Accordo Telecom, a Bergamo la solidarietà salva 53 posti

telecom“La partita vera comincia adesso”. Luca Legramanti, segretario generale di Fistel Cisl Bergamo, delinea così il quadro della situazione, all’indomani della sottoscrizione dell’accordo quadro per la gestione degli esuberi Telecom. Nei giorni scorsi è stato infatti raggiunto l’accordo tra Telecom Italia e sindacati al ministero dello Sviluppo. Nessun lavoratore Telecom Italia sarà licenziato. Gli esuberi saranno gestiti con la solidarietà. “Le ricadute bergamasche dell’intesa sono assolutamente positive – dice Terry Gattoni, della segreteria Fistel Cisl Provinciale -, soprattutto se rapportate alle prime ipotesi di esternalizzazione del servizio del Caring, che a Bergamo occupa 53 persone. In questo caso, infatti, non si parla più di chiusura della sede, ma eventualmente di riprofessionalizzazione dei dipendenti”. “Certo – dice Legramanti – si dovrà  ricorrere ancora alla solidarietà  difensiva che, contrapposta alla societarizzazione è ben sopportata. Le ricadute territoriali rispetto agli esuberi annunciati ancora non sono quantificabili. Ora inizia la fase di incontri aziendali per definire il percorso e l’applicazione dell’accordo.

Ulteriore nota positiva è l’impegno dell’azienda ad aprire un confronto per rivedere il tema dei controlli a distanza e superare quindi quanto previsto nel Jobs Act”. Dopo il referendum che ha bocciato l’accordo del 18 dicembre 2014, dopo i decreti del Governo sul Jobs Act, che prevedono il superamento della normativa sull’art. 4 Legge 300 (controlli a distanza) con l’inasprimento della nuova norma che autorizza i provvedimenti disciplinari nei confronti dei lavoratori e l’indisponibilità della solidarietà espansiva per le 4000 assunzioni, la situazione era diventata estremamente complicata per i lavoratori di Telecom. L’intesa, spiega un comunicato delle sigle firmatarie dell’accordo, definisce il percorso con cui le parti intendono perseguire la finalità di migliore tutela dei lavoratori nel quadro di riorganizzazione ed efficientamento del Gruppo Telecom. “L’accordo recepisce significativamente le richieste avanzate nei precedenti incontri dalle organizzazioni sindacali e dallo stesso Ministero. Il confronto prosegue ora in sede aziendale per dare pratica implementazione alle indicazioni contenute nell’intesa”.




Giovani, uno su dieci ha trovato lavoro con Internet

internet lavoroL’ufficio di collocamento del XXI secolo? È Internet, che ha permesso nel 2014 al 10% dei ragazzi con meno di 30 anni di trovare la propria occasione nel mercato del lavoro. E, in generale, la Rete, l’Export ed il Digitale rappresentano i tre elementi principali con cui, negli ultimi anni, «le Piccole e medie imprese italiane cercano di uscire dalla crisi economica e migliorare la loro produttività».

Lo si legge nel dossier presentato in occasione della ‘Summer school 2015’, evento promosso dalla Fondazione studi dei Consulenti del lavoro. I dati «testimoniano l’esistenza del cosiddetto sistema R.E.D. (Rete, Export, Digitale) che ha condizionato, soprattutto durante il triennio 2013-2015, le scelte operate dalle microimprese e dalle Pmi e permesso di comprendere quali saranno le leve future delle aziende», dalle quali i professionisti «dovranno ripartire per acquisire nuove competenze ed abilità da mettere a disposizione delle aziende».




Sempre più tirocini a Bergamo, ma il bicchiere è mezzo pieno

Man assisting woman in computer room
Man assisting woman in computer room

Negli ultimi cinque anni (dal 2010, quindi nel pieno della crisi economica e occupazionale che ha colpito duramente il sistema lavorativo provinciale) l’istituto del tirocinio ha avviato a Bergamo ben 12.653 contratti. Nello stesso periodo, il saldo con le cessazione è stato positivo per oltre 1.200 persone. Questo non significa automaticamente che questi ragazzi hanno trasformato il proprio tirocinio in un contratto a tempo indeterminato, ma che il sistema funziona, agevolando l’ingresso nel mondo del lavoro e facilitando il passaggio da un posto all’altro. “Il tirocinio rimane uno strumento utile per formare le prime esperienze nel mondo del lavoro – sottolinea infatti Giacomo Meloni, della segreteria Cisl di Bergamo – o come percorso di reinserimento per chi il lavoro lo ha perso”. La situazione, infatti, è molto migliorata rispetto a qualche anno fa, anche se ancora in molti casi si assiste ad un uso scorretto di questo strumento.

“Il tirocinio – continua il sindacalista bergamasco – se è fatto bene può essere molto utile, soprattutto per un giovane che deve formarsi ed iniziare a conoscere un mondo altrimenti sconosciuto, l’attenzione va rivolta a quel 48% di persone che una volta concluso il tirocinio non ha avuto opportunità di reimpiego entro i 360 giorni. Il bicchiere si può considerare mezzo pieno, ma non è sufficiente, anche perché in alcuni casi il tirocinio è utilizzato come strumento di lavoro semigratuito”. Nel corso del 2014 in Lombardia sono stati conclusi circa 40 mila tirocini, mentre tra quelli avviati e cessati tra settembre 2014 e aprile 2015 il saldo è positivo per 4.845 tirocini. Tra i 40 mila conclusi lo scorso anno, 21 mila (il 52,3%) hanno dato vita ad un nuovo contratto per il tirocinante: il 20,6% a tempo determinato, il 15,5% di apprendistato, a cui seguono il lavoro a progetto (5,8%) e la somministrazione (5,6%). Se da un lato risulta esigua la percentuale di tirocini che sfociano in un contratto a tempo indeterminato (4,9%), d’altra parte è invece alta quella di chi, al termine del proprio, si vede offrire un nuovo tirocinio (17,3%).

Nei primi quattro mesi del 2015, sono stati 16.692, a conferma del trend in continua ascesa. “Sarà fondamentale – conclude Meloni – inserire il tirocinio in un percorso strutturato di intreccio fra sistema formativo e mondo del lavoro con l’obiettivo di promuovere forme di alternanza , di corsi post qualifica e post diploma per agevolare l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro fino alla loro collocazione professionale”.




Start up / A Bergamo la voglia d’impresa non tramonta, ma le scelte sono sempre più meditate

A Bergamo e in Lombardia non tramonta la voglia di fare impresa, a differenza del resto d’Italia, che registra un calo dell’1 per cento. Una nuova impresa su sei in Italia nasce in Lombardia e vede protagonisti i giovani, con un terzo di nuove iscritte con titolare con meno di 35 anni. A Bergamo il dato, aggiornato al primo trimestre del 2015, si presenta sostanzialmente in linea con lo scorso anno, sulla base del quadro tracciato a livello regionale dalla Camera di Commercio di Milano. Sono 1.799 le neo-imprese iscritte nei primi tre mesi dell’anno (lo 0,5% in meno rispetto allo stesso periodo del 2014); di queste 534 vedono protagonisti i giovani, che pesano per quasi il 30% (29,7% per l’esattezza). Quanto ai settori, il dato che balza all’occhio è che molte neo-attività rifuggono le classificazioni tradizionali, tanto che le “imprese non classificate” occupano la voce più rilevante, con un vero e proprio esercito di 495 imprese. Segue il settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio che, con 375 nuove imprese non perde il suo appeal tra gli aspiranti imprenditori. Nella patria dell’edilizia fiaccata dalla crisi, le costruzioni contano su 288 nuove imprese. Il manifatturiero segue a distanza con 111 nuove attività. Gli altri settori non arrivano a tre cifre, sfiorate per un soffio dalle attività dei servizi di alloggio e ristorazione; non vanno male le attività professionali, scientifiche e tecniche, con 82 imprese e quelle che operano nel noleggio, le agenzie viaggio e i servizi di supporto alle imprese.

Cristiano Arrigoni
Cristiano Arrigoni

Cristiano Arrigoni, direttore di Bergamo Sviluppo, l’azienda speciale della Camera di Commercio di Bergamo che aiuta le idee d’impresa a diventare progetti, fa il punto sulle neo-attività avviate nel nostro territorio. La crisi fa fare passi sempre più piccoli e cauti: «Gli aspiranti imprenditori sono sempre più attenti e ponderano con cura le loro scelte. Valutazioni e business plan vengono affrontati con maggiore consapevolezza. Anche il livello di qualifiche e preparazione è elevato e coerente con il percorso imprenditoriale scelto». Cresce l’attività di consulenza: «Gli aspiranti imprenditori si avvalgono del Laboratorio delle Idee per la stesura di business plan, che mette a disposizione 8 ore di consulenza. Il piano d’impresa è sempre più inserito in un percorso guidato, anche attraverso i nostri sportelli, dal Punto Nuova Impresa a S.Te.p, il servizio per testare l’attività d’impresa attraverso strumenti di business design».

Tra le attività nuove, cresce la green economy e tutte le imprese ad essa correlate, dal settore dell’edilizia ad attività all’insegna della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente. «Molte nuove imprese operano nell’edilizia, ma portano con sé nuovi valori e una nuova visione del costruire, a partire dal risparmio energetico – continua Arrigoni -. C’è una crescita delle imprese innovative, come testimoniano le iscrizioni al nuovo registro delle Start- Up innovative, che conta già 71 nuove imprese. Ma settori tradizionali come quello manifatturiero si arricchiscono di nuovi sviluppi, ad elevato tasso hi-tech, come mostrano le tre imprese presenti nel nostro Incubatore, dall’attività specializzata nella creazione di prototipi di droni a quelle che puntano a soluzioni eco-compatibili e a produzioni “green”. La sfida che molte imprese stanno cogliendo è quella della progettazione e stampa in 3d e della creazione delle cosiddette “fabbriche intelligenti”». Il terziario continua ad essere tra i settori preferiti dagli aspiranti imprenditori: «A fianco delle attività tradizionali del commercio e dei servizi cresce il numero di imprese che punta sull’e-commerce, sulla creazione di “App” per smartphone, per intercettare una nuova clientela e allargare il proprio business. Anche nel turismo crescono le attività di facilitatori di servizi, con i nuovi profili del personal shopper e dell’organizzazione di eventi» spiega il direttore di Bergamo Sviluppo.

Quanto all’identikit dei nuovi imprenditori, si evidenzia un incremento dell’istruzione e della preparazione nel settore di riferimento: «Il target resta eterogeneo, ma la presenza dei giovani sfiora comunque il 30 per cento. Le aspiranti imprenditrici possono inoltre contare sull’ulteriore supporto offerto dallo Sportello Crisalide e dal Comitato per la Promozione dell’Imprenditoria Femminile – continua Arrigoni -. Non manca chi si fa influenzare dalla moda del momento, pensiamo al boom delle sigarette elettroniche che solo l’anno scorso ha portato a diverse aperture. Le tendenze restano, ma sono fenomeni momentanei, come tali valutati nel corso dell’analisi e dei percorsi di accompagnamento d’impresa».

Un grande successo lo riscuotono gli Open Day “Facciamo impresa” promossi dal Comitato per la Promozione dell’Imprenditoria Femminile: «Ogni imprenditore ha a disposizione fino a 4 ore di consulenza in ben otto ambiti diversi, affrontati da otto specialisti. Si va dall’esperto fiscale, a quello negli adempimenti, dal mercato alla comunicazione, dal mentoring al settore delle cooperative, ai marchi e brevetti – spiega Silvia Campana, referente di Bergamo Sviluppo e del Comitato per la Promozione dell’Imprenditoria Femminile -. Gli aspiranti imprenditori, in prevalenza dai 25 ai 40 anni, hanno le idee o molto chiare o ancora confuse. In generale, sono davvero pochi comunque coloro che azzardano o che si buttano in un settore che non conoscono a fondo. La preparazione è davvero alta, un fattore fondamentale per partire con il piede giusto». La Camera di Commercio propone poi ogni anno seminari e percorsi per le imprese, l’ultimo, organizzato alla fine di giugno, si è concentrato sui nuovi canali di finanziamento tra capitale di rischio e di debito, dal reward based all’equity crowdfunding, dal venture capital al private equity, ai business angels.

 

Bergamo patria dell’innovazione

La prima- e al momento unica a Bergamo-  impresa  iscritta al nuovo Registro Pmi Innovative, è la Cosberg di Terno d’Isola, specializzata nella meccatronica e nella produzione di macchine industriali. Sono invece 71 le imprese iscritte al Registro Start-Up Innovative, 37 in città e 34 in provincia.

In città

Wineamore Srl;  It-Change Srl; Diabetes Diagnostics  Srl; Prima Da Noi ; Tpm Srl; Driwe Srl; Virtualrobotix Italia ; Kalter Srl; W2w Solutions Italia Srl;  Energaia; Green Seed Srl;  Energaia Inventa Srl;  Delukim Srl; Officina Della Ricerca; Hermes Ventures  Srl; P2r Srl; Dom Byron; Time Changers Srl; Startapps Srl;  Ravaiola Tecnologica Srl;  Societa’ Agricola Brignano Energia ;  Verde Di Calcio; Tapmylife ; Covone Tecnologica ; Calcio Energia Srl Energetica Biometano; Progetto Biometano ; Wearestarting Srl; Al.Pi. Energia Srl; Exsicus Srl; Frutta Innovativa Srl ; Treverde Srl; Solitaly Srl; Soap Collection Srl; Nexapp Srl; Dronica Srl; Beleza Srl.

In provincia

Smartmechanical_Company Srl Albano Sant’alessandro ; Bio Last Laser Srl Albino;  Gmaker 3d Engineering S.R.L. Antegnate ;  Egaltech Srl Azzano San Paolo; Arcoingegno Srl Bonate Sotto; Armadillo Lab Srl Brusaporto; Avelina Srl  Chiuduno; Hair Cloud  Cividate Al Piano;  Nrg Green Recovery Power Systems  Brembate Di Sopra ; Thermo Recovery Srl Caravaggio; Mechatronics And Dynamic Devices S.R.L.  Dalmine;  Bigflo Srl Dalmine;  Made For School Srl  Dalmine; Servicewhale  Foresto Sparso ;More Srl Grassobbio; Plat1 Srl San Giovanni Bianco; Avanix S.R.L. Scanzorosciate ;  Progetto Ric  Stezzano; Whattaspot S.R.L. Trescore Balneario ;  Sun Go Srl Treviglio; Ipsum Srl. Treviglio;  Societa’ Agricola Bosco Verde Srl Treviglio; Green Lab Societa’ Consortile Treviglio;  Land Energy Srl Treviglio ; Verde Di Santa Cristina Srl Treviglio; Villanova Energia Srl Treviglio; Massalengo Energia Srl Treviglio; Verde Di Romano Srl Treviglio; Verde Di Seniga Srl Treviglio ; D.A.B.B. Innovazione Srl  Treviglio; Non Qualunque S.R.L. Treviglio; Fermopoint Srl Treviolo; Dxdrone Srl Treviolo ; Blaze Srl Vilminore Di Scalve.




Contratti aziendali, a Bergamo premi medi per 1.300 euro

lavoro-scintill.jpgNel corso del 2014, in provincia di Bergamo sono stati firmati, dalla CISL e dalle sue categorie, 49 accordi che hanno contemplato il salario variabile. Di questi, 3 nel settore agro alimentare (dalla Fai Cisl), 22 in quello chimico e tessile (la Femca), 3 nel campo degli enti locali (da FP) e 20 in aziende metalmeccaniche, dalla Fim. L’Osservatorio regionale Cisl per la contrattazione, diretto dal bergamasco Giorgio Caprioli, ha distribuito nei giorni scorsi il proprio bollettino annuale, nel industriali quali la Lucchini RS di Lovere, la Brembo, la San Pellegrino, dove quale sono stati analizzati 204 accordi raggiunti in tutta la Lombardia. “L’analisi sull’andamento della contrattazione aziendale a Bergamo nel 2014, riconferma quanto analizzato anche nel corso della recente fiera della contrattazione territoriale in particolare per quanto riguarda il numero di contratti e le quantità economiche che hanno risentito inevitabilmente della grave situazione di crisi – dice Giacomo Meloni, segretario della Cisl di Bergamo -. I segnali relativi alla contrattazione aziendale dei primi mesi del 2015, rimarcano un’ inversione di tendenza positiva a partire da significativi accordi in realtà anche l’incremento della componente economica ha trovato corrispondenza”.

Per quanto riguarda l’aspetto economico dei contratti aziendali, in provincia di Bergamo la media del premio è di oltre 1.300 euro contro i 1.100 lordi della Lombardia, anche se con una discesa notevole rispetto allo scorso anno di circa 400 euro, “per colpa della crisi – sottolinea Caprioli”. Il numero degli accordi è aumentato.

“Confrontando questi dati con quelli degli anni precedenti – dice ancora Caprioli – non notiamo scostamenti significativi, permane a larghissima maggioranza la pratica di firmare accordi che prevedono premi uguali per tutti”. Sopra le firme della  , infatti, si scrivono contratti che “premiano” anche lavoratori interinali e a tempo determinato, in una misura sempre maggiore rispetto al passato. Anche se “c’è ancora molta strada da fare”. “È vero che nella definizione dei “dipendenti” sono compresi anche i tempi determinati e che il contratto nazionale dei somministrati prevede, come del resto la legge, l’inclusione dei somministrati nella distribuzione del premio; ma i “silenzi” o le formulazioni poco chiare possono dar adito a contenziosi infiniti. E’ presente anche, in alcuni accordi, l’esclusione esplicita dal beneficio del premio variabile di queste tipologie di lavoratori”. Si nota che solo il 13,5% degli accordi si ricorda di citare sia i tempi determinati che gli interinali, con una diminuzione notevolissima (dal 24,7% al 13,5%). In compenso aumentano molto le citazioni, dirette o indirette, dei soli tempi determinati (dal 30% al 59,5%) e diminuiscono molto i casi di dimenticanza assoluta (dal 27,3% al 13,8%)”.

“Analizzando lo stesso fenomeno per le tre categorie che hanno inviato più accordi notiamo che la più “ugualitaria” è la FAI, seguita dalla FIM e, a molta distanza, dalla FEMCA”. I premi legati alla presenza sono in aumento rispetto alla scorsa rilevazione: sono infatti il 44,6% rispetto al 39,3%. Comunque il dato oscilla intorno al 40%, senza oscillazioni significative da alcuni anni.

Ai primi posti tra gli indicatori che regolano i premi aziendali, ci sono ancora indicatori “classici” come la qualità, l’assenteismo e la produttività. E’ in ascesa la produzione che, insieme al fatturato, mostra come la crisi sia originata da una ridotta capacità di vendita dei prodotti. Si mantiene “in quota” la sicurezza, volta a premiare i comportamenti virtuosi che, insieme a un’adeguata manutenzione degli impianti e alle altre misure a cui l’azienda deve provvedere, contribuisce a abbattere il fenomeno tragico degli infortuni sul lavoro. “Questa ricerca servirà da stimolo per il confronto sulla riforma del modello contrattuale – continua Meloni -, perché si ponga fra gli altri l’obiettivo di ridurre il numero dei contratti, oltre 700 quelli registrati nel nostro paese.

Serve nella riforma del modello contrattuale un rafforzamento della contrattazione aziendale sul premio di risultato legato ad obiettivi di miglioramento, di produttività, qualità, professionalità, redditività. accordi che vanno sostenuti con il ripristino della defiscalizzazione che il Governo ha inopinatamente sospeso nel corso del 2015. Con una cura particolare da dedicare non solo alla qualità e alla bontà dell’accordo, tema per altro fondamentale, ma parimenti alla trasparenza dei dati aziendali, al loro aggiornamento tramite un lavoro se possibile di commissioni o gruppi di lavoro paritetico, per dare l’adeguata credibilità al dato tecnico e per una gestione partecipata del premio di risultato”

 




Alternanza scuola-lavoro, non basta una buona legge per cambiare

scuola-lavorodi Emmanuele Massagli*

 

La legge “La Buona Scuola” in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, condivide con il capitolo “apprendistato di primo livello” del Jobs Act finalità e tecnica, pur senza un vero e proprio coordinamento tra i testi. Di conseguenza, entrambi gli interventi scontano gli stessi limiti di visione.

La Buona Scuola ha tra i suoi snodi principali e più pubblicizzati il rilancio dell’alternanza scuola-lavoro (articolo 1, commi 33-44 dell’A.C. 2994-B) e il potenziamento degli Istituti Tecnici Superiori (commi 45-55). Le parti dedicate al contratto di «apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore» (il nome è nuovo) inizialmente contenute in questo disegno di legge, durante l’iter di approvazione sono state spostate nei decreti delegati del Jobs Act che già affrontavano lo stesso argomento, in particolare in quello dedicato al riordino delle tipologie contrattuali (si vedano quindi gli articoli 41-43 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 per quanto concerne la parte normativa; all’articolo 32 dello Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive – Atto Senato n. 177 – sono invece contenute le misure di incentivazione economica).

Le finalità di entrambi gli interventi sono quelle di «incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti» (comma 33 de La Buona Scuola) e «coniugare la formazione effettuata in azienda con l’istruzione e la formazione professionale svolta dalle istituzioni formative» (articolo 43 del d.lgs. n. 81/2015). Il Governo ha molto enfatizzato il confronto con l’esperienza tedesca della formazione duale, alla quale esplicitamente il Legislatore si è richiamato per trovare soluzioni (relativamente) nuove al crescente problema della disoccupazione e inattività giovanile. È però evidente che nessuna imitazione di norme legislative può avere successo se calata in un ambiente sociale incapace di interpretare e sfruttare correttamente gli spazi creati dalla legge. Se non si scardina la dimensione culturale, coerentemente la dimensione legislativa cristallizzerà in norma gli stessi pregiudizi presenti in istituzioni, giovani e imprese.

L’opposizione all’apprendistato già regolato dall’articolo 3 del Testo Unico del 2011, infatti, non scaturisce innanzi tutto da ragioni tecnico/normative, connesse al mezzo (l’apprendistato a scuola), bensì origina da un vero e proprio rigetto concettuale del metodo, ossia l’educazione facendo l’integrazione scuola lavoro: più in generale, l’alternanza formativa. Si tratta della stessa radice culturale degli stage curriculari previsti ne La Buona Scuola, che quindi dovranno superare i medesimi pregiudizi intellettualistici che da anni frenano l’apprendistato, causando il “paradosso pratico” che gli addetti ai lavori osservano da tempo: nonostante l’ampia condivisione di principi generali e la straordinaria dimensione del problema giovanile, l’ordinamento scolastico, professionale e universitario non solo non opera alcun passo verso la costruzione di percorsi moderni ed europei di apprendistato, ma addirittura sembra procedere al contrario. Per questo l’affermazione del metodo dell’alternanza formativa non può che nascere da una legittimazione “dal basso”, da una rinnovata coscienza dell’utilità educativa, formativa ed occupazionale delle esperienze di tirocinio e di apprendistato. Una consapevolezza invero presente tra i giovani, crescente tra le imprese, ma ancora molto scarsa negli ambienti scolastici e universitari.

Il Legislatore pare convinto di poter forgiare questa nuova coscienza con l’intervento diretto, evidente tanto nel Jobs Act quanto ne La Buona Scuola. Entrambi i testi, infatti, confermano la tendenza a ricentralizzare la regolazione del mercato del lavoro e della formazione. Ecco quindi che nella riforma della Scuola le esperienze di alternanza (finalmente non più concepite come piccole “gite”, considerato l’elevato numero minimo di ore indicato al comma 33) diventano obbligatorie e sono controllate dalla «Carta dei diritti e dei doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro» e dal «registro nazionale per l’alternanza scuola-lavoro». Nel d.lgs. n. 81/2015, invece, si rimanda a futuro decreto la creazione di un «protocollo» per la stipulazione delle convenzioni tra impresa e scuola, nonché per la fissazione dei «criteri generali per la realizzazione dei percorsi di apprendistato», dei «requisiti delle imprese nelle quali si svolge e il monte orario massimo del percorso scolastico che può essere svolto in apprendistato» e del «numero di ore da effettuare in azienda».

Si prova, quindi, ancora una volta, a forzare per via legislativa ciò che in oltre dodici anni di storia (il riferimento è alla legge 28 marzo 2003, n. 53 e decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276) non è riuscito ad affermarsi nel nostro ordinamento, nonostante la continua approvazione di norme indubbiamente favorevoli. I rischi sono i medesimi delle esperienze precedenti: l’aggiramento sostanziale dei buoni propositi della legge. Potremmo quindi scoprire tra qualche anno che le ore obbligatorie di alternanza sono svolte durante la sospensione delle attività didattiche, come furbescamente è previsto nel comma 35 della stessa La Buona Scuola, a protezione del numero di cattedre che non può essere diminuito (è anzi aumentato grazie alle assunzioni previste dalla stessa legge) e della tradizionale organizzazione dei programmi dei corsi di studio; che, mancando reali incentivazioni economiche e normative, le aziende disponibili ad ospitare giovani per tirocini curriculari sono molte meno dell’ingente numero di cui ci sarebbe bisogno per adempiere all’obbligo di legge e che quindi le scuole devono virare verso imprese formative simulate e tirocini nella pubblica amministrazione; che poche imprese superano la diffidenza verso la stipulazione di protocolli formali per l’apprendistato con le scuole e che le Regioni continuano a non regolare l’apprendistato di primo livello.

Il cambio di paradigma di cui ha bisogno la formazione in Italia per contrastare l’emergenza educativa può essere facilitato, ma non certo generato da alcuna norma. Se non si innescherà nei prossimi anni – in primis grazie al coinvolgimento e alla convinzione di dirigenti scolastici, docenti, studenti, imprese e parti sociali – un rinnovato interesse verso la formazione in assetto lavorativo, nessuna legge, anche se “buona”, riuscirà a cambiare una scuola sempre più vecchia e ferma.

*Presidente di ADAPT




Enrico, il giovane ragioniere che ha scelto di fare il calzolaio

Enrico Carrata
Enrico Carrara

Enrico Carrara ha 31 anni e qualche anno fa ha deciso di diventare calzolaio. Nel 2012 ha rilevato una piccola bottega in un angolo nascosto del centro storico di Lovere, che se non sai che c’è, non la vedi. L’abbiamo incontrato giorni fa. Un’amica doveva ritirare un paio di sandali e abbiamo visto questo giovane alle prese con scarpe, tacchi, tomaie e spazzole. Ci ha colti di sorpresa. Per la sua giovane età, soprattutto, ma anche per l’allegria con cui ci ha accolte.
«Dopo il diploma di ragioniere, ho lavorato per sette anni e mezzo come operaio in un’importante azienda chimica della zona – racconta -. Il mondo delle calzature mi è sempre interessato. Così mi sono iscritto a un corso triennale degli Artigiani e ho imparato il mestiere con la guida di un calzolaio della città, Rino Schinelli. Perché a fare il calzolaio si impara solo così, non c’è una scuola riconosciuta come accade per tanti altri mestieri artigiani».
«Di giorno lavoravo in azienda e la sera andavo a Bergamo per seguire il corso – ricorda Enrico -. La cosa mi interessava e volevo mettermi in gioco con un’attività mia, anche se i tempi non erano felici. Due anni e mezzo fa ho avuto la possibilità di ritirare questo negozio a Lovere e l’ho colta». È stata una decisione un po’ azzardata – riconosce -. Le tasse sono alte e la bottega non ha parcheggi ed è in una posizione nascosta, ma fino ad ora sono contento. Devono venire a cercarmi per trovarmi, per fortuna lo fanno»
Oggi, quando molti suoi coetanei non trovano o non hanno lavoro, lui è titolare di una bottega frequentata e molto apprezzata, in una località tra le più belle e turistiche della bergamasca. «Pian piano sto creando il mio giro di clienti: per ora faccio riparazioni ma non voglio fermarmi qui: il mio desiderio, un giorno, è di fare scarpe e borse su misura. Un passetto per volta, però perché la scarpa su misura è un settore quasi del lusso e voglio fare le cose bene».
«Con la crisi forse qualcuno decide di riparare le scarpe – spiega – ma la mentalità è ancora legata all’usa e getta, soprattutto negli ultimi anni con i negozi cinesi e con la grande distribuzione dove si trovano scarpe di bassa qualità a venti-trenta euro. Con prezzi così bassi non conviene ripararle».
Il lavoro non manca, ed è una gran cosa di questi tempi, ma la soddisfazione più grande di Enrico è un’altra: «La cosa che mi è sempre piaciuta delle botteghe è il rapporto che si crea con i clienti, si fanno due chiacchiere, ci si conosce e si instaura un bel rapporto di fiducia. La bottega accontenta il cliente, la grande distribuzione non è in grado di farlo. Andrebbero riconosciuti e valorizzati di più il coraggio, lo sforzo e la professionalità dei piccoli commercianti».




Jobs Act, ecco cosa cambia per l’apprendistato

Lavoro Jobs Actdi Umberto Buratti*

Diverse sono le novità in materia di apprendistato derivanti dalla entrata in vigore il 25 giugno scorso del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81 recante Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183. La prima e forse più evidente è l’abrogazione in toto – fatta salva la disciplina transitoria – del c.d. Testo Unico del 2011 (d.lgs. n. 167/2011) e l’ampia novella della precedente disciplina ora interamente confluita al Capo V del d.lgs. n. 81/2015. La revisione organica dei contratti di lavoro voluta dal Governo tocca quindi anche l’apprendistato.

Le principali novità si evincono già dalla lettura dell’articolo 41 contenente la definizione di apprendistato. Da un lato si conferma che tale tipologia contrattuale è da considerarsi quale “contratto a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione” (co. 1). Dall’altro l’articolazione interna delle tre tipologie di apprendistato viene ampiamente modificata. Il c.d. “primo livello” amplia le proprie finalità. Esso, infatti, consente ora non solo di conseguire la qualifica triennale o il diploma professionale dei percorsi di istruzione e formazione professionale regionali, ma permette anche di acquisire il certificato di specializzazione tecnica superiore e il diploma di scuola secondaria superiore (co. 2, lett. a). All’ampliamento delle finalità dell’apprendistato di primo livello corrisponde un ridimensionamento di quello di terzo tipo. Quest’ultimo si conferma destinato alla formazione universitaria (master, lauree triennali e specialistiche, dottorati di ricerca), all’attività di ricerca e, infine, al praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche (co. 2, lett. c). Perde, quindi, ogni “aggancio” ai titoli di istruzione secondaria superiore ora ricondotti, come si è visto, nell’alveo del primo livello. Per quanto riguarda l’apprendistato professionalizzante poche sono, invece, le novità. A livello definitorio, si segnala, il venir meno del richiamo al “contratto di mestiere” proprio del Testo Unico del 2011 (co. 2, lett b). Secondo quanto contenuto al comma 3 l’apprendistato di I e III livello sono strutturati per integrare organicamente “in un sistema duale, formazione e lavoro”. In altre parole, vengono pensati come via italiana al più noto e funzionante modello tedesco.

L’articolo 42 del d.lgs. n.81/2015 contiene la disciplina generale riguardante tutte le tipologie di apprendistato. L’impalcatura complessiva riprende solo parzialmente l’architettura del precedente Testo Unico. Al comma 1 si conferma che il contratto di apprendistato deve avere forma scritta. Esso contiene sinteticamente il piano formativo individuale redatto anche secondo i modelli propri della contrattazione collettiva o degli enti bilaterali. Nel caso di apprendistato di primo e terzo livello la compilazione del piano formativo spetta all’istituzione formativa con il coinvolgimento dell’impresa. Si tratta di una novità rispetto al recente passato che, tuttavia deve avvenire senza ulteriori gravami economici per i conti pubblici. Per quanto riguarda la durata minima del contratto il provvedimento mantiene stabile il limite dei sei mesi. Di particolare interesse è il richiamo contenuto al comma 3. Esso precisa che “durante l’apprendistato trovano applicazione le sanzioni previste dalla normativa vigente per il licenziamento illegittimo”. È chiaro, qui, il tentativo di agganciare il contratto di apprendistato novellato con le disposizioni contenute nel d.lgs. n. 23/2015. Questa, però, non è l’unica novità in materia di licenziamento. Il secondo periodo del comma 3 prevede che costituisce giustificato motivo di licenziamento il mancato raggiungimento degli obiettivi formativi da parte degli apprendisti assunti con contratto di apprendistato di primo livello. Il comma 4 dell’articolo 42 si concentra sulla disciplina del recesso. Di fatto viene confermato quanto previsto dalla normativa previgente. Particolarmente significativo appare, infine, quanto contenuto al comma 5. Esso indica chiaramente quali siano i compiti generali della contrattazione collettiva nazionale in materia. Questa è chiamata a disciplinare complessivamente l’istituto ad eccezione di quanto indicato in precedenza ovvero: piano formativo, durata minima, normativa in caso di licenziamento illegittimo, recesso del contratto. Tali materie, a differenza del d.lgs. n. 167/2011, vengono sottratte dalla campo della contrattazione. Da ultimo, sempre in materia di disciplina generale occorre segnalare una modifica per quanto riguarda le clausole di stabilizzazione. Da un lato rimangono confermati i precedenti vincolo (20% degli apprendisti per aziende con più di 50 dipendenti). Dall’altro, “si obbliga” alla stabilizzazione dei soli apprendisti assunti con contratto di apprendistato professionalizzante.

L’articolo 43 del d.lgs. 81/2015 contiene le non poche novità in materia di apprendistato di primo livello. Come si evince dalla rubrica esso non è più finalizzato unicamente ai titoli triennali o quadriennali del sistema IeFP, bensì può essere utilizzato anche per il conseguimento dei titoli di scuola secondaria superiore o per l’ottenimento del certificato di specializzazione superiore dei percorsi IFTS. All’ampliamento delle finalità consegue una struttura più complessa a livello normativo. Il comma 1 dell’articolo 43 contiene una indicazione di principio secondo cui l’apprendistato per la qualifica, il diploma e la certificazione tecnica superiore è strutturato in modo da coniugare formazione aziendale e formazione professionale regolamentata dalle discipline regionali. L’età degli apprendisti di primo livello va dai 15 ai 25 anni e la durata massima del contratto è di tre anni per l’ottenimento della qualifica o di quattro per il diploma professionale (co. 2). La regolamentazione dell’istituto è rimessa alle Regioni e alle Province autonome. In caso di inadempienza sarà compito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali provvedere con propri decreti (co. 3). Il comma 4 dell’articolo 43 contiene una complessa disciplina delle proroghe circa la durata complessiva dell’apprendistato di primo livello. Si prevede, in primo luogo, che il contratto dei giovani che hanno concluso positivamente il percorso formativo possa essere prolungato di un anno “per il consolidamento e l’acquisizione di ulteriori competenze tecnico-professionali e specialistiche, utili anche ai fini dell’acquisizione del certificato di specializzazione superiore o del diploma professionale all’esito del corso annuale integrativo”. In altre parole si concede la possibilità di continuare con il rapporto di apprendistato per ulteriori 12 mesi anche, ma non solo, per completare il proprio percorso formativo con un titolo IFTS o di diploma professionale statale. La proroga di un anno è concessa anche nel caso in cui l’apprendista non abbia conseguito alcun titolo triennale, quadriennale, IFTS o il diploma professionale statale. Il comma 5 dell’articolo 43 si concentra, primariamente, sulla disciplina dell’apprendistato di primo livello per l’ottenimento di un titolo di studio della scuola secondaria superiore. Si prevede la possibilità di stipulare contratti della durata massima di quattro anni, a partire dal secondo anno di scuola, finalizzati non solo al diploma di istruzione superiore di secondo grado, ma anche all’acquisizione di “ulteriori competenze tecnico-professionali rispetto a quelle già previste dai vigenti regolamenti scolastici, utili anche ai fini del conseguimento del certificato di specializzazione tecnica superiore”. Con l’entrata in vigore della nuova disciplina si pone fine, facendo salvi i progetti già in corso, alla c.d. “Sperimentazione Carrozza” contenuta nell’abrogato articolo 8-bis, comma 2 del d.l. n. 104/2013. Chiude il comma 4 la previsione secondo cui è possibile stipulare contratti di apprendistato di primo livello della durata massima di due anni anche nel caso di giovani delle Province autonome di Trento e Bolzano che frequentano l’anno integrativo finalizzato all’esame di Stato di cui all’articolo 6, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 87/2010. Il comma 6 del dell’articolo 43 contiene le modalità operative attraverso cui attivare un contratto di apprendistato del primo tipo. Si stabilisce che il datore di lavoro che intende stipulare questa forma contrattuale debba innanzitutto sottoscrivere un apposito protocollo con l’istituzione formativa cui il ragazzo appartiene. Il protocollo esplicita il contenuto e la durata degli obblighi formativi in capo al datore di lavoro. Esso è redatto secondo un modello definito da un futuro decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Decreto che dovrà anche indicare i criteri generali per la realizzazione dei percorsi di apprendistato, i requisiti delle imprese che vogliono far ricorso a questo strumento, il monte orario di formazione aziendale e scolastica. Su questo aspetto, l’ultimo periodo del comma 6 prevede già alcune indicazioni ovvero che la formazione svolta nei centri professionali regionali non possa essere superiore al 60% dell’orario ordinamentale del secondo anno e al 50% per il terzo e quarto anno e l’anno dedicato alla certificazione IFTS. La struttura della retribuzione degli apprendisti di primo viene completamente riscritta dal comma 7 dell’articolo 43. Dal calcolo finale dello “stipendio” dell’apprendista va tolto tutto il monte ore formativo esterno all’azienda. Per quello interno all’impresa, invece, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva di riferimento, si riconosce un importo pari al 10% della retribuzione dovuta. Si tratta di una consistente riduzione dei costi alla quale si andranno ad aggiungere, se confermate, le misure di incentivazioni economica previste dall’articolo 32 dello schema di decreto sulle politiche attive presentato recentemente dal Governo. Chiudono la disciplina sull’apprendistato di primo livello i commi 8 e 9. Il primo conferma la possibilità di forme di apprendistato a tempo determinato per attività stagionali per quelle Regioni e Province autonome dotate di un sistema definito di alternanza scuola lavoro. Il secondo, invece, ripropone la possibilità di trasformare il contratto di apprendistato di primo livello in apprendistato del secondo tipo dopo il conseguimento del titolo seppure entro il limite temporale massimo indicato dalla contrattazione collettiva.

Per quanto riguarda l’apprendistato professionalizzante pochissime sono le novità e si concentrano tutte al comma 1 dell’articolo 42. Il secondo periodo chiarisce che la qualificazione professionale cui è finalizzato il contratto “è determinata dalle parti del contratto sulla base dei profili o qualificazioni professionali previsti per il settore di riferimento dai sistemi di inquadramento del personale” dei contratti collettivi siglati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

L’ampliamento del campo di applicazione dell’apprendistato di primo livello anche alla sfera dell’istruzione secondaria superiore determina una riduzione delle finalità dell’apprendistato del terzo tipo. Questo, la cui disciplina è ora contenuta all’articolo 45 del d.lgs. n. 81/2015, è ora strutturato per l’ottenimento di titoli di studio universitari (laurea triennale e specialistica, master, dottorato di ricerca), del diploma dell’Istruzione Tecnica Superiore e per attività di ricerca e l’accesso alle professioni ordinistiche. I requisiti legati all’età prevedono la possibilità di stipulare questa tipologia contrattuale con giovani dai 18 ai 29 in possesso di un titolo di scuola secondaria superiore o di un diploma professionale quadriennale integrato o da un certificato IFTS o dal diploma di maturità professionale ottenuto al termine del corso annuale integrativo previsto dalla vigente normativa scolastica. Come nel caso dell’apprendistato si introduce la necessità di siglare un apposito protocollo tra datore di lavoro e istituzione formativa a cui lo studente è iscritto o con l’ente di ricerca di riferimento. In esso vanno esplicitate la durata e la modalità della formazione aziendale, nonché il numero di crediti formativi riconoscibili per la formazione in impresa per ciascun studente. Lo schema del protocollo verrà definito da un apposito decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per i percorsi ITS si prevede una formazione extra aziendale non superiore al 60% dell’orario ordinamentale (co. 2). A livello retributivo, l’articolo 45 replica quanto esplicitato per gli apprendisti di primo livello. Nessun computo per le ore di formazione presso gli istituti formativi. Riconoscimento, invece, di una retribuzione pari al 10% di quella dovuta per le attività formative aziendali. In chiusura gli i commi 4 e 5 dell’articolo 45 riprendono alcune previsioni presenti nel Testo Unico del 2011. Si conferma che la regolamentazione dell’istituto è rimessa per i soli profili che attengono alla formazione alla Regione e alle Province autonome in accordo con le associazioni datoriali e sindacali territoriali e le istituzioni formative siano esse università o centri di ricerca. Inoltre, viene ribadito che in assenza di regolamentazione regionale è possibile procedere con l’avvio di apprendistati di alta formazione e ricerca previa convenzione tra datore di lavoro e istituzione formativa.

L’articolo 46 pur presentando la medesima rubrica dell’articolo 6 del d.lgs. n. 167/2011, ora abrogato, contiene una regolamentazione degli standard professionali e formativi e della certificazione delle competenze affatto diversa. Il comma 1 prevede che un apposito decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministero dell’economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza Stato-Regioni definisca gli standard formativi dell’apprendistato. Avendo a mente gli articoli precedenti, tale decreto conterrà anche tutte le indicazioni necessarie per i protocolli azienda-istituzione formativa relativi alla formazione aziendale, alla sua strutturazione oraria complessiva, ai requisiti dell’impresa. Si tratta di un decreto particolarmente rilevante perché da esso dipenderà la fisionomia del sistema duale pensato e voluto con l’attuale riforma. Il comma 2 contiene delle nuove indicazioni per quanto riguarda la registrazione della formazione. Essa dovrà avvenire secondo le indicazioni del d.lgs. n. 13/2013. Non solo. Sarà di competenza dell’azienda registrare la formazione effettuata per il conseguimento della qualificazione professionale. Mentre sarà competenza delle istituzioni formative e degli enti di ricerca registrare l’attività formativa per gli apprendisti di I e III livello. Al comma terzo si ripresenta la costituzione del repertorio delle professioni in grado di correlare standard formativi e standard professionali. Chiude l’articolo 46 la previsione per cui le competenze acquisite dall’apprendista “sono certificate dall’istituzione formativa di provenienza dello studente” secondo le modalità di cui al d.lgs. n. 13/2013. Ad una prima lettura del testo sembra quindi che tale precetto sia destinato unicamente agli apprendistati scolastici in senso stretto.

Le disposizioni finali di cui all’articolo 47 non contengono alcuna novità in materia di sanzioni. Mentre appare rilevante quanto contenuto al comma 4 che consente la possibilità di assumere in apprendistato professionalizzante non solo i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità, ma anche coloro che godono di un trattamento di disoccupazione. Il comma 5 contiene la disciplina del periodo transitorio, esso va letto in coordinamento con l’articolo 55, comma 1 lettera g) del medesimo provvedimento il quale abroga in toto il d.lgs. n. 167/2011 facendo salvo il regime transitorio di cui al sopra citato comma 5 dell’articolo 47. Ne dettaglio si prevede che per le Regioni e le Province autonome ove la nuova disciplina non sia immediatamente operativa, trovano applicazione le regolazioni vigenti. Il che lascia presupporre un periodo transitorio piuttosto lungo e legato alla messa in regime dei provvedimenti normativi nazionali e regionali. Al comma 6 si ribadisce la possibilità di utilizzare l’apprendistato di II e III livello nel pubblico impiego, previo apposito DPCM che, a differenza del passato, potrà essere emanato senza alcun vincolo temporale. Da ultimo, tra le novità si annovera la previsione di una rivisitazione della disciplina degli incentivi economici legati all’apprendistato di I e III livello da emanare con un apposito decreto e di cui si ha già, in parte traccia, nell’attuale schema di decreto in materia di politiche attive presentato dal Governo l’11 giugno scorso.

*ADAPT Senior Research Fellow




Cisl, nuovi ingressi nella segreteria Femca

La segreteria Femca
La segreteria Femca

Cristian Verdi e Simone Alloni sono i due nuovi segretari della Femca Cisl di Bergamo. Sono stati eletti questa mattina dal consiglio generale della categoria, che rappresenta i lavoratori del tessile, del chimico e dell’energia, in sostituzione dei due dimissionari Francesca Cornolti e Severo Legrenzi. “Una scelta obbligata dalle necessità dei due colleghi (Legrenzi va in pensione, Cornolti non è più “in produzione”) – ha detto il segretario generale di Femca Bergamo, Raffaele Salvatoni -, ma voluta per ringiovanire la squadra, e presentarci ai prossimi appuntamenti con rinnovato impegno e passione”. Rinnovo dei contratti e accorpamento con Fim sono le “emergenze” che aspettano la Femca alla ripresa delle attività dopo le ferie. “Sono in scadenza, tra fine 2015 e inizio 2016, praticamente tuti i CCNL dei comparti che seguiamo – continua Salvatoni -, per rinnovi che in alcuni casi interessano alcune migliaia di lavoratori anche nella nostra provincia, come nel caso del “gomma – plastica” e dei vari contratti del tessile. Inoltre, ci aspetta un lavoro importante per far partire l’accorpamento con i colleghi dei “meccanici” e sfruttare nel migliore dei modi questa opportunità. Da oggi, anche per questo, la Femca è pronta”.




Fbsa, a Bergamo aiuti per 4mila lavoratori

ArtigianiUn accordo, siglato nei giorni scorsi, tra Cgil, Cisl e Uil regionali e le quattro associazioni dell’artigianato(Confartigianato, Cna, Claai e Casartigiani) ha reso operativo in Lombardia il Fondo Bilaterale per il Sostegno al redito degli Artigiani (FBSA, nell’acronimo). Il Fondo, costituito di recente a livello nazionale, in pratica integra e sostituisce la cassa integrazione in deroga, sulla base della riforma Fornero del mercato del lavoro. Si tratta in sostanza di una sorta di «Cassa integrazione mutualistica » fatta in casa che permette di usare al meglio le risorse della bilateralità e di indirizzarle verso uno scopo oggi prioritario, il sostegno di chi è colpito dalla crisi. Si stima che fino a ottomila lavoratori lombardi di aziende in difficoltà potranno arrivare a godere di tale strumento, sempre che il governo rifinanzi la parte di competenza pubblica. A Bergamo, FBSA vede un potenziale bacino di circa 4.000 lavoratori coinvolti e oltre 850 aziende .

FBSA interverrà quindi anche sul territorio lombardo per coprire, d’intesa con Inps e con le regole previste dall’Aspi, le sospensioni dal lavoro per quelle aziende artigiane in crisi che continuano ad avere cali di mercato o di commesse. Potrà riconoscere sospensioni fino a 90 giornate di calendario da qui a fine anno, anche in modo spezzettato e non continuativo, per i lavoratori coinvolti da tali crisi. Potranno accedere al sostegno solo le aziende iscritte e in regola con la bilateralità del settore. “L’accordo – ha detto Osvaldo Domaneschi, segretario generale della Cisl Lombardia – dimostra la concretezza e l’utilità della bilateralità e della contrattazione, perché permette di dare un sostegno e una tutela concreta proprio ora che la cassa in deroga si sta esaurendo. Abbiamo svolto una trattativa intensa per non abbandonare quelle imprese e quei lavoratori che ancora si dibattono nella crisi in un settore, l’artigianato, che è stato travolto in misura superiore alla stessa industria”.

Rispetto ai tanti “che pensano di battere la crisi a parole e slogan – ha aggiunto – abbiamo dimostrato una volta di più che il sindacato, quando dialoga bene con le controparti e sa agire con coraggio, genera soluzioni utili non solo chiedendo allo Stato, ma dando propri strumenti e soluzioni”. Anche a Bergamo si saluta positivamente l’accordo regionale sul FBSA. “È una iniziativa che risponde seppur transitoriamente al prossimo passaggio dalla cassa in deroga all’avvio dei nuovi ammortizzatori sociali “universali – commenta Giacomo Meloni, segretario bergamasco della CISL -, obbligatori da gennaio del prossimo anno, per le piccole imprese e gli artigiani per i quali si prevedono tre tipi di fondi: alternativi (già esistenti), settoriali presso l’Inps, e il fondo di integrazione salariale”.