo – spiega Baldovino – prendo gli stigmi, li pesto e li lascio in ammollo in acqua per circa 12 ore. Poi utilizzo l’acqua con lo zafferano per preparare l’impasto».

Il birrificio Via Priula ha creato “Safrà”

Anche nel piccolo birrificio artigianale Via Priula di San Pellegrino la coltivazione dello zafferano ha suscitato interesse. «Stavamo sperimentando per la produzione di una birra in stile saison, un tipo di birra che mi ha sempre interessato – spiega Giovanni Fumagalli, uno dei soci – e un giorno, frequentando il consorzio agrario, mi viene mostrato lo zafferano locale. Ecco l’idea». Lo zafferano è arrivato nel momento giusto ed è stato motivo di ulteriore sperimentazione. È nata quindi una birra in stile Saison belga con radici ben salde in Valle Brembana. «È il risultato di decine e decine di esperimenti – sottolinea Fumagalli – fatti per raggiungere un adeguato equilibrio sia in termini aromatici che di costo». Infatti il rischio era quello di ottenere una birra eccessivamente colorata, speziata e, da non sottovalutare al fine della sostenibilità economica, onerosa. Ma il risultato è stato raggiunto, si chiama Safrà.

Officina del Dolce, le proposte stagionali della pasticciera Camilla

Camilla Beltramelli - pasticciera - officina del dolceCamilla Beltramelli, originaria della Valle Brembana, è l’anima della pasticceria L’Officina del Dolce di Bergamo. Il suo percorso lavorativo vanta diverse e importanti collaborazioni, dallo chef patissier Ernst Knam alle cucine di alcuni dei più rinomati ristoranti bergamaschi e milanesi. Concorsi internazionali e collaborazioni televisive la portano del 2010 ad aprire il suo piccolo laboratorio di pasticceria in via San Tomaso.

«Ho iniziato a sperimentare un dolce con lo zafferano prima dell’estate – ricorda Camilla –. Siamo abituati ad associare lo zafferano a dei prodotti caldi come i risotti, quindi non è stato semplice, ma l’idea è stata quella di preparare una mousse di yogurt con il frutto della passione e lo zafferano. Quest’ultimo è riconoscibile, ma molto delicato, l’importante è non sovrastarlo con altri aromi e sapori». Ma anche per l’autunno Camilla ha pensato ad un dolce particolare per celebrare lo zafferano prodotto nelle valli bergamasche, sperimentando un abbinamento con la pera, delicata e dolce, e creando un contrasto con il cioccolato al latte, più delicato di altri cioccolati.

«In futuro – racconta Camilla – gli abbinamenti e le proposte saranno sempre secondo stagionalità, uno dei cardini della mia pasticceria. Non è detto che proporremo ancora una mousse, ma ad esempio…perché non potrebbe essere una pralina?». Una pralina allo zafferano, che bontà. Via alle sperimentazioni!




Piani di Bobbio, in attesa della neve spazio al gusto

In attesa della neve, ai Piani di Bobbio & Valtorta domenica 15 novembre arriva Gustinquota, la tradizionale festa di preapertura della stagione dello sci che l’hanno scorso ha coinvolto 7mila persone. Per tutta la giornata, a partire dalle 10, la cabinovia di Barzio sarà attiva gratuitamente per tutti i turisti. Chi arriva da Bergamo potrà salire anche da Valtorta con la seggiovia Ceresola, anch’essa gratuita per tutti, dalle 10 alle 12.30 e poi dalle 14 alle 16.30.

All’arrivo si potranno degustare e acquistare prodotti tipici del territorio e conoscere le novità in tema di articoli sportivi per la neve. Per i bambini ci saranno giochi e animazione. Uno spazio sarà dedicato alla presentazione dei programmi delle scuole di sci e dei servizi proposti per la prossima stagione sugli sci, tra cui il nuovo tapis-roulant, che servirà lo snowpark e farà da collegamento con Valtorta, e il bus della neve dedicato, per il trasporto da Milano ai Piani di Bobbio ogni sabato e domenica prenotabile online. Al punto informazioni delle Imprese Turistiche Barziesi sarà inoltre possibile ritirare la cartolina “Sciatona” che dal 9 al 18 dicembre darà diritto a chi compra un giornaliero di averne uno gratis per il suo accompagnatore.

Nella giornata di Gustinquota i Piani di Bobbio saranno anche il punto di arrivo della seconda edizione di “Bobbio Vertical”, la corsa in montagna Introbio-Piani di Bobbio. Infine alle ore 12 verrà celebrata la messa alla chiesetta dei Piani di Bobbio e nei rifugi sarà possibile pranzare con il “Menù del Rifugio” a prezzo convenzionato. La giornata sarà accompagnata da musica dal vivo, giochi, gadget e animazione per tutti. Saranno disponibili navette gratuite di collegamento dei parcheggi di “Barzio paese” con la partenza della cabinovia.
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Grumello del Monte, un fine settimana a tutto cioccolato

choco lab - Grummelo del Monte ritGli amanti del cioccolato e tutti coloro che non si accontentano di una semplice tavoletta possono trovare l’evento che fa per loro a Grumello del Monte, dove nel fine settimana del 14 e 15 novembre c’è ChocoLab, manifestazione dedicata al cioccolato in tutte le sue forme, rivolta a grandi e piccini.

L’appuntamento è al palafeste, in via Kennedy 70, con cioccolaterie provenienti da tutta Italia dove assaggiare ed acquistare i prodotti preferiti. Ma in programma ci sono anche degustazioni di diversi tipi di cioccolato con una gradazione crescente, abbinamenti a vini e birre, laboratori ed intrattenimenti, dimostrazioni di modellazione del cioccolato e perfino di massaggi al cioccolato.

Preciso obiettivo della rassegna è coinvolgere tutte le fasce d’età proponendo attività su misura, dai laboratori interattivi per i gruppi scolastici alle iniziative per i ragazzi, alle degustazioni per gli adulti. Chocolab è a cura della pro loco di Grumello del Monte con il patrocinio del Comune, l’organizzazione è stata affidata a 3MENDI Events. P

L’evento si aprirà sabato alle ore 10 con un buffet offerto ai visitatori dall’organizzazione, realizzato dagli alunni della scuola alberghiera Ikaros di Grumello del Monte.

Sarà possibile fermarsi per pranzare e cenare scegliendo tra i prodotti tipici bergamaschi e la cucina asiatica dei food truck presenti.




Ecco “Sit Down”, la cena che fa bene a tutti. Ai tavoli sei ragazzi disabili

Sit DownSembra di essere sul set di “Hotel a sei stelle”, la docu-fiction trasmessa da Rai 3 che racconta l’esperienza lavorativa di sei ragazzi speciali affetti dalla sindrome di Down e altre disabilità intellettive. La differenza è che, questa volta, l’opportunità professionale è offerta sul campo da Maté, il risto-market di Treviglio. L’iniziativa, che ha debuttato il 10 novembre ed è l’unica nel territorio bergamasco, si chiama “Sit Down”, la cena che fa bene a tutti. E, in effetti, fa riflettere i clienti del locale, abbatte luoghi comuni e pregiudizi sulla diversità, ponendo attraverso il cibo l’attenzione sulle tematiche sociali. E aiuta chi, essendo in condizioni svantaggiate, si scontra con un muro, l’impossibilità effettiva di entrare nel mondo del lavoro. I sei nuovi camerieri provengono dalle cooperative Insieme di Treviglio e Fili intrecciati FA di Brignano.  Per tutti è la prima esperienza in un luogo pubblico. Anche se all’apparenza appaiono sicuri, in realtà l’emozione è tanta.Sit Down 3

C’è Simone, il più grande con i suoi 33 anni, da Misano. “Mi sono sempre dato da fare con lavori di meccanica, ma ora mi diverto, sono in compagnia e sto bene”, dice sorridente. Ylenia, 22 anni, vive a Treviglio. “Paura di sbagliare? Certo ce l’ho, ma può capitare a chiunque – dice -. Qui non si scherza, facciamo sul serio”. I loro compagni sono Paolo, 28 anni, di Cascine San Pietro, Roberta, 30 anni, di Treviglio, Alice, 27, di Ghisalba. E Marco, 21, di Romano, che nella sala affollata ha letto il discorso che aveva preparato: “So portare i bicchieri e le portate, so apparecchiare, sistemare coltelli e forchette, disfare la tavola. Sono contento, ma non mi basta perché voglio  migliorarmi – afferma commosso -. Prometto che farò del mio meglio, ci impegneremo tutti”.Sit Down 2

I ragazzi non improvvisano: si sono preparati seguendo per due mesi il corso di operatore di sala  all’Abf di Treviglio. Al loro primo giorno in un vero ristorante, si sono presentati in modo professionale con indosso la divisa, alcuni servendo dietro al bancone riso, affettati, focacce, antipasti, cous cous, altri dandosi da fare soddisfacendo i clienti ai tavoli. L’appuntamento continua ogni martedì, dalle 18.30 a mezzanotte, e vedrà impegnati a turno un paio di ragazzi, che saranno pagati per le ore di servizio prestate grazie a un contratto come tirocinanti. Importante la collaborazione con le due cooperative, dal momento che i neo camerieri saranno seguiti passo a passo dagli educatori. “Il nostro gruppo è nato nel 1979. Da allora ci sono stati tanti progressi grazie a iniziative fuori dall’ordinario che usano diversi linguaggi, come il coro, il teatro. Siamo stati scelti anche come maestri di giardinaggio a Cervia, ora abbiamo colto con entusiasmo questa nuova opportunità che accresce l’autostima dei nostri ragazzi” – commenta Armando Ambivero, che presiede la cooperativa trevigliese. L’attività sarà impegnativa e gratificante. “Daranno una lezione di efficienza e caparbietà perché il cibo è portatore sano di convivialità”, commenta Giuliano Mattavelli, socio di Matè.

 




Perché difendiamo il depennato risotto con le rane (rumene)

Il risotto con le rane
Il risotto con le rane

Da modesto cultore di storia del cibo, non riesco che a sorridere dinnanzi all’inflessibilità dei disciplinari gastronomici del nostro tempo. Il cuoco che azzardi l’inserimento di un velo di cipolla nella ricetta dei bucatini alla gricia, o di uno spicchio d’aglio in camicia nel condimento degli spaghetti all’amatriciana, assai difficilmente sfugge ad un processo per iconoclastia. Eppure in passato tra i fornelli regnava la più spensierata approssimazione. Del biancomangiare – a buon titolo la più celebre pietanza medievale – l’illustre studioso Jean Luis Flandrin ha censito oltre trenta versioni, tutte significativamente divergenti. Descrivendo poi la preparazione di una vivanda di pollo al melograno, il Liber de Coquina – capostipite trecentesco dei ricettari di cucina del nostro paese – suggerisce che, in sostituzione dell’agrume, il piatto possa essere insaporito con un tutt’altro che pertinente brodo d’erbe. E la sequenza degli esempi potrebbe protrarsi all’infinito.

Non sorprende dunque la fresca manifestazione di intransigenza gastronomica che giusto in queste settimane è trapelata dalla nuova edizione de  “La tradizione a tavola”, curata dalla prestigiosa Accademia Italiana della Cucina per i tipi delle Edizioni Bolis. Dalla ponderosa raccolta di ricette – ben tremila, a compendio degli usi alimentari della Penisola  – si apprende infatti che è stato depennato il risotto con le rane perché i piccoli anfibi “ormai non sono più quelli del territorio, vengono dall’estero”. Ad esempio – si puntualizza – dalla Romania.

Di primo acchito, l’impulso a dare privilegio alle ricette contraddistinte da chiaro vincolo di territorialità delle materie prime parrebbe del tutto commendevole. E del resto quello del “chilometro zero” è uno dei temi oggi più in voga. Ma, a ben vedere, si tratta di un profondo equivoco. Da un canto, la nostra tradizione gastronomica – anche quella che affonda le proprie radici nelle epoche più remote – si è sempre tenuta ben lungi dall’autarchia. E’ vero che alcuni degli ingredienti di più chiara derivazione allogena sono passati attraverso un prolungato processo di assimilazione produttiva – è il caso del pomodoro, della patata, del mais, dello stesso riso. Ma altri, come aringhe, stoccafisso e baccalà, sono sempre stati e sono destinati a rimanere inderogabilmente forestieri.

Dall’altro, la morfologia stessa delle materie prime di cucina è tutt’altro che statica. Se l’intendimento dell’Accademia Italiana della Cucina è semplicemente quello di preservare i sapori di “una volta”, è bene precisare che ci si trova nel dominio delle imprese irrealizzabili. Secoli di incroci ed ibridazioni hanno irrimediabilmente modificato aspetto e profilo gustativo di tutte le specie coltivate ed allevate per l’alimentazione umana. Si prenda il caso del maiale: i capi oggi presenti sul territorio nazionale appartengono per lo più a varietà straniere il cui bagaglio genetico ha ben poco in comune con quello del suino di ceppo italico dei nostri antenati. Ma nessuno si sognerebbe mai di proporre il bando delle specialità di norcineria ricavate dalle carni dell’anglosassone large white dall’albo dei prodotti tipici Italiani.

Il depennamento del risotto con le rane – ancorché rumene – dalle ricette della nostra tradizione culinaria pare dunque un poco opportuno esercizio di purismo. Ed il pensiero corre inevitabilmente ad un memorabile apologo in dialetto milanese di Carlo Maria Maggi, vecchio di oltre tre secoli ma pur sempre attualissimo: el poverett leccard (di bocca buona), che no possend fà i verz co’l cervellaè (cervellato) no’l se contenta de mangiai co’l lard.