Arriva il bollino Ue che tutela i veri formaggi Dop e Igp

formaggioBuone notizie in arrivo per gli amanti del formaggio e per i produttori delle tante specialità casearie made in Italy a denominazione. Dal 4 gennaio scartare i prodotti tarocchi’ e riconoscere gli autentici formaggi italiani tutelati dalla Dop, denominazione di origine protetta, e dall’Igp (Indicazioni geografica protetta) sarà più semplice perché a guidare gli acquisti sarà un bollino comunitario in etichetta. Per l’Italia significa un ulteriore logo anticontraffazione a garanzia delle 52 eccellenze casearie. I loghi Ue affiancheranno quelli dei Consorzi di tutela già presenti nei prodotti a denominazione. Per Assolatte si tratta di una ”garanzia in più per i consumatori che aiuta a fare una spesa informata”. In parallelo all’arrivo dei nuovi loghi comunitari, è anche partita la campagna istituzionale avviata dal ministero delle Politiche Agricole per aumentare la conoscenza dei prodotti Dop e Igp attraverso spot televisivi e radiofonici e iniziative nei punti vendita della Gdo, grande distribuzione organizzata. Intanto, è tempo di bilanci per i formaggi Dop e Igp italiani, che, dalle analisi di Assolatte, archiviano un 2015 doppiamente anomalo. In primo luogo, si registra un calo delle quotazioni all’ingrosso che, per la maggior parte dei formaggi, sono rimaste inferiori a quelli degli anni precedenti, anche per effetto della stagnazione dei consumi interni. Il secondo aspetto peculiare del 2015 sono state le forti variazioni mensili nella produzione delle singole Dop e Igp. Mostrando grande dinamismo, le aziende produttrici sono intervenute “in tempo reale” per aumentare o diminuire i volumi in funzione della richiesta di mercato. Queste fluttuazioni mensili si sono collocate all’interno di un bilancio complessivo che si è chiuso con una produzione sostanzialmente stabile, con l’eccezione di alcuni formaggi (come Pecorino Romano Dop, Mozzarella di Bufala Campana Dop, Piave Dop) che si affacciano al 2016 con volumi record.




Treviglio, l’ex bancario che alleva lumache

GiamPrimo Riva- allevatore lumache  TreviglioPer i francesi, le escargot sono un vanto della loro raffinata cucina. Noi italiani le abbiamo considerate per anni una leccornia, mentre oggi le lumache sembrano essere un cibo meno gradito. Ciononostante, nella Bergamasca c’è chi ha puntato sull’elicicoltura, o allevamento a ciclo biologico completo dei molluschi da terra. A Treviglio, infatti, a febbraio dello scorso anno è nata la Lumacheria del Cerreto, ideata dallo spirito imprenditoriale di GianPrimo Riva, bancario in pensione e buongustaio doc.

«La mia intenzione è portare nel piatto un’eccellenza, un prodotto controllato e non importato dall’Est Europa e dal Maghreb, come spesso accade nei mercati», spiega il neo agricoltore che offre un prodotto selezionato per la gastronomia e completo di etichettatura.

Riva possiede un ettaro di terreno in via Canonica, accanto alla Cascina Pelesa. Di questi, tremila metri sono stati destinati alla sua nuova attività e suddivisi in sette recinti: cinque per la riproduzione e due per l’ingrasso delle chiocciole. La varietà è la Helix Aspersa, detta Vignaiola, dal guscio solido e screziato. Dai 15mila esemplari iniziali si è arrivati ad allevarne 300mila nella covata. Da adulte, le lumache arrivano a pesare dai 12 ai 14 grammi ciascuna, 9 asciugate. Ora hanno trovato riparo sotto la terra per il letargo e la raccolta, stagionale da maggio a settembre, si attesta sui 20 quintali. La differenza con le sorelle selvatiche, la cui caccia è vietata in Lombardia dal primo marzo al 30 settembre, sta nella qualità dell’alimentazione. «Una lumaca in libertà può mangiare di tutto, dalle erbe amare che si riflettono nel suo sapore ad altre per noi velenose», spiega Riva. I suoi molluschi si nutrono di insalata, cavolo cavaliere, bietola da taglio, girasole. Ma sono anche ghiotti di verdure e frutta zuccherine come carote e mele e, d’estate, anguria e melone. L’agricoltore deve fare i conti con la moria della specie, pari al 20% del totale. I nemici principali, in inverno, sono i topolini che faticano a trovare cibo e lo stafilino, un insetto che entra nel guscio e le consuma.

allevamento lumache - TreviglioPrima di essere vendute, le lumache vengono riposte nelle cassette dove sono fatte spurgare e asciugare per quindici giorni. A richiederle sono privati, ristoranti e organizzatori di feste patronali. Le ricette sono moltissime: ci sono gli spiedini di lumache lessate alternate a scalogno e salvia, possono prestarsi come ingrediente principale per fondute, frittate, primi come spaghetti o risotti. C’è chi le gusta fritte, trifolate, in salsa verde, in zimino o in gelatina, meglio se accompagnate da vino bianco secco o rosato, come per il pesce. La Lumacheria del Cerreto conferisce parte del suo prodotto all’industria di lavorazione di Cherasco nel Cuneense per ottenere vasetti al pomodoro, al naturale o con spinaci e speck.




Un brindisi natalizio? Con le birre bergamasche

birre coi fiocchiLe bollicine delle feste non sono solo quelle di spumanti e champagne. Sono anche quelle delle birre artigianali bergamasche. Al palafeste di Grumello del Monte il Birrificio Kaos, padrone di casa, e il Via Priula di San Pellegrino, con il patrocinio del Comune, organizzano da venerdì 18 a domenica 20 dicembre la seconda edizione di “Birre coi fiocchi”, evento natalizio che vede la presenza anche di altri due produttori orobici, il Birrificio Hop Skin di Curno e il Valcavallina di Endine Gaiano.

Dalle 18 alle 24 e la domenica dalle 11 alle 24 ci sarà la possibilità di assaggiare le varie tipologie alla spina e di abbinarle ai piatti della cucina regionale a base di birra, la cosiddetta zytho gastronomia, curati da Chicco Coria, chef e patron dell’One Restaurant di Dalmine. Sabato dalle 18 si terranno anche corsi di degustazione (su prenotazione), mentre per tutta la manifestazione saranno allestite bancarelle artigianali. Tutte le sere sono in programma concerti, mentre la domenica pomeriggio ci sarà l’esposizione e la possibilità di provare chitarre elettriche, mentre i più piccoli potranno divertirsi dalle 15 alle 18 con il truccabimbi e scattarsi un fotografia in compagnia niente di meno che di Babbo Natale.




Raviolificio Poker: “Chi ha il gusto della tradizione sa di che pasta siamo fatti”

pappardelle - CopiaSapori della  terra bergamasca e non solo, ricette tradizionali e innovative, questa in sintesi è la migliore descrizione dell’attività del Raviolificio Poker, che dal 1958 ad oggi ha allargato il proprio mercato salvaguardando la  forte impronta artigianale che lo caratterizza fin dalla nascita.

Dal 2008 l’azienda ha raddoppiato la superficie destinata alla propria attività, inaugurando un nuovo sito produttivo, situato ad Albano Sant’Alessandro.

La soddisfazione del consumatore finale sta alla base di tutte le scelte aziendali e rappresenta il vero metro di giudizio sul quale si incentiva e migliora la produzione. Questa filosofia si traduce da un lato nell’utilizzo di materie prime di alta qualità, principalmente fresche e non pre-trattate, nell’assenza totale di conservanti aggiunti, di addensanti nei ripieni e di esaltatori di sapidità, dall’altro nella costante innovazione tecnologica che consente di mantenere pressoché inalterate le caratteristiche organolettiche e nutritive del prodotto fino alla sua scadenza.

Una precisa scelta è anche quella della sostenibilità ambientale, testimoniata dall’installazione di un impianto fotovoltaico e di un generatore di azoto – il gas impiegato per il confezionamento in atmosfera protettiva – in sostituzione delle bombole.carciofi 2

Sono oltre 40 le specialità del Raviolificio Poker, dai classici della tradizione agli abbinamenti più creativi. La gamma dei prodotti segue due filoni: le ricette che attingono alla cucina tradizionale del territorio (su tutti due “campioni” come Casonsèi de la Bergamasca e Scarpinòcc de Par, quelli codificati dal marchio della Camera di Commercio “Bergamo Città dei Mille… Sapori”) e le novità, frutto di una costante ricerca gastronomica e della collaborazione con chef d’esperienza.

Le proposte sono varie e stuzzicanti: Tortelli alla formaggella di monte o al celebre formaggio Rosa Camuna , Saccottino alle noci con pasta di farina di castagne,  il Pizzoccherello (pasta con grano saraceno e nel ripieno gli ingredienti classici del condimento dei Pizzoccheri valtellinesi), senza dimenticare sapori mediterranei come il Raviol Pizza (con mozzarella, pomodoro e origano), i Ravioli agli scampi e vongole e il Fior di Pantelleria (con menta e ricotta), o ancora la riscoperta delle erbe nei Ravioli con ricotta, ortica e timo.  caramelle speck trevisana sfuso

L’azienda durante gli anni è cresciuta  sul versante commerciale, ampliando canali distributivi e orizzonti. Accanto a ristoranti, grossisti, catering, gastronomie e negozi specializzati, c’è anche la GdO e al bacino consolidato della Lombardia si affianca la vendita dei prodotti Poker sul mercato estero in Francia, Lussemburgo, Portogallo e Repubblica Ceca.

 

Pastificio – Raviolificio Poker

via Spallanzani, 28

Albano Sant’Alessandro

035 581454

info@raviolificiopoker.it

www.raviolificiopoker.it




Panettone re delle feste. Ecco come lo interpretano in grandi pasticcieri

Si avvicinano le festività e l’Osservatorio Sigep (Salone Internazionale del dolciario artigianale, in programma Rimini Fiera dal 23 al 27 gennaio 2016) fotografa la dolci tendenze accompagnato da grandi Maestri Pasticcieri come Iginio Massari, Luigi Biasetto, Gino Fabbri, Roberto Rinaldini, Leonardo Di Carlo.

«Il panettone – dice il Maestro Pasticciere Luigi Biasetto – primeggia tra le scelte dei consumatori e oltre alle versioni classiche propongo quella al tè con sette spezie, canditi e frutta secca». Tra le sue novità, l’alberello di Natale con biscotti di frolla viennese e pistacchi, ma il dolce più buono, a suo dire, resta il pandoro: «Uno smacco alla dieta ma dà un piacere intenso da concedersi almeno per le festività».

Iginio Massari - panettone
Iginio Massari

Per il grande Iginio Massari della pasticceria Veneto di Brescia anche nei dolci tradizionali di Natale, come panettone e torrone, la ricerca degli ingredienti è centrale: «Prodotti italiani, le vere eccellenze del territorio, comprati da agricoltori che credono in quello che fanno e in luoghi particolarmente curati». Ed eccolo perciò utilizzare le farine di frumento lombardo, le uova venete, una speciale mandorla della Puglia, per un prodotto talmente richiesto che ha costretto la pasticceria a sospendere la vendita on line.

Per Federico Anzellotti da Chieti, presidente Conpait (Confederazione Pasticceri Italiani) nel il 2015 la pasticceria «unisce il panettone con i gusti della tradizione italiana, nascono così il panettone alla cassata siciliana, quello al limone di Sorrento, olive ed olio d’oliva, alla grappa».

Per il Maestro Roberto Rinaldini i Rimini, star della pasticceria internazionale «il panettone siede sul trono dei dolci a Natale e su di esso si concentra la creatività e la qualità dei pasticceri». Rinaldini propone ‘”A Però!”, un panettone con 48 ore di lievitazione naturale con albicocche e pere candite, in una pasta profumata con vaniglia bourbon del Madagascar e arancio. Un panettone social: il suo nome è stato individuato con un contest su Facebook.

Da Milano, un altro fuoriclasse come il Campione mondiale cioccolatiere Davide Comaschi punta sul “‘Panettùn Sacher”, fondendo due specialità dolciarie internazionali e anche a Pantigliate (Mi), dal pasticciere Alessandro Servida, il panettone resta il simbolo del Natale magari rivisitato nella versione il dolce di ‘Pantigliate, glassato con pere e cioccolato.

Dai piedi dell’Etna anche la produzione del Maestro Santo Musumeci guarda al panettone. Con la figlia Giovanna proporrà l’inserimento del gelato di ricotta in omaggio alle tradizioni del Sud. Concorda il Maestro Pasticciere di Bologna Gino Fabbri: tante sono le richieste del panettone, anche dall´estero, grazie alla vittoria della squadra italiana alla Coppa del Mondo della Pasticceria di Lione. Fabbri lo presenta nella versione classica, ma anche in quella alla pasta di agrumi senza canditi.

E per chi durante le feste non si accontenta di assaggiare, Leonardo Di Carlo da Conegliano Veneto (pioniere della pasticceria scientifica e già Campionato del Mondo a Rimini), nel suo Pastry Concept®, laboratorio di ricerca e sviluppo, organizza corsi sul tema del Natale rivolti ai Gourmand. Anche da Di Carlo, «il Natale è sinonimo di tradizione e famiglia. I dolci tradizionali sono rivisti nell’estetica e magari diventano un po’ più leggeri. Grande importanza va data al gusto, creando equilibri perfetti».




Erbe officinali, a Solto Collina crescono anche quelle degli Inca e degli Indiani d’America

Asino del lago - Stefani SavardiLavanda, fiordaliso, erba Luigia, echinacea, camomilla e ancora achillea millefoglie, aneto, anice verde, arnica, calendula, coriandolo, cumino dei prati, dragoncello, farinello aromatico, fieno greco, ginepro, malva, melissa, menta, rosa canina, rosmarino, salvia, tarassaco, timo, verga d’oro. L’elenco può proseguire fino a coprire mezza pagina. Il nome non inganni. L’azienda agricola “L’Asino del Lago” di Esmate, frazione di Solto Collina, produce creme cosmetiche a base di latte d’asino e propone passeggiate nei boschi a dorso di somarello che fanno la gioia dei più piccoli, ma è anche una delle pochissime realtà della Bergamasca specializzate nella coltivazione di erbe officinali e aromatiche. Stefania Savardi, la titolare, ha da poco rilevato i campi dal suocero, Giorgio Lottici che, insieme all’attività, le ha trasmesso la passione. «Ho iniziato a Iseo nel 2009 con gli asini – racconta -. Sono agronoma e in quel periodo facevo assistenza tecnica e consulenza agli agricoltori. Un giorno ho deciso di unire la mia passione al lavoro e ho ritirato dei terreni in modo da considerare anche l’aspetto produttivo».

Oggi l’azienda conta 2.000 metri quadrati coltivati a ortaggi e peperoncini a Iseo e circa 2.500 metri quadrati fioriti di erbe aromatiche e officinali, a Solto Collina, in un’area circondata da boschi tra Esmate (600 metri in quota) e il monte Guglielmo (1.400 metri di altitudine).

Le erbe, una sessantina di varietà, vengono raccolte a mano, essiccate, trasformate in tisane e composti aromatici, quindi confezionate in sacchetti, bustine o barattoli. La coltivazione segue i criteri dell’agricoltura biologica. I terreni soleggiati di montagna e la scelta di aree piccole rendono del resto superfluo l’uso di prodotti chimici. La resa è bassa: su 10 kg di prodotto fresco si ricavano 7-8 grammi di prodotto essiccato, ma va bene così perché ciò che importa è la qualità.

«Ho avviato l’azienda proprio nel periodo di massima crisi ma anno dopo anno cresciamo – racconta Stefania -. Le erbe e in generale il comparto salutistico rappresentano una nicchia di mercato che tiene. Abbiamo sempre più clienti, sia privati che negozi di prodotti biologici in tutta la Bergamasca, nel bresciano e anche qualche intermediario su Milano. Quest’anno abbiamo avuto richieste di un importante birrificio che ha acquistato le nostre erbe per sperimentare delle birre aromatizzate».

monarda - erba officinale 2Ed è proprio sulla proposta delle erbe in cucina che l’azienda punta. «C’è molto interesse – spiega Stefania -. Le erbe insaporiscono e decorano i piatti, riducono l’impiego di sale e rendono i cibi più digeribili. È il caso del levistico montano, una sorta di sedano molto buono che è anche antiacido; dell’aglio orsino molto buono sulle patate lesse e nelle zuppe. Tra le erbe più particolari stanno incuriosendo quelle originarie del Brasile e dell’Argentina come la lippia argentina, conosciuta come tè degli Inca, molto profumata e buonissima nelle minestre, la verbena odorosa, digestiva-rilassante e la Monarda, un fiore rosso originario del Nord America che può essere usato nei risotti al posto dello zafferano e dà benefici nei casi di mal di testa e di cattiva circolazione. Come aromatiche piacciono molto le combinazioni di erbe e fiori per le grigliate, gli arrosti, i formaggi, le minestre. Tra le erbe officinali classiche, invece, vanno per la maggiore la malva, la camomilla, la calendula, l’echinacea».

Nella gestione dell’azienda Stefania non è sola: l’aiutano il marito Matteo Lottici, i genitori che si occupano dei campi a Iseo, e i suoceri Giorgio e Gabriella che l’affiancano con la loro lunga esperienza nella coltivazione di erbe e fiori a Solto Collina. In cantiere per il futuro ci sono progetti ambiziosi: «La burocrazia come avviene per tutte le piccole imprese ci rallenta ma vorremmo espandere le erbe officinali e proporle non solo per le tisane, avviare collaborazioni con birrifici e produrre confetture aromatizzate alle erbe e composte salate».

www.asinodellago.it




World Cheese Awards, quattro medaglie per i formaggi bergamaschi

world cheese award 2015Due argenti e due bronzi è il bottino conquistato dai formaggi bergamaschi ai World Cheese Awards 2015, competizione casearia tra le più importanti al mondo, che ha visto in lizza – dal 26 al 29 novembre scorsi a Birmingham – 2.727 formaggi provenienti da 26 paesi, degustati e valutati da una commissione di 250 esperti da 22 nazioni.

Gli argenti sono andati entrambi al caseificio Arrigoni Battista di Pagazzano, premiato per il Gorgonzola Dolce Dop e il Taleggio Dop. La medaglia di bronzo se la sono aggiudicata invece il Taleggio Dop “Vero Arrigoni Sergio” dell’azienda di Olda di Taleggio e il Quadrello di bufala, formaggio morbido a crosta lavata del caseificio Quattro Portoni di Cologno al Serio.

Nella kermesse l’Italia ha ottenuto complessivamente 9 medaglie d’oro, 29 argenti e 27 bronzi, ma non è riuscita a piazzare nessun esemplare nei top 16, tra i quali è stato eletto il campione mondiale, Le Gruyère AOP Premier Cru, Cremo SA brand della svizzera von Muhlenen, che ha ottenuto 69 degli 80 punti massimi, uno in più dei due formaggi arrivati secondi, Tomme Brebis-Chèvre, della francese Onetik e la Burrata di La Credenza, importatore di formaggi italiani con sede a Londra.

L’Italia ha però ottenuto quattro posti tra i primi 62 formaggi, i cosiddetti Super Gold, con due Parmigiani del reggiano  Consorzio Conva, il pecorino stagionato Moliternum Giganteum della sarda Central e il San Pietro in Cera d’Api della Latteria Perenzin, nel trevigiano.

L’anno prossimo il campionato si svolgerà a San Sebastian, in Spagna




Olio extra vergine, maxitruffa scoperta in Puglia

OLIO-EXTRAVERGINE-DOLIVACi risiamo. Ancora olio extracomunitario etichettato e venduto come italiano.  Sei persone sono infatti indagate per i reati di frode in commercio e contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, in concorso tra loro. Questi i primi risultati dell’operazione svolta in Puglia dal Corpo forestale dello Stato nel brindisino e nel barese su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari che ha visto impegnati, da questa mattina, un centinaio di Forestali in perquisizioni, ispezioni e sequestri di lotti riconosciuti come falso olio extravergine di oliva 100% italiano. I Forestali, coordinati dal Nucleo Agroalimentare e Forestale (Naf) di Roma, dal Comando Provinciale di Bari e dalla Sezione di polizia giudiziaria del Corpo forestale dello Stato della Procura della Repubblica di Bari, hanno effettuato i controlli su molte aziende aventi sede a Fasano, Grumo Appula e Monopoli, come pure su un laboratorio di certificazione con sede in quest’ultimo comune. L’indagine trae origine dalla scarsa raccolta della campagna olivicola 2014-2015, definita annus horribilis per il settore oleari. Secondo i dati Ismea la produzione di olio da olive si è attestata intorno alle 235mila tonnellate. Gli investigatori del Naf, specializzati nella lotta alle frodi agroalimentari, si sono rivolti all’Istituto di Bioscienze e Biorisorse di Perugia per stabilire l’origine geografica di molte partite di olio extra vergine di oliva etichettato come “100% italiano”. Per l’occasione è stata utilizzata la tecnica innovativa del riconoscimento del DNA delle cultivar di olivo presenti nell’olio (analisi molecolare). La maxifrode ha interessato un quantitativo di circa settemila tonnellate di olio. I risultati delle analisi incrociati con quelli sulla tracciabilità ricavati dai registri informatici hanno permesso di accertare che migliaia di tonnellate di olio ottenuto mediante la miscelazione di oli presumibilmente extravergini provenienti anche da Paesi extra Unione Europea come Siria, Turchia, Marocco e Tunisia venivano venduti sul mercato nazionale e internazionale (statunitense e giapponese) con la dicitura facoltativa 100% italiano, configurando così una frode in danno al Made in Italy. Le indagini della Forestale continuano e sono mirate anche ad accertare la effettiva natura dell’olio extracomunitario e la sua genuinità. I controlli dovranno inoltre verificare eventuali complicità di altre aziende.




Nel lago di Garda torna a sguazzare il pregiato Carpione

 

pesce carpioneQualcuno l’ha definito il pesce di lago più pregiato al mondo. È il Carpione, un salmonide del peso di circa 1-2 chilogrammi che vive solo nel lago di Garda, a grande profondità. Una vera prelibatezza, tanto che alcuni storici della cucina fanno risalire proprio a questa specie il “pesce in carpione”, la tecnica tipica dei laghi lombardi di friggere e marinare con verdure e aceto il pesce, che sarebbe appunto nata per conservarne la freschezza nel viaggio verso Venezia.

Un tempo si pescava in quantità, ma negli anni la presenza è andata drasticamente calando, fino ad essere considerato “in pericolo critico”, secondo la classificazione Iucn (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura).

Qualcosa però si sta muovendo. È di questi giorni l’immissione a Gargnano (Bs) di un primo lotto di 1.000 esemplari di 5/7 centimetri e 100 esemplari di 18/20 centimetri, realizzata alla presenza dell’assessore regionale all’Agricoltura Gianni Fava, che ha sottolineato il valore dell’operazione, volta a recuperare un emblema del Garda. «Abbiamo circa 40mila esemplari pronti a essere immessi nel lago – ha detto -. Oggi abbiamo avviato questa sperimentazione per verificare il livello di accettabilità delle acque di questi pesci, sul carpione c’è un’antica tradizione che noi vogliamo torni ad essere tale».

Per la tutela e conservazione di questo endemismo, tra il 2011 e il 2013 si è svolto un progetto finanziato da Regione Lombardia per sostenere le prime attività sperimentali di allevamento presso il centro ittiogenico del Garda a Desenzano, e presso un incubatoio ittico di valle a Tremosine.

Anche Slow Food gli ha dedicato un Presidio, sostenuto dal Consorzio di Tutela del Lugana.




Dalle farine alternative alle bacche di goji, le novità dei creativi del pane

Per i nostri nonni il pane era un alimento importante, la michetta soffiata era immancabile sulle tavole. Oggi di pane se ne consuma molto meno e la clientela è diventata più esigente, chiede prodotti nuovi, dal gusto particolare, con un occhio alla salute e limitato nel contenuto calorico. Anche i panettieri della Bassa Bergamasca stanno rispondono alle nuove esigenze del mercato proponendo pani con ingredienti originali e farine alternative. Ecco qualche esempio.

Treviglio

Amaranto e quinoa, ecco il mix vincente del Panificio Testa

Matteo Testa - panificio - TreviglioIl Panificio Testa, in via Zara, a Treviglio produce un nuovo tipo di pane a base di quinoa e amaranto. I due componenti, chiamati impropriamente grano, sono in realtà due piante. La quinoa contiene acido linoleico ed è una buona fonte di minerali e vitamine, è molto consumata dalle popolazioni andine in Perù e il suo nome significa “madre di tutti i semi”. L’amaranto è invece una pianta del centro America, ricca di proteine (ne possiede fino al 16 per cento). I due vegetali, simili a cereali, sono difficili da panificare poiché lievitano a fatica, ma in macinazione si comportano come il frumento. Ad avere l’intuizione sul nuovo prodotto è stato Matteo Testa, artigiano con la voglia di sperimentare, contitolare del laboratorio di famiglia insieme al fratello Andrea e a mamma Lucia.

Il risultato finale si ottiene mescolando le due farine a lupino e soia spezzati, semi di lino, semi di girasole, farina di segale tostata, semola di grano duro, sale marino e lievito madre. Il trevigliese attinge a un mulino di Merano, in Alto Adige, che macina farine scure come segale, kamut in purezza e frumento della Val Venosta. La peculiarità è un pane molto digeribile, che evita gonfiori dovuti a sfarinati di grano tenero e ha una durata – se ben conservato nel suo sacchetto senza metterlo nel frigorifero né nel freezer – di tre/quattro giorni. Il contenuto calorico limitato, gli zuccheri praticamente inesistenti, la ricchezza di fibra, rendono il pane di quinoa e amaranto molto richiesto da chi è attento alla linea. Il costo è di 8,5 euro al chilogrammo e il panificio trevigliese ne sforna ogni giorno quaranta pagnotte da mezzo chilo ciascuna, per un fabbisogno di 20 chili quotidiani.

Caravaggio

Al Forno di Nino il grano è coltivato in proprio. Ma il segreto sono le patate

Silvia Stuani
Silvia Stuani

Al Forno di Nino, a Caravaggio, in via Bietti, di proprietà della famiglia Stuani fin dagli anni Sessanta, si prepara un pane integrale che arriva direttamente dal campo. A farlo è Luca Anderloni, che macina il grano che ha seminato nei suoi terreni a Vedeseta, a mille metri d’altezza, nella Val Taleggio. Il procedimento consente di  mantenere intatto il germe, l’elemento nutritivo più prezioso del chicco che di solito viene separato, nella produzione, perché farebbe andare a male la farina. Al fornaio bergamasco non accade poiché macina ogni settimana. Prima avviene la semina, poi la raccolta del frumento tenero. Il sabato si ritira in montagna, dove pulisce e immagazzina fino a quaranta chilogrammi di grano che viene frantumato nei suoi tre mulini. Uno di questo, piccolino, dietro il negozio, serve per le dimostrazioni ai bambini.

Il fornaio agricoltore coltiva anche goji, frumento, segale e patate e si è informato studiando i ricettari di una volta. Libri e farina sono una peculiarità della panetteria che ospita anche un’area adibita a biblioteca, dove si può sfogliare un romanzo gustando il pane. Leggendo, Anderloni ha scoperto che proprio il tubero si presta a essere l’ingrediente che sostituisce lo strutto, come accadeva nella tradizione contadina che imponeva di usare per fare il pane in casa le verdure avanzate come zucca e patata. La quantità di patata da aggiungere è da condimento, il 3 per cento. Il procedimento è la biga, che si usa per le preparazioni casalinghe: si parte dall’impasto omogeneo preparato con farina, acqua e lievito, si lascia riposare per 18 ore e si riprende aggiungendo lievito e acqua man mano che cresce la forma.

Il costo è contenuto, 3,90 euro al chilo, per una produzione di 15 chili al giorno su un totale di due quintali. Anche il sapore è più genuino e l’aroma è quello del pane fatto in casa. Il contenuto elevato di fibre lo rende, invece, più salutare. L’abbinamento è con ogni piatto, anche se l’integrale si presta alla preparazione di bruschette a base di pancetta e grana, pomodoro e mozzarella di bufala, gorgonzola e miele, meglio se accompagnato da un bicchiere di buon vino bianco.

Urgnano

Suardelli, qui la differenza la fanno le bacche di Goji

Andrea Suardelli - fornaio - UrgnanoAma innovare, cercare ingredienti inconsueti che scopre nei suoi viaggi Andrea Suardelli, titolare con i genitori dell’omonimo forno e negozio in via Locatelli, a Urgnano. Ad avviare il laboratorio è stato il nonno paterno fin dagli anni Sessanta, mentre dal ramo materno si è arrivati alla quinta generazione di panettieri. Andrea continua il mestiere di famiglia nel segno dell’innovazione che parte dalla colazione.

Sempre più spesso si consumano frutti rossi, ricchi di antiossidanti e vitamine, i più preziosi sono le bacche di Goji che il giovane panettiere ha deciso di sostituire al cioccolato dei panini dolci. L’immaginario attinge al sofficissimo pan gocciole, prodotto da una nota multinazionale, solo che a dare il sapore sono i frutti orientali dalla forma allungata che crescono in modo spontaneo nelle valli dell’Himalaya e oggi sono coltivati anche da noi. La tecnica è la biga, con l’impasto lasciato riposare per 24 ore. Solo verso la fine si aggiungono lo zucchero di canna e le bacche. Non mancano il burro e il sale per esaltare i sapori e rafforzare i legami dell’impasto. Le bacche rappresentano il 5 per cento del prodotto. Una parte viene amalgamata, altre rimangono intere come guarnizione. Essendo disidratate, sono lasciate a bagno tutta la notte per ammorbidirsi. La loro acqua è poi usata per realizzare il pane. Lo stesso pan gocciole si può produrre con ogni tipo di frutto, dall’uvetta ai mirtilli rossi del Canada, purché non fresco dal momento che in cottura si sgretolerebbe. Le tartine profumatissime sono perfette per spalmarci sopra miele o marmellate. Il costo è di 60-70 centesimi a tartina (circa 7 euro al chilo).

Romano di Lombardia

Finazzi Alcide & Giovanni, la baguette è reinterpretata alla moda pugliese

Originalità anche a Romano di Lombardia, dove un panificio artigianale realizza una baguette francese, rivisitata secondo la tradizione contadina pugliese.  La novità proviene dal laboratorio di Giovanni Finazzi, fondato insieme al fratello Alcide cinquant’anni fa in vicolo San Giorgio, che ha mantenuto una conduzione che si è tramandata di generazione in generazione. Il forno ha scelto di puntare sulla farina di grano duro, la stessa che si usa per produrre la pasta, ma anche per pizze, focacce e altri lievitati, perché meno raffinata e più genuina. A fornire la materia prima sono proprio i mulini dell’Italia meridionale, dove cresce la varietà che necessita di molto sole. Con la semola viene impastato il filoncino di pane e non la classica pagnotta rotondeggiante. La forma allungata e l’impasto, di colore giallognolo e più granuloso, permettono di avere una maggiore croccantezza all’esterno, mentre l’interno resta soffice.

La farina di grano duro, a differenza della 00, vanta una ricchezza nutritiva per la maggiore quantità di proteine contenuta ed è più facile da digerire. La baguette di grano duro si abbina a tutti i piatti, anche se è irresistibile da sola appena sfornata oppure, svuotata della mollica, farcita a piacere con dolce o salato. Il costo è 3 euro al chilo. Un pezzo, lungo circa 60 centimetri, pesa sui 250 grammi e il panificio romanese ne sforna due quintali al giorno su una produzione complessiva pari a 800 chilogrammi.

Canonica d’Adda

Ricuperati, a ruba il pane agli 8 cereali. E l’Albero della vita lo fa primeggiare

Gianni Ricuperati - fornaio - Canonica d'AddaA Canonica d’Adda fare il pane è un’arte, come dimostra l’attività di Gianni Ricuperati, titolare dal 1990 di un laboratorio in via Matteotti e della rivendita in piazza del Comune. Le prime creazioni risalgono a quando aveva nove anni. La passione da allora non è cambiata. Basta dare uno sguardo alla vetrina della sua panetteria, con l’Albero della Vita, attrazione principale di Expo, ricostruito in pasta di pane e illuminato giorno e notte, per capire che non è un semplice artigiano. Grazie all’idea, ha vinto il concorso per la miglior vetrina. Le varietà di prodotto sono diverse decine, cambiate ogni giorno per non annoiare il palato. Il fiore all’occhiello è il pane scuro e integrale, in particolare agli otto cereali: per quest’ultimo la richiesta, ogni sabato, è di quindici chilogrammi.

Ricuperati, come facevano i panificatori una volta, compila un diario settimanale, dove sono annotate le preferenze della clientela e talvolta anche riguardo alla forma che varia dalle rose ai bastoncini, dalle baguette alle pagnotte. E l’otto cereali ha superato la classica michetta soffiata. L’impasto comprende farina integrale di grano tenero, farina di grano tenero, di segale, orzo, avena, granoturco, soia, semi interi di sesamo e lino. Il successo è dovuto alle sue proprietà, che lo elevano a “medicina naturale”: il pane scuro è più digeribile, meno calorico, ha un buon sapore e si accompagna a qualunque piatto. Essendo grezzo, mantiene maggiormente l’umidità, rimanendo croccante all’esterno e morbido all’interno. Il prezzo è 5 euro al chilo.