Artigianato, dopo tre anni riprende l’occupazione nell’edilizia

L’artigianato lombardo sta meglio. Lo dice il 5° Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia – “Artigiani del proprio destino”, presentato al Fuori Expo di Confartigianato, evidenziando un rallentamento nel calo delle imprese artigiane nel III trimestre 2015, con un -0,9% (pari a 2.251 imprese in meno rispetto al II trim 2014), il valore più contenuto registrato negli ultimi 11 trimestri (quasi 3 anni).

Tra le quasi 255mila imprese lombarde, 59mila appartengono a settori “driver”, settori in controtendenza che stanno crescendo. Si tratta in primo luogo dei servizi alle imprese, che crescono del 12,3%; bene anche i servizi legati all’informatica (+10,5% i servizi di informazione e +9,1% la produzione di software e la consulenza per il settore informatico). Cresce anche il commercio al dettaglio, del 5,1% e, anche se con un più contenuto +1,5%, la ristorazione. In crescita anche la riparazione, manutenzione ed installazione di macchine e apparecchiature (+4,5%).

Donne e giovani: le imprese al femminile rappresentano il 15,3% dell’artigianato lombardo, sono invece il 12,2% le imprese gestite da giovani, ma salgono al 22,1% nella ristorazione e al 20,7% sia nella consulenza informatica e produzione di software che nei servizi per edifici e paesaggio. Tre settori, peraltro, che sono in particolare crescita nell’artigianato.

La produzione delle imprese artigiane manifatturiere cresce dell’1,6%. Vanno particolarmente bene i settori della gomma-plastica (+7,8%), della meccanica (+3,9%) e della lavorazione dei metalli (+3%). Un dato incoraggiante perché la meccanica ha in questa crisi agito da fanalino dell’artigianato: la prima a soffrire, la prima a riprendersi – un dato che fa ben sperare in una ripresa più generalizzata.

Sul fronte occupazione qualche segnale incoraggiante: le buone performance dell’occupazione in due settori fortemente connessi all’artigianato. Nelle costruzioni, settore in cui oltre due impresa su tre sono artigiane (il 69,2%), dopo tre anni di calo si verifica una salita del 2%. Nel manifatturiero, dove un’impresa su due è artigiana (il 51,2%), la crescita degli occupati è del 2,7%. È la variazione positiva più elevata registrata dopo 13 trimestri.




Pigna, lavoratori in cassa integrazione fino a dicembre

Le organizzazioni sindacali e la delegazione aziendale della Pigna di Alzano, la storica azienda cartaria della valle Seriana che ha richiesto il concordato preventivo si sono incontrate stamane in Confindustria Bergamo. “Finalmente – dichiara Luca Legramanti, segretario generale di Fistel Cisl Bergamo – abbiamo avuto dalla fonte originale alcune delle informazioni che ci aspettavamo da tempo. Nei prossimi giorni verrà presentato al Tribunale il piano con il quale l’azienda cerca di uscire dalla pesante situazione di crisi. Quasi contestualmente, Pigna lo illustrerà anche alle organizzazioni sindacali. Questo ci permetterà di avere un panorama più chiaro della situazione e di conseguenza di attuare iniziative e azioni per tutelare i 160 lavoratori che lavorano in fabbrica a Alzano”. Oggi, intanto, sindacati e azienda hanno firmato l’accordo sulla Cassa integrazione ordinaria fino al prossimo dicembre, “per garantire la continuità occupazionale anche in questo periodo, tradizionalmente portato al calo industriale”. “La situazione è naturalmente preoccupante – continua Legramanti -: attendiamo di capire come la dirigenza vorrà uscire da questa condizione, se tramite una partnership o attraverso nuova immissione di capitale, cosa che ritengo difficile”. Venerdì e lunedì si terranno le assemblee con i lavoratori. Saranno illustrati i termini della vicenda, valutate eventuali azioni e stabilito come coinvolgere le istituzioni del territorio.




“Studi Aperti”, ecco come lavorano gli architetti

Visitare gli studi di architettura di città e provincia per vedere di persona come “lavora l’architetto” e avvicinarsi ad una materia così affascinante come l’Architettura: è questo il fine della manifestazione Studi Aperti, che avrà luogo venerdì 2 e sabato 3 ottobre. L’evento, diffuso su più Comuni, è promosso dall’Ordine degli Architetti di Bergamo.

Per due giornate tutti potranno accedere a ben 47 studi che presenteranno il proprio lavoro organizzando anche piccoli eventi, mostre o allestimenti per permettere ai visitatori di intrattenersi e conoscere i progettisti e i differenti settori in cui essi operano con le rispettive specializzazioni. La manifestazione si svolgerà principalmente nella fascia oraria dalle 17 alle 21, ma, data la possibilità di personalizzare la propria modalità di adesione, alcuni studi osserveranno orari differenti: tutti i programmi dei singoli partecipanti sono consultabili alla pagina http://ordinearchitettibg.wix.com/studiapertibg.

I comuni interessati sono: Bergamo, Albino, Albino-Fiobbio, Almenno San Salvatore, Alzano Lombardo, Bariano, Brembate, Brembate di Sopra, Brignano Gera D’Adda, Calolziocorte, Canonica d’Adda, Casazza, Castelli Calepio, Curno, Ponteranica, Sotto il Monte, Stezzano, Suisio, Trescore Balneario, Treviglio e Verdello.

Studi Aperti nasce da una collaborazione stretta tra l’Ordine degli Architetti di Bergamo e quello di Parigi: in Francia questo format è ormai consolidato e raccoglie un notevole apprezzamento da parte dei professionisti e un vasto consenso da parte del pubblico. Lo spirito dell’iniziativa, come inteso anche dai colleghi francesi, è rappresentare nel senso più alto l’intera categoria e non solo la singola attività professionale, nel rispetto del Codice Deontologico.




La Cisl chiama a raccolta i sindaci: “Ecco la ricetta per affrontare la crisi”

lavoroLa Cisl di Bergamo ha messo a punto una proposta, una “linea strategica”, per intervenire sui settori del lavoro e del reddito nella nostra provincia. La proposta verrà lanciata a sindaci e responsabili di ambiti territoriali nel corso del convengo “Governare il futuro. Le proposte della Cisl Bergamo per affrontare la crisi”, che si svolgerà il 1° ottobre nella sala Riformisti della sede Cisl di via Carnovali a Bergamo. La prolungata crisi economica, iniziata nel 2008 con la “bolla finanziaria”, ha avuto pesanti riflessi sul lavoro, sul reddito e sulla casa delle famiglie bergamasche, con particolare incidenza sui soggetti sociali più deboli nel mercato del lavoro: giovani, donne, e ultra quarantacinquenni che hanno perso il posto di lavoro. Dal 2008 al 2014, il tasso di occupazione, nonostante l’aiuto degli ammortizzatori sociali si è abbassato dal 65% al 61,1% delle forze lavoro comprese tra i 15 e 64 anni di età. Il tasso di disoccupazione è raddoppiato passando dal 3% al 7,4%, un dato mai visto nella realtà bergamasca, con una forte incidenza sulla componente giovanile tra i 15 e i 24 anni, passata nello stesso periodo dall’ 8 al 30%.

“Solo dal primo trimestre 2015, secondo i dati recenti dell’Osservatorio della Provincia, si registrano alcuni segnali di ripresa – sottolinea Francesco Corna, segretario Cisl di Bergamo -, con un saldo positivo degli avviamenti al lavoro rispetto alle cessazioni, trascinato anche dall’incremento delle assunzioni a tempo indeterminato. Si tratta di un segnale di ripresa incoraggiante che necessita di ulteriori conferme specie sul versante delle stabilizzazioni delle nuove assunzioni. Di certo non siamo di fronte a un’inversione di tendenza significativa. Serve uno sforzo coordinato per costruire nuovi strumenti. Occorre partire dalla crisi per realizzare nuove opportunità”. Da questi spunti prenderà avvio il convegno, al quale sono stati invitati i sindaci della provincia. Il programma prevede, alle 9, l’avvio dei lavoro con l’introduzione di Francesco Corna. A seguire gli interventi di Flavio Merlo, docente di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, che ha dato il sostegno tecnico alla ricerca Cisl; don Claudio Visconti, presidente Caritas Bergamo; Stefano Malandrini, responsabile dell’Area Lavoro di Confindustria Bergamo; Maria Carolina Marchesi, presidente del Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci. Le conclusioni saranno di Ferdinando Piccinini, segretario generale della Cisl Bergamo.




Benzinai, meno aperture festive. Ma garantiti i turni per gpl e metano

benzinaiAlleggeriscono gli obblighi e introducono maggiore flessibilità gli indirizzi generali ai Comuni sui gli orari e i turni di apertura degli impianti di distribuzione carburanti fissati dalla Regione. La Giunta della Lombardia ha infatti approvato la delibera che modifica le norme in tema di obbligo di chiusura, turni e servizio notturno.

Queste le principali novità

  • OBBLIGO DI CHIUSURA

È annullato l’obbligo di chiusura nel giorno feriale successivo al servizio effettuato la domenica o nei giorni festivi infrasettimanali. Nelle domeniche e nei giorni festivi infrasettimanali dovrà essere garantito il rifornimento di carburante attraverso specifico turno da un sedicesimo degli impianti nel territorio provinciale (attualmente i turni sono otto), ad eccezione delle settimane di agosto, durante le quali deve essere garantito il rifornimento di carburante con turno da parte di un ottavo degli impianti esistenti e funzionanti nel territorio provinciale.

  • TURNI

Regione Lombardia verificherà la disponibilità nella copertura dei turni tra gli impianti eroganti di gas petrolio liquefatto e di metano per favorire la reperibilità di tali carburanti per l’utenza.

  • COMUNI

Sarà data facoltà ai Comuni di promuovere intese, anche intercomunali, con le Organizzazioni sindacali dei gestori maggiormente rappresentative, per concordare turni di servizio in deroga a quelli di cui alle presenti disposizioni purché garantiscano un’offerta adeguata e livelli di servizio adatti all’utenza.

  • SERVIZIO NOTTURNO

Il servizio notturno, svolto dalle ore 22 fino alle ore 7, non necessita più di autorizzazione. Il gestore dell’impianto di distribuzione carburanti che intende svolgere il servizio notturno effettua ora una comunicazione al Comune competente.

Il commento dell’assessore al Commercio Mauro Parolini

«Semplificazione, sburocratizzazione e flessibilità sono i principi che hanno ispirato e guidato questo aggiornamento e che ci permettono di consegnare a Comuni e operatori un quadro normativo rinnovato, che snellisce gli adempimenti e le procedure di pianificazione delle aperture e chiusure domenicali e festive, tenendo anche conto delle mutate condizioni di mercato e dell’interesse dei consumatori», è il commento di Mauro Parolini, assessore al Commercio, Turismo e Terziario di Regione Lombardia. «La modifica è nata da un proficuo ed attento confronto con le parti sociali e accoglie le richieste del comparto – ha ricordato -, formulate in sede di Consulta Regionale Carburanti, con l’obiettivo di incrementare l’efficienza del mercato e il corretto ed uniforme funzionamento della rete distributiva». «Abbiamo inoltre cercato di garantire la fornitura di gpl e di metano, che per numero di impianti fa già della Lombardia un’eccellenza nel panorama nazionale ed europeo, ma su cui Regione, anche alla luce della conformazione del nostro territorio che lo rende particolarmente vulnerabile agli inquinanti atmosferici e delle procedure di infrazione europee, sta continuando ad investire risorse e policy per migliorare la qualità dell’aria e il servizio rivolto ai consumatori».

 




Italcementi, sulla sede di Bergamo si decide l’anno prossimo

NUOVO_LOGO_ITALCEMENTINell’incontro di oggi con i sindacati «i rappresentanti di Italcementi hanno approfondito le proposte dagli stessi formulate la scorsa settimana al Mise e hanno ribadito il quadro finora esposto alle rappresentanze dei lavoratori e in sede ministeriale circa gli sviluppi attesi dall’integrazione tra HeidelbergCement e Italcementi. Confermata quindi la fiducia sulla sostanziale permanenza dell’attuale assetto industriale, mentre per quanto riguarda la sede centrale, occorrerà attendere il closing dell’operazione – previsto nella prima metà del 2016 – per avere un quadro del processo di integrazione delle strutture centrali», ha comunicato la società.

Le novità riguardano invece gli strumenti a sostegno del reddito delle persone coinvolte nell’attuale processo di ristrutturazione. «In seguito all’entrata in vigore del Jobs Act – spiega Italcementi -, non sarà più possibile garantire il prolungamento degli attuali ammortizzatori sociali oltre la scadenza del 31 gennaio 2016. L’individuazione di nuove misure sarà oggetto di un confronto con il Governo entro la fine di quest’anno».




Tute blu, ancora in calo la cassa integrazione in Lombardia

lavoro-scintill.jpgSono poco più di 2 milioni le ore di cassa integrazione guadagni registrate nell’agosto 2015 in Lombardia. Diminuisce dunque la cassa in ambito metalmeccanico nel raffronto anno su anno. Confrontando agosto 2015 con il mese corrispettivo del 2014, si evidenzia un calo del 43% (2039 ore) del numero di ore di impiego dell’ammortizzatore sociale (-46% per quanto riguarda gli impiegati, -43% per gli operai). La cifra è comunque in linea con il dato generale, complessivo che indica un -37% di ore di cassa integrazione in tutta la regione. A livello di tipologia di intervento, pur nella frammentarietà dei dati raccolti, vi è decisa discesa della cassa integrazione ordinaria, un rallentamento della cassa straordinaria e una ripresa significativa di quella in deroga.

Benché si sia parlato in maniera trionfalistica di una brusca frenata della cassa integrazione anche nel mese di luglio, un paragone nudo e crudo con il dato di agosto dimostra come non ci sia stato un considerevole scostamento nella diminuzione a livello numerico da un mese all’altro. Nel confronto tra le cifre del periodo settembre 2014/agosto 2015 e il settembre 2013/agosto 2014, si nota come la cassa integrazione fra le tute blu lombarde sia diminuita di 26.788.221 ore, attestandosi al 23%: (-26% impiegati, 22% operai). Le province in cui la cassa si è ridotta maggiormente sono Lodi e Mantova seguite da Pavia e Bergamo, quelle in cui il differenziale è minore sono Brescia e Lecco. A livello di tipologia di intervento, si è di fronte a un decremento della cassa integrazione in tutte le sue forme.

“L’abbassamento della cassa integrazione, tuttavia – commenta Mirco Rota, segretario generale della Fiom Cgil Lombardia – non si traduce automaticamente nel concetto di ripresa nel settore metalmeccanico. Ad un calo dell’utilizzo delle ore di cassa integrazione non fa fronte infatti un aumento dell’occupazione e una conseguente decrescita della disoccupazione, tali da indurre a credere che la crisi sia finita. Ormai questa diminuzione di valori in termini di cassa integrazione su scala regionale si sta ormai stabilizzando da diversi mesi, e l’aspetto più delicato, riguarda la dimensione della cassa integrazione che rimane comunque parecchio elevata anche in assenza di deboli processi di investimenti” – conclude Rota.




Restauratore di Beni Culturali, le “dritte” per la domanda di qualifica

restauro - arteGiovedì 17 settembre, alle ore 17, presso l’Italian Makers Village (il Fuori Expo di Confartigianato), di via Tortona 32 a Milano, si terrà il convegno promosso da Confartigianato Lombardia per presentare il nuovo bando pubblico per l’acquisizione della qualifica di Restauratore di Beni Culturali, con il quale termina l’iter per la costituzione del nuovo Albo Restauratori.

I criteri per accedervi, però, non sono semplici e immediati. Per questo motivo Confartigianato Lombardia ha voluto promuovere questo convegno, con l’obiettivo di presentare le linee generali che regolano il bando affrontando anche i quesiti più particolari.

Interverranno il presidente di Confartigianato Lombardia Eugenio Massetti; il presidente di Confartigianato Restauro Vincenzo Basiglio; il responsabile Confartigianato Restauro Patrizia Curiale, la quale ha seguito nell’ambito confederale l’iter legislativo e i rapporti con il Ministero dei Beni Culturali e il soprintendente delle province di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Lodi, Monza, Pavia, Sondrio e Varese Filippo Maria Gambari.

Insieme a loro si farà anche il punto della situazione sull’importanza del restauro a tutela e salvaguardia del patrimonio storico del nostro Paese.

Per informazioni e adesioni si può contattare l’ufficio Aree di Mestiere di Confartigianato Bergamo (Alfredo Perico – tel. 035.274.292 – alfredo.perico@artigianibg.com).




Lavoro, trimestre positivo. E calano gli scoraggiati

cerco_lavoro.jpgMigliorano, nel secondo trimestre 2015, tutti gli indicatori sul mercato del lavoro. È quanto emerge dal nuovo comunicato trimestrale che l’Istat rilascia a partire da oggi.

Grazie a una crescita dell’output leggermente più sostenuta, anche la produttività oraria del lavoro ha segnato un modesto recupero su base congiunturale (+0,1%).

L’occupazione stimata dall’indagine sulle forze di lavoro al netto degli effetti stagionali è pari a 22 milioni 446 mila persone, lo 0,5% in più del trimestre precedente (+103 mila), corrispondente a un tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni pari al 56,2%, in aumento di 0,3 punti percentuali.

La crescita congiunturale degli occupati nel trimestre ha interessato entrambi i generi e, tra le diverse tipologie, soltanto i lavoratori dipendenti (+0,8%, pari a 137 mila lavoratori in più equamente ripartiti tra l’occupazione a carattere permanente e temporaneo), mentre sono calati gli indipendenti (35mila unità, -0,6%).

Il tasso di disoccupazione è salito lievemente al 12,4%, nella media del trimestre, diminuendo però fino al 12% a luglio. Questi risultati sono stati influenzati dall’andamento degli inattivi, in diminuzione congiunturale nel secondo trimestre dell’anno e nuovamente in aumento nel mese di luglio.

Nel secondo trimestre è da notare che, in base ai dati non destagionalizzati, tra gli inattivi è diminuito il numero degli scoraggiati e delle persone ritirate dal lavoro, mentre sono aumentati sia gli studenti sia gli individui in attesa di risposta ad azioni attive di ricerca.

Le posizioni lavorative dipendenti nelle imprese industriali e dei servizi sono aumentate dello 0,4% su base congiunturale e dello 0,8% su base annua, mentre il monte ore lavorate è cresciuto dello 0,9% e del 2,0%, rispettivamente; congiuntamente, le ore lavorate pro capite sono salite dello 0,6% in termini congiunturali e dell’1,4% su base tendenziale, in parte per la significativa discesa delle ore di cassa integrazione (Cig) (da 30,3 a 18,8 per mille ore lavorate).

Sono infine nettamente aumentate le posizioni in somministrazione (+4,1% in termini congiunturali e +18,7% su base annua).

Il tasso di posti vacanti nelle imprese con almeno 10 dipendenti rimane invariato sul trimestre precedente mentre aumenta di 0,1 punti percentuali rispetto al secondo del 2014.

L’indice destagionalizzato del costo del lavoro per Unità di lavoro dipendente segna una crescita congiunturale dello 0,1%, sintesi di un incremento delle retribuzioni (+0,2%) e di una riduzione degli oneri (-0,3%). Il costo del lavoro registra una variazione positiva anche su base annua, pari a+ 0,9% (+1,3% per le retribuzioni e -0,2% per gli oneri). I diversi andamenti degli oneri e delle retribuzioni sono da attribuire anche agli esoneri contributivi previsti dalla legge di stabilità 2015, finalizzati ad incentivare le assunzioni a tempo indeterminato.

Dal punto di vista settoriale, nel secondo trimestre sono stati significativi sia il recupero congiunturale dell’occupazione nei comparti dei servizi più legati alla dinamica del la domanda interna, sia i segnali positivi anche nelle costruzioni. Nell’insieme dell’economia l’aumento dell’occupazione ha riguardato prevalentemente i lavoratori dipendenti, a tempo sia indeterminato sia determinato, e interessa con particolare intensità anche il Mezzogiorno, particolarmente colpito dalla crisi in questi anni.

 




L’analisi / Lavoro, perché politica e informazione dovrebbero cambiare registro

Lavoro Jobs Act

Da quando il ministero del Lavoro ha scelto di pubblicare mensilmente i dati provenienti dal sistema delle comunicazioni obbligatorie, ossia da aprile di quest’anno, sembra che l’unica certezza a riguardo dei numeri del lavoro sia la confusione che ne è scaturita. Lo ha fatto notare il presidente dell’Istat Giovanni Alleva, non solo nell’ultima discussa intervista rilasciata a Carlo di Foggia del Fatto Quotidiano, poi parzialmente smentita, ma anche in precedenti occasioni dove ha introdotto il tema di una auspicabile integrazione comunicativa dei dati forniti da Ministero, Istat e Inps.

Cominciata sulla scia già monotona del “tira e molla” interpretativo dovuto alle apparenti contraddizioni tra i dati amministrativi e le statistiche Istat, la noia della numerologia estiva è stata rotta prima dalla polemica sulla dimensione del calo degli iscritti alla Cgil, e poi l’altro ieri dal grosso errore commesso dal Ministero del lavoro nel conteggio del saldo tra attivazioni e cessazioni di contratti a tempo indeterminato da gennaio a luglio.

Il fatto più sorprendente è che l’errore non è stato commesso durante un routinario calcolo, bensì durante un’operazione inconsueta, svolta una tantum dal ministero che non contempla tra le sue pubblicazioni calendarizzate quelle dei dati “settemestrali”. In via Vittorio Veneto dovevano quindi avere qualcosa di nuovo da comunicare, occasione che avrebbe meritato un’accortezza particolare. Data l’intenzionalità, dopo l’errore (ammesso e corretto, ma non comunque al meglio della chiarezza) è risultato facile accusare una volta di più gli ambienti vicini al Governo di stare conducendo una vera e propria propaganda al servizio dell’ultima riforma del lavoro. La brutta figura in cui è incappato il ministero rischia però di far divergere ancora di più l’attenzione degli osservatori dal punto centrale della comunicazione politica del Jobs Act, che non è la semplice affermazione della sua efficacia in termini numerici. Ben oltre: è piuttosto la contesa di una visione del lavoro, dove per chi si occupa di lavoro con gli occhi della comunicazione, più importanti e determinanti restano le parole utilizzate, i concetti per i quali i numeri svolgono il ruolo di “imbottitura” (per un’analisi dal punto di vista della filosofia politica si veda F. Seghezzi e M. Tiraboschi). E’ importante insomma la forma che durante i processi di riforma le forze politiche (e sindacali) tentano di conferire alla rappresentazione del mercato del lavoro come dovrebbe apparire sotto la plasmatura degli interventi normativi. In questo processo di conquista dell’opinione la comunicazione renziana sembra aggiornata alle più recenti e fortunate teorie della comunicazione politica. Non solo quelle relative allo storytelling e alla narratività, anch’essa esplicitamente dichiarata fondamentale da importante da Renzi, ma anche quelle provenienti dalla linguistica cognitiva e dagli studi inaugurati da George Lakoff, professore dell’Università di Berkeley che da qualche tempo si sforza di istruire i politici democratici americani circa il potere del linguaggio.

Semplificando molto, una parola non è mai solo una parola, soprattutto se viene utilizzata per realizzare una metafora, magari largamente condivisa nella cultura di riferimento. Utilizzando delle metafore molto semplici si possono mappare entità astratte su altre realtà concrete, trasferendovi le relative implicazioni di significato e le connotazioni emotive. A questo si aggiunge che il modello dell’elettore razionale, secondo questa visione, è irrealistico. Le persone non fanno le loro scelte di voto sulla base della valutazione consapevole di dati statistici. Nelle valutazioni siamo invece soggetti all’influenza determinante di riflessi emozionali inconsapevoli, suscitati dalla concezione metaforica della realtà. A livello basilare alcune metafore sono connesse a sensazioni positive, altre a sensazioni diametralmente opposte. Con la semplice presentazione dei numeri insomma non si ottiene nulla se non si collocano questi dati nella cornice (il frame) più utile a comunicare un’interpretazione della realtà. Si potrebbe osservare anche il caso del Jobs Act sotto questa luce, per lo meno per porre al centro il suo valore simbolico. Si potrebbe dire che il Jobs Act, “madre di tutte le battaglie”, rottamatore dello stesso refrain della rottamazione, non ha per obbiettivo il solo consenso popolare, ma un consenso caratterizzato emotivamente, rassicurato e rinfrancato dal nuovo trionfo della “stabilità” dei “posti di lavoro”. “Lavoro” come parola di “speranza”, per stessa definizione di Renzi. Il lavoro come realtà sociale che si narra attraverso una metafora molto semplice secondo cui “stabilità” è “sicurezza” e “precarietà” è “insicurezza”.

Da tempo, verificata l’impossibilità di parlare di aumento dell’occupazione, il governo si concentra infatti sulla comunicazione dell’obbiettivo qualitativo del Jobs Act. Quello che è comunque importante notare è che la comunicazione della riforma che va sotto l’insegna anglofona, vezzo linguistico connotato dal tratto della modernità, è sede di un antinomia che ben pochi operatori della comunicazione e dell’informazione hanno messo in rilievo: appartiene al genere narrativo della “rivoluzione”, addirittura “copernicana”, ma contemporaneamente come manifestazione di questo frame viene additato il recupero e il consolidamento del tradizionale “posto fisso”, rassicurante per la visione del futuro dei cittadini, e molto facile da comprendere rispetto a una generica organizzazione post-fordista complessa da interpretare e quindi anche da comunicare.

Più che di una affermazione dei principi di tutela e dei valori democratici, si tratta di una proiezione pacificante del passato che si fa forte di metafore talmente radicate nel modo di parlare di lavoro da essere quasi morte, cioè da non avere altri termini corrispettivi nel vocabolario che possano rappresentare lo stesso concetto. È proprio il caso di quel “posto fisso” in luogo del “tempo indeterminato”, ma anche proprio del cosiddetto “posto di lavoro”. Un’espressione piuttosto estranea in altri contesti, come quello statunitense, dove i nostri “posti di lavoro” sono più comunemente “Jobs” che “Job post”.

“Posto fisso” è quasi una tautologia che evoca l’idea di un alveare occupazionale, fatto di celle da occupare. Questa tendenza a rappresentare il mercato del lavoro nei termini di una geometria rigida potrebbe essere alla base della tentazione quasi-automatica di sovrapporre i dati sulle attivazioni di contratti (quelli delle Comunicazioni Obbligatorie) ai dati Istat sulle persone occupate. Gli andamenti dei cicli produttivi suggerirebbero invece sempre più di intendere il lavoro più letteralmente come uno scambio e un contratto, una risposta a una domanda che scorre con dinamiche a singhiozzo e che sfugge alle maglie strette e regolari della tradizionale organizzazione del lavoro e della classificazione dei mestieri. Questo effetto interpretativo persiste anche se si considera il supposto portato “rivoluzionario” del Jobs Act: da un lato la rimozione della storica barriera ideologica dell’articolo 18, dall’altro il recupero della relativa quota di “sicurezza” così perduta con l’introduzione di un nuovo sistema di politiche attive.

Invero la rimozione dell’articolo 18 non sembra poter “ammorbidire” e “flessibilizzare” la struttura del mercato del lavoro, ma semmai può renderla effettivamente “instabile”. Basterebbe pensare che negli Stati Uniti, dove qualcosa di simile all’articolo 18 non è mai esistito, le categorie tradizionali sono comunque ritenute dagli stessi giudici inadeguate a identificare correttamente le professionalità sorte nell’ambito dell’economia digitale che sta trainando l’occupazione. La metafora proverbiale usata da uno di essi, “Square peg for round hole”, pare fatta apposta per spiegare l’inadeguatezza del nostro “posto fisso” come paradigma del nuovo. Quanto alle politiche attive, basta notare invece la completa assenza nel bagaglio lessicale di governo e giornalisti del termine che meglio descriverebbe la “sicurezza” nel nuovo ideale mercato del lavoro, ossia quella “continuità” che dovrebbe andare a braccetto con la metafora basilare secondo cui “dinamicità” (o “flessibilità”) è “sicurezza” e che non avrebbe comunque nulla in contrasto con l’espressione letterale del “tempo indeterminato”. Il corrispettivo ideale contrattuale in questo senso potrebbe essere considerato lo staff leasing. La metafora non funzionerebbe però in termini di effetti comunicativi, perché non fa parte dell’esperienza comune e dei lavoratori italiani. Molto più semplice fare leva sulle diffuse e iper-narrate vicende di intermittenza e brevità delle esperienze di lavoro per trasmettere l’idea che il modello del posto fisso torna a difendere dalla precarietà del rapporto, mascherando quella “precarietà” che è del mercato. Rilevante in questo senso il progressivo disuso dell’innovativa etichetta “tutele crescenti”, invero quasi contradditorio in questa rappresentazione del crescente stato di salute dell’occupazione. Significativo anche che Matteo Renzi si sia sempre ben guardato dal fare affermazioni a riguardo della “selettività” o della “inoccupabilità” dei giovani, laddove nel disegno della flexicurity, l’acquisizione e il mantenimento delle competenze corrispondenti ai bisogni delle aziende, sono considerate dai più come il vero perno della sicurezza del lavoratore.

Ora, attribuire una certa responsabilità in questa descrizione complessiva anche ai giornalisti potrebbe apparire dubbio o esagerato. Alleva lo aveva fatto esplicitamente con riferimento al trattamento dei dati, e lo ha fatto anche l’ex presidente dell’Istituto, nonché ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini. Relativamente a questo piano, in pochi nella categoria hanno fatto autocritica (in modi diversi lo hanno fatto Stefano Feltri e Marta Fana). Certo è che leggendo i giornali, a fronte di continue accuse di propaganda e dell’uso frequente dell’espressione “posto fisso” anche post articolo 18 e dell’aggettivo “precario” come genere della specie “flessibilie”, non si rinvengono invece particolari critiche al corredo concettuale utilizzato dal Governo. Le categorie insomma rimangono le stesse. Di fronte ai forti segnali di cambiamento, una comunicazione sia della politica sia dell’informazione, onestamente orientata al futuro dovrebbe domandarsi se il lavoro come lo abbiamo conosciuto sinora sia perpetrabile a oltranza, o se forse non convenga abituarsi per tempo a parlarne in termini diversi; se non in sostituzione, almeno in aggiunta a quelli più tradizionali ormai inadeguati a rappresentare la realtà di molti nuovi lavori e del futuro che attende i giovani. La questione è delicata. Basta ricordare quelle che furono le reazioni alle parole dell’allora premier Mario Monti quando parlò, forse indelicatamente, di “noia”; tuttavia, per ricalcare il famoso invito di Lakoff a “non pensare all’elefante”, si potrebbe aiutare le nuove generazioni dicendo loro: “Non pensate al posto fisso. Almeno non più di quanto pensiate alle vostre competenze”.