I prodotti tipici si danno allo street food

È Bergamo la prima tappa di Expoinviaggio, un tour in varie città italiane per raccontare con un format veloce e chiaro le notizie sull’esposizione, il suo impatto economico e gli strumenti per trasformarla in un momento di crescita.

L’iniziativa è realizzata da Italiaonline in partnership con Enel, official global partner di Expo 2015, e propone cinque aperitivi di eccellenza in altrettanti Punti Enel da aprile fino a ottobre. Il “fil rouge” è dato dalla qualità e tipicità dei cibi offerti, garantiti dai produttori scelti dai consorzi agroalimentari ospitati nel portale Foodinitaly.com, la piattaforma recentemente lanciata da Italiaonline che ha messo in rete tutti i prodotti italiani certificati e gli oltre 4.500 prodotti agroalimentari tradizionali.

A cucinare sono degli “street chef” selezionati via Cibodistrada.it, il sito con i migliori locali italiani di street food, accompagnati da schede informative e recensioni originali, che a marzo sono stati protagonisti della prima edizione degli “Oscar del Cibo di Strada”. Gli chef degli aperitivi sono stati scelti perché, oltre ad essere di elevato livello, si distinguono per l’utilizzo di prodotti legati al territorio di provenienza.

A Bergamo l’appuntamento è venerdì 10 aprile dalle ore 17 presso il Punto Enel di viale Vittorio Emanuele, 2. Saranno presenti i produttori Rasmo Salumi (salame Goccia Brembana con formaggio Branzi, salame alla birra), Ivano Cattaneo (Bitto e Formai de Mut), Arrigoni Formaggi (Taleggio Dop, Gorgonzola Dop, Quartirolo Dop) e la Cantina Sociale Bergamasca con il vino Valcalepio. Gli street chef saranno Marco Pirovano del Polentone, che porterà in degustazione biscotti di polenta, e Emanuel Caleca del Caffè Centrale, che porterà in degustazione la “spinata” fatta con mais Spinato di Gandino.

Dopo la tappa di Bergamo, gli aperitivi di Expoinviaggio proseguiranno a Cuneo il 21 maggio, Mantova il 19 giugno, Alessandria il 24 settembre e Pavia il 22 ottobre.




Quella cucina di Bergamo tra pesce e cibi di magro

All’assiomatica ineluttabilità del “facta lex, inventa fraus” pare non riescano a sottrarsi neppure le sacrali direttive della Chiesa. Ne è impareggiabile attestazione il singolarmente ottemperante regime quaresimale cui nel tredicesimo secolo, secondo le cronache di Salimbene da Parma, si atteneva il Patriarca di Aquileia. Il mercoledì delle ceneri l’alto prelato usava celebrare l’avvio del percorso penitenziale facendosi imbandire un banchetto di ben quaranta portate – tutte rigorosamente di magro. L’ineffabile presule procedeva poi a depennare dal pantagruelico menù una vivanda al giorno, giungendo in tal modo a santificare la vigilia della Pasqua con una claustrale refezione consistente in un’unica pietanza.

Se lo spirito del precetto di continenza alimentare durante i tempi di espiazione risulta di inossidabile chiarezza, la lettera della regola ha invece subito profonde mutazioni nel corso del tempo. La dieta paleocristiana di magro rispondeva infatti a canoni che oggi sarebbero classificati come strettamente vegani, dato che da essa era bandito non solo ogni cibo di origine animale, ma addirittura il pesce. Il consumo di quest’ultimo – destinato a divenire indiscusso emblema della cucina quaresimale – fu consentito a partire dal VII secolo, mentre uova e latticini vennero sdoganati solo nel 1365 dal concilio di Angers. E non è troppo distante dal vero chi insinua che una delle chiavi di successo della riforma luterana fu rappresentata dalla soppressione dell’obbligo di astensione dalle carni, a quell’epoca vigente almeno per un terzo dell’anno, particolarmente inviso alle voraci popolazioni di ceppo germanico.

È dunque assodato che la suddivisione dell’anno religioso in tempi “di grasso” e “di magro” abbia dato origine a due distinti filoni alimentari, nettamente scissi per natura delle proteine e dei grassi utilizzati. Per quasi quindici secoli alla cucina della carne e del lardo si è così alternata una cucina ittica e dell’olio, con una cadenza puntualmente scandita dalle partizioni del calendario liturgico.
All’interno di questo sistema di riferimenti, desta stupore che, in una parcella di cristianità di stretta osservanza quale il distretto di Bergamo, la tradizione gastronomica locale assegni al pesce una collocazione tutto sommato marginale. Scorrendo l’esauriente ricettario bergamasco compilato da Silvia Tropea Montagnosi per le edizioni Bolis, si riscontra ad esempio che, delle 333 pietanze illustrate, soltanto una quindicina – tra le quali più d’una di evidente origine allogena – recano una chiara impronta ittica. La cucina di magro risulta semmai più compiutamente rappresentata nella gran copia di preparazioni di impianto distintamente vegetariano – dalle zuppe montane di erbe spontanee ai capù magher, da bardéle e foiade condite di soli burro e cacio alle innumerevoli declinazioni della polenta.

Eppure molteplici riscontri indicano con univocità che in più di una fase storica il pesce – e segnatamente quello d’acqua dolce – abbia rappresentato una risorsa tutt’altro che secondaria nel sistema alimentare dei nostri antenati. Già in età medioevale gli statuti della nostra città disciplinavano il commercio delle derrate ittiche con un grado di dettaglio che ne sottendeva lo status di prodotto di largo consumo. La compravendita doveva essere anzitutto tassativamente concentrata presso l’area a ciò deputata nell’antica Piazza di San Vincenzo, prospiciente il Fontanone, per consentire ai Giudici delle Vettovaglie di esercitare con sollecitudine i prescritti controlli sul rispetto delle normative sanitarie. I prezzi erano inoltre assoggettati ad un regime amministrato – denominato calmedrio – che regolava le quotazioni dei generi di prima necessità, tra cui anche grani e carni. I diritti di pesca nelle acque del contado erano infine contingentati così da assicurare al capoluogo approvvigionamenti quanto più regolari.

V’è peraltro evidenza che a quei tempi i pescatori bergamaschi stentassero a stare al passo con la sostenuta domanda urbana. Le autorità municipali dovettero quindi far a diverse riprese ricorso anche a fornitori forestieri, come attestato dal contratto con un pescatore di Olginate – tale Pietro Testori – stipulato nell’aprile del 1553. Questi si impegnava per un anno a recare in città prefissati quantitativi di pesce (trenta pesi il venerdì, quindici le vigilie delle festività di precetto e venticinque ogni giorno di qua-resima) da vendersi a tariffe convenute nell’accordo, con l’avvertenza che non si trat-tasse di pescato “di fossa, ma di buoni laghi, & Adda”.

Dalle rilevazioni del calmedrio riportate nell’Effemeride di Donato Calvi, si ricava comunque che nel XVI secolo i prezzi per unità di peso delle derrate ittiche andassero da due – per le varietà a più buon mercato quali barbi, cavedani e lucci – a tre volte – per i generi più prelibati quali trote, tinche e persici – il costo della più dispendiosa tra le carni, quella di vitello. Da ciò traspare che il pesce non fosse certo cibo per tutte le tasche: il suo consumo era semmai appannaggio dei ceti cittadini più abbienti. Nel contado ci si doveva invece contentare – si fa per dire – di gamberi, bisséte (le piccole anguille di roggia) e rane, di cui allora abbondavano i corsi d’acqua della campagna.

E siccome, a prestar fede a Gabriele Rosa, l’aristocrazia bergamasca di quell’epoca usava soggiornare assai più lungamente nei poderi in villa che nelle dimore urbane, non sorprende affatto che il pescato di fosso finì per spopolare anche nella cucina no-biliare e borghese. Su di esso fa infatti perno la seicentesca suppa quaresimata del Cocho Bergamasco, nel cui retrospettivo brodo, dalla medievaleggiante tendenza agrodolce, finiscono a mollo anche le lumache. Gamberi e rane conferiscono inoltre nerbo al fumetto dell’ottocentesca versione di magro della minestra di pasta alla bergamasca proposta dall’anonimo estensore de “Il cuoco economico moderno”, e ani-mano diverse tra le ricette che al tramonto del secolo romantico il concittadino Giuseppe Riva dedicò ai tempi di astensione dalle carni nel suo pur esterofilo “Trattato di cucina semplice”. Non ve ne sarà forse a sufficienza per cavarne un menù per il mercoledì delle ceneri degno del Patriarca di Aquileia, ma certo neppure per decreta-re che dall’associazione alla cucina di pesce del gastrotoponimo “alla bergamasca” debba giocoforza promanare l’ambiguo sentore dell’ossimoro.




Happy Salad, frutta e verdura rivoluzionano il take away

happy salad Davide Reposo e Antonio Tornitore
Davide Reposo e Antonio Tornitore

Appassionati di alimentazione “alternativa”, loro per primi erano alla ricerca di una pausa pranzo o di una cena da asporto diversa, che potesse essere veloce e gustosa, ma anche sana e leggera. Alla fine, ciò che cercavano se lo sono creati da sé, aprendo nel settembre scorso a Bergamo, in via Masone 3, Happy Salad. Un locale che rende protagonisti verdure, frutta e cereali, cucinati senza grassi e con la volontà di esaltarne i sapori e le proprietà naturali. È così che Antonio Tornitore, 40 anni, e Davide Reposo, 39, già impegnati nel commercio ma in qualità di dipendenti, rispettivamente nel settore abbigliamento e auto, sono passati dall’altro lato dell’impresa.

Lo spazio è piccolo, circa 30 metri quadrati con 7/8 posti, e l’attività è improntata sul take away, con confezioni pensate per il consumo immediato e per essere riscaldate. C’è anche il servizio di consegna a domicilio in centro. La scelta di campo è per frutta e ortaggi biologici, di cui principale fornitore è la cooperativa Aretè di Torre Boldone. In primo piano ci sono le insalate, che ognuno può comporre da sé selezionando, anche tramite l’ordine on line, gli ingredienti a disposizione, oppure scegliendo tra due proposte “della casa” diverse ogni settimana. Ma ci sono anche tramezzini (già diventati un cult del locale), estratti di frutta, insalate di cereali, zuppe e vellutate, piatti unici come il cous cous con pollo e verdure e ancora polpette di riso o caponata di verdure e via con le varianti di stagione.

Il segreto per rendere gustose proposte che ai più scettici potrebbero sembrare noiose è la semplicità. «Cuciniamo con un forno a vapore – evidenzia Tornitore -, che permette di esaltare al meglio i sapori e conservare le proprietà nutrizionali. Le ricette le mettiamo a punto personalmente, anche se, in realtà, non c’è gran che da inventare quando la qualità della materie prime è buona e si rispettano gli ingredienti». «Recentemente – nota – abbiano preparato al vapore i pizzoccheri e sono stati un successo. Questa cucina, insieme con la scelta di prodotti biologici, è alla base di una rieducazione e riscoperta dei sapori originari che la clientela oggi dimostra di ricercare e apprezzare. Sale, burro e altri condimenti non fanno che appiattire il gusto e appesantire i piatti. Aprendo Happy Salad ci siamo resi conto di non essere i soli a coltivare questa idea di alimentazione e che la gente era pronta per una proposta di questo tipo. Siamo soddisfatti dell’avvio, felici di proporre pasti nutrienti, appaganti e leggeri». E riprendere il lavoro in ufficio è più facile!




Pasquetta, al castello di Malpaga “assalto” ai prodotti tipici

È piaciuta davvero la Pasquetta proposta da Confagricoltura Bergamo al castello di Malpaga: un pic nic apparecchiato da ben 30 aziende agricole che nelle proprie postazioni hanno proposto prodotti e piatti tipici. La bella giornata, lo scenario storico, le iniziative di intrattenimento organizzare a corollario – come le visite al castello, gli spettacoli in costume, l’area didattica e l’esposizione di carrozze – hanno fatto il resto regalando alla manifestazione quasi 8mila presenze e un bilancio sopra ogni aspettativa. L’evento, dal titolo “Enogastronomia, storia e tradizione”, è stato realizzato nell’ambito del progetto di Confagricoltura “Expo… anch’io”, progettato in avvicinamento all’esposizione universale di Milano e al suo tema “Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita”. L’alimentazione si è così intrecciata con la promozione della produzione agricola, l’enogastronomia, ma anche con la storia e l’arte del territorio.




Bottura: “Meglio un’acciuga che un tonno dell’oceano indiano”

BotturaL’Expo è “un’occasione che l’Italia non può sprecare” visto che c’è la possibilità “di dimostrare chi siamo”: l’esposizione di Milano è l’ultimo campo d’azione di Massimo Bottura, alfiere della cucina italiana contemporanea e testimonial della nuova “responsabilità sociale” dello chef. Con la Caritas Ambrosiana e un team di architetti, designer, artisti e chef di livello internazionale, è nata l’iniziativa di lotta agli sprechi di cibo. “Era giusto dare un esempio, così – dice Bottura in una lunga intervista con l’Ansa – nel Refettorio 2015 trasformeremo con i miei amici (ci saranno tra gli altri, Rene Redzepi, Ferran Adria, Yoshihiro Narisawa e Luca Fantin, ndr) gli avanzi quotidiani dei padiglioni per pasti gratuiti. Vista l’eco, la Caritas ci ha chiesto di estendere il progetto dal mese e mezzo iniziale a tutti e sei mesi dell’Expo per creare la base solida di un lascito alla città di Milano”. Tra gli altri impegni Expo, “ho avuto l’invito dal padiglione americano il 4 luglio”, racconta divertito (“farò qualcosa di americano visto da un italiano”). Poi altri eventi che includono la regione Emilia-Romagna e il padiglione central del design, ma il tema guida della manifestazione (“nutrire il pianeta, energia per la vita”) lo riporta su “temi seri”, come la responsabilità sociale dello chef. “Il cibo è condividere con gli altri, è inaccettabile che se ne sprechino 1,3 miliardi di tonnellate all’anno, sufficienti a sfamare quattro volte chi ne ha bisogno”, rileva l’arcichef emiliano, che a marzo da San Sebastian ha lanciato con gli amici “chef internazionali” la campagna sul consumo di pesce azzurro (“un’acciuga e una sarda nelle mani giuste danno più emozioni, sono meglio di un tonno pescato nell’oceano Indiano e arrivato in Italia zeppo di conservanti”). La responsabilità sociale e la cultura sono la bussola degli chef. “Così è nato il Riso, cacio e pepe del 2012, divenuto un simbolo di speranza e che ha aiutato a vendere 360mila forme di parmigiano danneggiate dal terremoto” dell’Emilia. “Attraverso la cultura si arriva alla conoscenza che apre le porte alla coscienza che porta al senso di responsabilità”.




Otus, a Seriate è nato un nuovo birrificio. La prima etichetta dedicata a Palma il Vecchio

Bda sinistra - Agazzi Ruben, Barni Micaela, Bertolini Mauro (birraio), Cremonesi Anna (presidente) e Rota Giampietro
Da sinistra: Ruben Agazzi, Micaela Barni, Mauro Bertolini (il birraio), Anna Cremonesi (presidente di Otus) e Giampietro Rota della 4R

C’è un nuovo birrificio a Bergamo. Si chiama Otus – dal nome latino della famiglia degli Strigidi, gli uccelli rapaci notturni come gufi, allocchi e civette –  e ha sede a Seriate. Nasce dalla volontà di un gruppo di amici accomunati dalla passione per la birra e animati dall’idea di creare una nuova esperienza imprenditoriale con valori ben definiti. La società, costituita lo scorso anno, aggrega 25 soci tra persone singole e soggetti giuridici. Pur con una compagine sociale di provenienze territoriali differenti, la scelta è stata quella di costituire un birrificio legato al territorio bergamasco, in grado di sviluppare una produzione di qualità (il birraio è Mauro Bertolini), con ingredienti e procedure naturali, che valorizzino l’appartenenza orobica, mantenendo uno sguardo ed un’attenzione aperti anche all’esterno. Di qui la scelta di collocare il Birrificio a Seriate e, tramite alleanze strategiche, puntare a una birra artigianale d’eccellenza. La produzione si attesterà sui 100mila litri annui (ma il potenziale può arrivare al milione) mentre la distribuzione è affidata alla 4R di Torre de’ Roveri, socio del birrificio e storico distributore di bevande sul territorio di Bergamo, che mette a disposizione le proprie competenze e professionalità. Prezzo medio al pubblico per la bottiglia da 75cl è di 8 euro, con un ricarico massimo di 4 euro se servita in un locale.

“Otus – annota la presidente del birrificio, Anna Cremonesi – vuole promuove una cultura del bere che ritorni al territorio, ma non solo. Una parte di rilievo è rappresentata dalla responsabilità sociale e ambientale. La prima declinata con l’impegno che abbiamo preso di inserire nel nostro ambiente lavorativo persone svantaggiate grazie alla Cooperativa Aeper, socia del birrificio (gestisce anche la Locanda dei Golosi di Villa d’Almé), che ha fatto del volontariato e dell’attenzione agli ultimi i principi guida delle sue attività. La seconda con la scelta di utilizzare materie prime di provenienza biologica, il più possibile di produzione locale”.

Territorio vuol dire anche arte e cultura. E non a caso, la prima birra prodotta – e che sarà commercializzata a giorni – è stata dedicata a Palma al Vecchio. Una produzione che andrà ad inserirsi nella linea denominata ‘Art Collection’, che si affiancherà alle linee Classica e Special. Otus

impianto otus (1)La birra del Palma è birra speciale, ambrata chiara, ottenuta da una ricetta dedicata, aromatizzata al ginepro, che prevede l’utilizzo di miele prodotto dall’agriturismo La Pèta di Costa Serina, proprio per rimarcare non solo la territorialità dell’ingrediente ma anche i natali dell’artista. Nel frattempo hanno già preso vita anche una birra chiara doppio malto e una birra speciale rossa, sempre dedicate al Palma. A seguire verranno commercializzate la bionda B5, la rosso R5.5 e la doppio malto chiara OS7. Ogni birra prodotta da questo nuovo birrificio ha come denominatore comune il fatto di non essere né pastorizzata né filtrata. Grazie poi all’accordo concluso con la Domus Bergamo, in piazza Dante, queste birre possono essere degustate in anteprima anche in fusto nell’esclusivo contenitore PolyKeg che chiaramente, in piena sintonia con gli obbiettivi sociali, è totalmente riciclabile.

Birrificio Otus srl

via Rumi,  7  – Seriate (BG)

telefono 035.29.64.73

www.birrificiootus.com

commerciale@birrificiootus.com

 

 

 

 

 




Mais Spinato e Dolcetto d’Ovada: da M1lle una serata sulle tracce di Garibaldi

mais m1lleIl mais Spinato di Gandino prosegue il proprio tour in città sulle orme dei grandi del passato. “Sposato” a Palma il Vecchio nella proposta gastronomica dedicata alla mostra del ristorante Da Mimmo in città alta, in città bassa si lega invece a Garibaldi nella serata “I M1lle sapori del Mais spinato di Gandino”, in programma mercoledì 15 aprile. L’appuntamento è al ristorante M1lle Storie e Sapori di viale Papa Giovanni XXIII ed ha come filo conduttore l’eroe dei due mondi, che, affascinato dallo scarlatto di Gandino, fece tingere proprio in valle le camicie rosse delle proprie formazioni. La biografia e le imprese del condottiero ispirano un viaggio sensoriale attraverso i sapori di Nizza, Piemonte, Veneto fino a Marsala. In primo piano, oltre allo Spinato locale, il Dolcetto di Ovada dell’azienda agricola Rossi Contini di San Lorenzo d’Ovada. Il rapporto tra la Comunità del mais e il ristorante proseguirà niente meno che a Expo. Lo chef Giampaolo Stefanetti sarà infatti impegnato negli showcooking che affiancheranno la presenza del progetto gandinese nel cluster dei cereali.




Pasqua al ristorante, previsioni al ribasso

pranzo-di-pasquaFlessione in vista per la clientela dei ristoranti nei giorni di Pasqua. È quanto emerge dall’indagine condotta dal Centro Studi della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi analizzando i risultati dell’indagine promossa sui locali italiani. Nel giorno di Pasqua si prospetta in particolare un calo delle presenze dell’11%, mentre per il giorno successivo, solitamente deputato alle gite fuoriporta, la percentuale sfiora ben il 15%. «In questi giorni si sente parlare di ripartenza, di luce in fondo al tunnel: purtroppo questo clima di fiducia non sembra avere ripercussioni positive nel settore della ristorazione. In occasione delle festività pasquali gli italiani che festeggeranno fuori casa saranno assai meno dello scorso anno – commenta Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi Fipe. -. I motivi principali risiedono anche in fattori indipendenti dalla congiuntura economica, in primis le previsioni meteo non favorevoli e il calendario che quest’anno vede la Pasqua agli inizi di aprile, periodo non ancora spiccatamente primaverile. Tutti fattori che concorrono ad alimentare ancora un senso di incertezza e la poca voglia di recarsi fuori casa».

I dati

Analizzando nello specifico i dati della Fipe, è possibile vedere quanto la Pasqua “bassa” incida anche sull’attività dei ristoratori: a fronte di una clientela prevista intorno ai 6,4 milioni per una spesa totale di 264 milioni di euro, i ristoranti in attività saranno il 92% del totale contro il 94% dello scorso anno. Per il 32% dei ristoratori intervistati la clientela da servire per il pranzo di Pasqua sarà inferiore a quella del 2014, con 3,6 milioni di unità previste, ma non manca un 13% che si mostra più ottimista.

La flessione è data sostanzialmente dagli italiani che restano in città, mentre non sembrano diminuire le presenze straniere.

Il menù

Convenienza e qualità sembrano le preferenze quando si parla di menù pasquale. Prevale in particolare il menù “a pacchetto” (scelto dal 59,4%), ad un prezzo medio di 45 euro in lieve aumento sul 2014 per due punti percentuali. La spesa prevista sarà di 162 milioni di euro con una flessione del 9% sul 2014. Le scelte saranno concentrate su proposte tradizionali (65,8%), ma in poco meno di un ristorante su tre si darà spazio alla reintrepretazione creativa della gastronomia locale. La cucina internazionale sarà invece scelta solo da un risicato 6,1% degli avventori.

Tra i piatti in prima linea secondi come agnello e capretto, seguiti da primi come pasta ripiena e risotti; per quanto riguarda i dolci le proposte predilette saranno “classici” come pastiera napoletana, “pupa” molisana, seadas sarde, struffoli e salame di cioccolato. Rispetto alla Pasqua 2014 i menù saranno maggiormente orientati alla presenza di piatti della tradizione gastronomica locale, all’insegna della filiera corta.

Da segnalare l’impegno dei ristoratori nell’intervenire sulla struttura dei menù (per quanto concerne numero di portate, proposte “tutto compreso”), allo scopo di migliorare il rapporto qualità/prezzo per contenere il più possibile i costi. Un ristoratore su tre manterrà invece il menù studiato per lo scorso anno.

La gita di Pasquetta

Il Lunedì dell’Angelo, giorno tradizionalmente dedicato al fuoriporta e al fuori casa, vedrà, secondo i dati Fipe, una flessione di clienti di ben il 15%, in un quadro che vedrà aperti 8 ristoranti su 10, in leggero aumento rispetto allo scorso anno. Il 28% degli esercenti intervistati è meno ottimista rispetto al 2014: la previsione è di 2,8 milioni di clienti con una flessione del 15% sul 2014 come conseguenza di un tasso di riempimento del 65%.

A Pasquetta il ristorante è meta soprattutto di turisti, sia italiani che stranieri, mentre i “locali” rappresenteranno il 40%. Parlando di menù, la proposta “all inclusive” riguarderà solo un ristorante su quattro ad un prezzo medio di 37 euro in crescita dello 0,7% rispetto al 2014. La spesa prevista in questo caso è di circa 102 milioni di euro.




Pasquetta, al Castello di Malpaga pic nic servito da 30 aziende agricole

Un’idea diversa per il pic nic di Pasquetta? La propone Confagricoltura con l’evento “Enogastronomia, storia e tradizione” al castello di Malpaga (Cavernago – Bg), che lunedì 6 aprile si anima di produttori dai quali acquistare direttamente piatti e prodotti da gustare nel fossato della dimora colleonesca, utilizzando come sedute e appoggi rustiche balle di fieno. Non serve quindi portarsi il cestino, basterà passeggiare tra i ben 30 espositori presenti sull’aia del cortile laterale del castello e comporre il proprio pranzo, spuntino o merenda acquistando tra ciò che piace di più. La scelta è davvero ampia e comprende proposte di cucina come risotti o persino le lumache, in tema con l’atmosfera d’altri tempi, e poi formaggi vaccini e caprini, salumi, birra agricola artigianale, vino, e ancora miele, confetture, olio per riempire la dispensa di casa di tipicità .

Il tutto in una cornice speciale data dal castello, aperto per le visite guidate, ma anche da spettacoli ed esibizioni in costume rinascimentale, un’area didattica, un’esposizione di carrozze. Non si tratta, quindi, di un semplice mercato, ma di un’occasione per trascorrere buona parte della giornata (la manifestazione si apre alle 10 e si conclude alle 18) all’aria aperta e alla scoperta della storia del territorio e dei prodotti dell’agricoltura.

L’iniziativa è realizzata nell’ambito del progetto di Confagricoltura “Expo… anch’io” ed è un evento in avvicinamento all’esposizione universale di Milano e al suo tema “Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita”. L’alimentazione si intreccia così con la promozione della produzione agricola, l’enogastronomia, ma anche con la storia e l’arte di territori.




Sarnico, tre giorni di festa del cioccolato

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Sarnico rende omaggio al cioccolato con una manifestazione dedicata. Dal 4 al 6 aprile, dalle 10 alle 20, Piazza Umberto I ospita ‘Sarnico Choco Party’, che propone un intero weekend (lungo per via di pasquetta) di appuntamenti golosi all’insegna di tavolette,  cioccolatini e praline, con bancarelle, momenti di intrattenimento e laboratori per bambini.