Slow Food, Astino ospita il Consiglio nazionale

Astino1La Lombardia torna, dopo anni, ad ospitare il Consiglio nazionale di Slow Food, questa volta a Bergamo, nella prestigiosa sede dell’ex monastero di Astino. Venerdì 26, sabato 27 e domenica 28 giugno la città ospita i consiglieri di Slow Food, i presidenti di tutte le sedi regionali italiane, i responsabili di Slow Food Italia. Venerdì, nel pomeriggio, ci sarà un primo incontro del Comitato esecutivo e della Conferenza delle Regioni all’ Urban Center, a Bergamo, mentre sabato, alle 9.15, avranno inizio i lavori del Consiglio nell’ex monastero di Astino.

«Con grande piacere – sottolinea Enrica Agosti, presidente di Slow Food Lombardia – torniamo dopo lungo tempo ad ospitare il Consiglio nazionale in Lombardia. Il nostro territorio, ricco di geo e biodiversità, primo territorio agricolo italiano, è sede di importanti progetti che vogliono disegnare il futuro della nutrizione a partire dalla valorizzazione della biodiversità e delle reti comunitarie locali. In questi giorni lavoreremo in un sito storico quale l’ex monastero di Astino in Bergamo, luogo esemplare per la connessione virtuosa tra uomo e natura. Nelle pause del Consiglio, abbiamo ritenuto fondamentale offrire un panorama della ricchezza del nostro patrimonio eno-gastronomico, coinvolgendo Condotte e chef lombardi che, sono certa, ci rappresenteranno in modo eccellente». Il Consiglio nazionale è l’organo di direzione politica dell’Associazione ed ha il compito fondamentale di definire le scelte e le linee strategiche dell’Associazione e individuare i temi di grandi campagne nazionali.

Nel corso della giornata di sabato si svolgeranno le sessioni mattutina e pomeridiana del Consiglio. Nella sessione mattutina ci sarà un intervento del Presidente Internazionale di Slow Food Carlo Petrini. Il venerdì sera i Consiglieri saranno ospitati in Città Alta, presso lo storico ristorante “Da Mimmo”, dove il presidente dell’Associazione degli agricoltori di Astino F.Elzi illustrerà il progetto della Valle della Biodiversità e il presidente del Consorzio di Tutela del Valcalepio Medolago Albani racconterà la realtà vitivinicola della bergamasca.

Sabato sera, alle 20,30 un altro evento accende i riflettori sugli chef lombardi. Nel Cooking Lab Agnelli di Lallio cena a più mani con gli chef lombardi. Parteciperanno: Raffaella Gancini dell’Agriturismo Le Caselle di San Giacomo alle Segnate (Mn), Alessia Mazzola di Al Gigianca, Cesare Battisti del Ratanà di Milano, Gianni Briarava della Trattoria alle Rose di Salò (Bs), Mario Cornali del Ristorante Collina di Almenno San Bartolomeo e Vittorio Fusari della Dispensa Pani e Vini di Torbiato di Adro (Bs).




Grani antichi, anche a Bergamo è partita la riscoperta

Soppiantati da varietà più moderne, sacrificati sull’altare dell’aumento della produttività per le esigenze dell’agro-industria e per la ricerca delle migliori caratteristiche reologiche per l’industria del pane e della pasta, i grani antichi tornano nei campi italiani, che dagli anni Settanta ad oggi hanno perso oltre duecento popolazioni di frumento tradizionali.

Anche in Bergamasca si stanno ripiantando i grani dei nostri nonni, dal farro monococco alle varietà create, in piena battaglia autarchica del grano, dal grande genetista marchigiano Nazareno Strampelli negli anni Trenta e Quaranta.

Ad Astino

Nella Valle della Biodiversità, sezione di Astino dell’Orto Botanico di Bergamo, sono spuntate le prime spighe. In campo 22 varietà fornite dal Cra di Sant’Angelo Lodigiano raccontano la storia dell’addomesticazione del frumento: dall’Aegilops Tauschi, varietà selvatica progenitrice del frumento tenero e del farro grande, al Triticum Turgidum, al progenitore selvatico del Triticum monococcum, con spiga lunga e che si rompe a maturità, per citarne alcune.

In campo anche il Grano Khorasan originario dell’Iran, il Triticum Timopheevii, sottospecie selvatica tuttora esistente in Turchia, Iran e Iraq, lo Zhukovskyi, ancora presente nelle regioni del Caucaso. Al farro medio più coltivato in Italia, si affiancano il farro grande spelta e il farro piccolo monococco, nelle varietà Monlis e Monarca. In due passi sarà possibile ripercorrere ad Astino la storia millenaria del frumento, oltre a quella del mais con oltre cento varietà, e vedere crescere in campo circa 300 specie e oltre 1.000 varietà agricole.

In Val Seriana

Nella Valle dal paesaggio ormai “giacimento” di archeologia industriale e cattedrale del lavoro in rovina, con troppi capannoni deserti, tornano le spighe antiche nei campi, dopo più di mezzo secolo di assenza. Andrea Messa, manager per oltre trent’anni presso multinazionali, conquistata la pensione, ha deciso tornare alle origini, riportando, con zappa e aratro, i cereali minori in montagna. L’idea è nata nel 2012 recuperando in soffitta sacchi di sementi di San Pastore di nonno Antonio (per tutti “i segretare”, dato che veniva da una famiglia di notai, direttori di banca e segretari comunali) che nel 1934 vinse la medaglia d’oro della battaglia del grano di mussoliniana memoria.

Richiesti i semi all’Istituto di Cerealicoltura di Sant’Angelo Lodigiano, non senza aver prima consultato i saggi cerealicoltori dell’alta Valle – tutti over 80 – con la creazione dell’associazione culturale “Grani Asta del Serio”, Messa ha deciso di ripiantare Farro Monococco, Frumento Spada, Ardito, Mentana e Orzo, in contrada Beccarelli a Nasolino e alla Valzella di Ardesio. Il progetto di sperimentazione prevede, una volta raggiunto il regime delle colture, come evidenzia il logo dell’associazione, la produzione di farine, pane e pasta a chilometro zero.

Le antiche spighe richiedono il più antico e insuperabile metodo di trasformazione, con la macinatura a pietra nel fiabesco mulino ad acqua Giudici di Cerete. «È bello veder ondeggiare le spighe mature dopo oltre sessant’anni dal definitivo abbandono delle coltivazioni in quota – spiega Messa che dell’associazione “Grani Asta del Serio” è presidente oltre che fondatore -. Le nostre vallate sono state  sempre autosufficienti nella produzione di grano per il loro sostentamento. Erano tempi in cui il grano si faceva per il consumo familiare e non per la “grana”. Lo scopo dell’associazione è quello di riscoprire e valorizzare elementi culturali e colturali delle nostre vallate, di cui ogni famiglia almeno fino agli anni Cinquanta era depositaria».

Il progetto è al terzo anno dalle prime semine: «Nel 2012 abbiamo avviato le prime prove in campo con frumento Mentana e San Pastore, unitamente ad altri due tipi di grani creati dal genetista Nazareno Strampelli: l’Ardito e il Tiriamo diritto. Da Piario a Fiumenero oggi contiamo venti siti di sperimentazione in atto. Le prime semine hanno dato ottimi risultati, tanto che il grano è cresciuto bene fino a 1.050 metri. Tra poco, a luglio, abbiamo in programma la prima mietitura, nei due ettari complessivi coltivati nelle nostre valli. Ci aspettiamo di cogliere 100 quintali di grano, di ottenere quindi 80 quintali di farina e ricavare circa 160 quintali di prodotti da forno».

Oltre ai cereali propriamente detti, in Valle si torna a coltivare il formèt negher o grano saraceno: «Da sempre si coltiva in montagna, dall’Alto Adige alla Valtellina – continua Messa -. Non a caso la distanza tra Teglio, patria del grano saraceno, e Valbondione è inferiore a quella che separa l’Alta Val Seriana da Bergamo. È una coltivazione interessante tutta da recuperare: oggi l’85% del grano saraceno viene importato da Turchia e Marocco. Se dovessimo produrre anche solo il 5% in Italia avremmo fatto la felicità dei cerealicoltori».




Cucine da Incubo, in onda la puntata bergamasca. «Macché brutte figure, abbiamo fatto festa»

borgo san lazzaro«Il Borgo San Lazzaro di Bergamo è un ristorante dal menu bizzarro e uno staff multi-culturale guidato da un titolare dallo spirito goliardico e amante della bicicletta, ma di poco polso»: così viene presentato l’episodio dal programma. (Il titolare Carlo Bertoletti è il secondo da sinistra)

 

Le riprese sono state effettuate nel novembre scorso e per una settima il titolare e lo staff del ristorante Borgo San Lazzaro (in via San Lazzaro 8 a Bergamo) sono stati sottoposti ai giudizi e alle prove dello stellato Antonino Cannavacciuolo che con il suo programma “Cucine da Incubo” interviene nei ristoranti “sull’orlo del precipizio” e li risolleva un’iniezione di positività, consigli, nuovo look e piatti firmati.

Ieri (23 giugno) è stata l’ora della verità perché l’episodio è stato trasmesso – su  FoxLife (Sky, canale 114) alle 21 – e i protagonisti hanno visto per la prima volta la loro vicenda raccontata in 45 minuti. Nonostante il format sia di quelli “crudeli”, con lo chef napoletano che non risparmia di evidenziare magagne e critiche, per quanto a fin di bene, Carlo Bertoletti non teme di fare brutta figura. Anzi, ha organizzato una serata speciale, ottenendo dal Comune la possibilità di mettere tavoli all’aperto e lo schermo per seguire la trasmissione: una vera e propria festa, di cui devolverà il ricavato all’Istituto dei Ciechi di Milano, dove si è svolta un’esperienza in esterna dell’episodio. «Preoccupato per come ne uscirà il locale? No di certo», afferma con sicurezza. «Siamo qui da 16 anni e c’era bisogno di fare qualcosa per riaccendere l’attenzione. La trasmissione gioca con il concetto di “incubo” nel senso che quello della ristorazione è un mondo molto delicato e basta un imprevisto, ad esempio l’assenza di un componente del personale, per compromettere un piatto o un servizio. Credo sia questo il vero messaggio che va tratto».

«Abbiamo partecipato più che altro per far parlare un po’ di noi – prosegue -, magari solo ricordarlo a chi già ci conosce, anche per via del mio passato al bar Basket». Ma i consigli dello chef qualche effetto l’hanno avuto e la proposta è stata aggiornata. «Tra i piatti che ci ha proposto ci sono fagioli con gamberi e pancetta, una polenta liquida con cotechino, filetto di maiale con cime di rapa, miele e peperoncino, ravioli al gorgonzola con salsa di topinambur e altri che prepariamo a seconda della stagione. In più ci ha consigliato sulla scelta delle materie prime, che resta fondamentale. Ha invece bocciato le carni alternative come struzzo e canguro, che ho deciso di togliere dal menù».

Anche l’ambiente è stato rinfrescato. «Per la verità era già carino – dice il titolare -, ma sono stati aggiunti alcuni dettagli che lo caratterizzano di più, come delle lampade realizzate con i cerchi delle biciclette, vista la mia passione per le due ruote che nel gioco televisivo è diventata una specie di accusa nei miei confronti».




Olio extravergine, in arrivo un nuovo frantoio a Predore

OLIO-EXTRAVERGINE-DOLIVAE’ una piccola produzione di nicchia, ma è improntata alla qualità ed è fortemente legata al territorio. L’olivicoltura bergamasca – secondo l’ufficio di settore di Coldiretti Bergamo – interessa una superficie di circa 200 ettari e sta appassionando diversi giovani, che con nuove idee e nuovi progetti stanno contribuendo a far crescere il comparto, nonostante le difficoltà legate alle bizze del tempo.

Dopo il drastico calo produttivo dello scorso anno, anche per questa stagione la strada si prospetta non priva di ostacoli. Un recente monitoraggio effettuato dagli uffici di Coldiretti Bergamo ha infatti evidenziato che si è verificata una scarsa fioritura del Leccino, la varietà più diffusa. Come andrà la stagione si vedrà però solo nei prossimi mesi. Tutto dipenderà dall’andamento delle condizioni meteorologiche, che potranno contrastare o favorire la comparsa di malattie e parassiti. Al momento si ipotizza un calo produttivo fra il 25 e il 30 per cento rispetto alla media, ma in ogni caso un miglioramento anche del 50 per cento rispetto allo scorso anno. La dimensione media di un oliveto in provincia di Bergamo è di circa 3000 metri. La maggior parte degli oliveti è condotta da hobbisti, che destinano l’olio prodotto all’autoconsumo familiare. Ci sono però una ventina di aziende olivicole a titolo principale che producono e vendono olio extravergine di oliva. Sono prevalentemente concentrate nei comuni limitrofi al lago di Iseo, solo alcune sono situate nella zona collinare attorno alla città di Bergamo. Il 50 % di queste aziende professionali è iscritta al circuito Dop Laghi Lombardi.

Il comparto olivicolo nostrano deve anche fare i conti con l’invasione dell’olio d’oliva tunisino, con le importazioni dal Paese africano che sono aumentate del 681 per cento nei primo trimestre del 2015. La Tunisia è ormai diventata per il nostro Paese il terzo fornitore dopo Grecia e Spagna. Il risultato è che nel 2015 si è registrato il massimo storico nelle importazioni di olio di oliva straniero dopo che nello scorso anno erano già giunte dall’estero ben 666 mila tonnellate di olio di oliva e sansa come mai era avvenuto in passato.

Poiché un’altra delle problematiche sentite dall’olivicoltura bergamasca è la mancanza di un frantoio sulla sponda bergamasca del lago di Iseo (ne esiste uno solo a livello provinciale), il comune di Predore, in collaborazione con il Gal 4 Comunità delle valli e dei laghi, ha recentemente presentato un progetto per la costruzione di un nuovo frantoio e di un punto vendita, che prevede anche lo sviluppo di alcuni investimenti con una decina di aziende agricole olivicole della zona. Sul fronte della promozione invece il comune di Tavernola Bergamasca, sempre in collaborazione con il Gal delle 4 Comunità delle valli e dei laghi, sta invece valutando la possibilità di realizzare una “Via dell’olio”. Ad entrambi i progetti collabora anche Coldiretti Bergamo.




Zim, l’albanese che abbatte le frontiere con la cucina

Quando una deliziosa e ricca crudité di pesce abbatte i confini e unisce i popoli. Dall’Albania post comunista in gommone, 36 ore in balia delle onde del mare per approdare nel “Bel Paese”. Era il 1997, il viaggio di Gezim Prekaj è stato un’odissea dal lieto fine. Dal 2004 gestisce, con  successo, il ristorante pizzeria “Al Vecchio Pozzo”, in Piazza Camozzi al numero 6, nel centro storico di Grumello del Monte, dove i primi suoi sostenitori sono stati, ironia della sorte, i leghisti del paese.

Vecchio Pozzo - Gezim Prekaj«Come dite voi, lo ho presi per la gola – sorride Zim –, ma non è stato per nulla facile, ho iniziato come classico ristorante specializzato nel pesce, ma solo dopo aver inserito la pizza qualcosa se è mosso. Poi, dopo aver partecipato alla prima festa della Lega Nord, il locale ha cominciato a riempirsi e ora mi posso ritenere soddisfatto del mio lavoro».

La realizzazione di un sogno? «Ho imparato un pochino d’italiano guardando le vostre televisioni in Albania. Quando sono arrivato i pregiudizi verso di noi erano forti, ma devo dire che questo non l’ho riscontrato a Grumello: io ho pensato solo a lavorare con professionalità e passione, sapendo che prima o poi la clientela avrebbe apprezzato la mia cucina».

Nel menù propone tantissime tipologie di pizza – la scuola è quella del fratello Pashko, pizzaiolo che ora gestite un avviato locale ad Albano Sant’Alessandro -, ma la soddisfazione maggiore proviene da coloro che arrivano per concedersi una vera abbuffata di piatti di pesce. «Il mio piacere è vedere un amico, un cliente, che si dice entusiasta dopo aver assaggiato una spaghettata al granchio reale, dei medaglioni di tonno in crosta di semi di papavero, sesamo e pepe nero con carciofi trifolati oppure una millefoglie di orata con spinaci – sottolinea Zim –. Vogliamo dare il massimo della qualità, pesce fresco ad un prezzo giusto».

Il ristoratore è pure diventato un tifosissimo della Grumellese, che quest’anno ha esaudito il suo desiderio espresso in uno striscione esposto allo stadio, quello della promozione (in serie D). «Posso dire di essere stato adottato da questo paese che mi ha accolto con affetto – afferma -, oggi festeggio non solo il successo della squadra di calcio ma anche il mio, brindando con un profumato pinot nero, che consiglio sempre anche a coloro che mangiano pesce. Un abbinamento vincente che condivido con tutto il mio staff, a partire dal fondamentale contributo dello chef Giambattista Oldrati, senza dimenticare il tocco di dolcezza di mia mamma File, maestra nei dolci». Intanto Zim ha portato la sua formula anche fuori dal locale di Grumello, sviluppando l’attività di catering.

Ristorante pizzeria “Al Vecchio Pozzo”
piazza Camozzi, 6
Grumello del Monte
tel. 035 833619
chiuso il martedì sera
www.vecchiopozzo.com



Bergamo, le origini dei casoncelli tra notai, mercanti e imperatori

L’intreccio delle vicende di tre singolari personaggi medievali, ricostruito grazie a recenti contributi storiografici e lessicologici, contribuisce a fare nuova luce su alcuni degli arcani che si celano nella misteriosa notte dei tempi del casoncello. L’eccentrico trio si compone di un notaio, pedante quanto si conviene ad un appartenente alla sua categoria professionale, di un mercante dalle pratiche commerciali tutt’altro che irreprensibili e di un imperatore appassionato di gastronomia.

Il notaio, che di nome faceva Castello Castelli, visse a Bergamo in quell’autentico parapiglia che fu seconda metà del quattordicesimo secolo. Al pari di molti altri colleghi dell’epoca, cui tra le altre incombenze era affidata quella di registrare i principali eventi locali dei quali erano stati testimoni, attraverso i suoi scritti ci ha trasmesso una gran copia di informazioni sulla cultura materiale di quei giorni. Tra queste compaiono appunto due dei più antichi cenni reperibili in letteratura a riguardo del nostro tortello.

Il primo dei passi riferisce che il 13 maggio 1386 in Città Alta si tenne una gran festa, allietata da musiche e danze, cui presero parte più di 2.000 abitanti – ovvero almeno un quarto della rada popolazione urbana di quel periodo. Il cronista riporta puntigliosamente che nell’occasione furono offerte agli astanti più di cento torte – termine che allora designava un timballo salato – e trecento taglieri di artibotuli, altrimenti detti casoncelli.

La seconda citazione, a tinte ben più fosche, allude invece ad una tresca rusticana il cui tragico epilogo si consumò a Stezzano nel 1393. Quivi un malcapitato villico, la cui consorte era stata concupita da un rampollo della casata dei Suardi, venne assassinato su commissione dell’aristocratico per mano di certo Tonolo. Colpiscono le modalità di esecuzione del delitto, perpetrato tramite la somministrazione di artibotuli, ossia casoncelli, avvelenati. Dal testo apprendiamo inoltre che all’omicida venne comminata la pena di morte, mentre il mandante – forte del proprio titolo nobiliare – se la cavò con il bando dalla città.

Non sfugge che in entrambi gli incisi Castelli abbia deliberatamente accostato al vocabolo casoncello, ancor oggi di agevole intelligibilità, l’oscuro sinonimo di artibotulo. Quest’ultimo è un raro termine di conio medievale, decifrabile come insaccato in sfoglia di pane. L’articolazione semantica prescelta dal cronista induce peraltro a presumere che la voce lessicale a noi più familiare designasse una pietanza ampiamente diffusa nella Bergamasca, come documentato dal fattaccio avvenuto nel contado, ma apparentemente ignota ai lettori residenti altrove.

Ulteriori dettagli sull’originaria morfologia della vivanda sono forniti proprio dalla decriptazione del termine artibotulo. Da questa si ricava che, più che un raviolo da sottoporre a bollitura, il casoncello dei primordi dovesse essere una sorta di panzarotto rassodato tramite frittura o infornatura. Tale deduzione pare avvalorata dalle modalità di servizio riferite dal Castelli: il tagliere menzionato dal notaio è un piatto da portata sprovvisto di bordatura, inadatto dunque a raccogliere un alimento cotto in mezzo umido e generosamente irrorato di burro fuso. Il passaggio dal tortello in crosta trecentesco al raviolo da lessare giunto sino ai nostri giorni pare quindi essersi realizzato nel corso del XV secolo: risale infatti alla prima metà del cinquecento la menzione nel Baldus di Teofilo Folengo di cento calderoni pieni di casoncelli, maccheroni e folade, che ad ogni evidenza presuppone il perfezionamento della transizione.

Il secondo dei personaggi cui siamo debitori delle rivelazioni ricevute è un mercante del quale in realtà sappiamo assai poco. Ne conosciamo il nome di battesimo di Giovanni; ci è inoltre noto che fosse originario della nostra città, e dovesse aver visto la luce qualche decennio prima del notaio Castelli. Consta infine che per qualche tempo avesse risieduto a Venezia, in contrada Sant’Apollinare, ma fosse poi dovuto repentinamente riparare a Mantova.

Le ragioni della precipitosa dipartita sono esposte in paio di missive inviate tra il 1366 ed il ’67 dal doge Marco Cornaro a Francesco Gonzaga, provvidenzialmente recuperate dal brillante linguista Alessandro Parenti. In esse il reggente della Serenissima lamentava di essere stato raggirato dal faccendiere bergamasco il quale, dopo aver carpito la sua fiducia, gli aveva preso a credito una grossa partita di tessuti ed altre mercanzie da rivendere in Lombardia. Superfluo soggiungere che il notabile veneziano non rivide indietro il becco di un quattrino, lagnandosi con il Gonzaga dell’aver appreso che il truffatore potesse scorrazzare impunemente nel centro sulle rive del Mincio.

Tra le pieghe di quella che parrebbe una tutt’altro che memorabile frode commerciale si cela nondimeno un dettaglio di considerevole importanza: all’imbroglione, identificato come Johannes de Pergamo, è appioppato l’insolito epiteto di Casoncellus. Il prof. Parenti è indotto a ritenere che il soprannome sottendesse una certa tendenza alla pinguedine dell’assegnatario, ma non sfugge come molti dei nomignoli appiccicati alle enclavi culturali siano storicamente derivati dalla singolarità dei loro usi alimentari. Se ne ricava dunque che già nel cuore del XIV secolo il tortello bergamasco dovesse rappresentare una ben distinguibile icona gastronomica del nostro territorio.

Vale qui soggiungere che le prime testimonianze bresciane a riguardo della pietanza datano ad un’epoca ampiamente posteriore, risalendo alle cronache di Giacomo Melga sulla pestilenza del 1478. Pur non rappresentando una prova risolutiva, è comunque innegabile che l’ampio divario temporale tra le fonti documentali finisca per sminuire l’attendibilità della tesi secondo cui la vivanda possa aver visto la luce sulla sponda orientale dell’Oglio.

L’ultimo componente dell’imprevedibile trio di méntori gastronomici risponde nientemeno che al nome di sua maestà Federico II di Svevia, timoniere del Sacro Romano Impero nella prima metà del XIII secolo. È risaputo che il vulcanico monarca, oltre a doti di impareggiabile stratega, mostrasse un’incorreggibile inclinazione a stili di vita piuttosto eccentrici per i suoi tempi. Affascinato dalla cultura araba tanto da infarcire il proprio seguito di eunuchi mammalucchi e di danzatrici saracene, l’imperatore era perennemente accodato da uno strampalato caravanserraglio di saltimbanchi mori e di animali esotici – tra cui elefanti, dromedari, scimmie e leopardi.

Tra quelle che all’epoca dovevano apparire come incomprensibili stravaganze per un sovrano, risalta l’interesse per le arti conviviali, profondo al punto da tradursi nella codificazione di proprio pugno di diverse ricette di cucina. Nel Liber de coquina – testo redatto intorno al 1300 presso la corte Angioina di Napoli a compendio dell’eredità gastronomica federiciana – compaiono infatti le indicazioni per la preparazione di una pietanza di cavoli secundum usum Imperatoris, che risultano personalmente dettate dal monarca. Se un francamente incolore stufato di verze e finocchi non può trarre immortalità che dall’universale rinomanza del suo ideatore, assai più convincenti paiono le fritelle da Imperatore magnifici riportate nel Libro di Cucina redatto a Venezia nel XIV secolo, il cui approntamento prevede che del formaggio fresco venga fritto in pastella di chiara d’uovo montata a neve con l’aggiunta di pinoli.

Sempre il testo veneziano racchiude due ricette di timballi che rimandano a re Manfredi di Sicilia, figlio prediletto dello Svevo nonché suo designato successore gastronomico: la torta manfreda bona e vantagiata e la torta di re Manfredi da fava frescha. E proprio grazie al rampollo cadetto dell’Imperatore, ed alla traduzione dall’arabo del Taqwim al Sihha di Ibn Buṭlān eseguita su suo impulso verso la metà del XIII secolo, è finalmente dato di chiudere il cerchio gastro-lessicologico che congiunge Federico II al casoncello. L’accostamento per affinità del sembusuch moresco – un raviolo fritto del califfato di Bagdad – all’italico calizon panis, decifrabile come calzoncello di pane, rende infatti perspicua la stretta parentela intercorrente tra quest’ultima vivanda, ad evidenza affermata presso la corte federiciana, ed il pressoché speculare artibotulo del notaio Castelli.

Resta infine da chiarire come sia riuscita a prender piede dalle nostre parti una pietanza che in realtà rivela precipui addentellati con la tradizione gastronomica meridionale. Ancor oggi nelle aree del mezzogiorno – segnatamente Puglia e Campania – che più profondamente subirono l’influsso della corte Sveva, si registra invero una profusione di tortelli fritti, morselletti e focacce imbottite denominati kalzoni, calcioni, calcioncelli e cazuncielli, tutti accomunati dall’involucro di pasta lievitata che caratterizzava anche l’artibotulo bergamasco.

In assenza di evidenze documentali a tale riguardo, balza comunque all’occhio che Bergamo e Cremona fossero schierate al fianco di Federico nella contesa che lo opponeva ai riottosi rimasugli della Lega Lombarda. E proprio a Cremona, storicamente legata alla nostra città da una ferrea alleanza, sono documentati prolungati soggiorni del monarca con il suo bizzarro seguito di eunuchi, odalische e giocolieri. È dunque suggestivo lasciarsi blandire dalla lusinga che il casoncello possa aver rappresentato un simbolico lascito dell’Imperatore ai nostri avi a riconoscimento della fedeltà dimostrata. Se l’antica preparazione non rappresenta pertanto sola farina del sacco bergamasco, è pur vero che per l’ammutinata Brescia la principale memoria legata allo Svevo resti quella della disfatta patita a Cortenuova nel 1237, resa ancor più agra dal risolutivo apporto prestato dalle milizie di Bergamo al trionfo dei lealisti.




Tra Astino e Città alta, visite guidate al sapore di montagna

foto Matteo Zanga

Camminare in città con il gusto dell’escursione in montagna. È la singolare accoppiata che offrono i percorsi turistico-gastronomici proposti da “Forme – Bergamo capitale europea dei formaggi”, il progetto patrocinato dalla Camera di Commercio e attuato dall’associazione San Matteo – Le Tre Signorie per valorizzare in occasione dell’Expo le produzioni casearie della provincia, tra cui si contano ben nove Dop.

Dal 21 di giugno al 25 ottobre sono proposte dieci uscite lungo un itinerario tra il monastero di Astino e Città alta, in compagnia non solo di guide turistiche che illustrano i luoghi storici e le bellezze artistiche, ma anche di istruttori di nordic walking, la salutare disciplina della camminata con i bastoncini. E per rifocillarsi è prevista la sosta in un ristorante (a rotazione) per la “Colazione dell’Alpeggiatore”, con la degustazione di uno dei formaggi Principi delle Orobie (Bitto Storico, Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana, Branzi FTB, Strachítunt Val Taleggio, Stracchino all’antica delle Valli orobiche, Agrì di Valtorta e Formaggi di capra orobica). L’iniziativa è infatti realizzata in collaborazione con la Comunità delle Botteghe di Città Alta, oltre che con il Gruppo Guide Turistiche Città di Bergamo e gli istruttori di Nordic Walking.

«Bergamo è arte, cultura, natura e storia – dice Francesco Maroni, presidente dell’associazione San Matteo-Le Tre Signorie – ma vuol dire anche sapori d’eccellenza, quelli dei nostri formaggi. Con questi itinerari abbiamo voluto legare in un’unica esperienza tutti questi valori: il turista conoscerà la straordinaria ricchezza artistica di Astino e Città Alta, magari luoghi meno conosciuti ma di altrettanto fascino, e poi altri gioielli, quelli caseari delle nostre valli. Il tutto legato da una sana camminata lungo vicoli e percorsi antichi, accompagnati da guide esperte. In questo modo arte, cultura, sport e gastronomia si fondono con l’unico obiettivo di far vivere un’esperienza turistica a 360 gradi».

I percorsi proposti sono due, con partenza o dal Monastero vallombrosano di Astino o da piazza Vecchia in Città Alta, il primo più impegnativo perché prevede un cammino in salita, più facile il secondo perché in discesa. Durante la camminata si potranno conoscere in modo approfondito il monastero di Astino, porta Sant’Alessandro, piazza Mascheroni e il Fontanone. Queste le date delle uscite la maggior parte diurne, alcune serali nei mesi più caldi: 21 giugno, 5 e 19 luglio, 2 e 30 agosto, 13 e 27 settembre, 4, 18 e 25 ottobre.

Per prenotazioni è possibile inviare una mail a: lebotteghedibergamoalta@gmail.com entro le 18 del venerdì che precede l’appuntamento scelto.

La quota di partecipazione è di 8 euro, viene raccolta in loco prima della partenza e comprende: lezione introduttiva al nordic walking e noleggio dell’attrezzatura, visita guidata di Città Alta e Astino, degustazione dei Formaggi Principi delle Orobie. La durata è di circa tre ore.

Ecco i dettagli

orari- itinerari progetto forme




Moscato di Scanzo, nuova sede per il Consorzio

Moscato scanzNuova sede per il Consorzio Tutela Moscato di Scanzo e per l’associazione Strada del Moscato di Scanzo e dei Sapori Scanzesi. Sarà uno spazio d’incontro, di promozione, di racconto del territorio e della cultura vitivinicola delle Terre del Moscato di Scanzo. L’inaugurazione si terrà in data giovedì 25 giugno alle 18, in via Colleoni 38 a Scanzorosciate. La sala principale, denominata “il Salotto”, sarà dedicata all’avv. Paolo Bendinelli e all’arch. Corrado Fumagalli quale riconoscimento per la passione, l’impegno e la dedizione verso il Moscato di Scanzo; la sala di degustazioni sarà invece dedicata a Gino Veronelli quale ringraziamento per averci sempre sostenuto e spronato ad amare il nostro Moscato di Scanzo. La sede è una porta turistico-culturale di Bergamo, stazione ecomuseale del nascente eco-museo del vino e dei prodotti tipici delle Terre bergamasche. Il progetto è un nuovo concetto di wine design architecture. Un salotto esclusivo, realizzato su due piani all’interno di un palazzo antico nel cuore storico di Scanzorosciate dove potersi immergere nella cultura del vino attraverso la suggestione dei materiali, dei colori e degli allestimenti eco-friendly che giocano con contrasti tra antico e contemporaneo, caldo e freddo, morbido e ruvido creando uno spazio al tempo stesso lussuoso e informale attraverso scenari di luci e forme per un ambiente dall’ atmosfera rilassante quale ricordo del salotto di casa.




Salumi, più facile l’export negli Stati Uniti

salumiUna buona notizia per il settore dei salumi. Le Autorità statunitensi hanno revocato il provvedimento denominato 100% reinspection – ovvero il controllo sistematico di tutte le partite di salumi provenienti dall’Italia che arrivavano in dogana – e rinnovato la possibilità per il ministero della Salute di abilitare nuove aziende italiane all’esportazione negli Usa. “Questo provvedimento, che era stato introdotto a settembre 2013 dalle Autorità americane è stato causa di molti disagi per le nostre aziende esportatrici, sia per la lentezza con cui i nostri salumi avevano accesso al mercato – poiché costretti a stazionare molti giorni presso i magazzini doganali prima di essere campionati – sia per i costi che questo comportava. Le notizie sono un chiaro segno che le Autorità americane considerano nuovamente degno di fiducia il sistema dei controlli italiano. Questo rinnovato clima di collaborazione darà la possibilità di accedere al mercato statunitense da parte di nuovi impianti e faciliterà l’avvio dell’esportazione anche dei prodotti di salumeria a breve stagionatura, quali salami, coppe, pancette, che hanno avuto il via libera formale quasi due anni fa, ma che fino ad oggi non è stato possibile inviare.” ha affermato Nicola Levoni, presidente di Assica, Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi. “Voglio esprimere uno speciale ringraziamento a tutte le Istituzioni che hanno reso possibile questo risultato, dai Ministeri della Salute e dello Sviluppo Economico alla Presidenza del Consiglio e all’Ambasciata italiana a Washington. Quando il mondo produttivo opera in stretta collaborazione con le Autorità pubbliche si creano le condizioni per ottenere risultati come quello di oggi, un chiaro esempio di Sistema Paese che funziona” ha concluso il presidente. Negli ultimi due anni il ministero della Salute, i Servizi veterinari territoriali e tutte le aziende autorizzate ad esportare salumi negli Stati Uniti hanno lavorato molto intensamente, in stretta collaborazione, per consentire alle Autorità statunitensi di continuare a considerare equivalenti i sistemi di ispezione dei prodotti a base di carne adottati nel nostro Paese e negli Stati Uniti, garantendo il pieno rispetto della stringente normativa Usa e assicurando la assoluta sicurezza dei prodotti esportati. L’impegno è stato finalmente premiato e le Autorità americane hanno riconosciuto l’elevato standard dei nostri impianti e dei nostri controlli. E’ da segnalare che nonostante le difficili condizioni di accesso al mercato, anche nel 2014 gli Usasi sono confermati il primo Paese di destinazione Extra Ue per le esportazioni dei salumi italiani con 7.365 ton (+16,4%) per 86,8 milioni di euro (+18%). Dopo questa apertura, che di fatto completa la gamma dei prodotti di salumeria esportabili, ci aspettiamo performance ancora migliori da parte delle nostre aziende.




Martinengo, a cena con Bartolomeo Colleoni

cena medievale martinengoPer un tuffo nel 1400 e una serata dal gusto insolito, il gruppo folcloristico Bartolomeo Colleoni organizza a Martinengo “A cena con i capitani del Colleoni”, banchetto storico nel suggestivo chiostro dell’ex monastero di Santa Chiara (via Allegreni).

Il secondo appuntamento della stagione è sabato 13 giugno alle ore 20. Camerieri in costume serviranno, con stoviglie in legno e terracotta, piatti ispirati al periodo: antipasti vari con verdure, zuppa di zucca, orzo alle verdure, maialino arrosto, brasato d’asino con borragine e fagiolini, formaggi freschi di stalla, dolci di credenza, vin concio e acqua.

Il complesso, fatto erigere dal condottiero per esaudire una richiesta della moglie Tisbe Martinengo in punto di morte, per l’occasione viene illuminato da bracieri e allietato da giullari di corte e danze dell’epoca. Sarà – assicurano gli organizzatori – come vivere una serata ospiti di Bartolomeo Colleoni e della moglie con i loro sette capitani di battaglia.

Il costo è di 30 euro. Prenotazione obbligatoria a www.gruppocolleonimartinengo.it oppure 338 2526790