Lavoro nei pubblici esercizi e ospitalità, identikit degli oltre 25mila addetti nelle 2973 imprese bergamasche

L’occupazione femminile è dominante, con 17.041 addetti. Picchi stagionali a giugno e settembre, i periodi ideali per godersi dehor e aree esterne 

Ascom Confcommercio Bergamo presenta per la prima volta i dati dell’Osservatorio sul mercato del lavoro nel turismo in provincia di Bergamo. I dati sono elaborati dal Centro Studi Federalberghi, nell’ambito della XVa edizione dell’Osservatorio sul mercato del lavoro nel  turismo in Italia, che per il primo anno, ha un focus sulla provincia di Bergamo.  La ricerca fotografa il mercato del lavoro delle quasi 3mila imprese turistiche provinciali. La provincia di Bergamo si pone al terzo posto in Lombardia come numero di addetti, con una media di lavoratori di 25.640, dopo Milano che ne conta 104.992 e Brescia con 29.451. I valori massimi e minimi di occupazione sono settembre e agosto con rispettivamente 26.908 e 23.770 dipendenti. Nel 2022 in provincia di Bergamo hanno operato in media 2.973 imprese con almeno un dipendente (massimo 3.041 e minimo 2.929) per una media di 25.640 dipendenti con una media addetti di 8,6 addetti. La media regionale è di 8,2 dipendenti. Tra le principali evidenze rilevate, emerge come il lavoro nel turismo bergamasco abbia ripreso quota negli ultimi due anni. Nel 2022 il recupero era già effettivo per la ristorazione e i pubblici esercizi. Il 2023, un annata eccezionale per le presenze turistiche, confermerà il recupero pieno anche del settore ricettivo rispetto ai dati 2019. Quanto ai picchi stagionali, i periodi clou per il settore si registrano a luglio e agosto in estate e a dicembre in inverno. Essendo la stragrande maggioranza degli addetti operanti nel settore della ristorazione (oltre il 92%)  si registra la punta di lavoro nei mesi di giugno e settembre, in concomitanza con la stagione dei dehor e aree esterne, con minimo assoluto ad agosto. La crescita dei lavoratori del settore del turismo negli ultimi dieci anni ha consentito di ricollocare molte persone fuoriuscite dai settori manifatturieri. L’occupazione femminile è dominante nel turismo, con 17.041 addetti (il 66,5%)  e nettamente superiore anche alla media regionale (54%). I dipendenti stranieri sono invece il 19%, con 4978 addetti, percentuale nettamente inferiore alla media regionale (30%).

Il profilo dei dipendenti

Oltre il 51,5% dei dipendenti (13.209) ha meno di 40 anni (contro il 57,8% regionale). Il 33,5% ha meno di 30 anni contro il 35,9% regionale. Il 33,5% (8.595) ha meno di 30 anni. La componente femminile è nettamente dominante, con il 66,5% degli occupati (17.041) con rapporto di lavoro dipendente (dato nettamente superiore a quello regionale che si attesta al 54%). I dipendenti stranieri sono il 19%, con 4978 addetti, percentuale nettamente inferiore alla media regionale (30%). I lavoratori full time sono il 40% (sono il 50% a livello regionale). I lavoratori a tempo indeterminato sono il 72%  (68% in Lombardia). Gli addetti con contratto a tempo determinato non stagionali sono il 27% (26% in Lombardia), quelli  stagionali all’ 1,1% (288) contro il 6% lombardo. I lavoratori sono più stabili e c’è minore ricorso allo stagionale rispetto al resto della regione. Gli impiegati sono 1674 ( il 6,5%, in Lombardia rappresentano invece l’11,8%) , dirigenti e quadri lo 0,2% (0,8% medio regionale) e gli apprendisti sono 1243,  il 4,8%, contro il 6,4% regionale.

I comparti e la stagionalità

Il 92,5% dell’occupazione dipendente media annua nel settore turismo nella provincia di Bergamo è concentrata nel comparto dei pubblici esercizi (contro il 84,1% regionale). I servizi ricettivi occupano il 5,9% dei dipendenti. Contenuto è il contributo dell’intermediazione (1,1%), degli stabilimenti termali (0,4%) e dei parchi divertimento (0,1%). Il numero delle aziende bergamasche del turismo con dipendenti nel 2022 erano 188 dei servizi ricettivi, 2.700 dei pubblici esercizi, oltre a 79 intermediari, 3 stabilimenti termali e 3 parchi divertimenti. Come media addetti si passa dai 31,2 in media degli stabilimenti termali (contro il 32,9 regionale), 8,8 nei  pubblici esercizi (contro 7,7 lombardi), 8,1 nei servizi ricettivi (12,8 lombardi), 6,9 nei parchi divertimento (contro il 6,6 medio regionale) e 3,7 nell’intermediazione contro il 7,3. In Bergamasca quindi mediamente sono più grandi di un’unità i ristoranti e pubblici esercizi e più piccoli gli alberghi e gli altri servizi ricettivi.

L’impatto della pandemia

Nel complesso, nel turismo l’occupazione è aumentata nel 2022, recuperando i livelli pre-covid.  Dopo la pandemia l’occupazione ha infatti raggiunto i livelli del 2019. E’ cresciuta del 7,4% tra il 2022 e il 2019 nei pubblici esercizi, mentre è ancora sotto del 5% nei servizi ricettivi. Inoltre è ancora sotto del -33,9% nei parchi divertimento, -17,2% intermediazione viaggi e del -13,5% negli stabilimenti termali. Il recupero è in parte nei contratti a tempo indeterminato (+ 3,6%),  mentre è più alto nei contratti a tempo determinato (+ 11,3%) e stagionali (+5,4%). Gli effetti della pandemia hanno accentuato la stagionalità e creato una forte disparità negli esercizi ricettivi: se nel 2019 la differenza tra valore di occupazione minimo e massimo era del 124%, nel 2020 è diventato del 203%, per poi calare leggermente al 144% nel 2021. Nel 2022 tale valore si è assestato sul 128%.

Focus alberghi

Le imprese con dipendenti del settore alberghiero sono state in media 116 con 894 dipendenti. I valori massimi si sono rilevati ad agosto con 1.050 dipendenti e a febbraio con 753 addetti. Oltre la metà, il 51,5% (460) ha meno di 40 anni e il 29,7% (266) ha meno di 30 anni. In particolare il 61,9% (554) di chi lavora in hotel è donna e il 23% è straniero (207). Il 70% ha un contratto full time. Il 66% ha un contratto a tempo indeterminato, il 30% a tempo determinato e il 4% stagionale. La grande maggioranza- il 69,3%-  dei dipendenti delle aziende del settore alberghiero ha la qualifica di operaio (619). Gli impiegati rappresentano il 23,1% dei dipendenti (207), mentre gli apprendisti sono 54, pari al 6% del totale. I quadri (14) rappresentano l’1,5% del totale. Il 29,6% dei dipendenti  ha un contratto di lavoro a tempo parziale. I contratti a tempo determinato stipulati per ragioni di stagionalità (32) rappresentano il 3,5%, mentre quelli non stagionali (272) sono il 30,4%. Anche il settore alberghiero, dopo la pandemia, ha visto il recupero di addetti sebbene l’occupazione del comparto fosse ancora sotto del 5,4% a fine 2022,  su cui pesava il tempo indeterminato – 5,3%, il Tempo determinato -5,4%, lo stagionale – 13,2%.




Il lavoro nel turismo: troppi pregiudizi, tante opportunità

L’osservatorio affidato ad Adapt sfata alcuni falsi miti sull’occupazione in pubblici esercizi e hotel

Il primo report “Presente e futuro del comparto turistico-ricettivo e dei pubblici esercizi a Bergamo: strumenti e metodi per favorire l’incontro tra domanda e offerta” realizzato da Fondazione Adapt e commissionato dall’Ente Bilaterale del Turismo di Bergamo scrive una parola nuova sul tema del lavoro nel settore turistico della nostra provincia, accusato da anni di registrare una fuga degli addetti.  Con la disoccupazione prossima allo zero esistono forti difficoltà nel reclutare nuovo personale in tutti i settori e in tutte le imprese. Il problema è quantitativo o di competenze e sta proprio andando così per le imprese della ricettività e dei pubblici esercizi? Lo studio di Adapt contribuisce a fornire una fotografia dello stato di salute del settore che consente anche di contraddire molti pregiudizi sul lavoro nel turismo nella nostra provincia.

La crisi demografica e il suo impatto

I giovani sono la spina dorsale dell’occupazione nelle attività dei servizi di alloggio e ristorazione. Non è solo un fatto evidente entrando nei locali.  Se dal 2013 al 2022 si è assistito a Bergamo ad un decremento della natalità – 2,6% e alla crescita dell’indice di invecchiamento della popolazione, dal 2019 al 2023 a fronte della diminuzione del numero di residenti – 3.391 sono aumentati i giovani dai 15 ai 29 anni +4.600, aumento registrato anche in Lombardia e nel Nordovest contro il calo della categoria a livello italiano. Questa fascia costituisce circa il 16% della popolazione. L’incidenza degli stranieri è più alta nella fascia giovanile 13,20% contro il 13% del totale residenti. Quindi il problema demografico non sta impattando nell’attualità ma lo farà solo nel medio termine. Il settore dovrà sempre di più arricchirsi di lavoratori stranieri che presentano una dinamica migliore degli italiani.  Sfatiamo un primo falso mito: il turismo impiega molti i giovani ma non è vero che i lavoratori non ci sono per la crisi demografica in atto.

Il numero degli addetti del settore in bergamasca

Il numero degli addetti delle attività dei servizi di alloggio e ristorazione ha messo a segno una crescita formidabile tra il 2012 e il 2019 passando da 20.691 addetti a 25.377 (+ 4.686 addetti + 22,6%). Secondo l’Osservatori del lavoro di Federalberghi su dati Istat relativi all’anno 2022 proprio nel 2022 c’è stato il recupero totale dei dipendenti con una media nell’anno di 25.640. In questi sette anni in cui c’è stata una forte recupero di manodopera la crescita complessiva è stata del 3,5% (da 385.387 a 398.757 + 13.370) quindi il settore di alloggio e ristorazione ha contribuito per il 35% dell’aumento. Nello stesso periodo il settore ha contribuito a lenire il calo degli altri settori: (non tanto del settore manifatturiero che con il prodigioso recupero messo a segno dal 2017 si assestato a – 262 – 0,1% quanto al settore delle costruzioni (-8.556 -17,6%) e del commercio (-1.191 – 1,9%). In crescita di poco solo i servizi alle persone e di molto i servizi sanitari e sociali.    Poi il crollo per il Covid ha visto scendere gli addetti tra il 2019 al 2020 di 1.843 (-7,2% in un solo anno). Tra il 2021 e il 2022 gli occupati a livello regionale nelle attività di ristorazione sono cresciuti del 13,8% e nelle prime dieci professioni per numero di occupati si è collocato al 2° posto con un peso del 4,1% del livello di occupati. Dopo la fuoriuscita dei dipendenti dal marzo 2020 e proseguita nell’autunno del 2021 fino alla primavera 2021 per effetto delle misure restrittive il settore ha con grande fatica riassorbito manodopera tornando e superando i livelli pre pandemia.  Il dato del tasso mancata partecipazione al lavoro giovanile registra in provincia di Bergamo una flessione di 8,1 punti percentuali nel periodo 2018-2022, decremento più consistente di quello verificatosi a livello regionale nel medesimo periodo. Il tasso nel 2022 era del 10,7% contro il 16,9% del dato Lombardo. Il settore ha contribuito vistosamente al richiamo all’occupazione soprattutto dei più giovani. Non è casuale che il recupero dei giovani al lavoro è stato prodigioso tra il 2018 e il 2019 (-4,6%) e il 2021 e il 2022 (-2,7%) mentre l’indice che è negativo è addirittura aumentato tra il 2020 e il 2021 (+0,3%), quando il settore ha sofferto per i lockdown.  Sfatiamo il secondo grande mito: il settore non ha scacciato occupati , anzi li ha attirati e più di altri ha saputo attirare lavoro giovanile, femminile e di stranieri.

Imprese e lavoro

Entrando nel dettaglio delle specializzazioni produttive locali, nel 2021 le imprese del settore dei servizi di alloggio e ristorazione (4.874) costituivano il 6% del totale di quelle attive a livello provinciale, con una netta prevalenza delle aziende dei pubblici servizi (4.472) di piccole dimensioni. Considerando l’insieme dei comparti riconducibili al turismo, questo dato sale al 10,2%. Il numero delle imprese registrate nelle attività di servizi di alloggio e ristorazione dal 2010 al 2023 mostra una crescita significativa dal 2010 al 2018 con una crescita maggiore tra il 2017 e il 2018 e poi l’inversione verso una riduzione dal 2018 al 2023 con due accelerazioni in diminuzione, nel 2020 e nel 2022. Infatti la dinamica a breve termine mostra un calo tra il I trimestre 2022 e il I° trimestre 2023 da 6.799 a 6.653 (-146 imprese -2,1%) ma con una dinamica opposta tra la crescita delle imprese di alloggio +41 e il calo di quelle della ristorazione -183). Quello che invece registra l’Osservatorio del lavoro di Federalberghi è che nel 2022 i dipendenti medi dei pubblici esercizi bergamaschi sono stati 8,8 contro i 7,7 della media regionale. Quindi dimensioni medie più grandi si oltre un addetto in media.  Sfatiamo quindi il terzo mito: non è vero i lavoratori non ci sono perché aprono sempre maggiori nuove imprese che diventano sempre più piccole.

L’autoimprenditorialità

Inoltre, è utile prendere in esame anche il numero degli occupati nel 2022. Sul totale di 489.000 occupati in provincia di Bergamo i servizi ne cubano 256.000 (pari al 52,35%) mentre gli addetti ai servizi di alberghi e ristoranti 69.000 (14,11%).  L’osservatorio di Federalberghi per il 2022 registra la punta massima di 26.908 dipendenti nel settore. Senza quantificarlo perché statisticamente è difficile confrontare due fonti diverse è facile intuire quanto sia in questo settore il peso degli indipendenti (soci, amministratori, coadiuvanti rispetto ai lavoratori dipendenti: tre a due. Questo è lavoro in proprio! Sfatiamo il quarto che è il peggiore dei miti: non è vero che le persone scappano da questo settore perché non ci sono prospettive di crescita professionale. Le imprese crescono per dimensione e il lavoro in proprio è un meritocratico ascensore sociale. Certamente non ci sono sentieri o scorciatoie facili per crescere, come in nessun altro settore.

Istruzione, formazione e distanza tra domanda e offerta

Uno dei problemi che esistono nel settore è il disallineamento tra domanda e offerta legata alla variabile grado di istruzione e conseguenti aspettative di crescita professionale. Come detto la categoria “Esercenti ed addetti nelle attività di ristorazione” costituisce la seconda professione in Lombardia (dopo l’impiegato alla segreteria e agli affari generali) tra il 2021 e il 2022 (+22.000 addetti + 13,8%). Come si concilia la crescita di questa professione con gli iscritti nelle scuole superiori di II grado in provincia di Bergamo nello stesso periodo con gli iscritti ai licei 22.505 (46,6% del totale), degli Istituti tecnici 17.838 (pari al 37,0%) con gli iscritti agli Istituti professionali 7.924 (pari al 16,4%) di cui solo 1.414 per servizi (pari al 2,9%). Questa è la realtà che non vogliamo affrontare ma che costituisce il problema: il disallineamento tra istruzione, formazione e aspettative di crescita.
Dobbiamo spiegare bene alle famiglie dove potranno lavorare i figli e evitare di demonizzare lavori che sono onorabili ed anche soddisfacenti. Perché lavorare nel turismo a contatto con la gente sarà certamente migliore che lavorare davanti ad un PC o nel commercio elettronico dove contano robot e Intelligenza artificiale. Dobbiamo far cambiare la percezione. Il terziario della nostra provincia ne avrà bisogno. Qualcosa potrà essere ancora recuperato tra i NEET e i ragazzi che non finiscono le scuole ma in prospettiva occorrerà dare qualità e valore ai lavori del settore per richiamare giovani intraprendenti nel settore. In questo modo oltre alla crescita quantitativa metteremo a frutto anche una crescita qualitativa della nostra offerta turistica.




Mercato del lavoro, saldo positivo per i dipendenti per il nono trimestre consecutivo

I dati dell’Osservatorio della Provincia relativi al primo trimestre evidenziano un saldo positivo per 5800 posizioni. L’espansione si consolida nel terziario 

L’occupazione dipendente continua a crescere in provincia di Bergamo con un saldo tra ingressi e uscite positivo per oltre 5.800 posizioni.
La variazione tendenziale è positiva per il nono trimestre consecutivo con segni di rallentamento che in parte dipendono dall’effetto base (il confronto è con i primi mesi del 2022 in forte recupero post-Covid), in parte risentono di un ciclo produttivo più debole e di una perdurante difficoltà di reperimento di nuovo personale che riguarda poco meno della metà delle figure professionali richieste dalle imprese. È  questa la principale evidenza emersa  dall’Osservatorio del Mercato del Lavoro, costituito nell’ambito della Cabina di regia provinciale Lavoro e Formazione, con la presentazione questa mattina dei dati relativi al primo trimestre 2023.
L’espansione occupazionale si attenua nell’industria e nell’edilizia ma si consolida nel macrosettore del commercio e dei servizi. In particolare nei settori più sensibili ai consumi turistici (alberghi, ristorazione, intrattenimento…) si registrano livelli di assunzioni e di variazione netta superiori agli andamenti tipici di inizio anno, segno di una dilatazione della stagione turistica.
Il saldo è positivo in tutte le tipologie contrattuali, si riduce nella somministrazione e cresce nell’area dei rapporti permanenti grazie al continuo aumento delle trasformazioni dal tempo determinato al tempo indeterminato.
Le assunzioni e i saldi netti si riducono in confronto a un anno fa per gli uomini, quasi per nulla tra le donne. La tenuta dell’occupazione femminile è dovuta al suo maggior peso relativo nei servizi in ripresa e alla dinamica degli ingressi part-time (che crescono del 4% contro un calo di quelli full time dell’8%). Gli ingressi di giovani al di sotto dei 30 anni si mantengono su livelli simili a quelli di un anno fa con un’incidenza, in progresso, al 40% delle assunzioni totali. La dinamica delle assunzioni di lavoratori stranieri è allineata a quella complessiva, ma si registra un aumento tendenziale delle loro cessazioni, che risultano invece in calo tra i lavoratori di nazionalità italiana. Nelle aree territoriali dei Centri per l’impiego si conferma sui livelli di un anno fa il saldo positivo nella circoscrizione del capoluogo (oltre duemila posizioni lavorative). Positivi ma in attenuazione rispetto a un anno fa i risultati delle aree di Treviglio, Romano di Lombardia e Grumello del Monte. 1 L’indagine campionaria camerale sul primo trimestre 2023 segnala a Bergamo una battuta d’arresto congiunturale della produzione industriale (e nel terziario una crescita del fatturato più forte nei servizi rispetto al commercio).
La platea delle imprese con almeno un’assunzione di dipendente nel trimestre (10.665) si mantiene sui livelli del trimestre iniziale dello scorso anno e ben al di sopra del periodo pre-Covid, con un recupero significativo tra le imprese che operano nei settori più influenzati dal turismo. Tra le causali delle cessazioni aumentano nel confronto annuo solo le chiusure per fine del rapporto a termine mentre calano i licenziamenti e, di poco, anche le dimissioni.




Agenti di commercio, un futuro della professione tutto da costruire

Il ricambio generazionale è il problema di un lavoro scelto solo dal 15% di under 30 e abbandonato da quasi il 60% degli over 50 e 60

Le difficoltà del mondo del lavoro nel reperire manodopera, che accomunano trasversalmente tutti i settori produttivi,  stanno investendo anche il mondo dell’impresa e la categoria degli agenti di commercio. La figura dell’ausiliario – che nelle sue macro categorie della classificazione ATECO vede in provincia di Bergamo 2.086 imprese attive con codice esclusivo di agente di commercio-  sta riflettendo molto questa difficoltà. La figura dell’intermediario del commercio, divenuta fondamentale come motore dello sviluppo delle vendite delle imprese di ogni dimensione con l’affermazione dei canali distributivi corti dall’inizio della concentrazione della distribuzione delle merci degli anni ’70,  sta perdendo diverse posizioni anche nel nostro territorio. Le ricerche presentate da FNAARC e da Confcommercio Bergamo nel convegno “Agenti di commercio: pianificare l’evoluzione. Analisi del presente e vision sul futuro” hanno visto snocciolare numeri non positivi sia a livello nazionale che locale. In Italia a fronte di un numero di imprese preponenti  in calo del -3% (da 58.520 del 2021 a 56.600 del 2022) il  calo di 1.423 agenti di commercio – 0,7% è stato più contenuto, anche se non consente di rovesciare un trend che ha visto perdere oltre 60mila agenti di commercio in 10 anni.

Il problema nella provincia di Bergamo è ancora peggiore:  il saldo degli agenti di commercio per l’anno 2022 è negativo con – 124 imprese iscritte alla Camera di Commercio. E’ il dato peggiore dal 2019, addirittura più nero di quello del 2020, quando si toccò il minimo storico di nuove aperture (67) e il record di chiusure (191). Nel periodo dei quattro anni il saldo, ahimè sempre negativo, è di – 364 imprese,  con un turnover del 35%. In quattro anni sono cambiati quasi 4 agenti di commercio su 10 nella nostra provincia. Questi sono numeri che inducono ad un riflessione. Indubbiamente i numeri risentono della riduzione del numero dei giovani che sta influenzando il tasso di natalità delle imprese di tutti i settori e della riduzione drastica del tasso di disoccupazione che porta molti ausiliari a lasciare l’attività in proprio per intraprendere quella più sicura di lavoratore dipendente. Ma a fianco di queste motivazioni di ordine generale, la riduzione di fatturati e provvigioni sta scoraggiando l’avvio e la prosecuzione dell’attività.

Il modello al quale eravamo abituati nel secolo scorso dell’agente di commercio come diplomato brillante che intraprende la professione entro i 30 anni dopo un’esperienza come lavoratore dipendente e che continua per oltre 40 anni fino alla pensione non esiste più.

Gli agenti di commercio bergamaschi evidenziano maggiore individualità nell’esercizio, meno presenza femminile un’età anagrafica maggiore rispetto a quella nazionale.

Sembrerebbe essere più accentuato il turnover nella professione rispetto alla media nazionale, tipico delle aree del nord Italia, più avanti nell’affermarsi dei fenomeni sociali e con minore disoccupazione che crea sbocchi alternativi.

Il dato della migliore longevità delle imprese femminili è positivo perché potrebbe essere il segnale che la professione sta iniziando ad attirare maggiormente le donne perché meglio si concilia con l’organizzazione familiare.  Di contro, ciò potrebbe essere legato alla riduzione del reddito medio dell’agente.

Sull’età anagrafica delle aperture e cessazioni si addensano le principali complessità del sistema sociale ed economico della professione.

Solamente il 15% circa delle nuove attività è aperta da un giovane sotto i 30 anni. Uno su due avvia l’attività tra i 30 ei 49 anni, quindi dopo aver già svolto un altro lavoro, mentre ben il 37% sceglie la professione dai 50 ai 69 anni, ormai nell’ultima fase della sua vita lavorativa.

La discontinuità nelle cessazioni  vede il 2,3% dei giovani che desistono subito, il 22,2% che lascia dai 30 ai 49 anni per andare a fare altro, con la probabile dispersione delle competenze acquisite. Dentro nella frazione del 59,7% che lascia dai 50 ai 69 anni, accanto alla porzione di coloro che hanno raggiunto l’età pensionabile, si annida la principale criticità di chi viene espulso dalla professione in età avanzata con minori prospettive di riassorbimento.

Gli anni della pandemia evidenziano i fenomeni già emersi nei decenni precedenti. Una curva demografica e una di longevità aziendale pericolose per la categoria e per le imprese mandanti.

Il problema è noto alle medie e grandi imprese consapevoli che non si potranno sostenere le vendite con l’e- commerce ma servirà attirare presto molti giovani brillanti, anche se non sarà per niente facile.

La professione per continuare ad essere attrattiva deve essere sostenibile, sia economicamente sia per quanto riguarda la conciliazione lavoro-tempo libero, prioritaria nella scelta del lavoro soprattutto da parte dei più giovani.

Questo è l’input per le aziende mandanti che più degli stessi agenti sono convinti che Internet non potrà sostituire la figura del rappresentante, ma che ne cambierà in parte il ruolo. Questo ruolo però  va riconosciuto non solo a parole ma nei fatti.

Di contro, devono essere i giovani a credere in questa professione in proprio, che resta moderna, ben retribuita a regime, e che prevede un buon mix tra tecnologia, social, smart working, elementi tra i più apprezzati nella scelta lavorativa.

Perché non ci sarà comunque posto per tutti i giovani laureati brillanti nelle funzioni del marketing e comunicazione delle grandi imprese, soprattutto se non riusciranno a sostenere le loro vendite con adeguate e qualificate forze,  sia nella forma di dipendenti diretti sia di agenti di commercio, nel giusto equilibrio.  Senza dimenticare che negli anni la professione dell’agente di commercio ha proposto un modello virtuoso perché basato sul lavoro in proprio per enfatizzare la relazione con il cliente e massimizzare le vendite.

 




Corsa alle dimissioni, la grande crisi per le imprese del turismo e della ristorazione

Non c’entrano solo orari e stipendi, ma pesa sempre di più il benessere percepito sul lavoro, oltre al rapporto con il titolare (che vale il 50% delle rinunce lavorative)

Il fenomeno delle grandi dimissioni, Great resignation o big quit come lo chiamano gli americani, dopo il boom degli Stati Uniti nel 2021 (47,7 milioni di dimissioni volontarie contro i 68,8 milioni di cessazione di rapporti di lavoro) ha raggiunto anche l’Europa e sta scuotendo dall’anno scorso anche il nostro Paese e in via trasversale tutti i settori economici che lo compongono. Questo nuovo modo di intendere e concepire la vita per i lavoratori che cercano prima di tutto benessere e conciliabilità dei propri interessi sta trovando la “vittima sacrificale” nei settori del terziario: il commercio, ma soprattutto il turismo e la ristorazione, stanno pagato il dazio più alto.

Accanto infatti ai tanti fattori che spiegano il fenomeno delle grandi dimissioni in senso generale, ce ne sono alcuni particolari che riguardano esclusivamente i settori del terziario. In primo luogo il settore è costituito quasi esclusivamente da micro e piccole imprese per lo più a conduzione familiare dove la possibilità di proporre una carriera è molto bassa. Una volta, chi lavorava in questo settore lo faceva per imparare un mestiere e aprire la propria attività, ma oggi quella proiezione di lungo termine sembra essere fantascienza per la maggioranza dei giovani.

Le imprese del settore turistico pressate dalle difficoltà finanziarie della pandemia e da quelle economiche della riduzione dei margini per la concorrenza dei grandi player (dalle prenotazioni con le OTA nella ricettività, del delivery con le piattaforme nella ristorazione) e da una concorrenza esasperata non hanno margini per accrescere le condizioni economiche dei lavoratori.

Inoltre, da almeno vent’anni è cambiata la percezione dello status, ossia quel modo di pensare collettivo che faceva preferire il lavoro in negozio, al bar e al ristorante alla fabbrica (così come nei cinquant’anni precedenti il lavoro in fabbrica era lo sbocco moderno per chi scappava dalla alla campagna). Il pensiero di dover lavorare il sabato e la domenica e nei giorni in cui gli altri si divertono è il deterrente peggiore per cercare un posto di lavoro nel terziario. La stessa professione di chef, fino a dieci anni fa di grande impatto mediatico, non sembra più rientrare tra i fenomeni alla moda.

E’ proprio il settore dei pubblici esercizi e dei ristoranti, dove l’età media dei lavoratori è mediamente tra la più bassa, a fare le spese di questa disaffezione per professioni un tempo decisamente più ambite. Complice anche il crollo demografico, nella provincia di Bergamo stimiamo la carenza di circa 6.000 addetti, pari al 22% rispetto a gli occupati (5.200 titolari, familiari e soci e circa 22.000 dipendenti – fonte FIPE). Molte imprese quindi decidono di ridurre i turni, aumentare i giorni di chiusura e limitare le sale per mancanza di personale. Ciò accade nonostante il settore impieghi molto frequentemente, con  il lavoro a chiamata, gli studenti universitari, che in questo modo cercano di sostenere le loro piccole spese e allo stesso tempo formarsi e crescere, oltre a rapportarsi con gli altri, testando e migliorando le proprie qualità relazionali.

Tutti questi fattori negativi e convergenti, dal calo demografico alla ricerca di tempo libero e svago, stanno creando una seria difficoltà al commercio e al turismo e rischiano di inchiodare uno dei settori in crescita nel nostro Paese. Ma cosa fare? Quale compito abbiamo?

Difficile individuare soluzioni valide a priori se non la ricerca a ogni livello di una maggiore capacità di attrazione del personale, di ingaggio, ossia di costruzione della relazione, la cura del benessere del lavoratore e la gratificazione.

Le direzioni delle risorse umane delle grandi imprese sono già da tempo al lavoro per migliorare la relazione con i dipendenti: welfare, premi aziendali, smart working, formazione e possibilità (teorica) di fare carriera. Tutto quanto sembrerebbe, se non alieno, almeno lontano nella stragrande maggioranza delle piccole aziende del commercio e del turismo. Eppure nelle realtà più piccole il punto di partenza cruciale per il cambiamento è proprio la consapevolezza del datore di lavoro. Se lo stile direttivo e la contrapposizione tra titolari e collaboratori non esistono più da anni, nella stragrande maggioranza delle imprese serve comunque un perfezionamento dello stile collaborativo e un grande cambio di passo nella comprensione del cambiamento e nell’accettazione delle esigenze nuove, non certo dei capricci, dei collaboratori.

Se il cambiamento è abbracciato dal datore di lavoro, allora la capacità di reazione della piccola imprese è certamente superiore a quella delle medie e grandi imprese perché nelle prime il titolare è a contatto diretto e lavora- spesso gomito a gomito- con i suoi dipendenti.

Non è però solo una questione di velocità, ma anche di possibilità concrete di accontentare i lavoratori. Nelle grandi aziende, le direzioni del personale sono lontane dai dipendenti e le eccezioni nel trattamento dei collaboratori sono spesso impossibili da stabilire quando i dipendenti sono molti da gestire, mentre il piccolo imprenditore può attuarle con più flessibilità, gestendo ad esempio un turno migliore per la mamma che ha figli più piccoli o per la ragazza che è iscritta a un corso in palestra in palestra. In questo si può tradurre la maggiore attenzione alle esigenze e il contrasto al malessere dei collaboratori, che resta la principale ragioni delle dimissioni.

Tutti noi, a ogni livello, preferiremmo che il mondo del lavoro fosse quello di trent’anni fa, ma così non è e non potrebbe nemmeno esserlo. Serve quindi la flessibilità delle regole, che non significa non lavorare, ma che siano adeguate al cambiamento dei tempi e non rigide come le leggi scritte sulla sacre tavole. Infine servirebbe una gestione oculata dei turni di lavoro che eviti carichi massacranti per gli addetti, perché di persone disponibili a sacrificarsi in tutto per il lavoro ce ne saranno sempre meno.

Le ricerche su questi argomenti convergono nel sostenere che una lettera di dimissione su due non dipenda da fattori economici. Se su questi ultimi ciascun imprenditore deve poter fare i conti con le proprie tasche, sulle altre voci dipende solo da lui e senza spendere di più per trattenere il personale.




Formazione e occupazione, 25 milioni di euro dalla Regione

Enrico Betti, Area Lavoro Ascom: “Un importante incentivo per nuovi inserimenti e formazione, con attenzione alle imprese meno strutturate” 

Enrico Betti

Dalla Regione arrivano fondi per formazione e occupazione, con contributi fino a 8mila euro, cui si sommano ulteriori mille euro in caso di imprese sotto i 50 dipendenti. Regione Lombardia, con delibera n. 7336 del 14 novembre 2022, ha infatti approvato le linee guida per l’attuazione della misura “Formare per assumere – incentivi occupazionali associati a voucher per l’adeguamento delle competenze” che prevede un contributo ai datori di lavoro sia per la formazione erogata in fase di inserimento lavorativo sia di un incentivo all’assunzione. L’iniziativa è destinata ai datori di lavoro che assumono persone prive di impiego subordinato o parasubordinato da almeno 30 giorni presso un’unità produttiva/sede operativa ubicata nel territorio di Regione Lombardia. Per tutte le tipologie contrattuali previste, a tali importi si aggiunge un ulteriore valore di 1.000 euro se l’assunzione viene effettuata da un datore di lavoro con meno di 50 dipendenti. La dotazione finanziaria è pari a 25 milioni di euro. Il bando, gestito da Unioncamere Lombardia, prevede che le domande di contributo, a sportello, possano essere presentate a partire dal 29 novembre 2022, fino ad esaurimento delle risorse.  “Non possiamo che salutare con favore questa importante misura di incentivo ad assunzioni, contratti di apprendistato e percorsi formativi- commenta Enrico Betti, responsabile Area Lavoro, sindacale e welfare Ascom Confcommercio Bergamo-. La Regione con un ulteriore contributo di mille euro per le imprese sotto i 50 dipendenti, mostra attenzione alle difficoltà delle micro e piccole e medie imprese. Sta ora alle aziende cogliere questa opportunità, investendo in personale e formazione”.
L’incentivo occupazionale è differenziato in base alla tipologia contrattuale di lavoro subordinato (tempo indeterminato, tempo determinato di almeno 12 mesi – non sono ammesse proroghe, apprendistato, a tempo pieno, a tempo parziale – di almeno 20 ore settimanali medie) e alla difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro. Per contratti a tempo indeterminato e a tempo determinato di almeno 12 mesi, sono previsti contributi da 4mila a 6mila euro, subordinati al completamenti di un percorso formativo. In particolare, il contributo è ripartito in questo modo: per l’assunzione di uomini fino a 54 anni sono previsti 4 mila euro, cifra che sale a 6mila per l’assunzione di donne fino a 54 anni; stesso contributo di 6mila euro per uomini over 55 e cifra che sale a 8mila per donne over 55.
Anche i contratti di apprendistato sono interessati da contributi da 1500 a 7mila euro, secondo la seguente ripartizione: 1500 per uomini fino a 29 anni, 2500 per donne fino a 29 anni, 4mila euro per uomini dai 30 anni e 7mila per donne over 30. L’incentivo è concesso a fronte della stipula di un contratto di apprendistato e non è condizionato alla realizzazione di un percorso formativo. Sono esclusi dai contributi i contratti di somministrazione, a progetto o collaborazione coordinata e continuativa, così come il lavoro occasionale, accessorio, lavoro o attività socialmente utile (Lsu e Asu), contratto di agenzia, associazione in partecipazione, lavoro intermittente (job on call) e lavoro domestico. Sono altresì escluse tutte le forme contrattuali che non garantiscono la continuità del rapporto di lavoro per almeno 12 mesi.
Sono inoltre esclusi dal contributo: i contratti relativi a inserimenti lavorativi di persone che, nei 180 giorni precedenti la data di assunzione, hanno effettuato un tirocinio o un lavoro presso il medesimo datore di lavoro; coloro che sono fruitori di misure regionali già comprensive delle medesime agevolazioni o tipologie di servizi (GOL, DUL, Azioni di rete ecc).
L’incentivo è riconosciuto successivamente al completamento del percorso formativo (qualora previsto) e subordinato all’effettività del contratto di lavoro e alla permanenza del lavoratore presso l’impresa, fatta salva una conclusione anticipata del rapporto di lavoro non addebitabile al datore di lavoro, che determina la riparametrazione dell’incentivo.
La misura regionale prevede anche voucher per la formazione, riconosciuto, a seguito dell’assunzione, fino al valore massimo di 3mila euro a fronte del servizio fruito e completato, da avviarsi a partire dalla pubblicazione del bando attuativo del presente provvedimento e comunque entro 90 giorni dalla data di assunzione del lavoratore. Ai fini della riconoscibilità del contributo, la formazione deve essere erogata da un operatore appartenente all’elenco regionale degli operatori accreditati per i servizi alla formazione (Capac e Formaterziario), da una Università con sede in Lombardia o da una Fondazione ITS con sede in Lombardia.

 

 

 

 

 




Nasce Pro2b, il primo portale dal professionista all’azienda

La nuova piattaforma sarà presentata ai professionisti bergamaschi venerdì 25 marzo, alle ore 17, in sala Conferenze nella sede Ascom Confcommercio Bergamo

Nasce, per iniziativa dei gruppi “Libere professioni” e “Commercio elettronico” Ascom Confcommercio Bergamo, Pro2b, il primo portale che mette in relazione i liberi professionisti con la loro clientela, attraverso il modello “professional to business”, dal professionista all’azienda. La piattaforma, riservata ai liberi professionisti che operano nel territorio bergamasco, favorisce l’incontro tra l’azienda in cerca di un servizio o di specifiche competenze e il fornitore qualificato. Attraverso l’incontro tra domanda e offerta le imprese e i commercianti bergamaschi possono ricercare e incontrare i professionisti adatti alle loro esigenze, senza inutile dispersione di tempo e di energie, oltre al vantaggio di poter trovare un interlocutore qualificato a “km zero”.

Grazie all’intelligenza artificiale si garantisce il “matching” perfetto tra domanda e offerta. Un importante aiuto per le imprese del terziario che, anche per effetto della pandemia, si sono scontrate con i propri limiti a livello digitale: “Mai come in questi ultimi due anni abbiamo assistito a un’accelerazione delle competenze digitali e di marketing per stare sul mercato- commenta il direttore Ascom Confcommercio Bergamo, Oscar Fusini-. Molte imprese si sono affidate a temporary manager perché la struttura stessa della maggior parte delle nostre aziende non consente di avere risorse dedicate al loro interno. Grazie al nuovo portale, le imprese possono in modo veloce ed efficace trovare sul territorio la risposta ai loro bisogni in continua evoluzione, proprio come il mercato”.

Matteo Mongelli, presidente del gruppo “Libere Professioni” Ascom Confcommercio Bergamo , sottolinea l’opportunità del portale per dare valore alla multiforme realtà delle competenze dei titolari di partita Iva, anche delle realtà più giovani, presenti sul territorio: “Il futuro del mercato del lavoro, come evidenziato anche da una recente ricerca Censis, va verso l’accorciamento della filiera. Poter disporre di un portale che favorisce l’incontro tra domanda e offerta sul territorio rappresenta un’ottima opportunità. Le relazioni continuano a essere insostituibili e fondamentali e in questo sta la forza del nostro gruppo, che attraverso eventi come “Join the club”, che lo scorso anno ha visto oltre cento partecipanti, sa trasformare le connessioni virtuali in veri e propri scambi di opportunità e di crescita professionale. Grazie al portale si faciliteranno incontri e scambi, anche generazionali, attraverso il confronto tra professionisti junior e senior, per continuare a crescere e contaminare le competenze”.

Roberto Nembrini, presidente del nuovo Gruppo “Commercio Elettronico” Ascom, sottolinea l’importanza dell’intelligenza artificiale al servizio della professionalità: “Con il cambiamento in atto le aziende devono sempre più ricercare nuove competenze al di fuori dalla propria realtà aziendale e questa ricerca va semplificata, velocizzata e supportata. Nel portale Pro2b sarà l’intelligenza artificiale a individuare il bisogno reale dell’azienda, l’eventuale problematica e a rispondere in maniera mirata con la soluzione, proponendo una scelta tra diversi fornitori qualificati e selezionati. Tutto questo supportato da eventi fisici e relazioni vere”.

Il nuovo portale sarà presentato ai professionisti bergamaschi venerdì 25 marzo, alle ore 17, in sala Conferenze nella sede Ascom Confcommercio Bergamo. Nelle prossime settimane verrà presentato anche alle aziende del territorio. Il sito Pro2b è un format innovativo che mette in relazione i liberi professionisti con la loro potenziale clientela e accompagna le imprese del terziario nell’evoluzione delle competenze richieste dal mercato. Il portale, nato e progettato a Bergamo, realizzato dalla società Devon srl, rappresenta un unicum a livello nazionale. Grazie a un’attenta e automatizzata profilazione aziendale ed attraverso l’intelligenza artificiale si individuano e propongono i professionisti che rispondono alle diverse necessità. Le imprese del commercio, del turismo e dei servizi possono così contare su un aiuto per trovare i professionisti più vicini non solo alle loro esigenze ma anche alla loro vera necessità. Emerge così la consapevolezza di come l’innovazione e il digitale non servano solo a comunicare meglio, ma anche e soprattutto a supportare le imprese verso un riposizionamento strategico e operativo al fine di renderle più competitive.

Una risposta alle esigenze delle imprese del terziario

L’Osservatorio “Marketing e Comunicazione Bergamo” realizzato da Format Research per il gruppo MMCE dei Servizi all’imprese (dati a fine gennaio 2022) ha evidenziato una criticità nelle competenze interne: solo il 33,8% delle imprese bergamasche ha un dipartimento interno o almeno un addetto che si occupa in via specialistica del marketing aziendale. Quindi due aziende su tre ricorrono alla competenza del loro titolare, che non è specialistica e dedicata, occupandosi lo stesso dell’attività principale dell‘impresa, per l’attività di sviluppo, marketing e comunicazione. Il 63,3% delle imprese bergamasche ha investito nel 2021 solo in strumenti di marketing digitali, contro il 22,5% in entrambi e solo il 14,2% esclusivamente in strumenti di marketing tradizionale. Di questi investimenti ben il 93,8% delle imprese dichiara di aver investito sul website. Sebbene l’obiettivo prevalente degli investimenti digitali delle imprese sia quello di comunicare con immediatezza (46,8%), migliorare la brand reputation (42,7%) e aumentare i contatti dei clienti anche geograficamente lontani (32,8%). Esiste un bisogno attuale e molto forte. Tra le esigenze più sentite, quella di migliorare la competitività aziendale grazie al confronto con aziende più strutturate 30,9%, seguita da quella di implementare strategie efficaci basate sui bisogni reali della clientela 21,6%.

 

 

 




Rinnovo CCNL Terziario, nulla di fatto a fine mese nuovo incontro tra le parti

In una nota congiunta, Confcommercio e Filcams CGIL, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil informano che c’è stato un incontro per riprendere le riflessioni relative al rinnovo del CCNL Terziario Distribuzione e Servizi, scaduto lo scorso 31 dicembre 2019 ed “hanno condiviso – sottolineano -la consapevolezza comune che la risposta più virtuosa al periodo drammatico che stiamo vivendo, i cui temi di carattere sociale risultano oggettivamente predominanti, è quella di non restare fermi e di agire, rimettendo in moto le relazioni sindacali, peraltro mai interrotte in questo periodo, poiché lo testimoniamo i numerosi accordi sottoscritti relativamente alla gestione della pandemia, nelle direzioni sia di messa in sicurezza di lavoratori ed imprese e sia della bilateralità a supporto dei lavoratori e del settore”. “Il percorso negoziale che si vuole intraprendere, condizionato inevitabilmente dall’andamento dell’epidemia e dalle dinamiche/andamenti macro economici del settore – prosegue la nota – dovrà collocarsi nella cornice dei contenuti degli Accordi Interconfederali sulla “rappresentanza” del 2015 e sul “nuovo sistema di relazioni sindacali e modello contrattuale” del 2016, confermando la centralità del CCNL, anche come strumento e luogo di gestione, nel rispetto delle attribuzioni dei diversi livelli contrattuali, delle trasformazioni che stanno emergendo nella fase pandemica. Trasformazioni che si riflettono, tra gli altri aspetti, anche sulle innovazioni dell’organizzazione del lavoro e l’aggiornamento delle figure professionali del terziario. Senza dimenticare, ovviamente, il necessario adeguamento dei sistemi di welfare contrattuale”. “Le Parti – conclude la nota – entro la fine del mese di novembre si incontreranno nuovamente per avviare le trattative”




Istat, prosegue a giugno la diminuzione dell’occupazione

Rispetto al mese di maggio 2020, a giugno prosegue, a ritmo meno sostenuto, la diminuzione dell’occupazione e la crescita del numero di persone in cerca di lavoro, a fronte di un calo dell’inattività. Continua anche il recupero del numero di ore lavorate pro capite. La diminuzione dell’occupazione su base mensile (-0,2% pari a -46mila unità) coinvolge le donne (-0,9% pari a -86mila), i dipendenti permanenti (-0,4% pari a -60mila) e gli under50, mentre gli occupati aumentano tra gli uomini (+0,3% pari a +39mila), i dipendenti a termine, gli indipendenti e gli ultracinquantenni. Nel complesso, il tasso di occupazione scende lievemente, attestandosi al 57,5% (-0,1 punti percentuali). L’aumento delle persone in cerca di lavoro è consistente (+7,3% pari a +149mila unità), riguarda soprattutto gli uomini (+9,4% pari a +99mila unità, contro il +5,0%, pari a +50mila, delle donne) e interessa tutte le classi di età. Il tasso di disoccupazione risale all’8,8% (+0,6 punti) e, tra i giovani, al 27,6% (+1,9 punti). La diminuzione del numero di inattivi (-0,7% pari a -99mila unità) si registra tra gli uomini (-2,5% pari a 131mila unità) e tra i minori di 64 anni, a fronte di un aumento delle donne inattive (+0,4% pari a +31mila). Complessivamente cala il tasso di inattività che si attesta al 36,8% (-0,3 punti). Nella media del secondo trimestre 2020, rispetto al primo, l’occupazione risulta in evidente calo (-2,0% pari a -459mila unità) per entrambe le componenti di genere. Diminuiscono nel trimestre anche le persone in cerca di occupazione (-15,7% pari a -364mila), mentre aumentano gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+5,9% pari a +793mila unità). Le ripetute flessioni congiunturali dell’occupazione hanno determinato un calo rilevante rispetto al mese di giugno 2019 (-3,2% pari a -752mila unità), che coinvolge entrambe le componenti di genere, i dipendenti (-613mila), gli autonomi (-140mila) e tutte le classi d’età; l’unica eccezione risultano essere gli over50 (+102mila). Il tasso di occupazione scende in un anno di 1,8 punti. Infine, nell’arco dei dodici mesi, calano in misura consistente le persone in cerca di lavoro (-11,5%, pari a 286mila unità), mentre aumentano gli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+6,8%, pari a +899mila). L’indagine statistica ha risentito degli ostacoli che l’emergenza sanitaria in corso pone alla raccolta dei dati di base. Sono state sviluppate azioni correttive che ne hanno contrastato gli effetti statistici negativi e hanno permesso di elaborare e diffondere i dati relativi al mese di giugno 2020.




Per cambiare le competenze dobbiamo cambiare la scuola

Non importa arrivare pronti ma preparati.

È questo il messaggio forte che esce dal XII° forum dei Giovani imprenditori Confcommercio, tenuto nella splendida cornice del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze.

Il titolo del resto già richiama il tema: pensiero in azione con sottotitolo formazione, competenza, crescita. A condurlo in postazione podcast Raffaele Tovazzi, primo “filosofo esecutivo”, che ha incalzato presidenti, politici e professori prima che diverse esperienze confermassero la necessità di cambiare

L’Italia, secondo una ricerca di Unioncamere sta perdendo imprese giovanili. Ben oltre il calo demografico dei giovani che ha caratterizzato gli ultimi otto anni.

Sta scemando la propensione al mettersi in proprio. Eppure la stessa ricerca evidenzia che in linea teorica per i giovani l’attività in proprio rappresenta per la stragrande maggioranza un ideale di grande soddisfazione.

Cosa sta avvenendo? I giovani vogliono fare altro oppure la paura di non farcela sta prevalendo. È vero che secondo la stessa ricerca le imprese giovanili riescono ad esprimere maggiore longevità solo dopo un periodo di otto anni. Troppi nel mondo di oggi e i giovani lo sanno. Pensare di andare a regime dopo un così lungo tempo è un’impresa titanica in un mondo che in tre o cinque anni cambia totalmente.

Questo seleziona i potenziali imprenditori lasciando campo solo a coloro che non hanno una reale alternativa, riducendo il potenziale d’impresa.

Il problema non è solo un fatto quantitativo, ma di sopravvivenza e sviluppo delle imprese, soprattutto delle più piccole. Perché se non si trova la chiave per competere difficilmente si invertirà la tendenza al disimpegno e abbandono, anche nel ricambio generazionale.

Serve competenza. Alzare il livello medio e puntare a nuove skill.

La scuola non risponde appieno a questa esigenza. È vecchia di impostazione, pesante e costosa.

Il messaggio non vuole essere uno schiaffo alla cultura, anzi. Senza cultura non si può nemmeno competere, impensabile anche progredire. Il colpo è alla teoria. La cultura deve farsi umile e porsi al servizio del saper fare. Un sano pragmatismo può aiutare tutti all’affermarsi nel lavoro. Nel mettersi in proprio innanzitutto come nel lavorare “sotto padrone”.

Deve cambiare il sistema dell’educazione.  Veniamo da un’era in cui si studiava a scuola, si lavorava e si andava in pensione. Preistoria. Si impara tutta la vita, se si vuole sopravvivere.

La formazione deve rispondere più e meglio alle mutate esigenze. Deve spingere in avanti e non rincorrere. Nessuna presunzione di conoscenza. Le nozioni diventano vecchie in un battibaleno. Serve metodo.

La macchina scuola non può essere funzionale solo a sé stessa ma deve esserlo rispetto al sistema. Altrimenti va smontata fin dalle fondamenta. Non è possibile che i giovani scontino al primo impiego l’assenza di competenze per lavorare. Quindi la non preparazione. I costi di apprendimento li deve sostenere l’imprenditore e in una fase come quella attuale questo è troppo costoso.

Se l’alternanza non funzionava non è con la riduzione delle ore che abbiamo migliorato la situazione. Se lo stage è un sistema rigido e non adatto alle piccole e medie imprese, allora va cambiato. Serve reale flessibilità in ingresso nel lavoro trovando le soluzioni che aiutino a crescere le professionalità. L’apprendistato è valido ma non basta perché costa ancora troppo per l’impresa.

Concentriamoci sulla formazione lavorando sull’autoimprenditorialità, insegnando le competenze e l’utilizzo delle nuove tecnologie a scopo professionale. Creando le premesse per una nuova generazione di aspiranti imprenditori in grado di competere.

Per farsi trovare preparati ancora prima che pronti.