Mais “Nostrano Isola Bergamasca”, anche l’Ascom in campo per il rilancio

Mais ProvinciaÈ giallo e lucente come l’oro, ma vale molto di più: perché nutre, contiene sostanze salutari, ha un buon sapore e custodisce gelosamente in ciascuno dei suoi semi la storia e la tradizione di un pezzo della terra bergamasca. Il mais “Nostrano Isola Bergamasca” è infatti una varietà tipica dell’Isola, nato più di cento anni fa grazie all’introduzione di questa coltivazione da parte dei nobili Guido Finardi e Alessandro Roncalli, nell’area compresa fra i villaggi di Chignolo, Madone, Bottanuco, Suisio e Medolago. Nel 1916 entrambe le aziende vennero premiate per la qualità del “Nostrano dell’Isola”, che divenne poi oggetto di studio da parte della Stazione Sperimentale di Maiscoltura di Bergamo, e subito comincia ad essere esportato.

Grazie alla lungimiranza di chi negli anni ha protetto e conservato la purezza del seme, si è potuto stendere un progetto di rilancio del prodotto come tipico dell’Isola Bergamasca, garantendo una filiera agro-biologica a km 0 con un mais originato, selezionato, coltivato, macinato e trasformato in farina di qualità in loco, e infine commercializzato attraverso la creazione di un marchio di qualità DOP.

logo maisL’idea è partita da PromoIsola sulla spinta di Expo, che ha acceso i riflettori sul tema dell’alimentazione: ne è nato un protocollo d’intesa con Engim Lombardia, Scuola di formazione professionale con sede a Valbrembo e attività laboratoriale a Brembate Sopra. Gli studenti del corso di Operatore agricolo, sotto la supervisione di un esperto ricercatore, si sono impegnati a coltivare il mais conservandone la purezza e migliorandone geneticamente la varietà, mentre con il sostegno di Ascom e della Camera di Commercio sono state coinvolte le aziende agricole operanti nell’Isola per la semina, la coltivazione e la raccolta della varietà, che attualmente viene trasformata in farina nel mulino Pennati di Medolago.

Infine la creazione del marchio ha visto il coinvolgimento di un’altra scuola professionale e cioè la Scuola d’Arte Applicata Andrea Fantoni, attraverso un concorso tra gli studenti del 3° anno del Liceo Artistico che ha portato alla scelta del marchio e le classi 5° del Centro Formazione Professionale per la creazione di manifesti e spot. Ora è in via di costituzione l’Associazione per la tutela e la valorizzazione delle varietà di mais dell’Isola Bergamasca.

PromoIsola sta lavorando anche con gli operatori del commercio alimentare e della ristorazione per la definizione di accordi mirati alla definizione di “alimenti” realizzati con questa farina, al fine di individuare “piatti tipici con farina Nostrano Isola Bergamasca” e “dolci con farina di Nostrano Isola Bergamasca”. Oltre alla classica polenta fatta con farina integrale e farina bramata, infatti, dal mais Nostrano Isola bergamasca si ottiene anche la farina fioretto che viene utilizzata per biscotti, birra, barrette nutrizionali, fiocchi di cereali, dolci, gelati e altro ancora.

Il Mais Nostrano Isola Bergamasca
Il Mais Nostrano Isola Bergamasca

“Siamo felici di ospitare e di aver collaborato, tramite il nostro ufficio Marketing territoriale, alla presentazione di questa eccellenza bergamasca – dichiara il presidente della Provincia Matteo Rossi -. Il mais Nostrano dell’Isola è un prodotto significativo non soltanto per la sua particolare storia, ma anche perché rappresenta alla perfezione Bergamo nel principale cibo che viene creato con il mais, la nostra amata polenta. Da Expo in poi abbiamo lavorato moltissimo sul tema dell’agricoltura sostenibile come via per lo sviluppo territoriale; fondamentale è la capacità di mettere in rete tutti i soggetti, dai giovani studenti agli agricoltori, dai commercianti fino ai ristoratori, il che ha consentito a PromoIsola di dare vita a un progetto vincente”.




Dal “Senatore Cappelli” al mais bianco, a Calvenzano la sfida è bio

azienda agricola fontana - cereali - calvenzano (1)

Alla produzione di massa non è interessato, a fidelizzare clienti attenti e consapevoli sì. Giovanni Fontana, 61 anni, nato ad Azzanello, nel Cremonese, ma da sempre agricoltore a Calvenzano, produce cereali, riscoprendone antiche varietà, vellutate di legumi, oltre a frutta e verdura, ricavandone squisite creme e confetture. La sua è una tradizione di famiglia: il nonno Giuseppe era ortolano e il papà Mario gestiva un’azienda lattiera. Oggi per assaggiare i suoi prodotti occorre cercare il suo banchetto a Treviglio al mercato del mercoledì mattina e ogni sabato di dicembre e a Bergamo il venerdì mattina, in piazza Pontida, oltre che negli scaffali dello spaccio Ciocca alla frazione Geromina.

Fontana fa tutto da sé, con convinzione, supportato dalla moglie Laura. Nei sette ettari di terreno in via Misano, coltiva soprattutto un frumento di grano duro introdotto un secolo fa e che sembrava scomparso, il Senatore Cappelli. La qualità della semola è eccellente e si presta, in particolare, a produrre pasta dal gusto superiore tanto che nel Sud è tuttora diffuso. La presenza di una quantità inferiore di glutine lo rende, inoltre, un alimento più salutare.

Giovanni Fontana
Giovanni Fontana

«Mio papà aveva conosciuto il genetista Nazareno Strampelli che ha “inventato” il Cappelli, dedicandolo allora a un senatore del Regno d’Italia, e vantava le sue proprietà organolettiche. Sapevo che le altre varietà sono state bombardate con irradiazioni di raggi gamma e le trasformazioni le hanno modificate nella loro struttura genetica favorendo nei consumatori lo sviluppo di intolleranze, ho voluto riscoprire la farina del Cappelli in modo da portare in tavola un alimento che fosse il più naturale possibile, nonostante le difficoltà nella coltivazione», spiega il produttore.

Le piante sono molto più alte, tra il metro e 40 e il metro e 80 centimetri e suscettibili di ripiegamento. Prima di avviare la sperimentazione nei suoi campi, Fontana si è informato, recandosi a Parma, nella sede dell’azienda agricola Stuard per conoscere le caratteristiche del grano. La produzione è di sei quintali l’anno, un quinto meno di un grano industriale. La farina è integrale o con il 70 per cento di crusca.

Da due tipi di mais pregiati ricava invece il macinato per polenta, taragna e bramata. Sono lo spinato, così chiamato per la forma appuntita del seme e dalla storia lunga quattrocento anni, e il marano, seminato nel Vicentino a partire dalla fine dell’Ottocento, entrambi dalla bassa resa, ma dalle ottime proprietà nutrizionali. E, l’anno prossimo, raccoglierà per la prima volta il biancoperla, varietà autoctona originaria del Trevigiano e del Veneziano, dalle pannocchie vitree, quasi perlacee, a rischio estinzione, da cui si ricava la tipica polenta bianca veneta.

Fiore all’occhiello dell’azienda bergamasca sono anche fagioli, piselli e ceci, essiccati e macinati a pietra privi delle bucce, nel mulino di proprietà, senza che possa avvenire la contaminazione da glutine, ideali per vellutate gustose e facilmente digeribili. La dose è la stessa del prodotto sgranato, le modalità di preparazione molto più semplici. Basta aggiungere acqua e patate per ottenere in un quarto d’ora la consistenza ideale. Si gusta immergendo con crostini di pane oppure pasta e spolverando la vellutata con abbondante Parmigiano grattugiato e un filo d’olio. «In pochi, se non le massaie, metterebbero la sera prima a bagno i legumi per poi passarli, il giorno dopo. Sono così andato incontro alle esigenze dei consumatori di oggi, con poco tempo a disposizione, offrendo anche a loro la possibilità di mangiare bene e sano», aggiunge Fontana.

La verdura della sua azienda è certificata biologica. Sul suo banco si trovano ortaggi di stagione come cavolfiori, zucche, cipolle, carote, finocchi, verze e patate.

Tra le novità, lo zafferano con duemila bulbi seminati. «Il mio motto è che per coltivare sono essenziali, e bastano, acqua, sole e terra, non uso il diserbante né altre sostanze di sintesi neppure per sradicare le erbacce – sorride -: i controlli degli enti certificatori sono puntigliosi e constanti e io non “spingo” nulla, se le piante crescono bene, altrimenti pazienza, vorrà dire che me ne dovrò fare una ragione». Tuttavia, scandali e imbrogli nel settore non sono mancati e dopo un successo iniziale è seguito un calo. Solo di recente, il trend del biologico è di nuovo in ascesa. «Il mio suggerimento è di rivolgersi sempre a produttori piccoli, di fiducia, a noi che ci mettiamo la faccia – afferma Fontana -. Al consumatore, che si riempie il carrello al supermercato, consiglio di non guardare troppo all’estetica, ma al gusto e alla salute».

azienda agricola fontana - cereali - calvenzano (2)

Dalla verdura si ricavano le salse a base dolce come il finocchietto con mandorle e capperi, la crema di finocchio con olive, carote e mandorle con aceto balsamico a crudo che si sposa bene con pesce, patate lesse e piatti meno saporiti e il finocchio con aceto balsamico, ideale per accompagnare bolliti e antipasti. Altre salse si ricavano da fichi, con un pizzico di senape, cipolle, zucca, pomodori verdi e melone.

Per i golosi ci sono le confetture di ciliegie, frutti di bosco, albicocche, prugne, lampone, fragole, mirtilli, fichi e more. Se i dolci si vogliono preparare in casa, Fontana produce anche la farina più adatta, di sorgo o “di durra”, cereale originario dell’Africa, che cotto emana un aroma di nocciole, ricco di vitamine e sali minerali e sempre gluten free, dunque adatto alla dieta dei celiaci, che non vogliono rinunciare a torte, biscotti e pancake. La sua consistenza speciale si presta a essere usato puro, soprattutto nelle frolle o negli impasti vari. Basta aumentare la dose di olio, burro oppure uova e, per aiutare la lievitazione, è utile aggiungere una piccola quantità di aceto o succo di limone. L’alto livello di proteine fa ottenere croste croccanti.

Azienda agricola Fontana

via Misano, 14
Calvenzano
azagrgfontana@hotmail.it
tel. 333 4005859



L’allarme di Coldiretti: “Italia invasa dal riso straniero”

riso agricoltoriDall’aumento del 489% degli arrivi dal Vietnam al 46% dalla Thailandia, mai così tanto riso straniero è arrivato in Italia come nel 2016, con una vera invasione da Oriente da cui proviene quasi la metà delle importazioni. E’ quanto emerge da un’analisi della Coldiretti su dati Istat dalla quale si evidenzia che, nell’anno appena trascorso, è stato registrato un aumento record del 21% delle importazioni che ha fatto scattare ben 12 allerte sanitarie da contaminazione per il riso e i prodotti a base di riso da Paesi extracomunitari in Europa secondo i dati del sistema di allarme rapido comunitario (RASFF). Le partite “fuorilegge” pericolose per la salute dei cittadini – sottolinea la Coldiretti – riguardano la presenza irregolare di residui antiparassitari, di aflatossine cancerogene o altre tossine oltre i limiti, infestazioni da insetti, livelli fuori norma di metalli pesanti o la presenza di OGM proibiti in Italia e in Europa. Un pericolo per i consumatori che si estende a livello comunitario dove nell’ultima campagna di commercializzazione – precisa la Coldiretti – è stato raggiunto il record di importazioni con l’ingresso in Europa di 1.380.000 tonnellate di riso lavorato, di cui 370.000 dai Paesi Meno Avanzati. Ormai i due terzi delle importazioni – precisa la Coldiretti – non pagano più dazi a causa dell’introduzione da parte dell’Ue del sistema tariffario agevolato per i Paesi che operano in regime EBA (tutto tranne le armi) a dazio 0. Una misura che finisce in realtà per favorire le multinazionali del commercio senza ricadute concrete sugli agricoltori locali che subiscono peraltro lo sfruttamento del lavoro anche minorile e danni sulla salute e sull’ambiente provocati dall’impiego intensivo di prodotti chimici vietati in Europa.

L’Italia – sottolinea la Coldiretti – è ancora il primo produttore europeo di riso su un territorio di 237mila ettari con un ruolo ambientale insostituibile e opportunità occupazionali, ma la situazione sta precipitando e a rischio c’è il lavoro per oltre diecimila famiglie tra dipendenti e imprenditori di lavoro nell’intera filiera. Le importazioni sconsiderate di riso lavorato Indica dall’Oriente stanno facendo crollare la produzione in Italia dove – spiega ancora la Coldiretti – le semine si spostano sulla varietà japonica con gravi squilibri di mercato che spingono nello stato di crisi anche questo segmento produttivo. Il riso Made in Italy è una realtà da primato per qualità, tipicità e sostenibilità che va difesa – secondo la Coldiretti – con l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza, la pubblicità dei nomi delle industrie che utilizzano riso straniero e attraverso interventi comunitari tempestivi ed efficaci nei confronti delle importazioni incontrollate, che prevengano il rischio di perdite economiche per i nostri risicoltori e non agiscano quando i danni si sono già verificati. In tal senso, la clausola di salvaguardia, già rifiutata dalla Ue senza una quantificazione evidente dei danni, dovrebbe essere applicata con una procedura più efficace dalla Ue.

 




Perché Bergamo è la culla della pasta ripiena

Celestino Colleoni
Celestino Colleoni

Qualche peccatuccio di cui fare ammenda il vescovo-conte Attone, reggente di Bergamo dal 1058 al 1075, doveva con certezza averlo sulla coscienza. Fu così che nel settembre del 1072, preavvertendo forse l’incombente epilogo delle sue vicende terrene, il prelato decretò che i canonici delle due cattedrali di cui la città era dotata – quella di San Vincenzo, all’epoca la più cospicua, e la prepositurale di Sant’Alessandro – ad ogni anniversario della sua scomparsa fossero tenuti a recitare l’ufficio dei morti. Oltre che con la celebrazione del mattutino, del vespro e della missa pro defunctis, i religiosi dovevano onorare la ricorrenza imbandendo un lauto banchetto cui avrebbe preso parte anche un centinaio di poveri. Non facendo cieco affidamento sulle benemerenze morali acquisite e sulla postuma gratitudine del clero locale, Attone si premurò di assicurare alle proprie volontà un quanto più diligente adempimento disponendo nel testamento che le rendite dei possedimenti aviti ubicati in Romano, Martinengo e Brembate Superiore fossero da destinarsi ai sacerdoti in forza alle due pievi. Confidando ancor meno nel disinteresse dei pari grado verso la sfera dei benefici temporali, il metropolita elevò divieto ai suoi successori al seggio vescovile di Bergamo, nonché all’arcidiacono di San Vincenzo ed al prevosto di Sant’Alessandro, di allungare le mani sulle prebende contemplate nel lascito. A punizione di chi avesse trasgredito le sue disposizioni, il morituro evocava l’eterna dannazione in compagnia di Giuda traditore, combinata alle iatture enumerate nel salmo 108. Incombendo queste ultime per lo più sulla discendenza, v’è per giunta da presumere che il disponente nutrisse più di un dubbio a riguardo dell’inappuntabile osservanza del voto di castità da parte dei destinatari delle sue ammonizioni.

Dalla fin eccessiva foga dell’anatema del prelato, di cui tutto si può affermare tranne che non conoscesse i suoi polli, traspare un moto di impotente rassegnazione. E poco sorprende leggere nella Historia quadripartita di Bergomo, pubblicata all’inizio del seicento da Celestino Colleoni, che più di un vescovo, nei decenni successivi alla morte di Attone, trovò il modo di arraffare i benefici devoluti in lascito ai canonici di San Vincenzo e di Sant’Alessandro. Le volte in cui non si ritrovavano con un pugno di mosche in mano, questi ultimi si vedevano assegnare, ad indennizzo dell’indebita sottrazione, una dozzina di castrati – ovini le cui carni godettero di grande popolarità lungo l’intero corso dell’età di mezzo – o una fornitura di generi di prima necessità tra i quali, come attestato da un documento del 1187, farina e oua per far rafioli. Se di trascurabile importanza nella ricostruzione delle vicende di Bergamo, gli episodi riferiti da fra’ Celestino rivestono un interesse straordinario per la storia della gastronomia. Quella risalente alla fine del XII secolo è infatti una delle più antiche testimonianze medievali che attestano la preparazione di paste ripiene in Europa. Dalle carte del cronista non è purtroppo dato di apprendere con quale denominazione fossero originariamente designati gli antichi tortelli, e se l’appellativo evidenziasse alcun legame lessicologico con il termine casoncello – il cui utilizzo è ampiamente documentato due secoli più tardi. Non pare comunque del tutto casuale che le prime evidenze (a.d. 1170) d’esistenza del calisone –  probabile progenitore del raviolo bergamasco (vedasi Affari di Gola del luglio 2016) – risalgano giusto agli anni nei quali le dispense dei complessi prepositurali di San Vincenzo e di Sant’Alessandro venivano rifornite di farina ed uova per preparare la sfoglia.

Grazie alla compunzione del vescovo Attone ed alla cupidigia dei suoi successori, si rendono dunque disponibili elementi in forza dei quali la data di nascita del casoncello potrebbe essere riaggiornata dall’anno 1386, contemplato nelle cronache di Castello Castelli, al 1187 indicato da fra’ Celestino. Quel che è ancor più certo, vagliando le note del meticoloso cappuccino, è che la città di Bergamo sia irrefutabilmente da ascriversi fra le storiche culle della pasta ripiena.

 




«Carote, datterini, zafferano: così il gelato diventa un alleato della salute»

Candida Pelizzoli per la premiazione Gambero Rosso 2017 © Francesco Vignali Photography
Candida Pelizzoli per la premiazione Gambero Rosso 2017 © Francesco Vignali Photography

Anche il gelato diventa funzionale, capace cioè di fornire, grazie ad uno studiato utilizzo degli ingredienti, sostanze benefiche per l’organismo. In Bergamasca c’è un’esponente eccellente di questa nuova tendenza: Candida Pelizzoli, titolare della gelateria Oasi di Badalasco, frazione di Fara Gera d’Adda, che ha recentemente visto premiati gli anni di ricerca, cura e attenzione al gelato artigianale come alimento nutrizionale completo (e nuova frontiera del gusto) con lo speciale riconoscimento “Gusto & Salute” attribuito dalla nuova edizione della guida del Gambero Rosso “Gelaterie d’Italia” nel corso del Sigep di Rimini.

«Il gelato funzionale è un ottimo alimento, sia dal punto di vista nutrizionale che gustativo – spiega Pelizzoli -. Le caratteristiche dei suoi componenti lo rendono infatti gratificante al palato e altamente digeribile. Grazie all’aggiunta di materie prime di alta qualità, il gelato funzionale è in grado non solo di nutrire in modo sano il nostro organismo, aiutandolo a mantenersi in salute, ma ci appaga con la ricchezza e l’originalità dei suoi sapori. L’attenzione al bilanciamento degli zuccheri, il controllo dei grassi e l’esplorazione di nuovi gusti ci permettono di intendere uno dei prodotti simbolo del “made in Italy” non solo come un alimento buono e nutriente, ma anche funzionale e adatto a tutte le circostanze».

La ricerca degli ingredienti è meticolosa e attenta anche ai prodotti del territorio o di stagione: si va dal gusto carota viola-mora ricco di antociani e caroteni a quello al datterino-lampone fonte di flavonoidi per la presenza del pomodoro, passando per il mix tra pesca e zafferano con il suo apporto di carotenoidi e di fibre. Gusti decisi ma allo stesso tempo leggeri, dove dolce e salato si compensano per il piacere dei palati più esigenti e attenti alla salute. «L’idea è nata per diminuire il carico glicemico e sostituirlo con le fibre – prosegue -, puntando, nel pieno rispetto della normativa europea, ad ottenere funzionalità differenti come il miglioramento della funzione intestinale e del sistema immunitario e la riduzione del colesterolo in base agli ingredienti funzionali utilizzati. Per questo con il supporto di risultati di importanti ricerche ed esperti del settore, il gelato viene proposto come alimento in grado di integrare tutti i nutrienti necessari all’organismo».

Candida Pelizzoli è da sempre in prima fila nella ricerca applicata all’arte del gelato. È presidente dell’associazione Maestri della Gelateria Italiana e festeggerà a maggio i trent’anni del locale che conduce insieme al marito Colombano Mariani e alla figlia Alessandra. Sue le realizzazioni di gelato al vino (2001), gelato alle erbe e piante benefiche (2004), gelato dell’amore (2005), gelato ai liquori (2006) presentate in occasione del Sigep.




Milano, un fine settimana per scoprire tutti i gusti del cioccolato

Broccoli_RICETTA VEGANMilano ospita, fino al 12 febbraio, il più importante evento dedicato al cioccolato e alle sue eccellenze. Il Salon du Chocolat ritorna al MiCo Portello con un programma ricco di novità e di personaggi internazionali che hanno reso questo prodotto famoso. 80 gli espositori (contro i 40 della scorsa edizione),  111 gli eventi e, soprattutto, una crescita del 236% dei biglietti venduti. Ernst Knam, Gualtiero Marchesi, Carlo Cracco, Iginio Massari, Davide Oldani, Davide Comaschi, Andrea Besuschio sono solo alcuni dei nomi dei protagonisti che animeranno i palchi della manifestazione, con show cooking, presentazioni di libri e incontri con il pubblico. Tra gli showcooking, una menzione particolare va a “L’albero dell’amore”, un happening artistico, in programma sabato, alle 11. Durante questo intervento, lo Chef Knam realizzerà un vero e proprio quadro con tecniche diverse, tra cui l’applicazione di cioccolato, la spennellatura, lo spruzzo con aerografo e pistola e la tecnica “dripping”, resa nota dall’artista Jackson Pollock. Verranno inoltre applicati degli stencil, realizzati in pasta frolla al cioccolato, che saranno poi distribuiti al pubblico dopo la finalizzazione dell’opera. Alle 19.15 il Salon du Chocolat di Milano presenterà la “Chocolate Gallery” una sfavillante sfilata di abiti in cioccolato firmati dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani (AMPI) realizzati in collaborazione con 12 stilisti internazionali, studenti della NABA-Nuova Accademia di Belle Arti Milano.

Quest’anno al Salon du Chocolat saranno presenti i due paesi principali produttori di cacao, il Perù e il Camerum, con stand informativi e didattici e una selezione dei loro prodotti. Inoltre ci sarà il “Villaggio Bean to Bar”, uno spazio a cura di Fermento Cacao. Il “From Bean to Bar” è il modo di dire nel mondo che racconta come si produce il cioccolato, dal seme di cacao alla trasformazione e lavorazione in tavoletta. All’interno di quest’area saranno presenti i protagonisti delle piantagioni dei diversi paesi produttori che spiegheranno le qualità, l’attenzione e la lavorazione della materia prima che permettono la trasformazione del cacao in cioccolato. Presso l’area ChocoFocus a cura di Compagnia del Cioccolato, Gilberto Mora farà degustare diverse tipologie di cioccolato in percorsi esperienziali suddivisi in 5 incontri al giorno e domenica 12 febbraio sul palco centrale consegnerà il premio Tavoletta d’Oro, gli oscar al cioccolato italiano di qualità.

Per festeggiare San Valentino la Chocolate Academy Milano realizzerà il Giardino dell’Amore; il luogo migliore dove suggellare il proprio sentimento con uno scatto fotografico professionale e gustare un gelato al cioccolato offerto dai grandi gelatai della prima accademia italiana dedicata al cioccolato. Per la prima volta al Salon du Chocolat ci sarà anche uno spazio tutto dedicato al mondo vegan con la partecipazione di Ghita Academy dello chef Simone Salvini, che nasce nel contesto più ampio della Funny Veg Academy, scuola di cucina vegetale. In calendario tre show cooking dedicati alla cucina vegana, a cura di Stefano Broccoli, di Giuseppe Tortorella e dello stesso Simone Salvini. Un focus innovativo è dedicato alla cucina Raw con l’esperta Emanuela Caorsi che dedicherà una ricetta crudista, in cui il valore nutrizionale dei singoli ingredienti, non cucinati ma solo assemblati, viene conservato interamente. L’Associazione Maestro Martino, presieduta da Carlo Cracco metterà alla prova alcuni dei suoi talenti più noti come Paolo Griffa, Lorenzo Lavezzari, Andrea Provenzani. Sabato alle ore 15.00 lo stesso chef Carlo Cracco presenterà al pubblico presente il suo ultimo libro “È nato prima l’uovo o la farina?”, dopo l’incontro, l’autore sarà disponibile a firmare le copie. Il cioccolato è un alimento sano e se consumato in maniera corretta può essere considerato un SuperFood. Per questo motivo è importante spiegarne alle famiglie e ai bambini tutti i segreti.

www.salonduchocolat.it




Olio extravergine d’oliva, ecco gli errori più comuni a tavola

olio oliva - genericaSe un tempo era il vino a dover essere studiato da enologi e giudicato dai sommelier in base alle caratteristiche organolettiche, oggi è l’olio extra vergine di oliva a richiedere un’accurata selezione, per esaltare tutte le sue proprietà. Ma gli italiani lo conoscono veramente? Ben il 78% degli abitanti del Bel paese ammette di non saper abbinare l’olio extra vergine di oliva al cibo. “L’oro verde del Mediterraneo” ha un ruolo definito nella cultura culinaria italiana, ma accade che soprattutto a casa, non venga utilizzato nel modo giusto. Come sostiene l’ANAPOO – Associazione Nazionale Assaggiatori Professionisti Olio di Oliva – per ogni tipologia di alimenti corrispondono determinati oli che ne esaltano la qualità. Dalla Sicilia, alla Puglia fino all’Umbria, l’Italia rappresenta da sempre uno dei massimi produttori d’olio extra vergine di oliva. Secondo la mitologia, fu Atena a piantare il primo ulivo sulla Terra, albero che per millenni avrebbe dato con i suoi frutti un succo adatto alla preparazione di cibi, alla cura del corpo e alla guarigione delle malattie. Ma quali sono gli errori più comuni che fanno gli italiani con questo prodotto? Utilizzare sempre lo stesso tipo di olio (82%) e pensare che l’olio amaro sia di cattiva qualità (76%). È quanto emerge da uno studio condotto da Casa Coricelli, l’osservatorio sulle tendenze nel mondo dell’olio, condotto mediante la metodologia WOA (Web Opinion Analysis) su circa 2500 italiani e su panel di 80 esperti tra cui chef e assaggiatori professionisti d’olio, attraverso un monitoraggio online sui principali social network, blog, forum e community dedicate al settore per capire che rapporto hanno gli italiani con l’olio.

“Nella cultura culinaria italiana l’olio extra vergine di oliva è molto importante, perché esalta i sapori e completa tutti i nostri piatti – afferma Marina Solinas, assaggiatrice professionista di una delle più importanti organizzazioni di settore. Può essere utilizzato sia in cottura, perché non copre i sapori, ma soprattutto a crudo, perché esalta le verdure come l’insalata, ma anche la zuppa di legumi, la carne e il pesce grigliati. L’utilizzo a crudo alla fine di una cottura serve per esaltare il piatto ed è importantissimo utilizzare l’olio giusto. In cottura non deve mai essere utilizzato ad altissime temperature, per non raggiungere il punto di fumo. È una regola generale. Lo studio e la cultura dell’olio extra vergine di oliva sono molto importanti e non devono essere trascurati. Dagli Stati Uniti al Canada fino a Cile, Taiwan e Giappone ogni anno le Organizzazioni finalizzate alla formazione di assaggiatori ricevono tantissime persone che arrivano da tutto il mondo per studiare le caratteristiche di questo prodotto. Possiamo dire che la cultura dell’olio è diventata internazionale”.

Ma gli italiani conoscono effettivamente l’olio di oliva? Il 78% gli italiani non sa distinguere tra le varie tipologie di olio extra vergine di oliva disponibili sul mercato. Se non fosse per l’etichetta, che molti non guardano, le differenze che caratterizzano un olio rispetto all’altro non verrebbero percepite da quasi nessuno. Ben il 65% pensa che l’olio extra vergine venga ottenuto da una semplice spremitura, mentre la maggior parte subisce dei processi attenti e accurati non solo di filtrazione, ma soprattutto di combinazione tra varie tipologie di extra vergine al fine di creare la “ricetta” scelta.  Infine il 48% degli italiani non conosce l’effetto negativo della luce e del calore sull’olio. Per questo molte volte lo tengono a breve distanza dal piano cottura, rovinando in parte il prodotto.

Ma quali sono i principali errori che commettono? L’errore più comune è quello di utilizzare sempre lo stesso tipo d’olio (82%). In cottura per saltare le patate, a crudo sull’insalata, sulla carne rossa o sul pollame, utilizzare l’olio sbagliato rischia di rovinare un prodotto di qualità se usato in cottura, e rischia di essere sprecato se leggero e abbinato a gusti forti. Un altro grave errore degli italiani è pensare che un olio amaro sia cattivo (76%), perché ritenuto sgradevole al palato. Al contrario l’olio extra vergine amaro è indice di qualità e personalità. Pensare che l’olio extra vergine di oliva non faccia bene, perché troppo grasso (65%) è un altro degli errori più comuni. L’olio infatti è un grasso allo stato puro, per cui non esistono oli leggeri e oli pesanti nel senso calorico del termine: ogni olio sviluppa 900Kcal per 100gr di prodotto. Ma l’olio di oliva, rispetto ad un olio di semi ad esempio, oltre ad essere nutriente, è salutare e naturale. viene spremuto meccanicamente e quando esce dal percorso estrattivo è “vivo”, è praticamente un succo di frutta. Il suo effetto sul nostro corpo è totalmente benefico.

Ma quali sono i trucchi per conservare perfettamente l’olio extra vergine di oliva? Per il 78% degli esperti l’aspetto più importante è il contenitore, che deve essere in vetro scuro. Nella conservazione dell’olio d’oliva il problema principale è l’irrancidimento, dovuto alle reazioni di degradazione ossidativa.  Per questo motivo si sono affermate le bottiglie in vetro scuro, perché capaci di schermare in parte gli effetti negativi della luce. Al secondo posto, per mantenere inalterata la qualità del prodotto, è fondamentale tenerlo alla larga da fonti di luce (75%), perché accelera le reazioni di degradazione ossidativa e allo stesso tempo da fonti di calore (72%). L’olio extra vergine d’oliva va conservato in luoghi freschi e asciutti, in ambienti con escursioni termiche non eccessive (con temperatura compresa tra i 15 e i 20°C). In questa situazione la qualità del prodotto resta integra.

I consigli degli esperti

Olio extra vergine di oliva fruttato leggero, dolce

E’ un olio equilibrato, come ad esempio l’olio ligure, fruttato, ma dolce. Si può abbinare a qualsiasi tipo di pesce dal sapore delicato.

Olio extra vergine di oliva fruttato medio

Se andiamo sulla carne bianca andiamo su un medio fruttato, non qualcosa di troppo amaro, però utilizziamo un olio a metà di questa scala. Si può usare anche sul pesce, ma magari più saporito come salmone, cernia, oppure del formaggio come le caciotte. Può essere legato anche ai dolci, come la cioccolata fondente.

Olio extra vergine di oliva fruttato intenso, amaro

Se saliamo ancora con il fruttato possiamo pensare ad una zuppa di legumi o a della carne rossa grigliata. La fiorentina si abbina perfettamente con un olio pugliese. Se utilizziamo un tipico olio ligure il suo sapore si spegne: sarebbe uno spreco. Se invece utilizziamo un olio più fruttato e più amaro, che non è mai da considerarsi un difetto, anzi è molto più salubre, allora va bene sulle carni rosse.

Olio extra vergine di oliva fruttato aromatico

Ideale per i primi piatti: si tratta di un olio particolare, tipo l’olio siciliano, con un fruttato aromatico e mediamente tendente all’amaro. Quello più dolce sarebbe sprecato perché non si sentirebbe. Se ci sono le verdure nel piatto serve qualcosa di più aromatico, con più profumo che possa valorizzarle.

 




Marron glacé, uno su due in Europa è made in Bergamo

marron glace italcanditiBergamo patria dei marron glacé? Ebbene sì! La metà delle preziose e golosissime castagne glassate consumate ogni anno in Europa, ossia 700 tonnellate, viene prodotta a Pedrengo dalla Italcanditi Vitalfood, come si legge in un’ampia intervista al fondatore, Angelo Goffi, realizzata dalla rivista Città dei Mille. il prodotto è uno dei fiori all’occhiello della storica azienda, nata nel 1963 dall’esperienza nel laboratorio artigianale del padre Alfredo, fin al 1945 specializzato nei marron glacé, nella frutta candita e nelle confetture e oggi leader a livello europeo nella produzione di confetture, creme, frutta candita, preparati per yogurt, verdure stabilizzate, creme salate e salse.

Il dominio nel settore dei marron glacé si deve «ai prezzi prezzi più concorrenziali sul mercato – ha spiegato il titolare nell’intervista -, ovvero agli investimenti tecnologici nell’impiantistica della produzione». Si parte da castagne attentamente selezionate, che vengono pelate a vapore e lavorate artigianalmente per conservarne sapore, fragranza e morbidezza, utilizzando tecnologie produttive avanzatissime, unite ad un severo controllo sulla qualità e sulla rispondenza ai più elevati standard di igiene.

L’innovazione dei processi produttivi e gli investimenti in ricerca e sviluppo sono, del resto, nel Dna dell’azienda, che ha una produzione complessiva di 60mila tonnellate, 400 dipendenti, un fatturato di 100 milioni di euro ed esporta in cinquanta Paesi nel mondo.

Un punto di forza è rappresentato anche dalle politiche energetiche e di tutela dell’ambiente, in primis dagli impianti fotovoltaico e a biogas, ricavato dall’impianto di depurazione delle acque reflue dello stabilimento.




Settimana della Birra Artigianale, aperte le adesioni all’evento nazionale

birra artigianale - da Settimana della birra artigianaleSono ufficialmente aperte le adesioni alla Settimana della Birra Artigianale 2017 che ritorna, per il settimo anno consecutivo, da lunedì 6 a domenica 12 marzo coinvolgendo birrifici e locali di tutta Italia. L’evento prevede sette giorni di iniziative dedicate alla birra artigianale di qualità: degustazioni, promozioni, cene con abbinamenti, visite a birrifici, presentazioni di nuove birre, mini festival e molto altro ancora.

Protagonisti sono tutti i soggetti che quotidianamente lavorano con i prodotti dei microbirrifici italiani e stranieri. La partecipazione è gratuita. Chiunque proponga o promuova la birra artigianale può aderire: quindi non solo pub e birrifici, ma anche beershop, ristoranti, bistrot, enoteche, associazioni di settore, siti di e-commerce. Chi aderisce dovrà lanciare almeno una promozione oppure organizzare almeno un evento dedicato alla birra di qualità nei sette giorni della manifestazione. L’adesione può essere effettuata online sul sito www.settimanadellabirra.it.

La Settimana della Birra Artigianale è un’idea del blogzine Cronache di Birra (www.cronachedibirra.it) nata con la finalità di sostenere un settore in forte ascesa. La manifestazione si rivolge sia agli appassionati sia ai semplici curiosi e in generale a chiunque voglia sfruttare l’occasione per conoscere meglio le creazioni dei produttori artigianali. Dopo l’edizione record dello scorso anno – che ha contato 791 aderenti per 616 eventi e 441 promozioni – l’obiettivo per il 2017 è di raggiungere e superare queste cifre coinvolgendo sempre più persone in una grande festa “diffusa”.

Come è ormai consuetudine, per aprire la manifestazione domenica 5 marzo si svolgerà a Roma un grande evento dedicato a tutti coloro che condividono lo spirito dell’iniziativa, cogliendo l’occasione per svelare in anteprima assoluta tante birre inedite realizzate da altrettanti birrifici italiani: il Ballo delle Debuttanti si terrà alla Luppolo Station, il locale nei pressi della Stazione Trastevere.

 




Osio Sotto, il ristorante “La Braseria” diventa anche macelleria

Lo chef Luca Brasi
Lo chef Luca Brasi

Raccogliendo la sfida di una proposta gastronomica quanto più al passo con i tempi, cioè versatile e personalizzata, ma sempre condotta sotto l’insegna della qualità, la Braseria di Osio Sotto ha inaugurato la nuova macelleria – posta all’ingresso della sala del ristorante – dove proporre alla clientela l’acquisto delle sue carni pregiate. Chianina,  Blonde d’Aquitaine, Fassona, Aberdeen Angus, 100% Wagyu, Scottona Bavarese: queste le pregiate razze bovine, che rappresentano il fiore all’occhiello delle carni servite al ristorante e che da oggi sono in vendita alla Braseria. Si tratta di carni che provengono da allevamenti prevalentemente biologici, con capi allevati al 90% in Italia e carni fatte frollare per un minimo di 60 giorni direttamente nelle due grandi celle frigorifere, che rappresentano l’indimenticabile biglietto da visita della Braseria. Di queste carni in vendita saranno disponibili i tagli più prestigiosi: tra i quali la Costata, la bistecca Fiorentina, il Filetto e il Controfiletto. Ad ampliare l’offerta, lo chef Luca Brasi – cuoco già insignito della stella Michelin con La Lucanda– propone numerosi piatti che verranno da lui cucinati e che saranno disponibili attraverso un servizio d’asporto in grado di restituire nelle case, in famiglia o tra amici, tutto il sapore di quei piatti di carne che hanno reso celebre il suo ristorante. Disponibili in pratiche confezioni sottovuoto, la Fracosta di Wagyu laccato, il Reale di Fassone all’extravergine di oliva, l’Ossobuco in gremolada, la celebre Tartare della Braseria rigorosamente battuta al coltello. Oltre al Bollito misto che si cucina su prenotazione e insieme a tanti altri piatti proposti a rotazione o cucinati su richiesta del cliente.

 

Macelleria BraseriaAnche i salumi di qualità costituiscono una delle novità dell’offerta della Macelleria della Braseria. Tra questi la bresaola di Wagyu, il Prosciutto Crudo di Marco d’Oggiono, il Salame Nostrano Bergamasco (e a completare il tutto anche gli eccellenti formaggi Fantino). La Macelleria della Braseria è aperta tutti i giorni – 7 giorni su 7 – all’interno del ristorante. Ed è a disposizione dei clienti con orari quantomai flessibili: dalle 9 alle 14.30. E dalle 17.30 alle 23.00. Mentre solo il sabato dalle 16 alle 23. I cuochi della Braseria, sempre presenti, presiederanno le operazioni di taglio e raccoglieranno le ordinazioni dei clienti. Illustreranno i piatti disponibili e le novità che costantemente ampliano la carta della cucina d’asporto; e al tempo stesso sono disponibili per realizzare i desideri dal cliente.  «Voglio cucinare i piatti che amo e che fanno parte della nostra storia e tradizione – dichiara lo chef Luca Brasi –  ma che difficilmente oggi si riescono ancora a preparare a casa. Si tratta di piatti che necessitano di cotture lunghe o di un impegno forse eccessivo per i nostri tempi frenetici. Ma proprio per questo un vero bollito o un buon brasato riescono ancora a scaldare il cuore. Credo nelle carni che seleziono, conosco l’intera filiera produttiva e intendo offrire a ogni cliente curioso, ma soprattutto goloso, quella gioia che provo io stesso a casa, quando con la mia famiglia gusto una carne eccezionale cucinata come si deve».

La Braseria

Tel: 035.808692

info@la-braseria.com

via Risorgimento 17

Osio Sotto (Bergamo)