Treviglio, sconto Tari per chi apre negozi e esenzione Tosap per chi ristruttura

L’amministrazione comunale di Treviglio sta dando concretezza alle azioni contenute nel progetto #centro25, premiato nell’ambito del bando Sto@2020 con un contributo complessivo di 130mila euro da parte di Regione Lombardia. Gran parte di questo contributo, per un importo pari a 82mila euro, è stato destinato al progetto di valorizzazione dei negozi sfitti che si trovano nell’area meridionale del DUC (Distretto urbano del commercio) di Treviglio. Nei giorni scorsi sono stati erogati i primi 34mila euro per la riqualificazione esterna di quattro attività e interventi di miglioramento dei servizi alla clientela o al cittadino. Si tratta per ora di un bar, un negozio di abbigliamento, un ristorante e un’insegna specializzata nell’arredamento.
L’Amministrazione comunale ha approvato l’esenzione totale dal pagamento della Tosap per il 2017 e 2018, per tutti gli operatori che effettuano interventi di abbellimento e riqualificazione esterna (“tassa sui ponteggi”), in locali sia sfitti che precedentemente occupati nel perimetro del DUC.
Ma le iniziative di sostegno al commercio previste da tale progetto non si concludono qui: la Giunta ha infatti deliberato una riduzione del 50% della Tari, per l’anno 2018, per le attività coinvolte dal progetto fino a un importo massimo di 500 euro (per un periodo di 12 mesi dalla data di erogazione del contributo previsto). L’importo della riduzione è calcolato direttamente dall’Ufficio Tributi sulla base degli atti d’ufficio e delle segnalazioni pervenute dal SUAP (Sportello Unico Attività Produttive).
Il bando (con il modulo della domanda) è reperibile sul sito del Comune di Treviglio e nella sezione news del portale www.sportellounicotreviglio.it. Lo Sportello Suap resta a disposizione per le informazioni e i chiarimenti del caso. L’importo massimo erogabile a ciascuna impresa è pari al 70% delle spese ammesse e per un importo massimo di 10mila euro. Il bando resterà aperto fino al 30 settembre 2018 e comunque sino a esaurimento delle risorse.




Città Alta a lume di candela, Ascom aderisce a “M’illumino di meno”

Ascom aderisce anche quest’anno alla campagna “M’Illumino di meno”, con cui il Comune di Bergamo spegne le luci del suo luogo simbolo, Città Alta. Il 23 febbraio, per sensibilizzare al risparmio e a un più corretto consumo energetico, dalle 22 alle 23 l’illuminazione pubblica di Bergamo Alta starà in stand by per lasciare che a creare un’atmosfera soffusa e affascinante tra le vie del centro storico siano decine di candele.  “M’illumino di meno” è la più grande campagna radiofonica di sensibilizzazione sui consumi energetici e la mobilità sostenibile: ideata dalla trasmissione Caterpillar di Rai Radio2, l’iniziativa giunge quest’anno alla sua dodicesima edizione e si svolge, in ambito nazionale, con l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, del Parlamento Europeo e l’adesione di Senato e Camera dei Deputati. L’edizione 2018 sarà l’occasione per festeggiare anche il compleanno del Protocollo di Kyoto, il tentativo dell’umanità di salvare la Terra dallo sconvolgimento dei cambiamenti climatici.
Bergamo risponde con un fitto calendario di eventi: i ristoranti proporranno cene a lume di candela, si svolgeranno concerti di musica classica a luce soffusa, sarà possibile visitare la Basilica di Santa Maria Maggiore e le sue tarsie, il Monastero del Carmine, grazie alla collaborazione del Teatro Tascabile di Bergamo, e il Campanone (al costo di solo 1 euro per biglietto) fino alle ore 23. Inoltre durante i rintocchi del Campanone, piazza Vecchia sarà completamente al buio, illuminata solo da candele. Spettacoli itineranti di trampolieri e giocolieri accompagneranno la serata rendendola ancora più magica.
Dalle 20 a mezzanotte si istituisce la tradizionale Zona Traffico Limitato di Bergamo Alta, come avviene nelle serate estive: un incentivo alla mobilità sostenibile e al trasporto pubblico, un modo per sensibilizzare a un consumo più responsabile anche per quanto riguarda gli spostamenti in città. Il servizio della Linea 1 per Largo Colle Aperto è quindi intensificato dalle 19:30 fino alle 00:30. I ristoranti e i locali aderenti all’iniziativa omaggiano i clienti di un biglietto Atb valido per il ritorno, presentando quello utilizzato per l’andata.
I biglietti per Città Alta possono essere acquistati fino all’orario di chiusura alla Stazione di Bergamo presso le biglietterie della stazione treni, bus e tram, alle emettitrici automatiche presenti alle fermate (Stazione, Porta Nuova, viale Vittorio Emanuele) e sui mezzi ATB o tramite l’app ATB Mobile. Tutte le informazioni, gli orari, la newsletter e l’ultimo minuto Atb sono disponibili sul sito di Atb Bergamo.
Uno speciale contest fotografico organizzato da Visit Bergamo accompagnerà la serata, un concorso destinato a premiare i migliori scatti della serata dedicati alla suggestiva atmosfera di Bergamo Alta. Il concorso, a partecipazione gratuita, sarà aperto a tutti dal 19 febbraio 2018 alle 12:00 alla mezzanotte del 28 febbraio 2018. Due le categorie di gara: una dedicata alla serata dell’evento “M’illumino di meno” e una dedicata agli stili di vita sostenibili, dal titolo “L’energia in uno scatto”. Mentre le immagini in concorso per la prima categoria “M’illumino di meno” dovranno concentrarsi su Bergamo Alta al buio o a lume di candela, il concorso “L’energia in uno scatto” avrà come riferimento stili di vita sostenibili.  Il regolamento del concorso è pubblicato ,
Anche nell’edizione 2018 artisti di strada delle compagnia teatrale Ambaradan animeranno la serata con performance di luce e di fuoco. Novità di questa edizione sarà la presenza di allievi del Conservatorio Gaetano Donizetti,  con gli studenti che saranno impegnati in concerti durante l’arco della serata. Gli eventi sono promossi dal Comune di Bergamo, Ascom, Atb Azienda Trasporti Bergamo, Confesercenti, Distretto Urbano del Commercio, Comunità delle Botteghe di Bergamo Alta, VisitBergamo, Museo delle Storie di Bergamo, Fondazione MIA, Conservatorio Gaetano Donizetti, Teatro Tascabile di Bergamo con il contributo della compagnia teatrale Ambaradan.




San Valentino, si festeggia tra fiori, cuori, biscotti e menù a tema

Entra nel vivo  la caccia al regalo per San Valentino. Oggi si concentrano gli acquisti  last second e si sceglie in fretta e furia tra i menù dei ristoranti per una cena romantica. Se non si usa più prenotare composizioni in anticipo, i fioristi hanno oggi davanti un’intensa giornata di lavoro: “Il classico mazzo di fiori la fà da padrone, ma non mancano idee diverse per proporre la canonica rosa rossa, dalle minicomposizioni ai cestini, dai fiori in scatole di latta e vetro, all’uso di materiali bio e terracotta- commenta Adriano Vacchelli, presidente del Gruppo Fioristi Ascom -. Il budget va dai 15 ai 25 euro”.
Nei ristoranti la cena a lume di candela resta un appuntamento tradizionale duro a tramontare: trattorie e pizzerie per i più giovani, locali più blasonati per gli over 30. “Le prenotazioni non mancano, anche se la sensazione è che si spalmino sull’intera settimana. Qualcuno ha anticipato la festa lo scorso week-end, altri rinvieranno a questo fine settimana- commenta Petronilla Frosio, presidente del Gruppo Ristoratori Ascom-. Quest’anno San Valentino cade nel primo giorno di Quaresima e non mancheranno menù più light. Spazio alla fantasia per allestimenti rosso-cuore e per dolci e mise en place a tema”.
Vanno alla grande i piccoli pensieri, sfornati dalle panetterie che affiancano una proposta di pasticceria: “Per San Valentino si sforna con ancora più amore – commenta con un sorriso il presidente dei panificatori Aspan Massimo Ferrandi- . Si va dal pane a forma di cuore, a quelli con iscritta la classica freccia di Cupido ai dolci con messaggi d’amore, dalle torte ai biscotti glassati con tante frasi per far breccia nel cuore. Sarà la crisi, ma i dolcetti vanno a ruba: la spesa va dai 2 ai 10 euro, un piccolo budget per onorare la festa senza strafare”.
C’è anche chi stupisce con un gioiello o un regalo importante per rendere indimenticabile San Valentino: “La sensazione è che gli acquisti però quest’anno siano ridotti al lumicino- commenta il presidente del Gruppo Gioiellieri e Antiquari Alessandro Riva-. Il ponte di Carnevale non incentiva acquisti, specialmente importanti e la città, complice la chiusura delle scuole, si è svuotata per il fine settimana”.
La giornata di San Valentino interessa a Bergamo 2.134 imprese (Dati Ascom, Dicembre 2017), di cui 346 in città. Sono coinvolti nella festa dei fidanzati 1.285 ristoratori (di cui 213 in città), 296 fioristi (di cui 37 in città), 368 panettieri (di cui 44 in città), 185 gioielleri e orefici (di cui 52 in città).




Auto usate, Bergamo è la terza provincia per passaggi di proprietà

Il mercato delle auto usate piace sempre più, in cui l’attenzione ai consumi e all’impatto ambientale inizia a essere una leva determinante nelle scelte dei consumatori. Bergamo è la terza provincia lombarda per numero di passaggi di proprietà, dopo Milano e Brescia.
La Lombardia ha registrato nel 2017 rispetto all’anno precedente, un incremento delle vendite del +4,6%. Il prezzo medio delle vetture offerte sul mercato è pari a € 14.000 – un dato superiore alla media nazionale -, mentre l’età media delle auto in vendita è di 7,5 anni, a testimonianza che oggi l’auto si sostituisce più per necessità.
Cosa ricercano gli acquirenti in Lombardia? Si fa più attenzione all’aspetto “green”, anche se il prezzo medio per le vetture ibride ed elettriche usate si attesta a € 20.240.
Questo il quadro che emerge dall’Osservatorio di AutoScout24 (www.autoscout24.it) sul mercato delle auto usate in Lombardia nel 2017.
Secondo l’elaborazione del Centro Studi di “AutoScout24” su base dati ACI, nel 2017, rispetto all’anno precedente, i passaggi di proprietà in Lombardia sono infatti aumentati del +4,6%, raggiungendo 466.741 atti. Un dato che posiziona la regione al primo posto in Italia, ma se si confrontano i dati con la popolazione residente (oltre 18 anni), con 565,9 passaggi netti ogni 10mila abitanti passa al 16° posto.
I passaggi di proprietà aumentano in tutte le province e ai primi posti per numerosità troviamo Milano (134.403), Brescia (64.444) e Bergamo (52.514), seguite da Varese (45.338), Monza e Brianza (39.623), Pavia (28.600), Como (27.788), Mantova (20.538), Cremona (17.126), Lecco (15.706), Lodi (11.157) e Sondrio (9.504).
Ma rispetto alla popolazione residente (oltre i 18 anni), la situazione è ben diversa: sul podio troviamo Sondrio con 632,2,6 passaggi ogni 10mila abitanti, Brescia (627,2) e Pavia (621,2). Seguono nell’ordine Varese (617,1), Mantova (600,6), Lodi (591,7), Bergamo (584,2), Cremona (571,9), Lecco (562,7), Como (561,6), Monza e Brianza (556,1). Milano è ultima con 505,4.
Ma cosa accade sul fronte dei prezzi delle auto in offerta sul mercato in Lombardia? Sempre nel 2017, il prezzo medio di vendita si attesta a circa € 14.000, un dato superiore alla media nazionale pari a € 12.170.
Per acquistare una vettura, tra le province “più care” troviamo ai primi posti Brescia, con un prezzo medio di € 17.230, e Cremona con € 16.195. Seguono Bergamo con € 15.200, Milano con € 14.810, Monza e Brianza con € 14.750, Mantova con € 14.740, Lecco con € 14.420 e Varese con € 12.990. Più “economiche” Pavia (€ 10.655), Lodi (€ 11.985), Sondrio (€ 12.520) e Como (€ 12.585).
Qual è l’età media delle vetture proposte nella regione? L’età media è di 7,5 anni, un segno evidente che sono tanti i consumatori che pianificano la sostituzione della propria vettura per necessità più che per “sfizio” e voglia di cambiare.
Cosa cercano gli acquirenti in Lombardia? Aumenta l’attenzione nei confronti di vetture usate ecologiche e orientate ai bassi consumi, con una crescita delle richieste nel 2017, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, del +37%. Questo nonostante il prezzo medio per le vetture ibride ed elettriche usate si attesti a € 20.240. Per quanto riguarda i modelli “green” più ricercati, ai primi posti troviamo le Toyota Auris e Yaris.




Al via il bando Mise per la digitalizzazione delle Pmi

Dal Ministero dello Sviluppo Economico arriva un bando di finanziamento a fondo perduto per la digitalizzazione delle imprese del commercio e del turismo.  Grazie al Bando Mise, le micro, piccole e medie imprese possono fruire di un voucher di importo fino a 10mila euro per interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico. Il voucher può essere richiesto per l’acquisto di software, hardware e/o servizi specialistici che aiutino a modernizzare l’organizzazione aziendale attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici e di forme di flessibilità del lavoro, a sviluppare soluzioni di e-commerce e a fruire della connettività a banda larga e ultralarga o del collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare. È  anche finanziata la formazione qualificata del personale nel campo della tecnologia dell’informazione e della comunicazione, ICT – Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher, nella percentuale massima del 50 per cento del totale delle spese ammissibili. La presentazione della domanda, attraverso un servizio messo a disposizione ai nostri associati a tariffe convenzionate, è prevista dal 15 gennaio al 9 febbraio.  Chi è interessato, per avere informazioni e assistenza sia per la predisposizione e l’inoltro della documentazione che per la rendicontazione delle spese sostenute, una volta concluso l’intervento eventualmente finanziato, può contattare Giorgio Puppi dell’area Innovazione e Digitalizzazione allo 035/4120123 (giorgio.puppi@ascombg.it) o Matteo Milesi dell’area Credito Agevolato della Fogalco allo 035/4120210 (matteo.milesi@ascombg.it).
I tempi sono stretti, gli interessati devono dunque attivarsi rapidamente.

 




SIAE, cambiano i permessi rilasciati

Dal 1 gennaio di quest’anno il permesso/certificato rilasciato da Siae a chi organizza intrattenimenti musicali contiene alcune novità. Eccole, in sintesi.

Termini di riconsegna dei programmi Musicali  
Il nuovo termine ultimo per la riconsegna del Programma Musicale è fissato entro 90 gg dall’evento. Rimangono invece invariate le usuali scadenze previste per il pagamento dei compensi.

Promozione MioBorderò
A partire da quest’anno gli esercenti che organizzano intrattenimenti utilizzando la piattaforma MioBorderò – disponibile sul sito www.siae.it – e riconsegneranno in formato digitale i Programmi Musicali entro i termini di pagamento dei compensi per Diritto d’Autore – beneficeranno di una riduzione del 5% sull’importo da corrispondere, al netto delle eventuali riduzioni associative previste. Questa iniziativa promozionale di SIAE recepisce la richiesta più volte formulata da FIPE di premiare economicamente gli esercenti che, attivando le procedure informatiche predisposte dalla SIAE, consentono all’Ente una notevole riduzione dei costi digestione delle licenze. FIPE si sta impegnando affinché tale promozione venga estesa anche agli esercenti che richiedono il Permesso per Musica d’Ambiente.

Penali sui Programmi
In caso di mancata restituzione del programma musicale entro 90 giorni dall’intrattenimento, la SIAE applicherà una penale pari al 30% dell’intero compenso dovuto, con un minimo di 25 euro. In caso di errata indicazione dei brani eseguiti, l’Organizzatore sarà tenuto al versamento di una penale pari al 5% dell’intero compenso, con un minimo di 1,50 euro a brano. Per qualsiasi altra infrazione afferente alla compilazione del programma musicale, l’Organizzatore sarà tenuto al pagamento di una penale di 25 euro.Senza pregiudizio di eventuale azione civile e penale, la SIAE si riserva altresì di procedere alla segnalazione all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), organo competenze ad accertare ed irrogare le sanzioni previste dall’art. 41 D.Lgs 35/2017.

Obblighi di preavviso
L’organizzatore potrà annullare l’evento, o modificare le caratteristiche di esso precedentemente comunicate, entro e non oltre 12 ore prima del suo inizio. Solo in caso di sopravvenute cause di forza maggiore (es.: improvviso temporale estivo a ridosso dell’ora d’inizio dell’intrattenimento) l’esercente potrà richiedere il rimborso dei compensi versati per eventi annullati oltre tale termine. Infine, entro e non oltre il momento del rilascio del Permesso l’organizzatore dovrà comunicare se intende utilizzare anche opere interamente già licenziate direttamente dagli aventi diritto o da altre collecting.

Sul Permesso è indicato l’indirizzo email dell’Ufficio Territoriale SIAE al quale andranno inviate le comunicazioni ad esso pertinenti.

La SIAE infine ricorda che:

  1. a) è disponibile il Portale Musica d’Ambiente per l’attivazione di nuovi abbonamenti o per il loro rinnovo;
  2. b) sul sito www.siae.it sono disponibili gli elenchi delle opere con indicazione dei relativi titolari dei diritti, nonché l’elenco degli accordi conclusi fra SIAE ed altri Organismi di Gestione Collettiva e/o Entità di Gestione Indipendente. Sul medesimo sito, esperita apposita procedura di autenticazione, sarà consentito all’organizzatore anche l’accesso alle informazioni relative ai territori e ai diritti amministrati.

Gli uffici Ascom sono a disposizione degli associati per ogni ulteriore chiarimento.




Bar e ristoranti, la ripresa riparte dai consumi fuori casa

bar-872161_960_720 Bar e ristoranti si confermano il volano della ripresa dei consumi delle famiglie italiane. Questa una delle principali evidenze emerse dall’ultimo Rapporto Ristorazione della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, presentato oggi in occasione della conferenza stampa tenutasi a Milano presso Palazzo Castiglioni, sede di Confcommercio Milano – Lodi – Monza Brianza.
Il Rapporto Fipe, che quest’anno è stato dedicato a Gualtiero Marchesi,”intelligenza e umanità della ristorazione italiana”, ha fatto il punto sull’andamento del settore dei pubblici esercizi in Italia: emerge un quadro di sostanziale ottimismo soprattutto per quanto concerne l’andamento dei consumi alimentari fuoricasa, ormai attestati sul 36% dei consumi alimentari complessivi, e il fronte occupazionale, con una crescita del 3,3% sull’anno precedente.Continuano a preoccupare, invece, l’elevato numero di aziende che chiudono e un tasso di produttività che resta sotto i livelli pre-crisi. “I numeri del Rapporto Ristorazione 2017 confermano un trend di ripresa che porta i consumi nella ristorazione al livello pre-crisi- è il commento di Lino Enrico Stoppani, Presidente di Fipe -. Anche sotto il profilo dell’occupazione il nostro settore si conferma tra i pochi in grado di creare nuovi posti di lavoro. Restiamo la componente principale della filiera agroalimentare italiana nella creazione di valore e di occupazione”.
“Non mancano, tuttavia, le ombre. Il numero di imprese che chiudono resta elevato – prosegue Stoppani – e la produttività rimane sotto ai livelli toccati prima della crisi. Diventa difficile in queste condizioni trovare le risorse per investire e per fare quelle innovazioni di cui il settore ha grande bisogno. Anche i recenti provvedimenti approvati con la legge di bilancio 2018, in particolare quello sui distretti del cibo, che vedono emarginato il ruolo della Ristorazione, nonostante i titoli e i numeri che esprime, esclusa dalle utilità e dai contributi inseriti nel provvedimento, con il rischio aggiuntivo di ulteriore dequalificazione, vista l’estensione della somministrazione di cibi alle imprese agricole, anche in forma itinerante”.
Tra i punti di maggiore interesse evidenziati dal Rapporto Ristorazione, la crescita dei consumi fuoricasa: l’impatto della crisi sui consumi alimentari in casa (-10,5% pari a una flessione di 15,9 miliardi di euro tra il 2007 e il 2016) ha fatto in modo che il peso della ristorazione sul totale dei consumi alimentari guadagnasse ancora qualche posizione, rafforzando la tesi che vede gli italiani come un popolo a cui piace stare fuori casa. In particolare la sola ristorazione ha guadagnato una domanda di 2,5 miliardi di euro. Nel terzo trimestre 2017 cresce di 14 punti percentuali il clima di fiducia delle imprese di ristorazione rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente e consolida il trend positivo degli ultimi tre trimestri.
Resta elevato il turnover imprenditoriale: nel 2016 hanno avviato l’attività 15.714 imprese, mentre circa 26.500 l’hanno cessata, con un saldo negativo per oltre 10mila unità. Nei primi nove mesi del 2017 hanno avviato l’attività 10.835 imprese, mentre19.235 l’hanno cessata determinando un saldo negativo pari a 8.400 unità.
Passando al tema della produttività, l’Italia sconta un tasso di crescita in sostanziale stagnazione da circa un decennio. In questo contesto lo stato della ristorazione appare ancor più problematico: fatto cento il valore aggiunto per unità di lavoro riferito all’intera economia, alberghi e ristoranti si attestano al 63, ovvero il 37% al di sotto del valore medio. La produttività delle imprese della ristorazione non soltanto è bassa, ma anziché crescere si riduce, e attualmente è al di sotto di quasi sei punti percentuali rispetto al livello raggiunto nel 2009.
Nessun problema sul versante inflazione. A livello generale i prezzi di bar e ristoranti nel 2017 dovrebbero registrare incrementi sul 2016 di poco al di sopra dell’1%. In particolare il prezzo della tazzina di caffè rilevato nelle più importanti città italiane è addirittura inferiore a quello di un anno fa (0,93 vs. 0,95 euro).

I dati del rapporto

Nel periodo 2007 – 2016 la contrazione dei consumi è stata di circa 40 miliardi di euro, a prezzi costanti, 21 dei quali nel solo comparto dei trasporti e 16 in quello alimentare. Il settore “alberghi e ristoranti” ha guadagnato domanda per poco più di 4,4 miliardi di euro e la ristorazione da sola ha sfiorato i 2,5 miliardi di euro. La spesa delle famiglie in servizi di ristorazione è stata nel 2016 di 80.254 milioni di euro (la stima per il 2017 è di 83 miliardi) in valore e di 73.141 milioni in volume con un incremento reale sull’anno precedente pari al 3%. L’impatto della crisi sui consumi alimentari in casa (-10,5% pari a una flessione di 15,9 miliardi di euro tra il 2007 e il 2016) ha fatto in modo che il peso della ristorazione sul totale dei consumi alimentari guadagnasse ancora qualche posizione, rafforzando la tesi che vede gli italiani come un popolo a cui piace stare fuori casa. Il fuoricasa vale ormai oltre il 35% (36% nel 2017) del totale dei consumi alimentari delle famiglie con un trend di moderata ma costante crescita. In Europa i consumi alimentari valgono 1.522 miliardi di euro per il 63,1% nel canale domestico e per il restante 36,9% nella ristorazione. Ma tra i Paesi la variabilità è significativa. In Germania la ristorazione pesa meno del 30% sul totale dei consumi alimentari, il 47,6% nel Regno Unito, il 53,6% in Spagna e addirittura il 59% in Irlanda. In Italia la quota si attesta al 35%, sei punti percentuali al di sopra della Francia. Dal punto di vista dei valori assoluti l’Italia è il terzo mercato della ristorazione in Europa dopo Regno Unito e Spagna. Sempre in Europa tra il 2007 e il 2016 la contrazione dei consumi alimentari è stata di circa 8 miliardi di euro, quasi totalmente ascrivibile alla ristorazione. Una dinamica esattamente opposta a quella registrata in Italia, dove la contrazione degli alimentari è quasi totalmente riconducibile al canale domestico. Tra il 2007 e il 2016 la ristorazione in Spagna e Regno Unito ha perso rispettivamente 11 e 3,7 miliardi di euro.

Chi sono gli avventori dei pubblici esercizi in Italia

L’indicatore dei consumi fuori casa (ICEO) aumenta nel 2017 dello 0,3% passando da 41,8% a 42,1%. Sono oltre 39 milioni le persone che consumano pasti fuori casa così segmentate: 13 milioni di heavy consumer, coloro che consumano 4-5 pasti fuori casa a settimana. Per lo più uomini di età compresa tra i 35 e i 44 anni e residenti al Nord Ovest; 9,7 milioni di average consumer, quelli che consumano almeno 2-3 pasti fuori casa a settimana. In prevalenza uomini di età compresa tra i 18 e i 24 anni e residenti nel Centro Italia; 16,5 milioni di low consumer, che consumano pasti fuori casa 2-3 volte al mese. Sono in prevalenza donne di età superiore ai 64 anni, residenti nelle regioni del Nord Italia.

La giornata degli italiani, dalla colazione alla cena

Il Rapporto Fipe passa in analisi la ripartizione dei consumi fuori casa durante l’arco della giornata. Per quanto riguarda la colazione, il 63,8% degli italiani consuma, con diversa intensità, la colazione fuori casa: 5,8 milioni almeno 3 o 4 volte alla settimana, mentre per oltre 5 milioni è un rito quotidiano. Il bar/caffè è il luogo deputato alla colazione per eccellenza, senza alcuna distinzione di genere, età e area geografica. A seguire il bar pasticceria, preferito dalle donne (64,1% contro il 58,2% degli uomini) e nel Nord Est (64,9%). Le alternative restano esigue, come ad esempio i distributori automatici verso i quali si indirizza il 16,4% dei consumatori. La spesa media per la colazione fuori casa è tra i 2 e i 3 euro. Solo l’1,3% spende meno di un euro, e nel caso si tratta quasi sempre di heavy consumer. Passando al pranzo, le relative caratteristiche dipendono molto dai giorni della settimana. Al 67,1% degli italiani, pari a poco meno di 34 milioni, capita di consumare il pranzo fuori casa durante la settimana. Per 12,7 milioni si tratta di un’occasione abituale, almeno 3-4 volte alla settimana. La spesa durante la settimana è prevalentemente concentrata nella fascia 5-10 euro (il 48,7%). Nei fine settimana i luoghi del pranzo, i prodotti consumati e la spesa cambiano in modo significativo. Un aspetto particolarmente interessante riguarda la percezione del pranzo fuori casa da parte di chi lavora. Per un lavoratore su due è la qualità del cibo il punto di forza del pubblico esercizio dove consumare il pranzo. Sono molto importanti poi la vicinanza al luogo di lavoro, la rapidità del servizio e l’attenzione al portafogli. Risulta curiosa la percentuale di appena l’8,4% di chi ritiene importante la presenza di un POS all’interno del bar. Più significativa la segnalazione dell’uso dei buoni pasto (23,6%). A proposito di buoni pasto si rileva che il 43,2% dei lavoratori dipendenti del campione (il 58% del totale) li riceve dal proprio datore di lavoro. Come si vede sono ancora molti i dipendenti che non hanno a disposizione il servizio sostitutivo di mensa.
In generale il pranzo si paga per di più in contanti (69,3%), ma oltre un quarto dei lavoratori intervistati privilegia la moneta virtuale.
Venendo alla cena, il 60,9% degli intervistati ha consumato almeno una cena fuori casa con riferimento ad un mese tipo. Si sceglie principalmente la trattoria o la pizzeria. La fascia di prezzo per una cena tipo è tra i 10 e i 20 euro, anche se più di un terzo degli italiani riserva ad una singola cena dai 21 ai 30 euro. Solo un intervistato su cento è disposto a pagare più di 50 euro per consumare l’ultimo pasto della giornata.

La “demografia” dei pubblici esercizi

Secondo le ultime rilevazioni di Fipe negli archivi delle Camere di Commercio Italiane risultano attive 329.787 imprese di ristorazione. La Lombardia è la prima regione per presenza di imprese del settore, con una quota sul totale pari al 15,4%, seguita da Lazio (10,9%) e Campania (9,5%). La rete dei pubblici esercizi è dunque ampia e articolata sull’intero territorio nazionale, nei piccoli come nei grandi centri urbani. La ditta individuale resta la forma giuridica prevalente, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno dove la quota sul totale raggiunge soglie che arrivano ad oltre il 70% del numero complessivo delle imprese attive (è il caso della Calabria). Le società di persone si confermano invece opzione diffusa di organizzazione imprenditoriale nelle aree settentrionali del Paese.
Il 32,4% delle imprese è attiva come società di persone, mentre la quota delle società di capitale è di poco al di sopra del 12%. In tale contesto merita una segnalazione il 12,3% della Lombardia al Nord, il 26% del Lazio al Centro e il 14,7% della Campania al Sud. Alle “altre forme giuridiche” che ricomprendono, ad esempio, le cooperative va la quota residua dell’1,2%.
I ristoranti in particolare ammontano a 177.241 unità. Il consolidato sorpasso dei ristoranti sul bar è il risultato di un’evoluzione del mercato che si è accompagnata al cambiamento del sistema delle regole grazie ai quali gli imprenditori privilegiano di qualificarsi come ristoranti, anziché bar, per disporre di meno vincoli nello svolgimento dell’attività.

L’uso della tecnologia nei pubblici esercizi

Il pubblico esercizio risulta un settore forte sul prodotto (scelta e preparazione delle materie prime) ma molto debole sulla gestione, il marketing e l’innovazione, sia nel back office che nel front office. Solo il 40% delle imprese di ristorazione utilizza strumenti di gestione dei processi interni. Si tratta prevalentemente di applicazioni per la gestione delle comande (17%) o di soluzioni per la fatturazione elettronica (13%). Appena il 7% ricorre alle tecniche del cosiddetto menu engineering e il 6% ad applicazioni per la gestione on line delle prenotazioni. Per quanto riguarda la tecnologia di relazione con il cliente risulta evidente come l’attività in cui i ristoratori risultino più digitali, sia quella che ha a che fare con le recensioni. L’81% legge le recensioni sui siti e il 27%, pochi per la verità, spinge i clienti a scrivere recensioni. Il 41% dei ristoranti non ha alcun account social.

L’occupazione

I pubblici esercizi contano oltre un milione di unità di lavoro. D’altra parte il lavoro resta la componente essenziale per la produzione dei servizi di ristorazione. L’input di lavoro del 2016 è superiore del 3,3% rispetto all’anno precedente. L’80% delle unità di lavoro dell’intero settore “alberghi e pubblici esercizi” è impiegato nelle imprese della ristorazione, un dato in crescita nel corso di questi ultimi anni.

Produttività e valore aggiunto

La produttività delle imprese della ristorazione non soltanto è bassa, ma anziché crescere si riduce. Attualmente è al di sotto di quasi sei punti percentuali rispetto al livello raggiunto nel 2009. Nei prossimi anni la ristorazione dovrà imboccare con decisione la strada di un forte recupero di produttività: a questo proposito potrebbe risultare interessante l’implementazione di processi interni in grado di generare maggiore efficienza del sistema negli approvvigionamenti delle materie prime, nell’utilizzo delle risorse umane, nel marketing, nelle tecniche di vendita e nell’uso della tecnologia sia nel back office che nel front office. Il valore aggiunto dei servizi di ristorazione è stimato nel 2016 in oltre 41 miliardi di euro. Dall’avvio della crisi la ricchezza prodotta dalle imprese del settore ha assunto un profilo dapprima di stagnazione e in seguito di contrazione. Tra il 2011 e il 2013 la contrazione è stata di cinque punti percentuali, ma negli ultimi tre anni l’aggregato ha ripreso un profilo di crescita, tornando al di sopra dei livelli pre-crisi.

I prezzi

I prezzi dei servizi di ristorazione commerciale fanno registrare a dicembre 2017 una variazione dello 0,1% rispetto al mese precedente e dell’1,1% rispetto allo stesso mese di un anno fa. Per la ristorazione collettiva l’incremento invece è dello 0,7%. L’inflazione media annua si attesta a +1,1% per l’intero settore, valore identico per la sola ristorazione commerciale (bar, ristoranti, fast food).  Entrando nello specifico dei diversi canali, al bar la variazione media annua della caffetteria è dell’1,2%. Più vivace, al contrario, la dinamica dei prezzi degli snack (+1,8%) e dei prodotti di gelateria e pasticceria sia al bar che altrove (+1,7% e + 2,0%). Ristoranti tradizionali e pizzerie registrano aumenti medi sul 2016 rispettivamente di +0,9% e +1,3%. Meno vivaci i prezzi della ristorazione veloce +0,6%. Il self service fa segnare un +1,0%.




Sacchetti, ecco il vademecum Ascom per non incappare in pesanti sanzioni

tavoloL’obbligo di pagamento scattato il 1° gennaio per i sacchetti leggeri e ultraleggeri oltre a innescare la rivolta dei consumatori, non soddisfa nemmeno i commercianti, alle prese con una normativa che lascia più di un dubbio sul fronte applicativo. E il timore di sanzioni- le prime multe sono scattate nei giorni scorsi- è quanto mai forte, dato che si parla di multe dai 2.500 ai 25 mila euro, elevabili fino a 100 mila euro nei casi più gravi.
Ascom ha organizzato un convegno di approfondimento per illustrare le novità della nuova legge sulle borse di plastica, i rischi e le opportunità per il commercio. L’incontro, svoltosi lunedì 8 gennaio dalle 15.30 alle 17, nella sala Conferenze di Ascom, è stata una prima importante occasione per informare le imprese sulle novità e le opportunità introdotte dalla normativa, e sui rischi inerenti alla non corretta applicazione delle stesse. Livio Bresciani, vicepresidente Federazione Italiana Dettaglianti Alimentari- Fida non ha nascosto il malcontento della categoria: “ Avremmo preferito iniziare l’anno con una proroga della legge o quanto meno con una sospensione del regime sanzionatorio, come richiesto a più riprese dalla nostra Federazione, con l’intervento della presidente Donatella Prampolini. Impossibile non condividere l’obiettivo della normativa a tutela dell’ambiente, tema che non trova certamente insensibili noi commercianti. Il nostro timore è che il consumatore preferisca il pre-confezionato allo sfuso per evitare di pagare le shopper. Se ciò accadrà invece di ridurre la plastica in circolazione, la normativa ne porterà paradossalmente ad un aumento. Con un problema di sostenibilità più ampio, dato che si rischia forse di acquistare più del dovuto”. Molte le questioni da chiarire e i dubbi da dirimere, come sottolineato subito dal presidente Ascom Paolo Malvestiti, che ha introdotto il convegno: “A Bergamo questa normativa coinvolge molte delle nostre imprese, circa 6 mila, che spaziano dal dettaglio alimentare, al settore dell’abbigliamento e calzature fino ad arrivare agli ambulanti. Abbiamo sentito quindi la necessità di informare i nostri imprenditori, perché la norma introduce cambiamenti non di poco conto e con sanzioni anche alte. Le nuove disposizione impattano non solo su noi commercianti, che ora abbiamo una serie di nuovi obblighi da rispettare, ma anche sui nostri clienti. Non dimentichiamoci infatti che ci sono interi settori in cui le borse sono sempre state omaggiate al consumatore”. Pierpaolo Masciocchi, responsabile settore Ambiente e Qualità di Confcommercio, ha riepilogato la normativa di riferimento sia per le borse riutilizzabili in plastica che per quelle biodegradabili e compostabili che per le ultraleggere per alimenti sfusi. “Per essere a norma, queste ultime dovranno: essere biodegradabili e compostabili secondo lo standard internazionale Uni En 13432:2002; essere realizzate con un contenuto di materia prima rinnovabile di almeno il 40% (che dovrà diventare il 50% a partire dal primo gennaio 2020 e il 60% dal primo gennaio 2021); disporre dell’idoneità per uso alimentare; essere cedute esclusivamente a pagamento”. Biodegradabilità, compostabilità e contenuto di materia prima rinnovabile dovranno essere certificati da organismi accreditati, per non incappare in pesanti sanzioni. “Per le altre borse, anche quelle riutilizzabili in plastica tradizionale per il trasporto merci, resta l’obbligo di pagamento: non possono essere cedute gratuitamente e il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto” ha precisato Masciocchi. Sulla questione dell’obbligo di pagamento dei sacchetti, che sta creando più di un problema nella gestione contabile dei piccoli negozi, il responsabile settore Ambiente e Qualità di Confcommercio ha riportato alcune precisazioni, con riferimento alla circolare del Ministero dello Sviluppo Economico e all’azione intrapresa in Parlamento da Confcommercio: “La normativa punisce indifferentemente sia la commercializzazione dei sacchetti non conformi che la mancata registrazione sullo scontrino di cassa del costo del sacchetto acquistato dal consumatore. Come Federazione abbiamo evidenziato come sarebbe più corretto alleggerire con una sanzione più modesta un comportamento omissivo che può considerarsi irrilevante per la tutela dell’ambiente, rispetto all’azione più grave dell’immissione di sacchetti non conformi”. Sulla possibilità di scontare il prezzo dei sacchetti, il riferimento è la nota del Ministero dello Sviluppo Economico: “Lo sconto è possibile, dato che come chiarito dal Ministero, non vige l’obbligo del rispetto della disciplina in materia di vendite sottocosto. Tuttavia lo sconto dell’intero importo potrebbe comportare elusione. Pertanto il consiglio è di scontare il costo delle shopper, ma non di regalarle per non incappare in sanzioni”.
Ascom ha approntato una sorta di vademecum con suggerimenti per i commercianti: “Il nostro primo consiglio- ha sottolineato il direttore Oscar Fusini– è quello di far pagare i sacchetti, cercando però di scontarli il più possibile. La vendita di ogni sacchetto deve essere battuta ed evidente in ogni scontrino fiscale. Suggeriamo di utilizzare borse di altro materiale, in tutti i casi in cui vi sia la possibilità, oltre che la sostenibilità economica. Consigliamo i commercianti di non cedere nemmeno gratuitamente i sacchetti non a norma. Al bando anche richieste di eventuali adeguamenti al registratore di cassa, prima che l’Agenzia delle Entrate chiarisca, come atteso, cosa fare”. In attesa della pronuncia del Ministero della Salute, Ascom sconsiglia di consentire ai clienti l’utilizzo di sacchetti propri come imballaggio primario per alimenti sfusi: “Una cautela in più e una maggiore tutela per il commerciante e per la salute di tutti, anche se c’è stata un’apertura alla possibilità di utilizzare sacchetti monouso ed integri portati dall’esterno del negozio” continua Fusini. Ascom invita gli associati a farsi rilasciare e sottoscrivere dal produttore una certificazione e a farsi fornire tutti gli elementi identificativi che attestino il possesso dei requisiti di legge. “Le sanzioni possono essere molto pesanti anche nei confronti del commerciante che si è fidato del suo fornitore. È opportuno, quindi, che chi commercializza tali sacchetti si accerti della conformità degli stessi già al momento dell’acquisto” continua il direttore Ascom.
Quanto alle opportunità per il commercio, che molti faticano ad intravedere, Marco Versari, presidente Assobioplastiche, ha tenuto a precisare come la normativa sulle shopper, presto entrata al centro delle polemiche, scatenando le ire dei consumatori, non sia nata dall’oggi all’indomani e vada a tutelare ambiente e futuro: “E’ tutto in chiaro da tempo, non c’è nessuna sorpresa. Non é una tassa occulta, né una legge fatta passare dall’oggi all’indomani. L’Italia, come Francia e Belgio dove la normativa è già realtà, come lo sarà presto anche in Spagna nel 2020, ha recepito la direttiva europea che rende obbligatoria la biodegradabilità. A differenza di questi Paesi, l’Italia ha optato per l’ obbligo di fare pagare i sacchetti e rendere evidente questo dallo scontrino. La decisione del nostro Paese che ha scatenato le ire dei consumatori è una scelta di trasparenza che dà valore ad ogni singolo sacchetto ceduto, accrescendo la consapevolezza dei consumatori”. Versari ha anche ricordato come la norma valorizzi un’industria, dal know-how tutto italiano, che rispetta standard qualitativi elevatissimi: “ Per anni l’industria italiana ha sofferto della concorrenza di prodotti non a norma: solo l’anno scorso, in base al dato della Plasticconsult, sono stati 45 milioni i chili di materiali plastici fuorilegge immessi sul mercato. La nuova normativa obbliga di indicare il nome del produttore e traccia filiere produttive, dove si innestava in alcuni casi lo spettro della malavita.
Infine prima le buste ultraleggere provenivano in grande misura dall’Estremo oriente, ora invece sono orgogliosamente italiane, come la maggior parte di quelle impiegate in Europa”. E’ un’occasione per dare prova che l’Italia non è la Roma invasa dai rifiuti, ma sa essere all’avanguardia per tecnologia e inventiva: “Siamo partiti al nord prima degli altri anche nella raccolta differenziata, oltre che nel creare una modalità di produrre diversa e sostenibile. E questa norma non sarà la prima, dato che anche altri principali inquinanti, dai cottonfioc alle cialde di caffè non riciclabili, alle stoviglie di plastica, dovranno rispettare nell’immediato futuro criteri di biodegradabilità”.




Dal 4 gennaio multe fino a 20mila euro per chi mette sul mercato capi e scarpe con etichette non conformi

Dal 4 gennaio 2018  i prodotti tessili e calzature venduti alla rinfusa, senza informazioni corrette per il consumatore, costeranno cari a chi li mette sul mercato. Entra in vigore una nuova disciplina sanzionatoria per l’etichettatura delle calzature e dei componenti tessili, con un inasprimento delle multe in capo a produttori, fornitori e distributori. Il provvedimento prevede inoltre sanzioni da 1.500 a 20 mila euro per i fabbricanti o importatori o distributori che non forniscano nei cataloghi, sui prospetti o sui siti web corrette indicazioni relative alla composizione fibrosa, ai sensi del Regolamento comunitario (UE n.1007/2011).
Fino ad oggi le multe sono state elevate ai soli commercianti che spesso non hanno esercitato il diritto di rivalsa nei confronti del fornitore, anche- come sottolineato da Confcommercio- per la presenza di esplicite clausole contrattuali a sfavore della parte più debole della filiera. Grazie alla battaglia sindacale condotta da Federazione Moda Italia Confcommercio, si è arrivati alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale (296 del 20 dicembre 2017) del Decreto legislativo 190 del 15 novembre 2017 recante la disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni della direttiva comunitaria 94/11 in materia e il Regolamento Ue 1007/2011 relativo alle denominazioni delle fibre tessili.
La nuova normativa accoglie le istanze dei commercianti, attribuendo a chi effettivamente etichetta i prodotti, e quindi a fabbricanti, importatori e distributori, responsabilità diretta e conseguenti multe (fino a 20 mila euro). Inoltre il decreto introduce l’assegnazione alle Autorità di Vigilanza (Camera di Commercio, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) di un termine perentorio di 60 giorni al fabbricante o al responsabile della prima immissione sul commercio delle calzature per la regolarizzazione dell’etichettatura o il ritiro dei prodotti dal mercato.
In relazione alla pubblicazione del decreto, Ascom esprime soddisfazione per veder riconosciuti nel provvedimento alcuni aspetti di principio ritenuti imprescindibili dal dettaglio moda multibrand, oltre a valorizzare chi si impegna per dare servizio e informazioni corrette, oltre che prodotti di qualità, alla clientela. “Dopo decenni di gravose sanzioni attribuite sostanzialmente ai soli commercianti, viene riconosciuta piena responsabilità a chi effettivamente appone le etichette di calzature e prodotti tessili- sottolinea Diego Pedrali, presidente del Gruppo Abbigliamento e articoli sportivi Ascom, nel direttivo nazionale di Federazione Moda Italia- Confcommercio-. Era inammissibile, oltre che inaccettabile, che un operatore commerciale, molto spesso vessato da clausole che gli negano ogni diritto di rivalsa nei confronti dei fornitori, dovesse ancora rispondere di omissioni o negligenze di produttori e importatori. Un’anomalia che finalmente è stata oggi sanata”. A ulteriore tutela della trasparenza e dei consumatori, il distributore che metta sul mercato le calzature senza aver correttamente informato i clienti del significato della simbologia adottata sull’etichetta, è soggetto ad una multa che va da 200 a 1.000 euro. “E’ importante anche definire le diverse parti delle calzature e far conoscere i diversi pittogrammi utilizzati per il cuoio, con il dorso dell’animale, o l’ecopelle o ancora il cuoio rivestito- continua Pedrali-. Il decreto tutela così anche il cliente finale”.
Per il presidente di Federazione Moda Italia e vice presidente di Confcommercio, Renato Borghi: “Questo Decreto è una risposta al grande lavoro prodotto in questi anni sul territorio italiano da Federazione Moda Italia – Confcommercio, in risposta all’esigenza di chiarezza e trasparenza nelle indicazioni obbligatorie riportate in etichetta ed alla richiesta di sanzioni proporzionate alla responsabilità dei diversi soggetti lungo tutta la filiera”.




Saldi ai blocchi di partenza Attesa per il lungo ponte degli sconti

COMMERCIO: SALDI; SHOPPINGInizia il conto alla rovescia per i saldi invernali, che oggi sono partiti in Basilicata, domani prenderanno il là in Valle d’Aosta e venerdì scatteranno in Lombardia e in tutte le regioni, eccezion fatta per la Sicilia che aspetterà l’Epifania. Dopo un Natale in ripresa rispetto al 2016, le aspettative per i saldi sono alte, nonostante le promozioni sottobanco guastino l’attesa. Da venerdì 5 gennaio al 5 marzo i negozi potranno avviare la campagna dei saldi invernali, mettendo in vendita la loro merce a prezzi scontati, permettendo ai clienti di fare affari.
La stima, euro più euro meno, è che i bergamaschi, in linea con il resto d’Italia, spenderanno mediamente come nell’anno precedente. Secondo le previsioni dell’Ufficio Studi di Confcommercio ogni famiglia, in occasione dei saldi invernali 2017, avrà a disposizione un budget medio di 331 euro per l’acquisto di capi d’abbigliamento, calzature ed accessori per un valore complessivo, a livello nazionale, di 5,2 miliardi di euro. Il budget stimato a persona è di 143 euro.
Nella nostra provincia è stato un dicembre positivo dal punto di vista dei consumi, in una stagione partita in ritardo dopo un autunno caldo per le condizioni meteo: stando alle rilevazioni di Ascom le vendite nel settore dell’abbigliamento, rispetto a Natale 2016, hanno avuto un incremento del 10% in media. La campagna dei ribassi è attesa comunque dagli operatori come una boccata d’ossigeno, nonostante il crescente ricorso a promozioni, vendite private e la concorrenza sempre più decisa dell’e-commerce. “
Ci auguriamo che il ponte lungo dell’Epifania incentivi lo shopping e favorisca una partenza positiva delle vendite di fine stagione, dato che l’avvio dei saldi è sempre decisivo per stabilirne la fortuna- sottolinea Paolo Malvestiti, presidente Ascom-. Ma speriamo che non si esaurisca tutto in una fiammata di pochi giorni: contiamo in almeno due settimane di shopping”.
Le occasioni non mancano: “L’offerta di prodotti tra cui scegliere e’ ampia -continua Malvestiti-. Le temperature rigide e la neve sui monti ci aspettiamo che incentivino l’acquisto d’occasione di capispalla, giacconi e calzature pesanti, dagli anfibi sempre di moda, agli stivali in montone. Buone le previsioni di acquisto anche per i negozi di articoli sportivi, per capi tecnici e attrezzature da sci”. Non saranno, come il clima d’austerity impone, acquisti di impulso: di questi tempi lo shopping è sempre più meditato: “I consumatori sono sempre più preparati e gli acquisti sono attentamente ponderati- continua il presidente Ascom-. A differenza degli ultimi anni però l’attenzione non è solo al prezzo, ma alla qualità e si percepisce una maggiore propensione all’acquisto e fiducia. Le principali case di moda hanno diversificato l’assortimento con capi e accessori ad un prezzo più abbordabile, senza rinunciare a qualità e griffe”. La speranza di molti commercianti è nel rientro dei bergamaschi dalle ferie: “La città si è svuotata dopo Natale, complici le nevicate sui monti- sottolinea Diego Pedrali, presidente del Gruppo Abbigliamento e Articoli sportivi Ascom- . Contiamo in un rientro dalle ferie per un buon avvio dei saldi, attesi non solo dai consumatori ma dagli esercenti che, in una giungla di sconti e svendite sottobanco, hanno la certezza di muoversi in un contesto di norme definite. Purtroppo in queste settimane non sono mancati sconti e svendite in barba alla legge regionale”. Per Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia e vice presidente di Confcommercio la buona notizia è l’incremento di due punti della fiducia dei consumatori: “Un ingrediente, questo, imprescindibile, oltre al potere di acquisto degli italiani, per sostenere i consumi in questo periodo dei saldi di fine stagione. La spesa per gli acquisti in saldo per valore sarà leggermente inferiore a quella dell’anno scorso, ma in linea con il momento. Il vero vantaggio sarà per i consumatori non vedere i prezzi dei negozi, dal primo gennaio, con l’Iva al 25%. Il Governo ha fatto bene ad ascoltarci, sterilizzando le clausole di salvaguardia, ma se vogliamo veramente uscire dal tunnel, occorre un maggior sforzo, coraggio e determinazione per ridurre la pressione fiscale, ancora troppo elevata per imprese e famiglie“.


Le regole dei saldi

In questi due mesi di saldi cinque sono i principi base da seguire, cinque regole di trasparenza e di correttezza pensate per la tutela della concorrenza e del cliente: cambi, prova capi, pagamenti, tipologia dei prodotti in vendita e indicazione sui prezzi.

1.Cambi: la possibilità di cambiare il capo dopo che lo si è acquistato è generalmente lasciata alla discrezionalità del negoziante, a meno che il prodotto non sia danneggiato o non conforme (art. 1519 ter cod. civile introdotto da D.L.vo n. 24/2002). In questo caso scatta l’obbligo per il negoziante della riparazione o della sostituzione del capo e, nel caso ciò risulti impossibile, la riduzione o la restituzione del prezzo pagato. Il compratore è però tenuto a denunciare il vizio del capo entro due mesi dalla data della scoperta del difetto.

2. Prova dei capi: non c’è obbligo. E’ rimesso alla discrezionalità del negoziante.

3. Pagamenti: le carte di credito devono essere accettate da parte del negoziante qualora sia esposto nel punto vendita l’adesivo che attesta la relativa convenzione. Inoltre è previsto l’obbligo di accettazione dei pagamenti tramite bancomat e carte di credito sopra i 30 euro.

4. Prodotti in vendita: i capi che vengono proposti in saldo devono avere carattere stagionale o di moda ed essere suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di tempo. Tuttavia nulla vieta di porre in vendita anche capi appartenenti non alla stagione in corso.

5. Indicazione del prezzo: obbligo del negoziante di indicare il prezzo iniziale di vendita e lo sconto in percentuale, è facoltà, ma consigliabile, indicare anche il prezzo di vendita ribassato, mentre è vietato indicare qualsiasi altro prezzo.

Le violazioni alla norma sulle vendite straordinarie saranno punite con sanzioni amministrative da 500 a 3.000 euro, secondo la legge regionale 9/2009.