“Premiate trattorie italiane”, nel club entra anche la Visconti di Ambivere

Trattoria Visconti
Da sinistra: Alessandro Rota, Roberto e Daniele Caccia, Fiorella Visconti e Giorgio Caccia

La capacità di trasformarsi senza perdere la propria vocazione ha portato qualche settimana fa alla Trattoria Visconti un importante riconoscimento: l’ammissione all’associazione “Premiate trattorie italiane”, un sodalizio di osti dal Friuli alla Puglia legati da una filosofia comune, la salvaguardia delle tradizioni e lo sguardo al futuro. L’associazione è nata nel 2012 e raccoglie otto osti, premiati – di qui il nome – dal tempo, dalla storia e dalla clientela. Insomma, il gotha delle osterie italiane. Dopo essersi ritrovati per anni a incontri e premiazioni, serate gastronomiche e convivi, hanno deciso di dar vita a questa singolare associazione che ha lo scopo di innovare la tradizione e proiettarla nel futuro. La trattoria di Ambivere si aggiunge a insegne come Amerigo 1934 a Savigno (Bologna), Antica Trattoria del Gallo a Gaggiano (Milano), Antichi Sapori a Montegrosso di Andria (Barletta-Andria-Trani), Caffè la Crepa a Isola Dovarese (Cremona), La Brinca a Ne di Valgraveglia (Genova), Locanda Devetak a Savogna di Isonzo (Gorizia) e La Locandiera di Bernalda (Matera). I requisiti per diventare soci sono rigidi: forte identità gastronomica locale, prodotti poveri del posto, ricerca delle materie prime e del modo di lavorare, impegno a far conoscere il proprio territorio ai clienti. Un altro paletto fondamentale è il prezzo: per le Premiate Trattorie Italiane, un menù della tradizione composto da antipasto, primo, secondo, contorno, dolce, acqua e caffè non deve superare i 50 euro a persona. Per festeggiare il nuovo ingresso bergamasco, i premiati osti si riuniranno nell’annuale cena dell’associazione alla Trattoria Visconti. La cena si terrà lunedì 27 giugno e sarà realizzata, come di tradizione, a più mani da tutti i ristoratori del sodalizio. «Siamo molto felici di far parte di questo gruppo perché ci consente uno scambio di conoscenze con gli altri patron – commenta Daniele Caccia -. Spostandoci di pochi chilometri, abbiamo modo di assaggiare dei piatti diversi, modi di cucinare diversi. È un arricchimento prezioso». «Il nostro lavoro – aggiunge – rimane lo stesso di sempre, cucinare i piatti regionali o locali e valorizzare il nostro territorio. Ogni zona ha delle tradizioni uniche, l’importante che si continuino a cucinare e non vadano perse. È la filosofia dell’associazione che tutti noi condividiamo».

La tradizione si racconta anche sul web

Trattoria Visconti, dettagli
Trattoria Visconti, dettagli

Uno si immagina che le trattorie – quelle vere, che puntano sulla filiera e sul rispetto religioso per la cucina locale – siano l’ultimo baluardo/avamposto, il più tenace, delle tradizioni e quindi le realtà più lontane dall’innovazione. Non è così. L’Ascom, nel corso dell’ultima assemblea annuale, tenutasi poche settimane fa a Bergamo, ha scelto proprio un oste come esempio di imprenditore proiettato al futuro, tra tutti i patron di ristoranti del territorio. «La Trattoria Visconti di Ambivere ha dimostrato che anche il ristorante più legato al passato può aprirsi al futuro senza rinnegare la propria anima ha spiegato il direttore Oscar Fusini. La trattoria, aperta nel 1932, ha conservato lo spirito di un tempo, ma ha saputo cogliere le novità del mercato in evoluzione. Fiorella Visconti e Giorgio Caccia insieme ai figli Roberto e Daniele sono riusciti nella sfida, in apparenza impossibile, di conciliare tradizione e cambiamento. «La prima e vera innovazione – dice Daniele Caccia – è stato andare controcorrente nella proposta, preparare le ricette storiche della Bergamasca e della famiglia in risposta all’appiattimento dei sapori».

I piatti della tradizione e le ricette di bisnonna Ida negli ultimi anni sono state affiancate da un menù vegano. La cantina si è allargata dai vini blasonati, alle etichette più nuove sino alle birre. Al ristorante si è aggiunto un orto di erbe. Infine, l’innovazione più grande: la trattoria ha portato la sua tradizione in rete. Tre mesi fa ha fatto debuttare un nuovo sito web (il quinto), facilissimo da gestire. Grazie alla collaborazione con la start up bergamasca Onlime, infatti, le news del sito si aggiornano automaticamente dai post sulla pagina Facebook. Il sito web si propone come una vetrina del ristorante: dà la possibilità di entrare nel locale, pregustare i piatti, conoscere i volti di chi lavora in sala, in cucina, sapere delle novità di stagione, ma anche di prenotare e di regalare un cena con pochi click. «Ci mettiamo la faccia, indichiamo chi siamo e cosa facciamo» dice Caccia che avvisa: «Sul web occorre dare le informazioni che interessano di più, come orari, giorno di chiusura e soprattutto i prezzi. Noi facciamo i casoncelli con la ricetta della bisnonna Ida e diciamo che costano 10,50 euro. Chi va sul sito è contento di sapere quanto sono buoni, ma lo è ancora di più se sa quanto spende». Per ora il sito propone soprattutto testi e immagini ma la trattoria è decisa a puntare sui video «perché sono quelli che funzionano di più». Il filmato della patron Fiorella che prepara i casoncelli e spiega ingredienti e passaggi in dialetto bergamasco, con sottotitoli in italiano ha avuto un successo clamoroso ed è diventato presto virale registrando più di 30mila visualizzazione e 250 condivisioni.

 

 

 




Numero uno al mondo, Bottura: «È la cultura l’ingrediente principale in cucina»

Massimo Bottura durante lo showcooking del settembre scorso a Bergamo
Massimo Bottura durante lo showcoking del settembre scorso a Bergamo

La cucina di Massimo Bottura è la migliore del mondo. Già numero due nella classifica “50 Best Restaurant”, l’Osteria Francescana dello chef modenese è ora salita sulla vetta del prestigioso premio della rivista inglese Restaurant Magazine, arbitro e guida del gusto internazionale al pari delle stelle Michelin. Bottura è stato votato da un panel di oltre mille esperti di gastronomia di tutto il mondo e incoronato vincitore nell’evento in scena questa notte nel lussuoso Cipriani Wall Street di New York. Ha scalzato dal vertice i fratelli Roca di El Celler de Can Roca, di Girona, mentre al terzo posto si è piazzato l’Eleven Madison Park di New York.

Il risultato rilancia ad altissimo livello la cucina italiana, che ha ottenuto anche il 17esimo posto con il ristorante Piazza Duomo di Enrico Crippa ad Alba, il 39simo con Le Calandre degli Alajmo a Rubano e il 46esimo con il Combal Zero di Rivoli, di Davide Scabin, new entry nella graduatoria.

«Il miglior ingrediente per il futuro è la cultura. La cultura porta conoscenza e apre consapevolezza». Queste tra le prime ed emozionate parole del nuovo “numero uno”. Un concetto che gli è caro e che aveva avuto modo di illustrare anche nell’intervista rilasciata ad Affari di Gola nel 2010. Ve la riproponiamo.

 

«È la cultura l’ingrediente principale in cucina»

di Roberta Martinelli (da Affari di Gola, maggio 2010)

È nella top ten dei migliori ristoranti al mondo. Come si sente?

«È una soddisfazione ma anche una grande responsabilità. Quando si vince un premio devi immediatamente pensare al futuro, tornare a casa e reinvestire. Subito provi un sentimento di gioia poi pensi agli eventi che devi fare, ai clienti che fanno centinaia di chilometri per venire da noi e ti rendi conto che dovrai cercare di rimanere al ristorante il più possibile per cucinare, poi salutare, poi ringraziare. Ringraziare è una parola fondamentale per noi chef. Prima bisogna ristorare, poi far passare dei bei momenti agli ospiti».

Come si arriva a un riconoscimento così importante?

«È il risultato di un lavoro di squadra, di un lavoro giorno dopo giorno, testa bassa, tanta umiltà e 10% di talento come diceva Picasso».

Qual è l’ingrediente più importante in cucina?

«Il pensiero, la tua cultura. È l’ingrediente che non puoi comprare. Per la tecnica puoi avere il più grande tagliatore del mondo, per la materia prima il miglior parmigiano ma il tuo pensiero è unico e irripetibile. Cucinare significa trasmettere attraverso la tua passione emozioni. Ai giovani lo dico sempre: studiate, studiate, più studi e più approfondisci i tuoi interessi».

Quali sono i piatti che più la rappresentano?

«Piatti che stiamo pensando e che saranno in carta nel futuro: la patata in attesa di diventare tartufo, l’insalata di pollo che non c’è, la zuppa di rottura di confine tra il dolce e il salato, con piselli e asparagi».

C’è una definizione giusta per la sua cucina?

«È una cucina moderna, attuale, che vive il presente. Una cucina in evoluzione, che prende il meglio della materia prima e la trasforma con grande rispetto».

Cosa significa fare avanguardia in cucina?

«Per fare l’avanguardia non puoi criticare, devi conoscere tutto, dimenticare e creare dal nuovo. I cuochi che non interpretano musica scritta da altri e la suonano loro sono chef d’autore».

C’è un limite a quanto si può far pagare un piatto o una cena?

«Ci sono ristoranti nei quali si spendono 700/800 euro che devono chiudere perché hanno spese troppo alte e altri che hanno prezzi più bassi, 20 coperti e poco personale che fanno altrettanta fatica. Anche chi cerca di tenere prezzi contenuti deve sempre fare i conti con ciò che è il costo del personale: il costo dato dai ragazzi che sacrificano la loro vita, perché credono nell’avanguardia. Poi è logico non esagerare, stare attenti al mondo che sta cambiando».

Dove sta andando la cucina italiana?

«Al massimo del livello. Solo noi in Italia forse non abbiamo capito che questa nuova cucina è formata da un gruppo solido di gente che si rispetta, di cuochi che stanno portando la ristorazione italiana ai vertici assoluti. Dobbiamo solo riuscire a fare sistema, avere appoggio istituzionale».

Conosce la cucina bergamasca? E i nostri ristoratori?

«Apprezzo molto i fratelli Cerea».

Ora che è considerato tra i migliori chef al mondo non si monterà la testa?

«Non credo. Odio l’arroganza. Se mi chiede quale materia prima ho cucinato le rispondo l’arroganza di certi cuochi che abbiamo cucinato e servito».

Cosa c’è nel futuro di Bottura?

«Sempre il futuro».

 

A Bergamo lo chef c’era stato invece nel settembre scorso nella speciale edizione di GourmArte in occasione dell’Expo tra la Domus Bergamo di piazza Dante e il Balzer. Ecco cosa aveva preparato e la galleria dell’evento

 




“La Toscana a tavola”, serata a Porta Osio

Porta OsioChi vuole gustare una cena tipica Toscana, alla ricerca dei sapori di una volta con una scelta di piatti tradizionali, da veri buongustai, si annoti la data del 26 maggio, alle 20. Il locale Porta Osio, a Bergamo, guidato da Pier Aresi, propone infatti la serata “La Toscana a tavola” con un menù ad hoc. Si parte con Crostone di pane con fegatini di coniglio, a seguire La nostra Panzanella, quindi I Pici del Pastificio Morelli con sugo d’anatra, timo e pecorino e, infine, l’Arista di Cinta Senese con crema di carote e lavanda. Lo Zuccotto a modo nostro con cioccolato fondente e canditi chiude la proposta insieme al Caffè e cantucci. Il prezzo a persona è di 35 euro, bevande escluse. La serata é organizzata per un numero massimo di 35 persone ed è quindi gradita la prenotazione.Informazioni: Ristorante-Enoteca Porta Osio, via G.B. Moroni 180, info@portaosio.net – Tel. 035-219297




Accademia del Gusto, le agenzie di viaggio scoprono la Thailandia

accademiagustoascom cartelloL’Accademia del Gusto incontra la Thailandia. Giovedì 19 maggio, a partire dalle ore 19, la Scuola di cucina di Ascom ospita trenta agenzie di viaggio che si sfidano nella preparazione di un menù thailandese. Conoscenza e gusto dello stile thai diventano così veicolo di un territorio meta di molti italiani e bergamaschi. All’evento sono presenti rappresentanti dell’Ente del Turismo Tailandese e delle compagnie aeree Thai Airways e Bangkok Airways. L’iniziativa è promossa dal tour operator Amo il Mondo, divisione di Settemari spa, operatore attivo da oltre 30 anni nell’outbound turistico, che ha lanciato COOKING LAB, un format di incontri con le agenzie di viaggio, che si rifà alle proposte esclusive di turismo esperienziale, caratteristiche della propria programmazione.

Il concept originale è stato pensato per far vivere ai partecipanti una serata divertente e mirata a conoscere uno degli aspetti più autentici della cultura di un territorio, la sua gastronomia, prendendo parte attivamente, in una vera scuola di cucina, alla realizzazione di un menù tipico, seguito da una degustazione dei piatti preparati. “Abbiamo accettato con molto entusiasmo la sfida di Amo il Mondo nel proporre una serata a tema con un percorso didattico esperienziale che risultasse al contempo ludico – dichiara Daniela Nezosi, direttore di Accademia del Gusto –. Insieme alla chef Francesca Marsetti, che vanta molte esperienze curricolari fusion, abbiamo studiato un menù tipico tailandese, calandoci nell’atmosfera thai e curando ogni dettaglio: le materie prime provengono direttamente dalla Thailandia e la serata inizierà sorseggiando il tè Chan-Yen e terminerà offrendo agli ospiti un Fortune Thai Cookie. Non mancherà un allestimento floreale di orchidee, studiato con il presidente del Gruppo Fioristi Ascom, Adriano Vacchelli, ed un ricco buffet realizzato direttamente dai partecipanti al format”. Il format prevede un cocktail di benvenuto, seguito da un briefing di presentazione della Thailandia alla presenza dei rappresentanti dell’Ente del Turismo Tailandese e delle compagnie aeree Thai Airways e Bangkok Airways. Al termine della prima parte della serata, gli agenti di viaggio si trasferiranno in cucina e s’impegneranno nella creazione di piatti guidati dalla chef Francesca Marsetti. A conclusione dell’evento, una degustazione delle pietanze preparate, decreterà il gruppo vincitore, quello che meglio avrà rappresentato lo stile thai nel gusto e nell’impiattamento.

“Il principio ispiratore delle proposte di viaggio di Amo il Mondo – commenta Roberto Servetti, Direttore Prodotto Amo il Mondo – è quello di far vivere autenticamente le destinazioni. Per i nostri momenti di formazione dedicati alle agenzie abbiamo voluto creare un’esperienza analoga, qualcosa di nuovo, capace di trasmettere lo spirito più vero di un territorio. Abbiamo dato una valenza esplorativa a un classico del team building, la cooking session, trasformandola in un modo simpatico ma creativo e fortemente interattivo per conoscere un paese.”

 

Nel menù

Kaeng ka ri kung – Zuppa di gamberi al curry giallo

Cucumber relish – Insalata di cetrioli

Nuea tot sa mun prai – Manzo fritto

Moo sateh – Maiale in salsa Satay

Paw pia thawt – Spring rolls

Poo jaa – Crocchette di granchio e maiale

Pat thai – piatto tradizionale con gamberi

Coconut rise – Riso basmati al cocco

 

 

Per ulteriori informazioni:

Accademia del Gusto – info@ascomformazione.it




Dal castello ai grattacieli, la scalata di Christian ai fornelli

Christian Fantoni (2)
Christian Fantoni

La favola di Christian Fantoni iniziò in un castello. Suo padre era giardiniere e guardiano del Palazzo Fogaccia di Clusone mentre sua madre era la cuoca personale del principe Giovanelli. È in quel luogo dall’atmosfera magica, spesso meta ambita di grandi cuochi e professionisti dei fornelli, che questo chef bergamasco maturò una crescente passione per le arti culinarie. Ma, dopo gli studi all’istituto alberghiero e la gavetta in alcuni ristoranti del nord Italia, dovette suo malgrado lasciare la sua Valle Seriana alla volta della Somalia dove lo attendeva il servizio militare nei paracadutisti. Fu un periodo duro che cambiò radicalmente la sua vita. «Tornato in Italia – racconta Cristian – lasciai la mia ragazza dell’epoca e non avevo più vincoli che mi legassero a Bergamo. Così, con l’aiuto del bergamasco Pierangelo Cornaro, decisi di andare a lavorare in America».

Sono trascorsi più di trent’anni da allora. Oggi di esperienza Fantoni ne ha maturata moltissima e non solo come cuoco. A 43 anni ha giù aperto diverse trattorie a Milwaukee, Philadelphia, Washington, Mexico City, Miami, Boston, New Jersey e un grand hotel nell’Aqua building di Chicago. Ha lavorato anche per locali rinomati tra cui il “Bella Blu” di Enrico Proietti, chef trentino molto conosciuto a New York. Da qualche tempo Christian Fantoni è il cuoco di punta di RPM Italian, un raffinato ristorante che promuove con classe e qualità la cucina mediterranea.

Il menù è ricco di specialità, dalle fresche burrate ai toast con pan ciabatta, dalle insalate con il pecorino toscano alle focacce fatte in casa. Per non parlare delle numerose paste fatte a mano, ripiene e non: a piatti più classici come pappardelle alla bolognese, spaghetti alla carbonara, tortelloni in brodo e gnocchi di patate si alternano più sofisticati ravioli di spinaci con astice o caramelle ripiene di salsiccia con impasto bicolore al tartufo nero e salsa di taleggio. C’è poi una sezione dedicata ai piatti senza glutine che, in America, pare siano diventati un vero must sia per gli intolleranti che per i maniaci della linea. E per accontentare tutti gli stranieri e i loro bizzarri stereotipi sulla cucina tricolore, Fantoni è pronto a cucinare anche quelle pietanze che gli americani definiscono, chissà perché, “Italian classics” ovvero spaghetti con le polpette e pollo con il formaggio.

Sebbene gli statunitensi abbiano una visione distorta delle vere specialità italiane, non ci si può permettere di prendere questo mestiere sottogamba, soprattutto in una metropoli interattiva come Chicago dove il passaparola si trasmette a colpi di click: «La ristorazione è diventata molto competitiva – conferma Fantoni – devi essere sempre al 100% perché se sbagli qualcosa ti mettono in croce». Per il momento RPM Italian si difende bene piazzandosi su Tripadvisor al 43esimo posto su 7.359 ristoranti a Chicago.

L’INTERVISTA

«Internet è essenziale, ormai la maggioranza delle prenotazioni arriva da qui»

Quando è arrivata la svolta americana?

«Dopo il servizio militare nei paracadutisti in Somalia e nell’operazione Vespri siciliani, ho voluto partire per nuovi orizzonti. Con l’aiuto del bergamasco Pierangelo Cornaro, mi sono trovato a Los Angeles, nel famosissimo ristorante Rex, frequentato quotidianamente da attori famosi. In quel locale sono stati girati anche parecchi film. Ho cominciato a lavorare con una compagnia americana per la quale ho aperto molte trattorie in giro per gli Usa e anche un grand hotel nell’Aqua building di Chicago, il Radisson Blu, con la supervisione del Food & beverage. Giunto a New York ho lavorato per San Domenico NYC, Le Bernardin (il miglior ristorante di pesce a NY), Le Cirque. Ho aperto locali a Mexico City, Miami, Boston, New Jersey e poi, in società con altri colleghi Italiani, ho aperto il Barbaluc. Ho guidato la cucina al “Fiamma” con il grande Michael White, ho lavorato per il mitico Enrico Proietti al “Bella Blu” e i suoi ristoranti. Poi dopo 13 anni di lavoro nella Grande mela, mi sono trasferito a Chicago dove ora vivo. Ho lavorato al ristorante italiano “Filini” e sono stato l’executive chef per tre anni al 437 Rush di Chicago, un ristorante italiano con influenza di steak house. Ora sono il cuoco di RPM Italian».

RPM Italian - Chicago - chef Christian FantoniIn tutti questi anni è riuscito a far conoscere la cucina bergamasca nel mondo?

«I piatti che piacciono agli americano sono moltissimi. Tra i più conosciuti ci sono i Casoncelli, la polenta, il risotto ai porcini, il brasato, i salumi come la pancetta e il salame».

Quali sono gli aspetti positivi di lavorare all’estero nel settore della ristorazione?

«Gli americani mangiano fuori casa parecchio, quindi per noi cuochi c’è sempre molto lavoro. Inoltre non sei legato alle solite cose, puoi affrontare diversi aspetti della cucina, ti puoi anche permettere di esagerare…».

E quelli negativi?

«La lontananza dei familiari, soprattutto durante le feste, quando non si sta bene, o in certi momenti più particolari».

Caramelle RPMA quali chef si ispira?

«A Pierangelo Cornaro. È sempre stato un idolo per me perché ha fatto cose stupende per la Bergamasca».

Quanto è importante Internet per un ristoratore?

«Internet è diventato essenziale per la ristorazione, abbiamo un sito dove vengono messe foto, eventi e tutto ciò che riguarda il ristorante. Puntiamo soprattutto su Facebook, Instagram e Twitter. Ormai la maggioranza delle prenotazioni arriva da Internet».

Qual è il suo rapporto con le recensioni di Tripadvisor?

«È un sito molto importante. A volte ci sono clienti che non riescono a dirti le cose in faccia e quindi si sfogano su sui siti. Noi cerchiamo di usare tutto ciò per migliorare».

Come sono cambiati la ristorazione e il rapporto con i clienti grazie ai nuovi media?

«È diventato un settore molto competitivo, devi essere sempre al 100% perché se sbagli qualcosa sei crocifisso. Lo stress della cucina è anche dovuto a tutti gli show culinari che trasmettono in tv. Ora tutti pensano di essere chef e vogliono inventare i propri piatti».

Cosa le manca di Bergamo?

«Mi mancano la mia famiglia, la bella cenetta preparata dalla mia mamma, le mie montagne, le escursioni nei boschi in cerca di funghi e le gite al lago».




«Vi racconto cosa significa lavorare in un ristorante stellato»

Alessandro Negrini e Fabio Pisani_credits Brambilla_Serrani (5)
Alessandro Negrini e Fabio Pisani – credits Brambilla_Serrani

Aimo e Nadia è uno di quegli indirizzi dai quali non si può prescindere se si vuole entrare in contatto con la storia della ristorazione italiana. Perfino oggi che Aimo ha superato gli ottanta anni di età, che si mostra un po’ meno nel ristorante ed ha passato il timone di comando a una formidabile coppia di giovani e brillanti cuochi, capaci idealmente (e non solo) di unire a tavola l’intera penisola, visto che Alessandro Negrini è un valtellinese Doc, mentre Fabio Pisani arriva dalla lontana Puglia.

Uno degli aspetti più sorprendenti di questo inevitabile avvicendamento nel locale di via Montecuccoli a Milano è stato certamente l’approccio soft, da parte del duo Negrini/Pisani, e la volontà di mantenere lo stile e l’impronta tradizionale della cucina storica, pur con interessanti accorgimenti che hanno saputo portare il ristorante verso uno stile più moderno e lineare. Anche quando si è trattato di presentare i classici della casa o, invece, di stimolare la curiosità del cliente verso nuovi prodotti e delizie del Bel Paese.

L’esperienza a tavola qui diventa un vero e proprio Gran Tour italiano come dicono delizie quali la cicerchia, i calamaretti spillo, i mandarini di Calabria o il bergamotto che spuntano puntualmente dal menù. In attesa di scoprire quali saranno le novità che riguardano Aimo e Nadia per le prossime stagioni, visto che si parla di un restyling della sala e di un dehors esterno tutto ancora da realizzare, abbiamo incontrato uno dei due cuochi, Alessandro Negrini, per capire, tra le altre cose, dove sta andando la cucina italiana e come lavorano ai fornelli i giovani che escono dalle scuole alberghiere. Un discorso curiosamente affrontato proprio nel momento stesso in cui dalla porta d’ingresso del locale faceva capolino un cinese di quindici anni che, prendendo a due mani il coraggio, ha chiesto ai due cuochi di poter fare uno stage presso il ristorante.

Cosa sta accadendo di questi tempi nei ristoranti? Quali sono i trend del momento, le principali novità e cosa chiedono i clienti?

«Non è difficile da dire. Perché se vogliamo è anche quello che ci aspettiamo quando varchiamo la soglia di un ristorante. Si tratta dell’emozione, della capacità di trasmettere attraverso il cibo un’immagine, una persona, un luogo, un pensiero felice. In fin dei conti sono quelle stesse sensazioni che noi abbiamo codificato nel tempo e nella nostra memoria gustativa e che ci piace poi ritrovare nel piatto. Anche per questo la storia e la tradizione qui da Aimo e Nadia sono un valore imprescindibile. Se invece si vuole fare il gioco di quale potrebbe essere l’ingrediente più in voga per il 2016, io dico che saranno le cozze. E in realtà non è un’ affermazione dettata da certezze incrollabili, se non per il fatto che le vedo sempre più presenti in molti menù. Poi sai, tutto accade ciclicamente e come la vita anche la cucina è una ruota che gira. Non dimentichiamo il successo che, ad esempio, hanno avuto le acciughe o l’aceto balsamico nel recente passato».

Black lemon - credits Brambilla_Serrani
Black lemon – credits Brambilla_Serrani

Da parte del cliente c’è anche un approccio più salutista e attento verso quello che si mangia?

«Sicuramente, e non è una questione di opportunità da parte del ristoratore, come molti pensano. In realtà le porzioni nel corso degli anni sono decisamente diminuite ed è un dato di fatto che chi si siede al tavolo fa fatica a mangiare in quantità. Non a caso si tende a star meno seduti al ristorante rispetto a un tempo».

Veniamo a un tasto che in Italia a volte è dolente, quello della formazione dei giovani che escono dalle scuole e vengono catapultati nelle cucine.

«Come sempre in questi casi, conta molto la provenienza del giovane. Ci sono scuole che lavorano bene e altre meno bene. In realtà andrebbe fatta una rigorosa selezione già all’ingresso delle scuole, per scremare chi vede la professione come un bel gioco del momento, grazie anche al successo mediatico di tutto ciò che riguarda il food. In questo modo avremmo dei giovani vogliosi e pronti ad affrontare nel migliore dei modi il mondo del lavoro. Poi c’è da dire che non tutti gli istituti alberghieri possono contare su insegnanti validi e che fanno loro stessi una continua formazione e si aggiornano sulle novità della ristorazione; e questo è un grandissimo problema. Infine manca il lato pratico delle scuole alberghiere, un po’ per questione di investimenti è un po’ perché queste istituzioni sono spesso mosse da meccanismi burocratici che non aiutano. Così il giovane si ritrova da un giorno all’altro a passare dal lato teorico della cucina a quello pratico, con gravi difficoltà. In un mondo che, in qualche modo, è un po’ militaresco».

Da Aimo e Nadia cosa chiedete ai giovani che bussano alla vostra porta?

«Innanzitutto la serietà. Poi un pizzico di curiosità ma sempre restando fermi al proprio ruolo. Negli ultimi anni ho visto troppo spesso da parte di giovani di talento perdere il senso delle proporzioni, voler a tutti i costi correre verso il futuro, quando invece andrebbe prima studiato e conosciuto meglio il passato. C’è sempre la tendenza a voler fare i fenomeni e a non restare umili. Invece se c’è una cosa che ci insegna la cucina di Aimo è l’assoluta grandezza della cucina di tradizione, dell’italianità, di un pensiero genuino da diffondere e interpretare in modo da incuriosire anche le nuove generazioni di clienti che magari si affacciano per la prima volta alla grande ristorazione».

Qual è il lavoro fondamentale per un ristorante che, come Aimo e Nadia, vanta due stelle Michelin?

«Innanzitutto l’accoglienza e l’attenzione per il cliente che deve vivere i suoi momenti nel ristorante come un’esperienza unica. Poi c’è anche la creatività della cucina, ma senza lasciarsi prendere la mano. Altrimenti ci si perde. Invece, la costanza, il rigore, la serietà, la passione permettono di durare più a lungo. Il progetto è sempre quello di migliorarsi, di avvicinare clienti nuovi».

Una bella sfida per due cuochi così diversi per provenienza e background…

«Sì, ma io e Fabio in qualche modo ci completiamo a vicenda. È sempre stimolante e divertente questo dualismo nord/sud che si avverte in cucina anche se poi per entrambi la missione è quella di preservare il gusto primario e il “bambino” creato da Aimo. Con l’idea di riattivare la memoria gustativa attraverso piatti in parte nuovi. Noi percepiamo Il Luogo di Aimo e Nadia come un ristorante che ha una sua forza essenziale e in fin dei conti non ci sentiamo dei traghettatori. Infatti i clienti storici continuano a tornare e a rivivere certe sensazioni. Per assurdo, un giorno io e Fabio potremmo perfino non essere più in cucina, eppure il ristorante continuerebbe a vivere da protagonista».

Non a caso molti sono piatti della memoria…

«Certo, basti pensare alla Zuppa etrusca, con verdure dell’orto, legumi e farro della Garfagnana alle erbe aromatiche e fiori di finocchio selvatico. Con tutte le verdure che vengono cotte separatamente e assemblate solo all’ultimo. Oppure gli Spaghetti al cipollotto fresco e peperoncino, che risale, nella sua prima versione, all’anno 1965. E in mezzo a tutto questa storia c’è anche qualche tocco di Valtellina e di Puglia. Il ricordo delle mie valli lo si incontra subito a inizio pasto, visto che utilizzo il grano saraceno in una cialda croccante con burro e arancia, mentre il sud esce con tutta la sua prepotenza nella Cicerchia con marasciulo, lampascioni e olive, oppure nel raviolo di baccalà con pasta di pane di Matera».

Zuppa etrusca - credits_Brambilla_Serrani
Zuppa etrusca – credits_Brambilla_Serrani




Cucinare con i fiori, quattro piatti da premio

 

Insalata di baccalà con spinacino e petali di cipolla di Tropea, crumble alla paprika dolce e maionese di prezzemolo (Trattoria La Curt di Artogne)
Insalata di baccalà con spinacino e petali di cipolla di Tropea, crumble alla paprika dolce e maionese di prezzemolo (Trattoria La Curt di Artogne)

Calsù con strisec (Giardino, di Breno)
Calsù con strisec (Giardino di Breno)

Luccio in carbone (Antiche Rive di Salò)
Luccio in carbone (Antiche Rive di Salò)

Cremoso di riso integrale e strisec (silene) con croccante al cioccolato bianco e salsa alle fragole di bosco (ristorante Sloppy & Go di Rogno)
Cremoso di riso integrale e strisec (silene) con croccante al cioccolato bianco e salsa alle fragole di bosco (ristorante Sloppy & Go di Rogno)

Insalata di baccalà con spinacino e petali di cipolla di Tropea, crumble alla paprika dolce e maionese di prezzemolo (della Trattoria La Curt di Artogne), Calsù con strisec (del Giardino di Breno), luccio in carbone (delle Antiche Rive di Salò), cremoso di riso integrale e strisec (silene) con croccante al cioccolato bianco e salsa alle fragole di bosco (del ristorante Sloppy & Go, di Rogno): sono questi i quattro piatti vincitori della terza edizione di “Un fiore nel piatto”, la gara gastronomica abbinata alla rassegna florovivaistica “Darfo Boario Terme in Fiore” promossa dall’Amministrazione comunale e coordinata da Loretta Tabarini.

La “sfida” a colpi di ricette creative ispirate alle erbe e ai fiori camuni è arrivata al rush finale: il verdetto d’autore è stato affidato alla giuria guidata dal conduttore televisivo e guru della gastronomia Edoardo Raspelli, coadiuvato dalla modella attrice Maura Anastasìa e supportato dalle valutazioni di Anna Vaglia dell’Associazione italiana sommelier, Cristian Spagnoli (vincitore del Global Chef Challenge), Giuseppe Dadà, quality director di Ferrarelle Spa, dal dirigente scolastico Antonino Floridia e dagli insegnanti Ivan Dossi e Salvatore D’Urso. I giudici hanno assaggiato i 21 piatti finalisti, stabilendo il “menù ideale” – composto da antipasto, primo, secondo e dessert – che verrà servito nel corso della cena di gala in programma lunedì 9 maggio alla Scuola alberghiera Olivelli-Putelli di Darfo.

Dopo il prologo gastronomico, sabato 30 aprile è invece fissata l’apertura di Darfo Boario Terme in Fiore, «una vetrina creativa e dinamica, aperta a tutte le eccellenze del territorio – spiega ilvicesindaco Attilio Cristini -. Il tema di quest’anno è “Il fiore nel campo” e porta avanti un approfondimento iniziato nel 2013 con l’unicità del clima della Valcamonica e la sua biodiversità vegetale, proseguito nel 2014 con un’analisi della filiera alimentare e sfociato lo scorso anno con il tema dell’acqua e il suo ruolo essenziale nella nostra valle».




Il risotto “solidale” degli avvocati bergamaschi

Dall’arte oratoria all’arte culinaria. E’ un salto deciso quello che una mezza dozzina di avvocati bergamaschi ha compiuto lo scorso 15 aprile aderendo alla gara gastronomica promossa dall’Associazione Provinciale Forense (presieduta da Franco Uggetti) con il patrocinio del Club dei Buongustai di Bergamo. Smesse le toghe, indossate le parannanze, i legali hanno sfoderato la passione per i fornelli e si sono sfidati in una competizione che ha dato spazio al gusto ma anche al cuore, giacché l’ evento aveva come finalità la raccolta fondi a favore dell’Associazione Aiuto Donna Onlus guidata da Oliana Maccarini. Teatro della manifestazione, le cucine e le sale dell’I.S.B di Torre Boldone messe gentilmente a disposizione dalla preside Gabriella Savoldi. Qui – sotto l’abile regia dell’avvocato Ernesto Tucci, presidente dei Buongustai – la gara si è sviluppata con un tema conduttore: il riso.

Leonilde Gagliardini
Leonilde Gagliardini

Mentre infatti gli allievi dell’Istituto Alberghiero hanno preparato gli antipasti e i dolci, i sei avvocati in gara si sono cimentati col cereale, preparando altrettante ricette al vaglio della giuria tecnica formata da esperti del settore: oltre alla preside Gabriella Savoldi, tre giornalisti, il presidente dei cuochi bergamaschi, Roberto Benussi, i vicepresidenti del Club dei Buongustai di Bergamo, Ezio Ruggeri e Paolo Fuzier, e Oliana Maccarini. In sequenza, ai tavoli sono arrivate le proposte di Roberto Mazzariol (risotto cremoso con asparagi e grana), Leonilde Gagliardini (riso venere con seppioline al sapore d’Oriente), Maria Cristina Ghilardi (risotto con gorgonzola e pere caramellate), Ernesto Nicola Tucci (risotto con salsiccia e carciofi), Ernesto Tucci (risotto alla milanese con arrosto e barba di frate) e Michele Torri (risotto alla milanese con cotoletta). A tutti è andato un diploma di benemerenza rilasciato dal Club dei Buongustai, ma a spuntarla, secondo il verdetto della giuria, è stato il piatto preparato da Leonilde Gagliardini. Sua la proposta che ha maggiormente convinto, sia per la presentazione che per il gusto. A pari merito le altre cinque proposte.

Il momento della premiazione della vincitrice Leonilde Gagliardini
Il momento della premiazione della vincitrice Leonilde Gagliardini

 




Week end all’insegna del Formai de Mut in 11 agriturismi

Formai de Mut dell'Alta Valle BrembanaUn weekend alla scoperta del prodotto simbolo dell’arte casearia bergamasca: il Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana DOP. E’ l’iniziativa proposta a Terranostra Bergamo in collaborazione con il Consorzio dei produttori del prestigioso formaggio per valorizzare e promuovere uno delle chicche casearie dei gioielli dell’agricoltura orobica. Il 16 e il 17 aprile prossimi, 11 aziende agrituristiche proporranno nel loro menù una degustazione o un piatto che abbia tra i propri ingredienti il Formai de Mut, che grazie alla creatività degli “agrichef”  potrà essere gustato in  tutte le sue sfumature. Le aziende agrituristiche che hanno aderito al progetto sono: Casa Eden di Morali di San Giovanni Bianco, Agricola San Fermo di Martinelli di Calcio, Alle Baite di Ceruti Roberta di Branzi, Cascina  Oglio di Cressi Giovanni di Sarnico, Az. Molino dei Frati di Vecchi e Donini di Trescore Balneario, Cascina Lama di Rotoli Paolo di Clusone,  Casc. Capetone di Facchinetti di Brignano Gera D’Adda, Agriturismo Marco di Battaglia di Bergamo, Ferdy di Quarteroni Ferdinando di Lenna,  La Grande Di Venturini di Misano Gera d’Adda e Il Montizzolo di Caravaggio.

Per la realizzazione dei piatti le aziende agrituristiche avranno a disposizione il Formai de Mut stagionato fino a 4-6 mesi e – in via del tutto eccezionale – il Formai de Mut alpeggio 2014 stagionato più di 20 mesi e il Formai de Mut alpeggio 2015 stagionato più di 8 mesi.




Non solo Scaropinòcc, Parre recupera gli “Gnòch in Còla”

LOCANDINA_GNOCH_IN_COLANon solo Scarpinòcc. Sabato 16 aprile a Parre debutta la “Sagra degli Gnòch in Còla”, manifestazione che valorizza un’antica ricetta delle nonne, realizzata con prodotti poveri e semplici, ma che creano un piatto gustoso. Simili agli gnocchi al cucchiaio, vengono preparati impastando solo farina e latte. Successivamente con un cucchiaio si ricava dall’impasto uno “gnòc” alla volta, si cuoce in acqua già a bollore e a fine cottura si condisce con abbondante burro, salvia e formaggio.

La sagra è organizzata dalla Pro Loco in collaborazione con il Gruppo Folckloristico Lampiusa e con l’Oratorio e si svolgerà al PalaDonBosco dell’oratorio in via Duca d’Aosta. Si inizia alle 18 con l’aperitivo e alle 19 aprono le cucine. Durante la serata è previsto un momento musicale con canti bergamaschi con il duo Artemisio e Loredana; a seguire ballo liscio e dalle 22.15 disco music con la cover band Siks live.

Per informazioni: www.prolocoparre.com – 331.7740890.