I profili più ricercati all’Expo, c’è anche il cliente misterioso

gateexpo.jpgExpo 2015 sarà una vetrina che le aziende non si lasceranno scappare e, nei prossimi mesi, Milano sarà teatro di centinaia di eventi commerciali e di iniziative di marketing che richiederanno figure qualificate da impiegare sul campo. Multi Time, società milanese che si occupa di marketing operativo da quasi vent’anni e che gestisce un database di 28mila risorse, ha lanciato una campagna di recruitment per 500 persone da impiegare da maggio a ottobre. «Hostess, steward, venditori e promoter – spiega l’amministratore di Multi Time Luca Binetti– sono le classiche figure inserite per fiere, eventi, stand e temporary store. Poi ci sono merchandiser, caricatori, allestitori e montatori. Chi organizza eventi più insoliti e strutturati cerca anche street operator per azioni di guerrilla marketing e artisti». C’è anche una grandissima richiesta di formatori che possano seguire e inserire le risorse reclutate e, naturalmente, sono ricercati traduttori e interpreti, per l’inglese ma anche per cinese, russo e arabo.

Le possibilità, specialmente se si conoscono le lingue, non mancano, dai 18 ai 65 anni: ecco le figure che animeranno i mesi di Expo.

Cominciamo con una delle più classiche. Hostess e steward prestano servizio presso fiere ed eventi, hanno dai 18 ai 35 anni e si occupano di assistenza di sala, distribuzione di materiale informativo, gestione dei partecipanti, eccetera. Un fattore di successo è la conoscenza delle lingue: inglese, francese, russo, cinese, arabo. I promoter possono avere dai 18 ai 60 anni e promuovono (ma non vendono) i prodotti o i servizi di un’azienda dopo aver ricevuto una formazione specifica. «Meglio se hanno una passione per l’area merceologica della promozione –spiega Luca Binetti– e se hanno particolari doti relazionali e di coinvolgimento possono diventare “super promoter”, creando dei veri e propri mini eventi all’interno dei punti vendita».

Ci sono poi tutte le figure legate alle vendite, con qualifiche e responsabilità differenti a seconda della richiesta. «Tutti hanno mansioni di cassa e relative indennità –continua Binetti–. Per progetti complessi cerchiamo “sales consultant expo” e “addetti alle vendite expo”, figure con esperienza, pr attività, dialettica e capacità di gestione e organizzazione di uno showroom. Anche qui le lingue sono fondamentali: l’inglese è la base, ma cerchiamo anche profili madrelingua russi e cinesi».

Allestitori, montatori, caricatori e merchandiser possono avere ogni età e lavorano dietro le quinte, in orari di chiusura al pubblico. Spiega sempre Binetti: «I primi si occupano di allestire strutture di vario genere, anche con collegamento elettrico. I caricatori sono coloro che dispongono i prodotti su scaffali, isole, corner e vetrine secondo le indicazioni del committente. I merchandiser sono itineranti: visitano i retailer a loro assegnati, curano i rapporti con loro e verificano che tutto si svolga correttamente nelle aree espositive». Di questa famiglia fa parte anche una figura poco conosciuta: il mistery client, il cliente misterioso che sotto mentite spoglie valuta servizi, prodotti e comportamento della forza vendita. «Per questa mansione possono essere richieste competenze particolari a seconda dello specifico prodotto o servizio che devono valutare» precisa Binetti.

Expo 2015 porterà occasioni anche a diversi artisti, come i caricaturisti molto richiesti per animare e intrattenere, e allo staff che si occuperà delle azioni di guerrilla marketing. «Qui la creatività di chi organizza eventi non ha confini e i nostri street operator dovranno essere pronti a coinvolgere, attrarre e trasformarsi talvolta in veri performer» conclude Binetti.

 

 




Il lavoro nel terziario si racconta ai giovani

Ascom BergamGIOVANI-E-LAVORO - orientamentoo incontra gli studenti per una giornata di orientamento dal titolo “Lavorare nel Terziario: nuove competenze e nuovi sbocchi occupazionali”. L’incontro si terrà mercoledì 18 marzo al Polo Fieristico di Bergamo, in Sala Caravaggio, a partire dalle 9, nell’ambito delle  “Giornate di Orientamento Professionale”, organizzate dal Rotary Club di Bergamo per fornire agli studenti degli ultimi anni delle scuole medie utili informazioni sulla articolazione dei corsi universitari e sui problemi e sulle prospettive riguardanti ciascuna occupazione.
Parteciperanno all’incontro Ivan Rodeschini, presidente dell’Ente Fiera Promoberg, Oscar Fusini, direttore Ascom, e Giovanna Pradella vicepresidente del gruppo Terziario Donna Ascom, che interverrà sul tema “Diversificare e specializzare. Un percorso di sviluppo nel commercio alimentare”, portando il caso di successo della CI.DI.A. srl , ingrosso di specialità alimentari di Bergamo.

L’incontro vuole illustrare quali risorse siano necessarie per la moderna economia dei servizi e quali siano le prospettive occupazionali. La giornata permetterà di conoscere da vicino le nuove tendenze, le professioni emergenti e le opportunità di lavoro future nella provincia di Bergamo.

 

 




Le edicole potranno vendere bevande e alimenti

edicola“La contrazione della domanda interna e la crisi dell’editoria sono una sfida all’evoluzione del ruolo dell’edicole. Integrandone le funzioni, Regione Lombardia raccoglie la sfida di accompagnare i gestori in questo cambiamento. Gli obiettivi principali sono quelli di tutelare gli operatori e di offrire nuove occasioni di sviluppo, valorizzando anche la funzione pubblica e il ruolo tradizionale che queste attività commerciali rivestono”. Lo ha detto Mauro Parolini, assessore al Commercio, Turismo e Terziario di Regione Lombardia, commentando l’approvazione della Giunta, su sua proposta, della delibera che contiene gli ‘indirizzi regionali per il riordino del sistema di diffusione della stampa quotidiana e periodica.

Tra le novità più importanti che introduce questo provvedimento, che sarà trasmesso al Consiglio regionale per il voto definitivo, c’è la possibilità per le edicole di vendere anche prodotti diversi da quelli editoriali, come ad esempio, bevande e alimentari confezionati che non necessitino di particolari trattamenti di conservazione, ma anche prodotti del settore non alimentare, purché l’attività prevalente rimanga quella della vendita di quotidiani e periodici. Anche in chiave di Expo, e soprattutto in virtù della diffusione capillare delle edicole e per l’ampiezza del target a cui si rivolgono, è stata introdotta inoltre la possibilità di destinare una parte della superficie di vendita all’erogazione di ulteriori servizi, tra cui quelli inerenti all’informazione turistica. “L’edicola rappresenta sul territorio un presidio di tutela della libertà di informazione – ha precisato Parolini – ed è pertanto necessario sostenere questa funzione specifica e il dovere degli operatori di assicurare pluralità e parità di trattamento alle diverse testate, aiutandone la sostenibilità economica”. La delibera dispone inoltre che l’apertura di punti esclusivi di vendita sia prevista nelle zone vincolate, depresse o non sufficientemente servite dalla rete distributiva esistente, individuati dai Comuni attraverso i Piani di localizzazione, mediante il confronto con le associazioni degli editori e dei distributori, nonché le organizzazioni sindacali dei rivenditori maggiormente rappresentative a livello provinciale e regionale. Il provvedimento di indirizzo, che tiene conto anche delle richieste del settore e delle indicazioni espresse dal Consiglio regionale, rimarca infine che la Giunta regionale, in collaborazione con i Comuni e con il coinvolgimento delle Camere di Commercio e delle Associazioni di rappresentanza del comparto, può concedere contributi ed agevolazioni ai soggetti interessati. È prevista inoltre la possibilità di realizzare progetti e accordi per favorire il mantenimento della rete distributiva sul territorio anche nelle aree svantaggiate, promuovere l’innovazione e la competitività delle imprese del settore, sostenere la formazione e l’aggiornamento professionale, favorire l’accesso al credito.




Tasse locali raddoppiate su negozi e uffici

E’ la Cgia di Mestre a chiarire il profilo della Local Tax. La possibile sostituzione di una serie di tasse comunali con la Local Tax porterebbe nelle casse dei Comuni – in unica soluzione – 26 miliardi di euro dal 2016. Impressionante la sequela di tasse locali calcolate dalla Cgia: tra Imu e Tasi (21,1 miliardi), l’addizionale comunale Irpef (4,1 miliardi), l’imposta sulla pubblicità (426 milioni), la tassa sull’occupazione degli spazi e aree pubbliche (218 milioni di euro), l’imposta di soggiorno (105 milioni) e l’imposta di scopo (14 milioni), il gettito totale si aggira sui 26 miliardi di euro, che i comuni dovrebbero incassare con la local tax. “L’eventuale semplificazione della tassazione comunale – segnala il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi – renderebbe più facile pagare le tasse: una richiesta che i cittadini e le imprese invocano da tempo. Ma oltre a semplificare bisogna anche ridurne il peso, visto che a partire dal 2011, ultimo anno in cui gli italiani hanno pagato l’Ici, la tassazione su botteghe, piccoli negozi e uffici ha subito un’ impennata spaventosa, a causa dell’introduzione dell’Imu e, successivamente, della Tasi”. Su botteghe e negozi, spiega la Cgia, il gettito complessivo è più che raddoppiato: + 108 per cento. Se nel 2011 ammontava a 796 milioni di euro, nel 2014 ha toccato 1,65 miliardi di euro. Anche gli uffici: sempre tra il 2011 e il 2014, il gettito incassato dai Comuni è salito del 105 per cento; se 4 anni fa i Comuni avevano incassato 533 milioni di euro, nel 2014 hanno riscosso poco più di un miliardo di euro. I laboratori hanno visto aumentare il peso fiscale dell’81 per cento, pagando 414 milioni di euro. Sui capannoni, l’incremento del prelievo è stato del 66 per cento: a fronte di 3,3 miliardi di euro riscossi dai Sindaci nel 2011, tre anni dopo il gettito complessivo è salito a 5,5 miliardi di euro.

 




Dalmine / “Una crisi ogni 5 anni. Ma oggi non vedo prospettive”

tenaris (2)“È la quinta crisi che vivo dentro la Dalmine, in pratica una ogni cinque anni”. Mario Oberti è la memoria storica della Tenaris, e della Fim Cisl, della fabbrica per antonomasia in provincia di Bergamo. La Dalmine vivrà, domani, l’ennesimo sciopero, con presidio delle portinerie al quale Mario ha aderito.

Sarà uno sciopero di tutta la giornata, di tutti i reparti, che coinvolgerà tutti i 1800 dipendenti attuali, perché su tutti pende la spada degli esuberi (406 quelli dichiarati dalla Tenaris).

È una crisi arrivata inaspettata, questa. “Dal 1980, quando in fabbrica eravamo più di 8000 persone, e l’indotto ne faceva girare almeno altre 3000, la Dalmine ha vissuto crisi per il cambiamenti del sistema delle Partecipazioni Statali; altre per le evoluzioni del sistema produttivo…ma ogni volta si vedevano prospettive che lasciavano presagire una ripresa, e che permettevano anche al sindacato di gestire e fare accordi anche sugli esuberi. Oggi – dice Oberti – ci viene prospettata la crisi, ci dicono che avanzano più di 400 di noi e non ci spiegano come intendono uscirne. Rispetto al 2004 o al 2009, manca un piano industriale, una prospettiva…allora i momenti di difficoltà si risolvevano anche con cospicui investimenti, oggi non si vedono prospettive”.

“Dell’azienda leggiamo solo i grandi proclami fatti sui giornali, non c’è strategia per uscire dalla crisi. Sembra che aspettino solo che finisca la crisi, vogliono snellire e diminuire il costo del lavoro per ripartire leggeri quando ripartirà il mercato. Non capiscono che se fanno a meno delle persone, la crisi passerà, ma qui verranno a mancare lavoratori e professionalità. Non dobbiamo perdere un altro giro per la formazione di nuovo personale. Per questo chiediamo che si attuino i contratti di solidarietà: proprio nell’ottica di salvaguardare professionalità e competenze. I Rocca dicono che ripartiremo più forti, ma con quante persone? Continuiamo a perdere occupazione, e non è ancora chiaro il ruolo che avrà Dalmine nel gruppo, visto che è in programma la costruzione di un impianto in USA. Oggi Dalmine è il cuore del gruppo. Se oggi salta Dalmine – si chiede Oberti – cosa accadrà anche agli altri stabilimenti?”

I 35 anni trascorsi nello stabilimento sono anche “un’epoca” per la valutazione dell’impatto delle strategie sindacali.

“Dall’80 a oggi è cambiato il mondo. Quando sono entrato in fabbrica si respiravano ancora i risultati della grande politica sindacale degli anni 70, della grande sindacalizzazione della fabbrica. Poi si è perso il collante. Quando sono entrato in fabbrica – ricorda Oberti – ero iscritto alla Flm, c’era grande compattezza. Con la scissione, mi sono iscritto alla Fim. Fino agli anni 90 la divisione non ha inciso molto, dopo ha iniziato a pesare anche sulla credibilità del sindacato stesso all’interno dello stabilimento, quasi che la competizione tra noi fosse la spinta principale della nostra azione, e ci fossimo allontanati dalle esigenze dei lavoratori. La gente ha iniziato a fare fatica a seguirci, e l’azienda ne ha approfittato, diventando il primo referente dei giovani che entrano in fabbrica. Prima questo lavoro lo facevamo noi. Poi, la gente negli anni 90 ha iniziato a seguire meno il sindacato, guidato da un nuovo egoismo e da scarsa solidarietà.”

“Questa crisi, se si può dire, di buono ha portato nuova attenzione nei confronti del sindacato: la gente ricomincia a seguirci. L’adesione dei lavoratori alle assemblee e alle richieste che facciamo è buona, anche perché il futuro non è roseo né per gli operai, né per gli impiegati. Così – conclude Oberti – , abbiamo visto che tanti iniziano a capire che bisogna “marciare compatti”.”

Allo sciopero di martedì parteciperanno anche le delegazioni degli altri stabilimenti italiani del gruppo (Costa Volpino, Arcore, Piombino), segno di una certa preoccupazione nei lavoratori. “Dalmine è il fiore all’occhiello del gruppo, pertanto ci aspettiamo che da qui si disegnino anche le prospettive del futuro di un’azienda importante”, dichiara Fantini.

 

 

 




Origo (Unibg): «Il posto fisso non fa la felicità dei lavoratori»

giovani-disoccupati - CopiaFederica Origo, professore associato di Economia Politica dell’Università di Bergamo, è un’economista del lavoro esperta di sistemi salariali e relazioni industriali, contratti temporanei e benessere dei lavoratori. In uno dei suoi studi ha sfatato il mito del “posto fisso a tutti i costi”, evidenziando come la tipologia contrattuale abbia senza dubbio una certa importanza per il lavoratore, ma non sia da sola determinante per la sua soddisfazione: «In un clima di incertezza anche i lavoratori in posti  ritenuti fino a ieri sicuri possono essere insoddisfatti della propria occupazione – spiega la professoressa -. Eppure si continua a parlare sempre e solo di contratti. L’assunzione a tempo indeterminato resta un obiettivo per ogni lavoratore, ma non basta per la realizzazione personale e il suo benessere. Alla fine, più del contratto, conta come il lavoratore vive il proprio ruolo in azienda. E non deve sorprendere vedere lavoratori a tempo motivati ed entusiasti quanto chi ha davanti a sé la prospettiva di uno stipendio assicurato». Tra luci ed ombre, Federica Origo commenta la nuova riforma del lavoro, dando la sua visione del Jobs Act e della Legge di Stabilità che per la prima volta rende il contratto a tempo indeterminato competitivo. Ma lancia anche un dubbio: «Il Jobs Act non è forse in contrasto con il Decreto Poletti che rende più facile instaurare rapporti a tempo determinato fino a tre anni? Non si corre il rischio di un aumento della precarietà del lavoro?».

Crede che il Jobs Act possa rilanciare il mercato del lavoro italiano?

È difficile ora capire gli effetti che la riforma potrà avere. Se assumiamo che l’economia cresca nei prossimi anni, l’aumento della flessibilità in uscita stabilita dal Jobs Act potrebbe avere effetti positivi anche sulla flessibilità in entrata. La sensazione è che l’economia in questa fase, seppur debolmente e con le dovute cautele, stia riprendendo a crescere, ma credo sia difficile aspettarsi un cambiamento a breve nelle assunzioni. La crescita dell’occupazione arriva dopo la ripresa dell’economia. Senza dubbio la riforma mette in un certo senso le aziende con le spalle al muro, perché saltano quelle rigidità che hanno rinviato nuove assunzioni.

Come valuta la nuova politica degli ammortizzatori sociali?

Si dà la possibilità di accedere agli indennizzi anche ai lavoratori fino ad ora esclusi da questa possibilità. L’introduzione di un nuovo sussidio per le famiglie svantaggiate non può che essere positivo, anche se siamo ancora lontani dal modello del reddito di garanzia di cui spesso si parla.

federica origoQuali sono gli aspetti positivi e quali le zone d’ombra della riforma del lavoro?

Per la prima volta dalla liberalizzazione dei contratti a tempo della metà degli anni Novanta si sta cercando di superare il dualismo del mercato del lavoro, diviso tra un gruppo di lavoratori protetti e tutelati e una larga schiera- con una prevalenza di giovani- di chi alterna contratti a scadenza con periodi di disoccupazione. Non mancano tuttavia alcune forti perplessità: l’idea del contratto unico sembra in contrasto con il Decreto Poletti, che di fatto ha liberalizzato i contratti a tempo, che possono essere rinnovati fino a un massimo di cinque volte in 36 mesi senza la necessità di fornire una causale. Il rischio è che parte dei lavoratori resti precario per anni: le imprese potrebbero impiegare un lavoratore con un contratto temporaneo per tre anni, per poi passare ad un contratto a tutele crescenti che, nei primi anni, è caratterizzato da bassi costi di licenziamento. Per chi invece ha un lavoro fisso diventa più difficile cambiare azienda, perché questo significherebbe lasciare un contratto a tempo indeterminato per un contratto a tutele crescenti. Insomma, per spostarsi da un posto all’altro servono davvero alternative particolarmente allettanti…

Come cambia il mercato del lavoro con il Jobs Act?

Credo che nel 2015 avremo senz’altro una crescita delle assunzioni a tempo indeterminato, grazie agli incentivi contributivi previsti dalla Legge di Stabilità. Faccio però fatica a pensare che vi siano risorse per rifinanziare  la decontribuzione, nonostante gli apprezzabili effetti positivi che essa può portare con sé. I dati più recenti dell’Osservatorio regionale evidenziano a livello provinciale, come riportato dalla stampa locale, che ben sette assunzioni su dieci interessino profili medi-alti. È un dato senza dubbio positivo. In Italia si dice sempre che chi cerca lavoro non sia qualificato, quando sono molti coloro – specialmente giovani – che nonostante titoli e competenze si adattano a fare lavori che non rispondono al loro profilo.

Bisogna rendere le politiche attive più efficienti nel favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro?

I servizi per l’impiego non sono mai stati purtroppo in Italia un canale efficace per fare incontrare domanda e offerta. I centri per l’impiego sono ancora oggi troppo amministrativi e poco attivi. L’idea del Governo Renzi di creare un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione credo possa portare maggior coordinamento e un’ottimizzazione nella gestione delle risorse destinate alle politiche attive, monitorando con più attenzione i risultati ottenuti.

I tassi di disoccupazione giovanile sono preoccupanti. Quali consigli dà ai suoi studenti?

Fortunatamente i nostri laureati riescono a trovare abbastanza in fretta un impiego coerente con il loro percorso di studi presso aziende nella maggior parte dei casi del territorio o comunque nell’ambito regionale. Il primo consiglio è quello di imparare al meglio una lingua straniera, possibilmente l’inglese, e di fare qualche esperienza di lavoro all’estero. Inoltre è sempre apprezzato in curriculum uno stage o tirocinio effettuato durante gli studi.

Grandi aziende come la Dalmine stanno annunciando esuberi che non lasciano intravedere nulla di buono… Cosa ne pensa?

Purtroppo sono molte le grandi aziende a soffrire. Non credo che possano esserci sensibili miglioramenti per le grandi imprese, ma dopo anni di crisi si torna finalmente a parlare della rinascita di alcuni distretti industriali.

Potrebbe esserci un rilancio anche dei distretti commerciali?

Le economie moderne si stanno sempre più terziarizzando e non mancano esempi positivi scaturiti dalla riorganizzazione a livello locale del tessuto imprenditoriale, attraverso reti e collaborazioni. Non conosco da vicino la realtà dei distretti del commercio del nostro territorio, ma non può che essere positiva la condivisione di strategie per il rilancio dei centri storici e delle loro attività commerciali.

 




Metalmeccanici, da gennaio licenziamenti raddoppiati

Nel settore metalmeccanico lombardo, i lavoratori messi in mobilità nella grande e media industria durante il primo mese dell’anno sono 1104, una cifra pari al doppio rispetto a quella dello stesso mese del 2014, quando a perdere il lavoro furono in 524 unità.

Come si spiega un balzo così significativo, un così ampio scostamento in termini numerici da un anno all’altro? Questo drastico aumento può essere motivato unicamente con il fatto che si riducono per legge i tempi della mobilità, e dunque molti lavoratori, per puro calcolo, hanno deciso di andare in mobilità subito, di farsi licenziare, in quanto se l’avessero fatto dopo, avrebbero perso molti mesi di copertura con questo ammortizzatore sociale.

Quasi la metà degli esuberi riguarda Milano e la sua provincia (437), punte significative anche a Bergamo (197 licenziati) e Lecco (161), mentre si dimezzano i licenziamenti nel bresciano.

‘Si tratta di dati molto allarmanti che devono indurre a una riflessione seria e definitiva rispetto al problema di quanti perdono il lavoro, come sostiene inascoltata da tempo la Fiom Cgil Lombardia’, sostiene Mirco Rota, segretario generale dell’organizzazione.

“Questo dato – prosegue Rota – è influenzato molto dal fatto che dal primo gennaio 2015, per effetto della legge voluta dal Governo Monti, diminuiscono i tempi della mobilità. E allora, per ottenere l’indennità di mobilità, molte aziende fanno optare per una mobilità volontaria, in modo tale da mandare i lavoratori in mobilità nel 2014 e consentire agli operai di poter disporre di un ammortizzatore per un tempo più lungo”.

“Ovviamente, per quanto riguarda i distretti di Milano, Lecco e Bergamo, dove si registra un boom di licenziamenti, permangono le situazioni di crisi strutturale – aggiunge il rappresentante delle tute blu lombarde – ed è bene ricordare che il 2015 è un anno comunque difficile in quanto i lavoratori vedranno diminuire tutti gli ammortizzatori sociali: mobilità, cassa in deroga e contratto di solidarietà. In queste condizioni parlare di ripresa è davvero assurdo”.




Jobs Act, «persa un’occasione per favorire l’occupazione giovanile»

Il presidente dell'Adapt Emmanuele Massagli è stato tra i relatori del convegno sul Jobs Act promosso dall'Ascom di Bergamo
Il presidente dell’Adapt Emmanuele Massagli è stato tra i relatori del convegno sul Jobs Act promosso dall’Ascom di Bergamo

Emmanuele Massagli, 32 anni, è dal 2012 presidente di Adapt, associazione senza fini di lucro, fondata da Marco Biagi per promuovere studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro, ed è membro del collegio dei docenti della Scuola di dottorato in Formazione della persona e mercato del lavoro dell’Università di Bergamo. Massagli, che è dottore di ricerca in Diritto delle Relazioni di Lavoro con una tesi sul lavoro dei giovani, nel commentare la nuova riforma non nasconde un certo scetticismo di fronte alle ricadute positive del Jobs Act sull’occupazione giovanile: «Mi aspetto senz’altro più assunzioni, ma dubito che interessino giovani o fasce deboli. L’incentivazione economica corposa della Legge di Stabilità rende di fatto più vantaggiosa l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori esperti». Il problema della disoccupazione giovanile continua così a crescere: «È paradossale, ma l’Italia che conta ormai 2 milioni e mezzo di Neet  (Not – engaged – in Education, Employment or Training) e ha un tasso di disoccupazione giovanile del 43% sta perdendo l’occasione di rilanciare l’occupazione degli under 30 messa a disposizione dal Piano Garanzia Giovani, con 1 miliardo e 500 milioni di euro di risorse europee».  L’ennesima opportunità Ue sfumata? «Fa rabbia perdere risorse destinate ad alleggerire una vera e propria emergenza sociale. Ma tra cambi di governo (il piano è nato con il Governo Monti, è stato approvato da quello Letta ed è diventato operativo con Renzi, ndr.) e gestione frammentaria delle Regioni che detengono la responsabilità delle politiche attive del lavoro, sono solo 12mila le offerte di lavoro ad oggi presentate. Bisognava coinvolgere le associazioni datoriali e fare una campagna di informazione forte rivolta ai giovani nei luoghi che frequentano».

Quali sono i reali benefici per le pmi della riforma del lavoro?

Il principale vantaggio sta non tanto nel Jobs Act ma nella Legge di Stabilità. Per la  prima  volta il contratto a tempo indeterminato diventa competitivo, arrivando a costare meno dell’apprendistato di durata inferiore ai due anni e sensibilmente meno di un inquadramento a  tempo determinato. Grazie all’incentivazione economica è previsto l’esonero dei contributi per tre anni consecutivi per ogni nuova assunzione a tempo indeterminato effettuata nel 2015. Si tratta di un risparmio di 8.070 euro annui per ogni neo-assunto. Anche la deducibilità ai fini Irap dei costi del personale a tempo indeterminato va a vantaggio sia delle imprese che del lavoratore, che vede una stabilizzazione degli 80 euro in busta paga.

Si intravedono già effetti sul mercato del lavoro?

Solo nella Provincia di Milano nel mese di gennaio sono cresciuti del 23% i contratti a tempo indeterminato. Ed è facile prevedere che con l’entrata in vigore del contratto a tutela crescenti si registri un ulteriore aumento di assunzioni: sono molte le imprese che stanno aspettando le nuove regole per assumere.

 Non c’è il rischio che come con altri incentivi si “dopi” il mercato del lavoro?

Come tutti gli incentivi altera il mercato, ma se l’economia riprende a partire dal 2016 ci sono buone speranze per i 200mila nuovi occupati che si stima di avere nel 2015. Non credo che le aziende – come paventano i sindacati – si mettano ad assumere per poi licenziare. Per le aziende il contenzioso rappresenta una perdita inutile di tempo e di risorse.

Crede che porti davvero una nuova svolta nell’abbattimento del contenzioso?

La semplificazione della disciplina in uscita è senza dubbio un vantaggio perché rende più quantificabile per le aziende i costi di una causa persa. Il Jobs Act è prevedibile che porti ad un abbattimento del contenzioso, anche se in realtà le cause ex articolo 18  sono solo 70mila l’anno e, in base ai dati del Ministero della giustizia pre-riforma Fornero, rappresentano il 12% dei contenziosi. Senz’altro cambieranno le strategie delle imprese per difendersi e licenziare, dato che il reintegro diventa un’eccezione.

 Quale valore assume la contrattazione aziendale con la riforma?

Tenderà a crescere e ad avere un ruolo sempre più importante. Il mercato del lavoro sembra però andare verso il contratto individuale data la crescita dei lavoratori autonomi. Il popolo delle partite Iva conta 5 milioni e 500mila lavoratori e senza dubbio uno dei limiti più grandi del Jobs Act è quello di essere stato costruito attorno ad un’idea di subordinazione, in un mercato del lavoro sempre più individuale.

Quali sono altri punti deboli e  zone d’ombra della riforma?

Oltre a non aver considerato i lavoratori autonomi, il Jobs Act ha dato una stretta sui contratti a progetto che comunque non spariranno come annunciato da Renzi. Infatti questa tipologia contrattuale che interessa circa 500mila lavoratori continuerà ad essere impiegata laddove è regolato da contrattazione collettiva. Il Jobs Act sembra inoltre avere come disegno un aumento dei contratti a tempo indeterminato per andare a creare una flexsecurity in linea con i Paesi del Nord Europa. Si va concretizzando una maggiore flessibilità ma mancano ancora i pilastri delle politiche passive, a partire dagli ammortizzatori sociali, e aspettiamo la bozza sulle politiche attive. Senza politiche passive e politiche attive efficienti diventa davvero difficile trovare un equilibrio.




Tutti formatori, ma occhio a chi improvvisa

formatore Mi occupo di processi formativi e di formazione aziendale da diversi anni e da qualche tempo non ho potuto esimermi dal fare una considerazione: “sono tutti diventati formatori”. Sembra infatti che sia sufficiente una laurea ad indirizzo umanistico, un qualche corso di formazione istituito dalle tante società presenti sul mercato e una buona dialettica per fregiarsi del titolo di “consulente della formazione” o di “esperto dei processi formativi”. A costo di risultare antipatico, lo voglio dire, ma non sono assolutamente d’accordo con questo trend, che combatto da sempre. Sono convinto che essere formatori rappresenti una scelta professionale, che scaturisce da un preciso percorso personale e professionale, che necessita di aggiornamento continuo.

Lasciando perdere il discorso della motivazione personale sulla quale non posso entrare in merito, desidero però focalizzare l’attenzione sui percorsi formativi che aiutano a divenire dei formatori provetti. Come in ogni settore ci sono un’infinità di corsi e corsetti che sdoganano alla professione di formatore e diventa pertanto difficile capire quali valgono e quali invece è meglio lasciar perdere. Oggi con un titolo di studio universitario integrato a dei corsi di specializzazione e ad un’esperienza di almeno cinque anni, l’AIF, l’Associazione Italiana Formatori, certifica il profilo professionale del formatore; e anche sul sito dell’ISFOL, l’Istituto Professionale per la Formazione dei Lavoratori è possibile trovare informazioni corrette e aggiornate in materia. Ecco io partirei da queste due realtà e per qualsiasi domanda su temi quali corsi riconosciuti ed elenchi di formatori seri e preparati, chiederei a questi signori, che il settore della formazione lo conoscono bene. Ogni tanto qualcuno mi chiede una valutazione sui percorsi offerti dalle università: in realtà non mi dispiacciono, ma bisogna fare attenzione perché spesso si concentrano sugli aspetti istituzionali e amministrativi della formazione finanziata (il mercato della formazione professionale è suddiviso nei tre comparti formazione finanziata, formazione aziendale e formazione privata) e il rischio è quello di imparare ad essere un burocrate e non un formatore. Se poi pensiamo che il comparto dei fondi pubblici per la formazione è in forte decrescita a causa dei continui tagli alla pubblica amministrazione e della crisi economica, è più opportuno investire il proprio tempo in momenti formativi che approfondiscono la gestione e la tenuta del gruppo, la comunicazione efficace e i processi formativi complessi.

Oggi il formatore è un anello di congiunzione tra la formazione e il lavoro ed è chiamato a formare e riqualificare inoccupati e disoccupati e a curare l’aggiornamento professionale di chi ha un lavoro, ma necessità di migliorare le proprie performance.

La stessa parola “formatore” deriva dal latino “formator” e indica l’attività “di chi forma e dà forma a qualcosa o qualcuno”; nel linguaggio pedagogico e aziendale, il formatore è colui che prepara le persone a svolgere un’attività, una professione o ad iniziare un cambiamento personale. Il suo ruolo è quindi quello di costruire e/o consolidare i legami tra formazione e lavoro e di qualificare, riqualificare e aggiornare le forze di lavoro. Per sua natura il formatore può assumere funzioni più o meno ampie o specializzate a seconda della richiesta e delle sue competenze e in ragione al perseguimento degli obiettivi formativi può occuparsi solo della gestione didattica oppure dell’analisi dei fabbisogni, della progettazione, della valutazione, del monitoraggio dell’intervento. E poi un formatore “vero” può trovarsi a realizzare iniziative di formazione anche molto diverse tra di loro (quanto a contenuti, destinatari, etc.) e deve essere in grado di individuare le metodologie e gli strumenti più adeguati per fronteggiare le necessità della committenza e dell’utenza.

Essendo quindi il risultato di uno sviluppo costante dell’individuo, la sua competenza non è mai statica e in nessun momento può propriamente dirsi raggiunta, ma al contrario deve crescere e svilupparsi di continuo  Capite perché sono particolarmente severo con coloro che non studiano, che non si aggiornano e che pensano sia sufficiente trasmettere due slide ed essere spigliati per “fare formazione”. Bisogna invece dimostrare di saper utilizzare conoscenze ed abilità specifiche, di essere in grado di personalizzare le azioni formative, di possedere spiccate capacità comunicative e valutative e di conoscere  gli ultimi aggiornamenti in tema di metodologie della formazione. Allora si che ci si può fregiare del titolo di “esperti formatori”. Tutti gli altri sono gli improvvisati della formazione, di cui francamente il mercato del lavoro può farne  volentieri a meno.




Ad Alzano debutta una struttura per i giovani: ricambieranno fornendo i propri servizi

Maurizio Panseri - assessore alle politiche sociali, giovani e sport del Comune di Alzano
Maurizio Panseri

Il protocollo P@sswork che legge il coworking in chiave solidale e sociale è stato una sorta di illuminazione per il Comune di Alzano. «Avevamo avviato una ricognizione degli spazi dismessi presenti in paese – racconta Maurizio Panseri, assessore alle Politiche sociali, giovani e sport – ed era in atto una riflessione su come renderli di nuovo vivi. Tra questi spazi, c’era anche la sede nel centro del paese della cooperativa sociale San Martino, rimasta libera dopo il trasferimento delle loro attività. La collaborazione già in atto tra Comune e cooperativa, che si occupa di disabilità, su alcuni progetti e la richiesta da parte di un gruppo di giovani di trovare delle opportunità ha fatto scattare l’idea di realizzare uno spazio di lavoro condiviso e il protocollo P@sswork ha fornito le modalità per farlo». Coinvolti sono sette ragazzi, tra i 21 e 30 anni, di Alzano e dei comuni vicini, che operano nei settori web, design e video. A loro viene concessa la struttura in comodato gratuito dalla cooperativa, mentre il Comune si farà carico delle utenze. In cambio i ragazzi forniranno gratuitamente i propri servizi, ad esempio brochure, video e campagne promozionali, a Comune e cooperativa. «Non è nemmeno un incubatore – evidenzia l’assessore -, ci piace considerarlo un “nido”, un luogo dove i ragazzi potranno avere le proprie postazioni e cominciare a lavorare. La scelta dei settori di attività è legata al fatto che si tratta di servizi sui quali l’ente e la cooperativa sono sguarniti, ma è soprattutto un modo per responsabilizzare i componenti del coworking, far capire che anche loro devono dare il proprio contributo al progetto».
Trattandosi di una modalità inedita, ha richiesto un certo impegno la ricerca degli strumenti più adatti per formalizzare l’accordo. E non sono mancati autentici loop burocratici, come il fatto che per dare vita all’associazione dei coworker servisse indicare una sede, che però non c’era finché la stessa associazione non firmava il contratto di comodato con la cooperativa. «Alla fine però ce l’abbiamo fatta e l’associazione dovrebbe nascere a breve – annuncia Panseri -. Era importante definire alcune precise regole d’ingaggio, come il fatto che i ragazzi devono essere presenti per almeno un anno ma non possono restare più di due, mentre sul ritorno in termini di servizi al Comune l’idea è di dare vita ad un rapporto semplice di scambio. In fondo l’impegno economico dell’Amministrazione è modesto, ma il valore dell’iniziativa è grande. È senz’altro un modo per dare un segnale positivo ai giovani, che magari realizzano i propri progetti in casa e tirano avanti con i classici lavoretti. Compito dell’Ente pubblico non è fare impresa ma dare opportunità e supporto. Toccherà ai giovani sviluppare la propria attività facendola diventare una professione a tutti gli effetti, ma se al termine della permanenza nello spazio di co-working vedremo nascere qualche attività potremo dire di aver centrato l’obiettivo e di aver stimolato quell’imprenditorialità diffusa che, con la crisi delle grandi fabbriche, è una delle principali risposte ai problemi occupazionali».