Osterie d’Italia, salgono a sei i locali bergamaschi

osterie-ditalia- 2018Tutte conferme e un ritorno per la provincia di Bergamo nella 28esima edizione della guida Osterie d’Italia, edita da Slow Food, che la presenta in Lombardia domani, sabato 28 ottobre, all’Istituto di Istruzione Superiore di Stato Andrea Mantegna.

Mantengono il simbolo della Chiocciola, che identifica i locali più in sintonia con i principi di Slow Food, l’Osteria Burligo di Palazzago e la Trattoria Dentella di Bracca. In totale sono 22 le insegne lombarde che hanno ottenuto il riconoscimento quest’anno. Restano segnalati anche Al Gigianca, a Bergamo, contrassegnato con i simboli del Formaggio (24 in Lombardia quelli che propongono una selezione di prodotti caseari di qualità) e della Bottiglia (37 in regione i locali dalla proposta di vini articolata, rappresentativa del territorio, con prezzi onesti);  Ai Burattini di Adrara San Martino (Bottiglia) e Taverna di Arlecchino a Oneta di San Giovanni Bianco.

Torna tra le pagine della guida la Trattoria Visconti di Ambivere che oltre al Formaggio e alla Bottiglia sfoggia anche il simbolo dell’Annaffiatoio per indicare la presenza di un orto di proprietà. La famiglia Visconti-Caccia cura anche il dessert del menù a più mani della presentazione in quel di Brescia: Maiassa di farina di mais rostrato rosso con uva americana.

Per gli acquisti e le soste golose sono inoltre segnalati, entrambi in città, La Marianna per il gelato e Ol Formager per i formaggi.

La guida in pillole

Osterie d’Italia 2018

Curatori: Marco Bolasco ed Eugenio Signoroni – pagine 896 – prezzo 22 euro

1.616 osterie segnalate in guida
176 nuove segnalazioni
275 chiocciole, i locali che meglio incarnano il modello di osteria
207 osterie da visitare per la notevole selezione di formaggi
400 osterie consigliate per la carta dei vini attenta al territorio
347 indirizzi dove acquistare prodotti di qualità, gustare un buon gelato o fermarsi per un piacevole aperitivo
456 locali con un orto di proprietà
373 osterie che propongono un menù vegetariano
310 osterie con alloggio




“Sapori Seriani e Scalvini”, menù tipici in dieci ristoranti

sapori seriani e scalviniPer la promozione del territorio e delle attività economiche, la Valle Seriana punta con decisione sui prodotti tipici. Dal 20 ottobre al 26 novembre lo fa con la rassegna gastronomica “Sapori Seriani e Scalvini” che propone in dieci tra ristoranti, trattorie, osterie, rifugi e agriturismi menù con prodotti locali ispirati alla tradizione e alla stagione autunnale.

L’iniziativa vuole sottolineare il titolo di Regione Europea della Gastronomia assegnato alla Lombardia Orientale e fare assaggiare le specialità di questo angolo del territorio e le capacità degli chef.

Tutti i menù della rassegna comprendono antipasto, primo, secondo, dolce, acqua, caffè e coperto. Sono esclusi i vini. I prezzi vanno da 25 a 30 euro.

Tra le proposte, salumi e formaggi tipici, casoncelli e scarpinòcc, le polente e le ricette con i mais Spinato di Gandino e Rostrato rosso di Rovetta, i funghi, le erbe, le giardiniere, i capù, le castagne e pure nuove creazioni come i camisocc, tra le paste ripiene, e i moroncelli tra i dolci.

È possibile degustare i menù per tutta la durata della rassegna (consigliata la prenotazione). In ogni ristorante, inoltre, si terrà una serata interamente dedicata alla presentazione del menù secondo questo calendario: albergo ristorante Morandi – Valbondione (20 ottobre); Moro ristorante pizzeria – Parre (23 ottobre); ristorante Al Portichetto – Gandino (27 ottobre); Della Torre ristorante & enoteca – Clusone (3 novembre); trattoria Moro Da Gigi – Albino (7 novembre); ristorante Il Melograno – Valbondione (11 novembre); ristorante Centrale – Gandino (14 novembre); ristorante pizzeria polenteria Edelweiss – Castione della Presolana (17 novembre); ristorante Vecchio Mulino – Rovetta (23 novembre); ristorante pizzeria Il Giardino – Selvino (25 novembre).

Info: tel 035 704063 – sapori@valseriana.eu.




Gestire un bar, al via il corso Ascom per andare sul sicuro

barman cocktailParte mercoledì 25 ottobre all’Accademia del Gusto di Osio Sotto il corso professionalizzante “Vorrei fare il barman”. Il percorso di formazione (78 ore complessive articolate in 16 incontri, dalle 14 alle 19, dal 25 ottobre al 30 novembre) svela passo dopo passo le fasi per gestire un bar.

Nessun aspetto viene escluso: si spazia dalla gestione imprenditoriale che la conduzione del locale porta con sé, con un’attenta analisi di costi e ricavi, ai segreti del mestiere. Si comincia dalle tecniche per preparare un ottimo caffè, con l’approfondimento su caffetteria e miscelazione, per arrivare ai segreti di un cappuccino con latte montato a regola d’arte e decorato con tutta la fantasia che la “latte art” sa sprigionare.

Il corso, dalla forte connotazione pratica, garantisce una realizzazione perfetta di cocktail e aperitivi, da quelli tradizionali a quelli di maggior tendenza. Grazie ad approfondimenti tematici i corsisti, possono farsi una cultura su distillati e dintorni, digestivi compresi, oltre che sul sempre più variegato mondo della birra. Il percorso formativo si chiude con il confronto attivo con locali di successo e testimonial del settore, il più importante stimolo che una nuova attività o un progetto d’impresa possano avere.

«Con la liberalizzazione delle licenze siamo diventati una categoria fragile e per stare sul mercato purtroppo non basta saper fare un cocktail o servire un buon cappuccino – afferma Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Bar Caffetterie e Pasticcerie Ascom, tra i docenti del corso -. La gestione economica è l’abc di ogni attività imprenditoriale, è una parte fondamentale e anche laddove è corretta e portata avanti con impegno e dedizione, esistono comunque dei margini di miglioramento e ulteriore crescita».

La formazione continua a rappresentare la migliore arma delle imprese per restare sul mercato: «La crisi più grave è quella delle idee e della professionalità, solo con un aggiornamento costante si può continuare a competere – continua Beltrami -. Fare un mestiere da vent’anni non è un buon motivo per non frequentare un corso di aggiornamento che allarga sempre e comunque il proprio orizzonte culturale».

Il settore negli ultimi cinque anni è cresciuto del 10,5%: dal 2012 al terzo trimestre 2017 le attività sono passate da 2425 a 2679. In città i pubblici esercizi sono 384 (+ 9,1% dal 2012). Nel terzo trimestre le attività sono cresciute del 2,27% (+ 4,57 in città).

È possibile frequentare anche solo alcuni moduli e approfondimenti tematici del corso. Per informazioni e iscrizioni: Ascom Formazione 035 4185706/707, info@ascomformazione.it

L’Accademia del Gusto Ascom è in piazzetta don Gandossi 1 a Osio Sotto.

Per consultare il calendario dei corsi: www.ascomformazione.it




Gazzaniga, la “Follia” di Daniele che vuole portare in tavola anche le meduse

Daniele Cortesi, 28 anni
Daniele Cortesi

La Follia di Daniele Cortesi è quella “sana”, la capacità di mettersi in gioco anche quando il senso comune spingerebbe ad andare sul sicuro. È così che tre anni e mezzo fa, all’età di 25 anni, ha aperto il suo ristorante scegliendo di fissare nell’insegna quell’atto di coraggio e volontà che condivide con la fidanzata Valeria Tiraboschi, appena 21enne all’epoca dei fatti.

Il locale si trova a Gazzaniga, in via Dante 9, nel centro storico. Trenta posti che permettono ai due di gestire praticamente da soli cucina (lui) e sala (lei).

Il giovane chef è stato una lieta sorpresa nel corso della dimostrazione organizzata dai Macellai Ascom alla recente Fiera di Sant’Alessandro, un’iniziativa che ha voluto mostrare la professionalità degli operatori e offrire ai visitatori le dritte giuste per scegliere e cucinare un buon piatto di carne. Cortesi ha spaziato dalle preparazioni classiche ai tocchi creativi, come i chicchi di melograno sul carpaccio o lo stufato arricchito con cacao e cioccolato fondente.

È questo anche lo stile della sua cucina, che non disdegna prodotti e abbinamenti insoliti e ricercati, frutto dell’esperienza internazionale. Diplomato alla scuola alberghiera di Nembro, Cortesi, infatti, non si è lasciato sfuggire l’occasione di vedere come vanno le cose dall’altro capo del mondo e dopo il cursus di rito Sardegna-Val Gardena-Inghilerra è volato al The Venetian di Macao, gemello dell’omonimo hotel casinò di Las Vegas che ricrea palazzi e canali di Venezia: un colosso da 3.000 suite e 18mila dipendenti, settimo tra gli edifici più grandi al mondo, primo degli alberghi.

«In Cina ci sono rimasto sei mesi – ricorda – poi una serie di circostanze mi ha fatto decidere di rientrare. Del resto, avevo già ben chiara l’idea di aprire un locale mio e di chiamarlo proprio La Follia, che dice della mia voglia di provarci. È vero, i tempi non sono dei migliori e siamo giovani, ma finché non ci si butta non si può sapere come andrà. Noi l’abbiamo fatto, scegliendo una dimensione che possiamo gestire. Non è semplice, ovviamente, ma le soddisfazioni pian piano arrivano».

ristorante La Follia - Gazzaniga (1)«Un pizzico di “follia” sta anche nel menù – evidenzia -. Lavorare in estremo Oriente e in un ambiente internazionale mi ha fatto conoscere tanti prodotti e sapori e la nostra proposta vuole appunto offrire qualcosa di diverso. Secondo me chi esce a cena deve trovare piatti che non mangia a casa. È difficile farlo capire in un contesto come il nostro, in cui si dà più valore all’abbuffata, ma ci proviamo».

La lista è essenziale: quattro proposte (due di terra e due di mare) di ciascuna portata – antipasto, primo, secondo – più i dessert. Il menù degustazione permette di assaggiare tutti i piatti (di pesce o di carne) al costo di 55 euro, acqua e vino compresi. Tra le ricette che meglio descrivono la sua cucina, Daniele Cortesi cita la tartare di cobia (uno squaletto che nel piatto ricorda merluzzo e ricciola indicato come il pesce del futuro per la sostenibilità dell’allevamento) con yogurt di ravanelli e brunoise di zucchine, gli gnocchi di patate e maggiorana con crudo di gambero rosso, piselli e zenzero, il filetto di storione in crosta di pane e basilico, cous cuos in caponata di verdure dell’orto.

Cappuccino e brioche? In realtà è una zuppa di patate e funghi con spuma al parmigiano con croissant salato
Cappuccino e brioche? In realtà è una zuppa di patate e funghi con spuma al parmigiano con croissant salato

Vero e proprio simbolo del locale è diventato il cappuccino, una zuppa di patate e funghi con spuma al parmigiano, servita in tazza come al bar, accompagnata da un croissant salato. L’attenzione è anche alle nuove tecniche, con cotture sottovuoto, marinature e affumicature. Il menù cambia con le stagioni e non mancano le serate a tema (la prossima è sui porcini, il 15 e 16 settembre, ma ci sono anche quella sul pesce crudo, sui tartufi, la serata bergamasca e quella sarda).

E chissà che la follia dello chef non vada oltre. «In futuro mi piacerebbe osare un po’ di più – confessa -. Tra i cibi più strani che ho assaggiato in Cina e che più mi sono piaciuti c’è la medusa. Devo solo capire come fare ad averla… ».

 




Da Tite, cucina tipica e tanti servizi. «Così riusciamo a resistere in montagna»

Altre due insegne bergamasche sono entrate a far parte degli indirizzi storici della ristorazione. Si tratta della “Trattoria Bolognini” di Mapello e della “Piccola Trattoria da Tite” di Valsecca che si sono recentemente aggiudicate il riconoscimento di “Storica Attività” dalla Regione Lombardia. Il titolo viene assegnato a chi può vantare almeno 50 anni di storia, mantenendo inalterati i propri prodotti, l’insegna e possibilmente la gestione e la sede fisica. Conosciamo la Piccola Trattoria da Tite

Silvia Invernizzi con il marito Luca Peroni e i figli Marco e Andrea
Silvia Invernizzi con il marito Luca Peroni e i figli Marco e Andrea

Quasi un secolo fa, tra i verdi boschi dell’Alta Valle Imagna, Noè ed Elvira Vanoli conducevano la loro piccola trattoria con negozio attiguo. Erano i tempi in cui le botteghe alimentari offrivano un servizio completo per l’intera comunità. Nel borgo montano di Valsecca, dal 2014 entrato a far parte del Comune di Sant’Omobono Terme, si produceva pane con il forno a legna, si macellava la carne per lo spaccio interno, si selezionavano i formaggi migliori della valle per i propri clienti. La Piccola Trattoria da Tite era un punto di ristoro sicuro durante la salita, capace di offrire un pasto caldo a ogni ora. Ma era anche il luogo ideale per celebrare le grandi occasioni di un tempo, dai matrimoni alle feste familiari.

Oggi le carovane di muli che trasportavano le merci hanno ceduto il passo a furgoni e motociclette, ma l’atmosfera, i sapori e gli odori di una volta sono rimasti gli stessi. Basta varcare la soglia della trattoria per rendersene conto. La titolare adesso è Silvia Invernizzi che ha raccolto il testimone dei nonni reinventando ogni giorno con passione quel servizio completo per le esigenze dei clienti moderni. Questa cuoca tuttofare, che si alterna sorridendo tra i fornelli e la sala, ama elencare a voce alcune delle sue specialità fatte in casa per solleticare il palato dei clienti, dando qualche preziosa dritta ai più indecisi.

Accanto al locale c’è poi un negozietto in cui si può trovare tutto ciò che un punto vendita di montagna deve offrire ai residenti e ai visitatori: giornali, riviste, marmellate, salumi, formaggi e persino un souvenir gastronomico, i biscotti di Valsecca, gustose frolle con pepite di cioccolato ideate da Silvia stessa. E ancora un corner informativo con cartine e brochure per la promozione turistica del territorio e una postazione internet gratuita. È compreso anche un capillare servizio di consegna a domicilio e l’estrema flessibilità degli orari di apertura.

«Anni fa la trattoria è rimasta chiusa per un lungo periodo – ricorda Silvia Invernizzi –. Facevamo solo servizio bar perché mia madre stava poco bene e io mi dovevo sposare. Quando sono nati i miei figli ho deciso di riattivarla. L’ho chiamata Tite in onore di mia mamma che è scomparsa poco dopo il mio matrimonio. Lei si chiamava Adoratrice ed era una discendente della famiglia Vanoli, tutti la conoscevano come Tite. Ho due figli che stanno frequentando la scuola alberghiera e spero che in futuro continuino la tradizione. Anche mio marito è il mio punto di forza: ha lasciato il suo precedente lavoro a Milano per aiutarmi a tempo pieno nella trattoria. Nel 2009 siamo diventati negozio multiservizio tramite un bando della Camera commercio di Bergamo. Ci dividiamo tra il bar, la cucina, la sala, la rivendita. Al premio di negozio storico della Regione Lombardia tenevo. Era un modo per rendere omaggio a mia mamma e ai miei familiari. Ho fornito parecchi documenti storici che ho reperito personalmente perché molti di quelli ufficiali sono bruciati in un incendio avvenuto nel nostro Comune. Per fortuna ho trovato licenze antiche risalenti all’epoca della seconda guerra mondiale. Ho anche cercato in paese persone che avevano festeggiato il loro matrimonio alla trattoria di mia mamma, ho preso foto dai loro album di nozze e le ho spedite alla Regione come testimonianza storica della nostra lunga attività».

Piccola trattoria da tite - Biscotti di ValseccaGià, ma qual è l’elisir di lunga vita della Piccola Trattoria da Tite? «Cucino tutto al momento, io punto molto sulla genuinità – esclama Silvia –. Ho frequentato diversi corsi per aggiornarmi e perfezionarmi. Ho mantenuto una cucina casalinga coi prodotti della valle cercando di offrire accoglienza e un servizio di bottega con le 14 “tabelle” di una volta. Certo, il nostro negozietto di prima necessità non può competere con la grande distribuzione. Tuttavia in paese siamo un punto di riferimento, quando chiudiamo due giorni la gente del posto è spiazzata perché non si trova più nulla qui nei dintorni». «E poi – aggiunge – mi piace mantenere le ricette classiche: preparo casoncelli, brasato, stinco, nidi di rondine (gli uccelli “scappati”), coniglio con la polenta come la faceva mia nonna. I milanesi che vengono da noi, caldo o no, chiedono sempre un bel piatto di polenta concia, contadina o taragna. Magari gli appassionati di nouvelle cuisine ci snobbano ma a forza di rivisitare i piatti della tradizione stiamo perdendo le ricette originali e, di conseguenza, le nostre radici».

via Cascutelli, 23
Sant’Omobono Terme – Valsecca
tel. 035 852976



Fiori in tavola: consigli e idee per i ristoratori

fiore boule - adriano vacchelli

Il motto “dillo con un fiore” funziona anche al ristorante. Già, perché se su una tavola spuntano un tocco di verde o un mazzolino ben curati il messaggio è chiaro: qui ai dettagli ci stiamo attenti. E un punto a favore per la bella figura complessiva è segnato (e magari anche lo scatto fotografico).

Ovvio che il centrotavola più raffinato non potrà bilanciare un piatto mal riuscito o un cameriere impacciato, ma se i “fondamentali” sono tutti solidi, le mise floreali possono dare una bella spinta, spesso sottovalutata, all’immagine complessiva dell’insegna. Lo sanno bene i locali di livello, dove il floral design rientra a pieno titolo nel progetto e nella gestione della sala, ma è un aspetto che ogni attività può prendere in considerazione per rinnovare la propria atmosfera.

Adriano Vacchelli
Adriano Vacchelli

Ci siamo rivolti al Gruppo fioristi dell’Ascom di Bergamo per saperne di più sul magico mondo di fiori e piante e rubare qualche consiglio per composizioni di sicuro effetto. «Un fiore o del verde sulla tavola – fa notare il presidente Adriano Vacchelli, che ha il proprio negozio a Osio Sotto – arricchisce l’impatto visivo ed estetico e trasmette immediatamente senso di freschezza, vitalità, cura del particolare. Il rimando psicologico è presto fatto, davanti ad un centrotavola bello e in salute si è infatti facilmente portati a pensare che anche il cibo sia stato scelto e trattato con la stessa attenzione».

Per muoversi tra le infinite possibilità di allestimento vegetale è bene in primo luogo mettere dei punti fermi su cosa non fare. «Non strafare – è l’ammonimento di Vacchelli -. No a composizioni troppo ingombranti: visto che spesso i tavoli sono piccoli, più che fare bella figura danno fastidio. I fiori non devono essere mai troppi – spiega -, il loro numero deve essere in proporzione con le dimensioni del tavolo. No anche ai fiori troppo profumati, che possono interferire con gli aromi e i sapori dei piatti. Da evitare pure i vasi troppo alti, che intralciano gli sguardi dei commensali. I contenitori ideali sono bassi, facili da afferrare per non complicare il lavoro a chi apparecchia e sparecchia. Quanto al materiale, il vetro è molto elegante ma richiede che l’acqua venga cambiata spesso perché appena si intorpidisce sta malissimo, sì quindi alla ceramica e alle superfici opache».

Nella scelta dei colori dei fiori, invece, può essere interessante sganciarsi dalle tonalità del bianco e del verde, che vanno per la maggiore in tavola. «È vero, sono eleganti – afferma il fiorista -, ma anche giocare sul colore trasmette vitalità e bellezza. Se il rosso è per le occasioni speciali, il giallo, l’arancione e il rosa stanno molto bene, magari giocando tra le loro gradazioni nel contesto della sala, naturalmente in armonia con il tovagliato»

Il veto assoluto è per i fiori di plastica, l’esatto contrario della vitalità e freschezza di cui sopra. «Meglio non mettere nulla piuttosto che quei tristissimi vasetti che viaggiano in coppia con il “numerino” del tavolo – dice apertamente il presidente dei fioristi -. Spesso non si considera che chi sta aspettando di essere servito guarda e tocca ciò che ha attorno. La mise en place sta sotto gli occhi per tutto il tempo del pasto e i difetti si vedono, per questo anche fiori freschi e piantine devono essere sempre perfettamente in ordine».

Un’alternativa ai fiori freschi possono essere le rose stabilizzate, «a patto che siano proposte a rotazione con altre composizioni», oppure le piantine, fiorite, verdi o aromatiche. Perché il problema principale è il budget e l’idea di fare la spesa ogni settimana per qualcosa che il cliente non mangia o beve non è così diffusa nella ristorazione. Affidarsi ad un fiorista può essere la soluzione. «Se c’è un rapporto di fiducia e continuo possono nascere belle idee e si può tenere sotto controllo la spesa – evidenzia Vacchelli -. Una settimana si può fornire il fiore fresco, quella successiva suggerire come usare i fiori o l’edera che crescono in giardino, poi si possono usare i bulbi o le piantine, che durano di più. Il fiorista può anche utilizzare contenitori forniti dal ristoratore, come tazzine, bicchieri, boule per creare qualcosa di originale risparmiando».

La discriminante è la tipologia del locale. «Per una trattoria con menù a prezzo fisso dove i clienti vanno di fretta potrà bastare un piccolo tocco di colore, in altri casi si può stare sul rustico, se l’ambiente è raffinato anche la proposta floreale dovrà corrispondere», rimarca.

Tronco betulla - Massimiliano Ghilardi - Brusaporto
Una composizione di Massimiliano Ghilardi

Il collega Massimiliano Ghilardi, titolare dell’omonima Fioreria a Brusaporto, vede la collaborazione tra fiorista e ristoratore in modo ancor più stretto. «La vera finalità di un centrotavola riuscito – sostiene – è di accompagnare le portate e sussurrare all’ospite, attraverso gli elementi floreali e decorativi posti in maniera ragionata, delle emozioni aiutandolo a capire la provenienza, la storia, il percorso degli ingredienti della terra fino ad una meravigliosa tavola sapientemente imbandita. Così facendo, il piatto si ingrandisce, sorprende l’ospite e lo intrattiene. Quando poi gli allestimenti sono gestiti anche nei punti importanti della location ecco che diventano trainanti, perché altamente emozionali. A questo punto il costo delle composizioni floreali non è più di peso ma diventa investimento che rende al pari delle portate». Il suo primo consiglio ai ristoratori è perciò quello di «cercare un buon “interprete” e creativo floreale e lavorare insieme ponendosi degli alti obiettivi».

Un’idea per ogni occasione

Le decorazioni floreali sono un modo semplice per dare un aspetto sempre nuovo ai locali, per valorizzare una serata o un menù, per rendere speciale anche quanto c’è di più normale, come lo scorrere del tempo e delle stagioni. Per ampliare l’orizzonte sull’uso dei fiori in tavola e trovare qualche spunto – facile da mettere in pratica – abbiamo chiesto aiuto ai fioristi del Gruppo Ascom. Perché cambiare è la prima regola del buon allestimento.

SAN VALENTINO

San Valentino - Barbara Bertolini - artefiore - Torre boldone«La scelta più classica è la rosa rossa, elegante inserita in un vaso cilindrico di vetro trasparente con un fondo di sassolini bianchi». Barbara Bertolini, di Artefiore di Torre Boldone, suggerisce scelte minimal per un ristorante che dedica la serata agli innamorati. Del resto i tavoli sono per due, non c’è quindi molto spazio per idee voluminose.

«Si può anche optare per rose o gerbere, non necessariamente rosse, impreziosite da un cuore di cristalli swarovski applicato al loro interno – continua -. Piacciono anche mazzetti di fiorellini più semplici ma ugualmente romantici, bucolici, come roselline e anemoni, magari in secchiellini di latta, poco costosi».

Al termine della cena, i ristoratori possono fare omaggio dei fiori alla signora, oppure decorare l’ingresso con un grande vaso e regalare uno stelo all’uscita. «Tra le ultime tendenze ci sono le rose al cioccolato – racconta -. Sono fiori veri, ricoperti. Non si possono mangiare, ma sono ugualmente golosi per il profumo fragrante di cacao».

PRIMAVERA

primavera - Emanuele Ponti - GrassobbioNiente di meglio che celebrare l’arrivo della bella stagione con i fiori. Un suggerimento di Emanuele Ponti, della Fioreria Ponti di Grassobbio, arriva dalla richiesta stessa di un ristoratore. «Ci ha chiesto un fiore primaverile diverso per ogni tavolo – ricorda -. È una buona idea ma è difficile trovare tutte insieme tante varietà di fiori recisi e in così piccola quantità il costo sarebbe alto. Si può ovviare con una piantina. Violetta, primula, begonietta, lobelia, tagete, anche le aromatiche che cominciano a crescere in primavera e sono poco sviluppate. Non c’è pericolo che il loro aroma interferisca con quello dei piatti perché reagiscono solo se accarezzate e poi sono fragranze che possono anche essere in sintonia con la cucina».

Devono però essere sempre ben curate, quindi bisogna essere pronti a eliminare le parti secche o appassite. Altra ipotesi di stagione sono piccoli mazzolini realizzati smontando le margherite e unendo anemoni, ranuncoli, tulipani, viburni. Per un contenitore low cost ma a tema si può pensare ad un nido di rametti o rattan.

PRANZO DI LAVORO

pranzo di lavoro - Giampietro Giuliani - Verdevivo - AlméSceglie la pulizia delle linee la proposta floreale per il pranzo di lavoro di Giampietro Giuliani, titolare di Verdefiorito ad Almé. Calle bianche, anthurimun verdi e rose bianche in contenitori moderni e al tempo stesso facili da gestire e pulire, grazie all’interno smaltato. «Per gli appuntamenti business meglio mantenersi su tonalità fredde, non esagerare con i colori e lavorare sul contrasto – spiega -. La composizione in grande formato è ideale per l’ingresso e può essere replicata in piccolo su ogni tavolo, con i tre fiori in un solo vasetto, mantenendo il gioco delle altezze».

In alternativa al fiore reciso consiglia una pianta di rhipsalis. «È una pianta grassa dalle proprietà antistress, facile da curare, ha bisogno di poca acqua e molta luce. Ne esistono di molte varietà, quindi si può trovare quella che meglio si adatta all’ambiente. Una pianta fiorita di grande impatto è invece la medinilla magnifica – prosegue – con dei grandi fiori rosa pendenti. Posizionata da sola in un vaso dalle forme semplici renderà la location molto elegante».

FERRAGOSTO

ferragosto - Maurol Licini - Pollice Verde - Bergamo«È la natura stessa che suggerisce le composizioni, inutile rincorre le stravaganze e il fuori stagione», è il pensiero di Mauro Licini di Pollice Verde a Bergamo in via Angelo Mai. «In estate anche i fiori vanno in vacanza, ma se ci si guarda attorno qualcosa si trova».

Per il suo tavolo da ferragosto al ristorante ha scelto salvia, rosmarino ed edera in un contenitore avvolto in carta da pacco, che nasconde anche vasetti imperfetti e diversi tra loro e grazie al colore neutro si adatta con facilità a tanti tovagliati. L’accento colorato è dato dal girasole e dalle roselline, mentre le foglie annodate di beargrass creano quello che si chiama “momento di interesse”.

«Per un appuntamento estivo non occorre niente di ricercato, meglio stare sulla semplicità e spontaneità. Una composizione del genere ha anche il vantaggio del costo contenuto e basta poco per dare un effetto diverso, ad esempio appoggiandoci due fragole o, se si vuole celebrare l’autunno, un grappolo d’uva. Di cose da inventare ce ne sono mille e la fantasia è gratis, ma è quella che permette a noi fioristi di differenziarci».




“Masticare Cultura”, lo spettacolo teatrale si gusta al ristorante. Ecco il programma

Saga Salsa - Silvia Baldini - foto Natascia Locati
Saga Salsa – Silvia Baldini – foto di Natascia Locati

Sedere alla tavola di un ristorante, guardare uno spettacolo, scambiare pensieri e visioni. Questo è Masticare Cultura, il cartellone organizzato dalla residenza teatrale Qui e Ora nell’ambito del progetto Coltivare Cultura con il quale la compagnia è attiva nella Bergamasca con il sostegno di Fondazione Cariplo.

Si tratta di quattro appuntamenti in altrettanti locali della provincia che uniscono il piacere di una buona cena a quello del teatro. Si comincia giovedì 4 maggio al ristorante Tavernacolo di Osio Sotto (inizio ore 20.30, costo di menù e spettacolo 25 euro) con Cappuccetto Rosso Relativo di Andrea Pinna e Valentina Scuderi (Teatro del perché). Seguiranno tre repliche di Saga Salsa di Qui e Ora, il 22 maggio all’agriturismo Molino dei Frati di Trescore Balneario (costo 32 euro), il 25 maggio al ristorante Nettuno di Comun Nuovo (30 euro) e il 7 giugno al ristorante Ol Fa di Osio Sotto (30 euro).

Masticare Cultura è stato tra i primi esperimenti con i quali la compagnia si è misurata per immaginare un modo nuovo di progettare cultura, diventato poi uno dei cardini del proprio progetto. «Masticare Cultura – spiega Francesca Albanese, co-direttore artistico – è condividere uno spazio del quotidiano per vivere una socialità con persone da conoscere e per avvicinarsi in maniera piacevole al teatro. Compiere un atto sociale e culturale insieme, perché la cultura torni a essere vissuta dalle persone in maniera spontanea, perché il cibo possa alimentare il pensiero, per nutrirsi di bellezza, perché il rito dello “stare a tavola” possa costruire comunità. La coniugazione cibo-teatro si è dimostrata virtuosa, non solo nell’originalità dell’idea (che presuppone anche una particolare selezione delle opere da rappresentare) ma anche nel mettersi a disposizione delle economie del territorio, creando sinergie che movimentando l’offerta culturale hanno avuto ricadute felici anche su altri servizi, in questo caso la ristorazione».

È raccomandata la prenotazione.

Giovedì 4 maggio 2017- ore 20.30

Ristorante TAVERNACOLO

piazza Papa Giovanni XXIII 16 – Osio Sotto
Menù e spettacolo 25 euro

Lupo Cappuccetto Rosso Relativo

Teatro del perché

Cappuccetto Rosso Relativo

di e con Andrea Pinna e Valentina Scuderi
musiche Stefano De Ponti ed Eleonora Pellegrini

Cappuccetto Rosso Relativo ragiona sui cliché, gli stereotipi, i simboli, le meschinità di oggi e di sempre, prendendo come pretesto e filo conduttore una delle favole più note al mondo: Cappuccetto Rosso, di per sé stessa simbolo e crogiolo di metafore che riguardano non solo l’infanzia, ma anche i ruoli che gli esseri umani ricoprono fra loro. I due attori – autori, con il solo ausilio di un leggio e di un’innata mancanza di vergogna, interpretano tutti i ruoli: il lupo vegano iscritto al WWF, la nonnina antropofaga, il cacciatore critico letterario, Cappuccetto Rosso fashion victim, la mamma ex detenuta e tanti altri, in un susseguirsi di situazioni paradossali. Ma, alla fine, Tiziano Ferro che c’entra?

INFO E PRENOTAZIONI

quieora.organizzazione@gmail.com
+39 345 2185321
www.quieoraresidenzateatrale.it
www.coltivarecultura.it



Gelaterie, Petite Fleur di Almenno San Salvatore vince la sfida della stracciatella

La vincitrice Enrica Natali premiata dal Maestro pasticciere Pierpaolo Magni

 

È Enrica Natali della gelateria Petite Fleur di Almenno San Salvatore la vincitrice del “Concorso gelateria artigianale”, la sfida promossa dai Gelatieri Bergamaschi di Ascom Bergamo Confcommercio lunedì 3 aprile alla Scuola Alberghiera ABF di Clusone.

Natali ha vinto la competizione con la “Stracciatella del buonumore”, una preparazione originale a base bianca con cioccolato extrafondente all’origano dei colli almennesi con coriandoli di cioccolato bianco e rapa rossa e coriandoli di cioccolato bianco e curcuma.

Seconda classificata Teresa Nodari della gelateria Rosa di Arcene con “Anima di stracciatella”, base bianca con cioccolato fondente belga al 70%, rosmarino e pepe di Timut. In terza posizione, Paolo Bignardi della gelateria Fior di Panna di Almenno San Bartolomeo con “Incanto di stracciatella”, base bianca latte fresco, panna fresca, meringa, miele d’acacia, stracciatella di pistacchio verde di Bronte Dop, biscotti Lotus (con cannella).

Il concorso, giunto alla quinta edizione, come da tradizione ha proposto un tema legato al territorio, la stracciatella, che si vuole creata a Bergamo nel 1961 da Enrico Panattoni nella pasticceria-gelateria ”La Marianna”.

In gara c’erano 14 gelaterie, tra le migliori della Bergamasca, e 20 studenti delle scuole alberghiere: Ipssar San Pellegrino, Ipssar Nembro, Abf Clusone, Riva di Sarnico e Fondazione Isb di Torre Boldone. A suon di tecnica e fantasia hanno battagliato per stupire i giurati con reinterpretazioni personali partendo da una base fiordilatte e il cioccolato. Alla fine delle gare, la giuria – guidata dalla grande esperta Luciana Polliotti, presieduta dal Maestro Pierpaolo Magni, fondatore della Coppa del Mondo di Gelateria, e completata dai giornalisti Emanuela Balestrino e Franco Irranca e dagli chef Alessia Mazzola e Giuseppe Cereda – ha premiato i gelati migliori per gusto, struttura e originalità.

Nella sezione “junior” riservata agli studenti la vittoria è andata a Noemi Afiero e Valeria Nossa dell’Alberghiero di Nembro con la loro “Stracciatella con croccante di polenta”, base bianca con cioccolato, farina di mais e miele. L’istituto ha anche conquistato il riconoscimento messo in palio dall’Ascom.

Nel corso della giornata hanno riscosso grande interesse anche i due giovanissimi talenti bergamaschi, Matteo Corna della gelateria Gelatiamo di Treviolo e Mattia Cortinovis, secondo classificato alla Coppa del mondo di pasticceria Juniores tenutosi a gennaio al Sigep 2017 di Rimini. Oltre a portare le loro migliori ricette, i due pasticceri hanno indicato ai ragazzi la via per il successo: la passione per ciò che si fa.

Tutti i gelatieri in gara

Paolo Bignardi – Fior di Panna (Almenno San Bartolomeo)

Daniel Rossi – La voglia matta (Zanica)

Niccolò Panattoni – La Marianna (Bergamo)

Matteo Corna – Gelatiamo  (Treviolo)

Massimo Pagani – Bar Gelateria Alpino (Casirate d’Adda)

Bianca Giorgi – Baciami cocco (Chiari – Bs)

Vito Giammello – Lo chef del gelato (Trescore)

Enrica Natali – Petite Fleur (Almenno San Bartolomeo)

Teresa Nodari – Gelaterie Rosa (Arcene)

Omar Quadri – Pasticceria Sofia (Boltiere)

Sergio Pezzoli – Laboratorio gelateria Franca (Albino)

Massimo Bosio – Selz Cafè (Clusone)

Marcello Gusmini – La Crem (Vertova)

Pietro Andreoli – Gelatissimo (Darfo Boario Terme)

La galleria fotografica

Secondo posto per la gelateria Rosa di Arcene Paolo Bignardi, gelateria Fior di Panna, terzo classificato Le migliori allieve, Noemi Afiero e Valeria Nossa 




Via Priula raddoppia e apre un locale in città

birreria via priula in città

Il birrificio Via Priula di San Pellegrino raddoppia e apre un locale in città. Si chiama “BeerGhèm – Birreria Via Priula” e debutterà martedì 4 aprile in via Pitentino 2E, indirizzo che ha già ospitato l’insegna birresca “Fusti Ristoro” e prima ancora il pub Bertoldo e Bertoldino.

Il nome dichiara apertamente il tipo di proposta. Ci saranno infatti tutte le birre di produzione propria alla spina e una selezione delle migliori birre artigianali del territorio in bottiglia, proprio come accade a BeerGhèm il festival delle birre bergamasche che Via Priula organizza ogni anno a San Pellegrimo sul far dell’estate. Alle specialità brassicole il locale affianca cucina e pizzeria aperte fino alle due di notte, da martedì a domenica.

Avviato nel 2010, Via Priula è stato tra i primi birrifici artigianali della Bergamasca. Nato dalla passione per le birre di qualità dei due soci Giovanni Fumagalli e Mauro Zilli e dai loro successi come homebrewer, ha collezionato con le sue etichette, tutte ispirate al territorio, numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Alla produzione (che non avviene con impianti propri) ha presto unito la somministrazione nell’omonimo locale di San Pellegrino sotto i portici di via Matteotti, dove non mancano piatti speciali abbinati alle birre.

Oltre a BeerGhém, è promotore di altri eventi dedicati al mondo artigianale, come Beer in Black, per le scure, e il prossimo (dal 31 marzo al 2 aprile) e nuovissimo TuttiFusti, dove protagoniste sono le birre alla frutta.




Nuove aperture, le “Impronte” di gusto di Cristian e Francesca

ristorante impronte - team

Inaugurato il 3 febbraio, senza troppi clamori, Impronte è, in ordine di tempo, l’ultima delle novità che riguardano la ristorazione bergamasca. Al timone del locale, in via Baioni, quasi di fronte alla pasticceria Krizia (anche quest’ultima è una recente novità nel panorama provinciale), ci sono due giovani intraprendenti e appassionati, Cristian Fagone e Francesca Mauri, rispettivamente 28 e 27 anni, che negli ultimi mesi hanno posto le basi per il loro futuro professionale e non solo. Nel giugno dello scorso anno si sono sposati e, quasi subito, dopo una lunga ricerca e un progetto ben concepito, hanno trovato il luogo ideale per far crescer la loro creatura, il loro locale.

Nasce così Impronte, sulle ceneri di un deposito di pullman della Zani Viaggi e con un’anima, quindi, molto industriale, nell’ambiente e nell’architettura. «Volevo un luogo accogliente – dice Francesca Mauri, che, con un passato lavorativo nel marketing dell’azienda di famiglia (il mondo è quello dell’illuminotecnica e dei componenti elettrici), si è trovata a suo agio nel creare un ristorante partendo da zero – ma non una casa, piuttosto uno spazio dai toni minimal, con oggetti ricercati come le opere di artisti locali, con il legno rovere che scalda, ma molto materico e pulito allo stesso tempo. Nessuna tovaglia ai tavoli e dettagli che colpiscono, come le maioliche siciliane che utilizziamo per appoggiare le posate al tavolo o le luci curate dal designer Renzo Serafini».

Cristian Fagone e Francesca Mauri
Cristian Fagone e Francesca Mauri

Se la sala è il regno incontrastato di Francesca, che si muove a suo agio tra i tavoli e svolge il ruolo della padrona di casa pronta ad accogliere i clienti, Cristian invece si destreggia tra i fornelli. Il suo background, va detto, non è esattamente quello tipico del cuoco di formazione classica. Non c’è nessuna scuola alberghiera alle spalle e l’animo è un po’ quello dell’autodidatta, che si è appassionato verso i vent’anni alla cucina e si è trovato prima a cucinare per gli amici in casa e poco dopo a muoversi tra le pentole di Giancarlo Morelli (altro bergamasco) all’Osteria del Pomiroeu di Seregno. E ancora, dopo solo qualche mese a curiosare tra i francesismi di Philippe Leveillé al Miramonti l’Altro.

«È stato un approccio tutt’altro che soft – ricorda oggi Cristian – ma che è servito per farmi capire immediatamente che questo era il mio mondo e volevo continuare su questa strada». Così, dai primi timidi approcci, Cristian si lancia nell’esperienza di un corso importante, ovvero il primo Master della cucina organizzato dai fratelli Alajmo in quel di Padova (del ristretto gruppo di partecipanti faceva parte, tra gli altri, anche Aurora Storari, ora in forze alla pasticceria del ristorante Trussardi alla Scala a Milano), in una decisa full immersion che ha portato il cuoco bergamasco a conoscere i guru della gastronomia italica e a capire meglio le dinamiche della ristorazione moderna. Alla fine del corso, dopo 800 ore tra pratica e teoria, a Cristian si è presentata l’opportunità di fermarsi proprio a Padova dagli Alajmo, per un anno, prima di aprire un ristorante stagionale estivo in Toscana, al Lido di Camaiore che ha gestito per tre stagioni, fino al 2015.

ristorante impronte - seppioline
Le seppioline al profumo di camino

La storia recente invece, e arriviamo quindi ai giorni nostri, lo porta alla ricerca di un luogo idoneo per aprire insieme alla moglie Francesca Impronte, e all’idea di non staccarsi troppo da Bergamo dopo molti anni trascorsi con la valigia in mano. Ma veniamo alla cucina. Lo stile di Cristian è decisamente eclettico e passa attraverso molte delle passioni che accomunano le giovani generazioni ai fornelli, con le acidità in bella evidenza, le affumicature a dare sferzate importanti al palato e alcuni giochi di contrasti da cogliere in punta di forchetta.

«Sempre però con la tecnica che è al servizio dell’ingrediente – ricorda Cristian – perché la mia è una cucina di facile approccio, ma vuole essere, in poche parole, personale, semplice e profonda allo stesso tempo. E spesso nasce da piccole sensazioni personali. Faccio un esempio: uno dei piatti che propongo nel menu è la Seppiolina al profumo del camino, un piatto nato durante una cena a casa, quando cucinando delle semplici seppioline sono passato vicino al camino e le sensazioni olfattive mi hanno convinto ad affumicarle utilizzando il legno di faggio. Cosa che poi ho replicato al ristorante».

ristorante impronte - triglia
La triglia di scoglio con carciofi

Il menù non presenta eccessi o particolari virtuosismi. Da Impronte la cucina è concreta, ma vive del bell’equilibrio tra gusto e sottili sensazioni, come nel caso della Triglia di scoglio con i carciofi (la cui crema nel piatto evidenzia piacevoli sentori agrumati), del Risotto al quinto quarto di vitello (una delle passioni del cuoco è quella di valorizzare le materie prime normalmente poco utilizzate), oppure con il morbido Maialino da latte con senape di Digione, cavolo cappuccio e polvere di caffè. Il menù, non particolarmente esteso, offre diciassette piatti tra cui scegliere, dall’antipasto al dolce, e gioca la carta della stagionalità, facendo quattro cambi annuali, anche se, vista la recente apertura, la carta cambierà di volta in volta approfittando anche di scelte istintive e delle possibilità offerte dal mercato e dai prodotti del momento. La carta dei vini offre etichette interessanti e verrà ampliata a breve, al momento punta molto su Italia e Francia, con, in bella evidenza qualche etichetta di Champagne e bollicine italiche.

La sala presenta una quarantina di coperti, ma le ambizioni future sono quelle di sfruttare in qualche modo anche lo spazio verde di accesso al ristorante, aumentando così il numero dei tavoli. Il ristorante – con un costo medio a pasto che si aggira sui 50/55 euro, vini esclusi – è chiuso il martedì e nel suo primo mese di apertura è rimasto aperto solo per la cena, invece dal primo marzo si può pranzare nei giorni di sabato e domenica.

ristorante Impronte - salaRistorante Impronte

via Baioni 38
Bergamo
035.0175557
www.impronteristorante.com