Slow Fish, il pesce buono e sostenibile torna protagonista a Genova

Slow Fish, l’evento internazionale dedicato al pesce e alle risorse del mare, approda al Porto Antico di Genova dal 18 al 21 maggio 2017.

“La rete siamo noi” è il tema dell’ottava edizione dell’appuntamento – organizzato dall’associazione Slow Food Italia e dalla Regione Liguria, in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali – che a partire dal 2004 ha consolidato un insieme di conoscenze, scambi e relazioni tra centinaia di “nodi”: pescatori, artigiani e cuochi da tutto il mondo che si incontrano per condividere e sostenere un approccio buono, pulito e giusto alla filiera ittica, alla biodiversità marina e all’equilibrio delle acque dolci.

Per saperne di più tornano anche le Conferenze, in cui i grandi temi scientifici al centro dei dibattiti internazionali – cambiamento climatico, valorizzazione delle risorse e sprechi – sono approfonditi da ricercatori, interpreti del mondo della pesca e istituzioni con un linguaggio accessibile e diretto.

Per aiutare i visitatori a “leggere” l’evento, i ciceroni di Slow Food propongono i Percorsi Slow “Che pesci prendere”, pensati per le scolaresche e il pubblico in visita. Il punto di partenza è Casa Slow Food, dove incontrare le comunità della pesca provenienti da tutto il mondo, aggiornarsi sui progetti della Chiocciola e sfogliare le ultime novità pubblicate da Slow Food Editore.

Da qui si salpa per un divertente viaggio tra gli stand, dove dialogare con esperti ed espositori, assaggiare specialità ittiche e approfondire le tematiche al centro della manifestazione. Come ad esempio il binomio cibo-salute, per chiarire dubbi e sfatare falsi miti sul pesce a tavola, grazie ai Master of Food guidati da dietisti e cuochi. Non può mancare un focus sulla tutela della biodiversità, narrata (e proposta in degustazione) dagli chef dall’Italia e dal mondo all’opera nei 15 appuntamenti della Cucina dell’Alleanza: un vero e proprio teatro in cui gli attori cucinano e raccontano gli ingredienti delle loro ricette, provenienti da produzioni rispettose dell’ambiente e del benessere animale.

E per chi vuole vedere i protagonisti della rete internazionale sbizzarrirsi ai fornelli, l’appuntamento è tra le bancarelle di pesce fresco e conservato, olio, sale e spezie del Mercato con i Fish-à-porter: una cucina, nello stile della Boqueria di Barcellona, nella quale cuochi e pescatori si alternano preparando piatti semplici e gustosi e spiegandone la storia, gli ingredienti, le particolarità.

Coorganizzatrice di Slow Fish fin dalla sua prima edizione, la Regione Liguria presenterà quest’anno uno spazio di promozione turistica dal nome #Lamialiguria, caratterizzato da ristorazione continua e degustazioni, incontri con pescatori e artigiani, laboratori del gusto con il pesto in diretta.

Ma non finiscono qui le novità di Slow Fish 2017, che si affiancano agli appuntamenti ormai immancabili per gli habitué della manifestazione genovese: oltre all’Enoteca con 300 etichette italiane, Piazza delle Feste ospita la Mixology, per imparare a bere consapevolmente e carpire tutti i segreti dai migliori bartender genovesi. Ai calici di vino e ai cocktail si abbinano le creazioni di Pizza n’ Fish, con i pizzaioli italiani attenti alla ricerca delle materie prime di stagione e del proprio territorio, e le proposte del Punto Gamberi, per apprezzare i gamberi rossi e rosa appena pescati nelle acque sanremesi, nelle loro forme più pure e sublimi, semplici ed essenziali.

Gli amanti della tradizione brassicola italiana possono invece soddisfare la propria curiosità ricercando il proprio stile in Piazza Caricamento e abbinando a un buon boccale di birra lo street food delle Cucine di strada, dei Food truck e degli spazi delle regioni italiane: un vero e proprio condensato di tradizioni gastronomiche regionali on the road. E per completare in bellezza la giornata a Slow Fish, ecco i grandi nomi della gastronomia italiana negli Appuntamenti a Tavola: sei cene i cui protagonisti sono piatti che parlano di acque dolci e mari aperti, dall’anteprima di mercoledì 17 a domenica, godendo dell’affascinante vista di Eataly Genova o respirando le atmosfere del centro storico con il Cavo Ristorante.




Il lecca lecca? Fu inventato a Bergamo

La fioritura di denominazioni e di presìdi a designare le eccellenze gastronomiche del nostro Paese non è certo esclusivo vezzo dei nostri giorni. Risale infatti a cinque secoli fa la compilazione da parte del poligrafo milanese Ortensio Lando – eccentricamente temerario al punto di imbarcarsi, tra le cruente reprimende della controriforma, nella prima traduzione in Italiano delle opere di Martin Lutero – del più antico tra i repertori delle specialità della Penisola. Poco più di cent’anni dopo toccava all’incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli redigere un memorabile censimento grafico delle principali prerogative di molte città d’Italia circa le robe mangiative, racchiuso nella stampa di una singolare riffa seicentesca intitolata gioco di cucagna.

Non stupisce che una così puntuale rassegna figurativa di leccornie risalga al secolo che, nell’arco dell’ultimo millennio, contende all’undicesimo la poco invidiabile palma dei picchi storici di indigenza e di inedia. Più del pugno di quatrini che il succinto regolamento della scommessa metteva in palio, non v’è dubbio che ai giocatori dell’epoca stesse a cuore l’onirico approdo alle maggiormente ambite tra le caselle del percorso ludo-gastronomico. Del resto, non è mistero che il mito del paese del bengodi abbia attinto i vertici di popolarità proprio allorché le generali condizioni di vita si adagiavano sui livelli più miserevoli.

Il seicentesco gioco della cuccagna
Il seicentesco gioco della cuccagna

L’opera d’arte, destinata in origine a far da tappeto al lancio dei dadi sui tavolacci di qualche taverna piuttosto che da decoro alle pareti dei palazzi patrizi, contiene una gran copia di rivelazioni assai preziose per gli storici dell’alimentazione. In essa si provvede ben più di un’asettica elencazione di prelibatezze – espressione per giunta di un’Italia monca che vedeva tracciato a Napoli il proprio limitare meridionale. Ogni specialità vi è difatti ritratta con apprezzabile grado di dettaglio, esibendo con precisione la morfologia da cui era contraddistinta quattro secoli or sono.

Alcune delle leccornie sono icone tutt’oggi vitali ed immediatamente distinguibili dei patrimoni alimentari regionali: è il caso dei cantuchi (cantucci) di Pisa e della rosolia – attualmente chiamata ratafià – sabauda; delle persiche (pesche) di Verona e del turone cremonese, della busecha meneghina e delle spongate di Reggio Emilia. Non meno attuale è il lustro degli insaccati parmensi e modenesi, nonché della mortadella di Bologna, la cui centralità nella tavola da gioco trova presumibilmente ragione nei natali petroniani dell’incisore.

Altre tra le ghiottonerie illustrate dal Mitelli sono passate attraverso secolari processi evolutivi, che ne hanno più o meno profondamente modificato denominazione e caratteristiche. Delle gatafure genovesi – antesignane delle celebri torte liguri di verdura – scriveva nel cinquecento il già menzionato Ortensio Lando, chiosando che così erano denominate perché le gatte volentieri le furano (rubano) e vaghe ne sono. Non è dato di sapere quale i felini dell’era moderna prediligessero tra la versione alle biete e quella alla cipolla, di cui Bartolomeo Scappi forniva le ricette nella coeva Opera. Nelle provature romane non è altresì arduo individuare le progenitrici di mozzarelle e scamorze dell’Agro Pontino, mentre il cuore del distretto di produzione dell’antico formaggio di Piacenza è negli ultimi secoli migrato a sud-est di qualche miglio, fondendosi con quello del parmigiano.

L’aldilà delle memorie gastronomiche ha, infine, ineluttabilmente accolto tra le sue brume un buon numero delle specialità vagheggiate lungo la tratta della seicentesca cuccagna. La tardiva comparsa dei broccoli napoletani scandiva ormai il crepuscolo dell’era, protrattasi appunto sino al termine del XVII secolo, nella quale la civiltà alimentare partenopea era designata come quella dei mangiafoglie, spianando la strada alla calata dei mangiamaccheroni. Delle trote che sguazzavano nei laghi di Mantova, così come della persicata ferrarese e dei pinoli ravennati – all’epoca rinomati al punto da meritare alla città rivierasca l’eponimo di bolla dil pignoli – oggi si serbano solo sbiadite rimembranze. Eguale sorte è toccata al pane di Padova, del quale già nel XIX secolo il clinico patavino Antonio Faggiani lamentava l’irreversibile decadenza. Irrimediabilmente trapassata è anche la prelibatezza a celebrazione della quale il Mitelli aveva riservato a Bergamo una tappa del suo itinerario. Si tratta del cinamomo confetto, a riguardo del quale già ci si è dilungati nel numero di Affari di Gola del novembre 2014. È comunque d’uopo tornare brevemente sul tema, giacché dall’incisione emergono nuovi ed interessanti particolari.

Il "lecca solo" bergamasco raffigurato nel seicentesco gioco della cuccagna
Il “lecca solo” bergamasco raffigurato nel seicentesco gioco della cuccagna

Colpisce anzitutto la singolare conformazione dello storico dolciume. In virtù della sua appartenenza al dominio della confetteria, ci si sarebbe attesi un morselletto oblungo o tondeggiante. Ma la raffigurazione che ne fornisce la stampa è quella di un sottile stecco di scorza di cannella, che da fonti del tempo sappiamo rivestito di zucchero. Quanto poi alle modalità del suo consumo, è affatto eloquente l’indicazione lecca solo che correda l’icona.

Questi indizi paiono convergere verso una curiosa conclusione. La letteratura gastronomica tende ad individuare nella Gran Bretagna del XVII secolo la culla di quello che nel mondo anglosassone è chiamato lollypop. In realtà il più antico lecca-lecca di cui si abbiano dettagliate notizie è proprio il cinamomo confetto di Bergamo, i cui natali sono da collocarsi nella prima metà del cinquecento. È indiscutibile che si trattasse di un prototipo ingegnosamente atipico, di un mangetout del quale nulla andava perduto. L’asticciola di legno aromatico che ne costituiva lo stelo – ed al contempo l’anima – era infatti da sgranocchiarsi dopo che la glassa che la ricopriva si era dissolta. In un’epoca di fiatelle pestilenziali, vieppiù appesantite dal largo consumo di agli e cipolle crudi e da condizioni di igiene orale sulle quali è preferibile glissare, la cannella d’altronde rappresentava uno dei più efficaci palliativi per le problematiche di alitosi.

Al di là di queste contingenze, spiccano le benemerenze della Consorteria degli Speziali ed Aromatari di Bergamo. Oltre ad aver dato vita alla prima specialità locale di autentica fama planetaria, la leggendaria corporazione ha infatti titolo ad annoverare, tra le proprie patenti di invenzione, anche quella dell’archetipo di uno tra i più popolari dolciumi di ogni tempo.




A Dossena il tour è doppio: tra i prodotti tipici e in miniera

dossena miniera

Per far scoprire, in un colpo solo, le antiche miniere, i prodotti tipici e i produttori della Valle Brembana, Dossena propone, per il terzo anno, “Una miniera di Gusto”, la manifestazione che unisce tour gastronomico e visita guidata tra i cunicoli del sito estrattivo minerario dismesso.

L’appuntamento è domenica 30 aprile a partire dalle 10. La zona delle miniere sarà raggiungibile dal centro del paese con un bus navetta gratuito. Si potrà quindi partecipare al tour gastronomico in 13 tappe tra formaggi, vino, salumi e altre specialità locali e percorrere le gallerie insieme agli esperti dell’Associazione Miniere Dossena, che ne illustreranno la storia e le caratteristiche. Ci sarà anche uno spazio ristoro dove verrà proposto il “pranzo del minatore”.

Tra le proposte di intrattenimento la doppia (alle 11.45 e alle 14.45) spettacolare esibizione dei “Falconieri dei Quattro Venti” e “Falcontree”, le passeggiate sui pony con “La scuderia del Cornello”, laboratori per bambini, la scalata speleologica e le dimostrazioni del mestiere del fabbro con “Artigianfer”. Non manca una confortevole zona relax in mezzo alla natura. Alle 17 scatterà l'”Aperitipico”, mentre per la cena si potrà scegliere di fermarsi nei ristoranti convenzionati.

Il costo è di 15 euro (8 euro per i ragazzi da 6 a 12 anni, gratis fino a 6 anni) per l’abbinata tour gastronomico+visita guidata alla miniera. Solo il tour o la visita costano 10 euro. Sono esclusi il pranzo, per il quale si spendono circa 5 euro, e l’aperitivo.

L’evento è organizzato dall’Associazione Miniere e dall’Associazione Revival (Gruppo Giovani Dossena) in collaborazione col Comune. Sono consigliate la prenotazione e un abbigliamento “a cipolla”, dato che la temperatura interna della miniera è di 10 gradi. Info: 3421463257




Castione della Presolana, tre giorni al sapor di cioccolato

chocolates-1142_960_720Castione della Presolana omaggia sua golosità il cacao e lo fa con una nuova manifestazione dal nome “Choco Presolana”, al via sabato 29 aprile fino a lunedì 1 maggio.

Per tre giorni sono in agenda momenti dedicati alla dolcezza e al mondo del cioccolato artigianale. Piazza Roma ospiterà la Fabbrica del cioccolato, uno spazio con produttori, esibizioni di lavorazione e lezioni di cioccolateria. Si potrà, ad esempio, vedere come nasce una pralina (sabato dalle ore 17.30) e come si realizza una torta Sacher (lunedì dalle ore 15) e cimentarsi in un corso per la preparazione del cioccolato (domenica 30 aprile ore 17).

Per i bambini inoltre tutti i giorni, dalle 15.30 alle 17.30, c’è il laboratorio “Choco baby” che insegna a realizzare cioccolatini. Appuntamento da non perdere domenica 30 aprile alle 17 in piazza Roma dove verrà realizzata una maxi barretta di cioccolato lunga dieci metri che verrà poi omaggiata ai presenti.

La manifestazione è promossa da Turismo Presolana. Gli stand degli espositori sono aperti dalle 10 alle 20. Per prenotazioni e informazioni su eventi e laboratori, consultare la pagina Facebook Turismo Presolana.




A Bossico torna la “Festa dei formaggi dell’altopiano”

Bissoco formaggiValorizzare un prodotto storico, fortemente legato al territorio ed espressione delle tradizioni casearie tipiche del mondo contadino. Con questo obiettivo la Pro Loco di Bossico, con il patrocinio della locale Amministrazione comunale e di Coldiretti Bergamo, ha organizzato la quinta edizione della “festa dei formaggi dell’altopiano di Bossico”. L’evento –  in programma  dal 28 aprile al primo maggio – quest’anno si è dato una veste particolare e si è trasferito dal centro abitato alle cascine dislocate in pineta, per dare la possibilità ai partecipanti di rendersi conto che fare il formaggio in cascina non è come lavorare in un caseificio: non ci sono strumenti di precisione, si fa tutto a mano e a occhio, seguendo l’esperienza e l’istinto. Ogni gesto si ripete sempre uguale e ogni volta diverso, perché il latte crudo è un alimento vivo e le giornate non sono mai le stesse. È questa l’unicità dei sapori dei  formaggi dell’altopiano di Bossico.

La manifestazione si aprirà venerdì 28 aprile, alle ore 20.45 nella sala dell’oratorio di Bossico, con un  interessante incontro su come un prodotto tipico può essere rappresentativo di un luogo e per quel luogo essere attrattiva e creare indotto. Relazioneranno: Chicco Coria chef bergamasco promotore del lancio della patata di Martinengo, Andrea Messa dell’associazione “Grani dell’Asta del Serio”, Carlo Belotti segretario della zona Montagna Orientale di Coldiretti Bergamo, Giulio Signorelli del negozio storico di Bergamo “Ol Formager”, grande conoscitore internazionale di formaggi. Durante la serata verrà anche presentato, a cura di Pro Loco Bossico,  il progetto di promozione dei formaggi dell’altopiano di Bossico.

Domenica 30 aprile, dalle 14, la manifestazione si trasferirà in cinque aziende agricole della zona che producono artigianalmente e con maestria gustosi prodotti caseari. Ci sarà così la possibilità di fare una passeggiata tra queste realtà produttive, per assistere ai vari momenti del lavoro agricolo, degustare  e acquistare prodotti a km zero. Verranno realizzate anche attività dedicate ai bambini. Chi seguirà questo “agri percorso” avrà anche la possibilità di adottare una mucca tra quelle presenti nelle stalle. La scelta potrà essere fatta  tra Bianca – Luce – Jessy – Milka – Camilla – Stella – Portogalo – Parma – Lory – Cerva – Romana – Venezia. Adottare una mucca comporterà l’acquisto di un’intera formaggella al prezzo di 7 euro al chilo, questo darà diritto all’acquisto, per tutto l’anno successivo, di formaggelle sempre allo stesso prezzo.

Adottare una mucca si propone di sostenere il lavoro dei casari e di garantire l’acquisto di un prodotto genuino. Il primo maggio, alle 10, si terrà invece un’escursione guidata fra prati e  boschi per il riconoscimento delle erbe spontanee con le quali, nel pomeriggio, sempre sotto la guida di mani esperte, si imparerà ad aromatizzare i formaggi freschi per renderli ancora più gustosi e digeribili.

 

 




«Bergamo ha un ricco patrimonio caseario, ma non siamo capaci di valorizzarlo»

Gianluigi Zenti
Gianluigi Zenti

È stato uno degli ambasciatori più preziosi dell’agroalimentare italiano nel mondo Gianluigi Zenti, bergamasco doc (nativo di Zù di Riva di Solto) noto soprattutto per aver sviluppato il mercato americano per il gruppo Barilla (ha anche gestito per Barilla l’«Academia» di Parma, biglietto da visita della cultura gastronomica italiana nel mondo). Ora è tornato in Bergamasca per sviluppare un progetto ad ampio raggio che, partendo dai prodotti della Cooperativa di Vigolo (il formaggio Monte Bronzone in primis), potrebbe in futuro essere in grado di ampliare la sua azione verso altre realtà importanti del food and beverage, col successivo coinvolgimento di attività turistiche e di accoglienza. Sfida affascinante e coraggiosa per il nostro manager caseario, che potrebbe smuovere le acque di un comparto che negli ultimi anni, anche grazie a Expo, ha fatto passi da gigante, ma che poche volte in passato ha avuto una strategia comune ed è stato in grado di fare rete.

Dottor Zenti, lei torna in Bergamasca con obiettivi ambiziosi…

«Ora mi occupo di sviluppo, promozione e difesa dell’identità della cultura enogastronomica italiana attraverso progetti di formazione e internazionalizzazione di imprese italiane all’estero. Nello specifico in Bergamasca mi sto occupando del rilancio del caseificio di montagna della cooperativa agricola Monti e Laghi e di promozione dell’incoming turistico sul lago d’Iseo. Nella stagione estiva 2016 abbiamo portato oltre 600 turisti stranieri provenienti da Regno Unito, Germania, Olanda, Stati Uniti, Danimarca, Francia, Australia, Giappone, Israele, Russia».

L’agroalimentare è una risorsa che potrebbe avere potenzialità superiori nella nostra provincia?

«L’agroalimentare è un asset importantissimo nella Bergamasca, ma fino ad ora poco valorizzato. I settori su cui si è messa maggiore enfasi sono sempre stati industria, costruzioni e servizi mentre su agroalimentare e turismo non sono mai stati fatti investimenti importanti. Il nostro territorio possiede una forte identità caratterizzata dalla sua storia, dalla sua cultura e dalla sua conformazione geografica che lo distingue in modo particolare. Olio, riso, farine, prodotti ittici, salumi, vini e formaggi sono un fiore all’occhiello frutto della nostra tradizione gastronomica ma poco conosciuti e valorizzati sia a livello locale che nazionale e internazionale».

La necessità di fare rete tra produttori, ma anche fra territori è basilare: cosa manca a Bergamo su questo fronte?

«La rete tra produttori e territori è uno strumento tattico ma non strategico. I bergamaschi sanno bene che prima di costruire la casa serve un progetto ben fatto. Per seguire una direzione condivisa è necessario avere una vision, una mission e una strategia chiara con obiettivi misurabili e ruoli/responsabilità chiaramente attribuiti».

Bergamo è la capitale dei formaggi Dop con 9 prodotti, facciamo abbastanza per promuoverli?

«Continuiamo a raccontarci che l’Italia è il paese più bello del mondo, ricco di cultura, cibo, moda, design, mobili, auto di lusso etc. ma siamo arrivati nel 2017 senza essere stati in grado di valorizzare in maniera efficace queste ricchezze mentre la concorrenza di altri paesi sta rubando l’identità dei prodotti italiani. Ad esempio oggi il Grana Padano è la prima Dop Italiana al mondo ma è anche la più contraffatta: oltre il 70% del Grana venduto in America con il nome “parmesan” non è un prodotto italiano ma un prodotto americano commercializzato da una multinazionale. Questo dimostra che anche se il prodotto si rende disponibile su un determinato mercato, senza un’adeguata formazione il consumatore non è in grado di distinguerne la qualità e l’origine. In queste situazioni ha campo fertile la contraffazione e quindi la difesa legale diventa indispensabile per tutelare l’identità dei nostri prodotti».

Stracchino BronzoneQuindi esiste un problema d’identità e ancor prima di comunicazione?

«Esatto. Non basta esistere ma bisogna saper comunicare di esistere. Questo vale in particolar modo per i nostri formaggi. Di 9 Dop solo 4 sono conosciuti a livello nazionale e poco a livello internazionale. Anche il Grana Padano ha una notorietà pari a circa la metà del Parmigiano Reggiano nonostante abbia un fatturato di oltre il doppio».

Monte Bronzone, ma anche Agrì o altre chicche casearie, come il blu di bufala o alcune formaggelle: in che modo sviluppare il business di questi formaggi? Non ci si muove troppo in ordine sparso?

«“Chi fa da se fa per tre” è un detto molto sentito nella Bergamasca ma in un mondo sempre più globalizzato non si può più pensare di andare in ordine sparso. Serve un coordinamento ed è necessario individuare in quali mercati/canali si vuole agire da soli ed in quali creare delle sinergie tra pubblico e privato. Ingredienti essenziali per poter raggiungere risultati positivi rimangono comunque competenze e investimenti. Come già menzionato c’è scarsa conoscenza dei nostri prodotti e del loro utilizzo ed è quindi sempre da qui che bisogna partire. Con i prodotti del Monte Bronzone abbiamo cominciato a sviluppare ricette per aiutare le persone a trovare nuovi modi di utilizzo oltre alle modalità di consumo tradizionali».

Il progetto Erg 2017, che vede Bergamo capofila, potrebbe davvero portare giovamenti al nostro food? Quali gli errori da non commettere?

«Non conosco il progetto Erg nel suo dettaglio, ma da quanto ho letto mi sembra il giusto approccio per creare sinergie tra agroalimentare e turismo enogastronomico. All’aggregazione delle informazioni devono seguire azioni concrete e accordi per stimolare ulteriormente i flussi turistici e il consumo di prodotti enogastronomici. Per poter studiare e portare a termine con successo attività di questo tipo occorrono esperienza e competenze specifici. Il rischio è che non vi siano risultati sostanziali in tempi brevi».




Uova senza sorprese. Ecco come sceglierle e cucinarle al meglio

uova - confezione

Carlo Cracco ne ha fatto la sua bandiera, Paolo Parisi lo vende come fosse d’oro, Davide Scabin l’ha trasformato in un piatto visionario, il Cyber egg.

Pochi prodotti come l’uovo sanno essere tanto versatili in cucina. Può creare piatti semplici e raffinatissimi, comparire sulle tavole più povere e su quelle dei ristoratori più blasonati. Di gallina, di struzzo, quaglia, anatra, oca, lo si può bollire, strapazzare, friggere, fare al forno, declinare in tantissime ricette: in camicia, alla coque, alla diavola, all’occhio di bue, in insalata e, ovviamente, sodo e in frittata, con le sue infinite varianti.

Se pensate che cucinarlo sia facile, però, sbagliate: la cottura delle uova è fra le più insidiose delle basi di cucina e anche le ricette che consideriamo scontate, non lo sono. Lo sanno bene gli chef: alcuni raccontano addirittura di avere vissuto momenti di panico nella preparazione di un uovo in camicia. Ecco allora una piccola guida per scoprire curiosità che non conoscevate e per realizzare preparazioni perfette. Con una chicca, la ricetta dello chef Darwin Foglieni del ristorante Ol Giopì e la Margì di Bergamo, in via Borgo Palazzo.

1) IL COLORE DEL GUSCIO NON CONTA, IL TIPO D’ALLEVAMENTO SÌ

Prima di comprare le uova, è importante controllare che siano integre e pulite e che siano più fresche possibile. Un modo per scoprirlo è guardare il guscio, che deve essere opaco – se è lucido, sono vecchie. Il colore del guscio, invece, non c’entra con la qualità e bontà dell’uovo, ma solo con la razza della gallina. Il meglio del meglio è comprarle da un allevatore diretto che conoscete. Se questo non è possibile, preferite sempre uova di galline allevate con metodo biologico o comunque all’aperto. Di solito viene specificato sulla confezione, se non è così verificate sull’etichetta (deve esserci sempre) che il primo numero del codice riportato sia 0 e 1. Meglio le uova confezionate nel cartone perché si conservano meglio e si può riciclare il contenitore.

uovo - forchette2) C’È UN UOVO PER OGNI ESIGENZA

Nei supermercati si trovano uova di ogni tipo: oltre alle uova tradizionali, ci sono uova in bottiglia pastorizzate, inventate per prolungare la durata e migliorare l’igiene in cucina. Si può acquistare solo il rosso o solo il bianco e sono ideali per la preparazione di creme; c’è l’uovo liottizzato, consumato prevalentemente dagli sportivi; l’uovo light, a basso contenuto di grassi, e l’uovo a forma di tubo, ideale per tagliare fettine tutte uguali e imbottire tramezzini e panini. Per la pasticceria, infine c’è l’albume in polvere.

3) PROVA FRESCHEZZA

Ci sono più modi casalinghi per capire se un uovo è fresco oppure no. Il più immediato è quello anticipato al punto 1: guardare il guscio, se è lucido è vecchio. Un altro modo, più preciso, consiste nell’immergerlo in un bicchiere d’acqua con una manciata di sale: se va fondo è freschissimo, se resta a metà vuol dire che è abbastanza fresco ma è meglio non cucinarlo alla coque; se galleggia non va mangiato. L’uovo non deve contenere corpi estranei né deve emanare odore. Il tuorlo deve trovarsi in posizione centrale e deve essere immobile. Se l’uovo è rotto, meglio buttarlo. Controllate in ogni caso la data di deposizione: vanno consumate entro 3-4 settimane.

4) COME CONSERVARLE

Le uova vanno pulite con un tovagliolo e tenute al fresco. Conservatele a temperatura ambiente così come le acquistate se siete certi di mangiarle nel giro di pochi giorni; diversamente riponetele in frigorifero, lasciandole nella loro confezione e mettetele a testa in giù nel ripiano più alto, così si conservano meglio e più a lungo. Tenetele lontane da frutta e verdura per evitare il rischio salmonella e da alimenti con odori forti.

uovo - fritto - pane - colazione5) TUTTI I TRUCCHI PER LA COTTURA

I due segreti più importanti per avere una cottura perfetta sono usare uova a temperatura ambiente e cuocerle con calore moderato. Questo permette agli ingredienti di amalgamarsi e all’uovo di non diventare secco. Per ogni ricetta, poi, ci sono errori da evitare e dritte che consentono di ottenere un piatto perfetto, a prova di chef. Ecco i più importanti.

Bagnomaria e al vapore, in casa sono i metodi migliori

La cottura a bagnomaria permette di rispettare al massimo sapore e consistenza e limita l’uso dei grassi. Richiede 10 minuti abbondanti e un continuo rimescolamento, ma ne vale la pena. In assenza del roner, si può avere un ottimo risultato anche con la cottura a vapore e al forno che lasciano l’uovo più morbido (si cuociono le uova al forno a 70° per 15 minuti, oppure in una vaporiera, a bassa temperatura).

Uova sode, l’acqua deve essere fredda

Usate uova a temperatura ambiente e immergetele in acqua fredda (l’acqua calda crea uno “shock termico” che fa rompere il guscio più facilmente). L’acqua deve riscoprirle per tutta la durata della cottura. Per evitare che si rompano in cottura aggiungete all’acqua un po’ di sale. Se il guscio si crepa nell’acqua mentre l’uovo cuoce, aggiungete all’acqua dell’aceto, farà rapprendere subito l’albume che sta per fuoriuscire. Per sbucciarle più facilmente: a fine cottura togliete le uova dal pentolino e immergetele in acqua fredda; oppure, immergetele in un pentolino con acqua molto fredda, tappate con un coperchio e agitate velocemente da destra a sinistra per 20 secondi.

Uova strapazzate, il sale va messo alla fine

Il segreto per ottenere delle uova strapazzate soffici è usare uova di qualità (biologiche o da galline allevate all’aperto), tenere la fiamma al minimo e mescolare continuamente. Le uova vanno rimosse dalla padella prima che la cottura sia finita, quando sono ancora un po’ liquide e mescolate ancora per qualche attimo. Sale e pepe vanno aggiunti a cottura completa. Per renderle ancora più soffici, incorporare una goccia di acqua gassata; per renderle più cremose, sostituire il latte con la panna, oppure miscelare latte e panna in porzioni uguali. Se si cuociono a bagnomaria vengono ancora più cremose.

Uovo in camicia, la corretta tempistica è decisiva

Le uova devono essere freschissime e tutti gli ingredienti vanno preparati prima di mettersi ai fornelli. La pentola deve essere ampia (almeno 10 cm di profondità). Le uova vanno rotte in un piatto e poi fatte scivolare delicatamente nella casseruola riempita di acqua. Meglio cuocere un uovo per volta. L’acqua non deve essere bollente e il calore deve essere moderato (se l’acqua è troppo calda l’uovo si indurisce). Prima di tuffare l’uovo, mescolate l’acqua con un cucchiaio, in questo modo si abbassa la temperatura e si crea un piccolo vortice che aiuterà il tuorlo ad avvolgersi nel proprio albume. Cuocete da 1 a 4 minuti, continuando a girare delicatamente con un cucchiaio per mantenere in movimento l’uovo. Per facilitare la cottura, unire all’acqua due cucchiai di aceto di vino bianco e aiutare l’albume ad avvolgere il tuorlo, irrorandolo di acqua mentre cuoce, per circa 20 secondi.

uova - frittataFrittata, con l’albume montato è più soffice

Per avere una frittata soffice e facile da girare, mescolate poco le uova senza amalgamarle completamente e unite alle uova un albume montato a neve, incorporandolo delicatamente dal basso verso l’alto, oppure qualche cucchiaio di latte o panna fresca. Gli altri ingredienti, ad esempio le verdure, vanno cotti e fatti raffreddare e uniti alle uova sbattute fuori dal fuoco. La padella deve avere il fondo pesante e deve essere scaldata bene, prima di aggiungere olio o burro. La cottura deve avvenire prima a fiamma moderata. Durante la cottura, incidere la frittata in modo che la parte liquida scivoli sotto e si rapprenda e spostarla lateralmente in modo che non si attacchi al fondo e non cuocia solo la parte centrale ma anche i bordi. Per rendere più profumata la frittata aggiungere alle uova sbattute del prezzemolo o dell’erba cipollina.

La nutrizionista: «Va bene mangiarne fino a quattro a settimana»

L’uovo è un alimento benefico sotto molti aspetti ed è adatto a tutte le età. Occupa uno dei primi posti nella scala degli alimenti ad alto valore biologico, perché contiene tutti gli aminoacidi essenziali e tutti in forma utilizzabile. Inoltre, è ricco di vitamine e sali minerali. «Altri componenti importanti sono l’acido oleico, l’acido linolenico e la lecitina. Quest’ultima, insieme ai due acidi grassi polinsaturi, è l’antagonista più importante del colesterolo e aiuta anche l’innalzamento del colesterolo HDL, detto colesterolo buono, che è una sostanza necessaria al nostro organismo». spiega la biologa nutrizionista Roberta Zanardini (robertazanardini@gmail.com).

Le uova non dovrebbero mancare nell’alimentazione di vegetariani, anziani, sportivi, bambini e adolescenti, è invece sconsigliato a chi soffre di calcolosi biliare, colecisti, ipercolesterolemia, alle persone immunodepresse e bimbi con familiarità per allergie alle proteine dell’uovo, dice Zanardini che consiglia: «Va bene mangiarne fino a quattro a settimana negli adulti e due nei bambini. Con una attenzione: diversamente da altri alimenti, da cotto (sodo) l’uovo risulta meno digeribile, quindi preferitelo alla coque, ma soprattutto evitate le fritture».

IL TOCCO DELLO CHEF

Darwin Foglieni
Darwin Foglieni

Ravioli al Formai de Mut con uovo in camicia e tartufo nero bergamasco – di Darwin Foglieni

Ingredienti (per 4 porzioni):
  • 400 g sfoglia fresca all’uovo
  • 200 g panna fresca
  • 300g Formai de Mut Alta Val Brembana Dop
  • 4 uova freschissime biologiche
  • un cucchiaio di aceto di vino

per il condimento

  • 20 g grana padano
  • 50 g burro di malga
  • 6 foglie di salvia
  • qb tartufo nero fresco bergamasco
Procedimento:

In una pentola far bollire la panna fresca. Al primo bollore togliere dal fuoco e unire il formaggio tagliato a cubetti, facendolo sciogliere completamente. Versare il tutto in un contenitore e riporre in frigorifero. Quando il composto è freddo, ricavare delle palline di fonduta e farcire i ravioli.

In una pentola con bordi alti far bollire l’acqua con l’aceto. Aprire un uovo per volta in una ciotolina e versarlo nell’acqua per pochi minuti. Con una schiumarola togliere le uova e asciugarle su un panno. Le uova possono anche essere cotte a vapore in forno. In questo caso portare il forno alla temperatura di 80°, adagiare le uova su una griglia, chiudere il forno e impostarlo a 70° per 15 minuti. Cuocere i ravioli in acqua, scolarli e disporli a porzione sul piatto, aggiungendo al centro un uovo in camicia. Condire i ravioli con burro fuso alla salvia, grana padano grattugiato e guarnire con qualche lamella di tartufo nero bergamasco.

ricetta ravioli uovo darwin foglieni




A Pasqua non sapete che colomba pigliare? C’è la degustazione guidata

colomba marchesiMai provata la colomba abbinata a un gin tonic? Chi vuole esplorare nuove sfumature e sensazioni del dolce pasquale può partecipare giovedì 13 aprile alla seconda serata di degustazione organizzata da Panificio Marchesi e Tassino Café nel locale di largo Rezzara a Bergamo.

L’incontro (alle 21, costo 15 euro) proporrà tre versioni della colomba artigianale del panificio – tradizionale, con gocce di cioccolato fondente e ai marron glacé – accompagnate rispettivamente a gin tonic, vermouth e passito veronese Ismaele 2009, sotto la guida professionale di Alessandro Salamina e Giuseppe Tironi che illustreranno le scelte dal punto di vista “scientifico”, gustativo e – perché no? – emozionale.

«Abbiamo voluto offrire un approccio diverso, più approfondito, al prodotto – spiega Roberto Marchesi, titolare del panificio -, anche con qualche azzardo, ma capace di far percepire, grazie agli esperti, le differenze nella qualità». Le colombe, insieme ai panettoni, sono prodotti di punta del panificio tanto da meritarsi ognuno un sito dedicato (www.ilpanettonemarchesi.it  – www.lacolombamarchesi.it) e sono richiesti in tutta Italia. «La fidelizzazione è alta, chi li ha provati torna – evidenzia -. Credo che ci sia già una grande attenzione da parte dei consumatori nella scelta del dolce, con questa iniziativa abbiamo voluto dare ulteriore valore, ma anche festeggiare insieme a clienti e amici la Pasqua».

L’appuntamento, già realizzato il 6 aprile con abbinamenti di altri tre tipi di colomba a tre vini, si inserisce in un progetto più ampio di collaborazione tra Panificio Marchesi e Tassino Café, che hanno anche realizzato il truck “certificato” East Lombardy, per portare nelle grandi manifestazioni (tra le prossime la Mille Miglia e la Fiera millenaria nel mantovano) i piatti ed i prodotti dei quattro territori insigniti per quest’anno del titolo di Regione europea della Gastronomia, ossia Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova.




E l’ex operaia divenne coltivatrice di tartufi

Eufemia Maiorano
Eufemia Maiorano

Fino a quattro anni fa era operaia in un’azienda tessile. Dopo la chiusura dello stabilimento, la cassa integrazione e la mobilità, si è reinventata come contadina. Eufemia Maiorano, classe 1961, oggi è titolare dell’azienda agricola “La sella” a San Giovanni Bianco, nella frazione San Pietro d’Orzio, un piccolo villaggio agricolo un tempo autonomo e collocato su un’altura. Accanto alla produzione di zafferano, la neoimprenditrice ha affiancato quella del tartufo. “Ero fuori dal mercato del lavoro, la terra mi ha dato un’opportunità e l’ho colta al volo – spiega Eufemia -. I due impieghi sono agli antipodi, non si possono paragonare e i sacrifici nella nuova professione non mancano, sono passata dallo stare sempre rinchiusa in fabbrica al lavorare fuori, anche quando piove e fa freddo”.

Le piantine seminate, nella primavera del 2012, sono 130. E in estate il suo Satana, un incrocio tra un cocker e uno springer, potrà fiutare i primi tartufi. Appartengono alle varietà Uncinato, Estivo e Nero pregiato e si differenziano per la stagione di raccolta.

eufemia Maiorano e il cane SatanaIl primo, che si ritrova nel terreno già in primavera, ha un profumo delicato, con note di nocciola, porcino e grana. Si può gustare sia cotto sia crudo in svariati piatti.

Segue la raccolta dell’Estivo, o Scorzone, che può raggiungere dimensioni notevoli e ricorda l’aroma del malto: viene perlopiù impiegato per realizzare salse e nella produzione di insaccati. Il prezzo di entrambi è sui 250 euro al chilo, molto più “economici” rispetto al Nero pregiato, che si trova in inverno, possiede un gusto dolce e, spolverizzato, impreziosisce qualunque preparazione. Il suo valore può superare i 600 euro al chilo.

Il prezzo di mercato varia anche a seconda della pezzatura, della forma e della qualità organolettica. Il tartufo non va confuso con i tuberi: è un fungo sottorraneo e simbionte. Ogni prodotto è associato a una pianta che lo farà crescere, spesso un albero micorizzato. Nella tartufaia bergamasca, che si estende su seimila metri quadri, sono il nocciolo e il carpine bianco. Il tartufo si sviluppa in un tempo minore, sui sei-sette anni rispetto ai venti-venticinque del tiglio. “Il primo passo da compiere è far analizzare il terreno, deve essere calcareo, umido, vicino a corsi d’acqua, poi armarsi di pazienza – spiega Eufemia Maiorano -. Le spese di gestione annuali sono basse: sono necessarie la cura, l’irrigazione e la potatura delle piante, poi la produzione può essere costante anche per trent’anni”.

I tartufi della Sella saranno destinati alla vendita diretta. Info al 393 1543560.




Salame di Montisola, nel fine settimana tornano le giornate del gusto

SALAME-MONTISOLA

Due giorni dedicati per intero al salame. Sabato 1 e domenica 2 aprile Monteisola dedica a uno dei suoi prodotti tipici, tra gli insaccati più rustici e apprezzati, la rassegna ‘Le giornate del gusto: sua maestà il salame di Monteisola’. La manifestazione si svolgerà in località di Cure, frazione in cui il salame vanta la stagionatura più vocata. La manifestazione, organizzata da Comune e Pro Loco, prenderà il via sabato alle 11 con l’apertura degli stand. Dalle 12 sarà attivo il ristoro; stessi orari domenica. 

Sabato, alle 14, ci sarà la gara del salame, che vedrà in sfida i norcini dell’isola. Il primo classificato riceverà in premio il Furù d’oro, un attrezzo utile a chi produce gli insaccati perché serve per bucare l’involucro di pelle. Testimonial d’eccezione sarà Giacomo Tiraboschi, produttore di Melaverde. Domenica la giornata sarà dedicata (la mattina alle 11 e  il pomeriggio alle 15), alla dimostrazione pubblica di come si produce il salame con la tipica lavorazione a mano. I ristoranti proporranno un menù a prezzo fisso e da Peschiera Maraglio ci sarà un servizio di navetta per la festa. A chiusura della manifestazione ci sarà il concerto del Coro Isca di Iseo. Parte del ricavato della manifestazione verrà destinato al santuario della Madonna della Ceriola che domina l’isola.