Vini e bevande, per Quattroerre 35 anni da protagonista

Gennaio 1982 – gennaio 2017. Per la 4R di Torre de’ Roveri 35 anni da protagonista nella distribuzione di vino, birra e bevande.

Hanno cominciato giovanissimi, i quattro fratelli Rota – Maurizio, Giampietro, Enrico e Luca -, saldamente uniti in un progetto che ha trovato la propria ispirazione nell’esempio e nel lavoro del padre. Un prezioso modello di riferimento che ha fatto il paio con la visione che le nuove generazioni portano con sé e che li ha spinti a trasformare la fiaschetteria dei genitori in un’azienda organizzata, dedita a più servizi per la ristorazione.

Le tappe importanti che hanno costellato il cammino della 4R sono molte. La prima, forse tra le più lungimiranti, fu quella di iniziare a mettere il vino sfuso in contenitori d’acciaio. L’ultima, forse quella più audace, diventare protagonisti nella produzione della birra artigianale tramite il Birrificio Otus di Seriate.

Su tutto una serie di valori non negoziabili: professionalità, rispetto per il cliente e massimo sostegno all’educazione enogastronomica. Senza dimenticare un concetto che i fratelli Rota ribadiscono ad ogni occasione utile: credere nel proprio lavoro e, soprattutto, credere nella cultura del lavoro.

Quattroerre

via Marconi, 1
Torre de’ Roveri
tel. 035 580701
www.quattroerre.com

La storia in dieci immagini




Birre artigianali, a Pisogne debutta un nuovo festival

camunia-beer-festival-300x200Un nuovo evento dedicato alla birra artigianale debutta a Pisogne, alto lago d’Iseo, sponda bresciana. Si chiama Camunia beer Festival e oltre a numerose tipologie di birra propone street food ed eventi per adulti e bambini.

È in programma da venerdì 27 a domenica 29 gennaio nelle sale del Seicento di Villa Damioli, sulla piazza principale. Per tre giorni si potranno incontrare birrifici artigianali di qualità e degustare le loro produzioni, accompagnate da cibo di strada nei cortili della villa. Come in un ricevimento esclusivo, ci si potrà spostare di sala in sala e assaggiare birre differenti: bionde, rosse, le nere stout, le amarissime (e molto alla moda) Ipa ed altro ancora.

L’ingresso è gratuito. Per degustare la birra si devono acquistare i gettoni (con un euro si ha un gettone che vale 10 cl di birra). Sono previsti un’area bimbi e iniziative legate al tema birra.

villa damioli pisogneLa partecipazione al Festival può essere l’occasione anche per visitare la chiesa di Santa Maria della Neve (XV secolo) che ospita un magnifico ciclo di affreschi di Girolamo Romanino. La manifestazione è organizzata da Vitamina C e ha il patrocinio del Comune e della Proloco di Pisogne.

Venerdì 27 e sabato 28 l’apertura è dalle 11 alle 24, domenica dalle 11 alle 22. 

 




Latte: è ufficiale, via libera all’etichetta Made in Italy

latte italianoStorico via libera all’indicazione di origine obbligatoria per il latte e i prodotti lattiero-caseari che pone finalmente fine all’inganno del falso Made in Italy con tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia che sono stranieri, cosi come la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall’estero, senza che questo sia stato fino ad ora riportato in etichetta. E’ quanto afferma il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nell’annunciare la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n.15 del 19 gennaio 2017 del decreto “Indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattieri caseari, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011 firmato dai ministri delle Politiche Agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Un provvedimento – sottolinea Moncalvo – fortemente sostenuto dalla Coldiretti che rappresenta un importante segnale di cambiamento a livello nazionale e comunitario. Il via libera – continua Moncalvo – risponde alle esigenze di trasparenza degli italiani che secondo la consultazione pubblica online del Ministero delle politiche agricole, in più di 9 casi su 10, considerano molto importante che l’etichetta riporti il Paese d’origine del latte fresco (95%) e dei prodotti lattiero-caseari quali yogurt e formaggi (90,84%), mentre per oltre il 76% lo è per il latte a lunga conservazione.

Il provvedimento riguarda – sottolinea la Coldiretti – l’indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari e prevede l’utilizzo in etichetta delle seguenti diciture:

  1. a) “Paese di mungitura”: nome del Paese nel quale è stato munto il latte;
  2. b) “Paese di condizionamento o di trasformazione”: nome del Paese nel quale il latte è stato condizionato o trasformato.

Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari sia stato munto, condizionato o trasformato, nello stesso Paese, l’indicazione di origine può essere assolta con l’utilizzo della seguente dicitura: “origine del latte”: nome del Paese. Se invece le operazioni indicate avvengono nel territorio di più Paesi membri dell’Unione europea, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata, possono essere utilizzate – precisa la Coldiretti – le seguenti diciture: “latte di Paesi UE” per l’operazione di mungitura, “latte condizionato o trasformato in Paesi UE” per l’operazione di condizionamento o di trasformazione. Infine qualora le operazioni avvengano nel territorio di piu’ Paesi situati al di fuori dell’Unione europea, per indicare il luogo in cui ciascuna singola operazione è stata effettuata, possono essere utilizzate le seguenti diciture: «latte di Paesi non UE» per l’operazione di mungitura, «latte condizionato o trasformato in Paesi non UE» per l’operazione di condizionamento o di trasformazione. Per le violazioni si applicano le sanzioni di cui all’art. 4, comma 10, della legge 3/2/2011, n. 4. Il provvedimento è scaturito dalla guerra del latte scatenata lo scorso danno dalla Coldiretti contro le speculazioni insostenibili sui prezzi alla stalla e sta portando ad un sostanziale aumento dei compensi riconosciuti agli allevatori senza oneri per i consumatori. 1,7 milioni di mucche da latte presenti in Italia ma anche pecore e capre possono finalmente mettere la firma sulla propria produzione di latte, burro, formaggi e yogurt che – sottolinea la Coldiretti – è garantita da livelli di sicurezza e qualità superiore grazie al sistema di controlli realizzato dalla rete di veterinari più estesa d’Europa, ma anche ai primati conquistati a livello comunitario con la leadership europea con 49 formaggi a denominazione di origine realizzati sulla base di specifici disciplinari di produzione. L’obbligo di indicare l’origine in etichetta – continua la Coldiretti – salva dall’omologazione l’identità di ben 487 diversi tipi di formaggi tradizionali censiti a livello regionale territoriale e tutelati perché realizzati secondo regole tramandate da generazioni che permettono anche di sostenere la straordinaria biodiversità delle razza bovine allevate a livello nazionale.

Il provvedimento entrerà in vigore pienamente dopo novanta giorni dalla pubblicazione avvenuta il 19 gennaio anche se sarà possibile, per un periodo non superiore a 180 giorni, smaltire le scorte delle confezioni con il sistema di etichettatura precedente. L’obbligo di indicare in etichetta l’origine è una battaglia storica della Coldiretti che con la raccolta di un milione di firme alla legge di iniziativa popolare ha portato all’approvazione della legge n.204 del 3 agosto 2004. Da allora molti risultati sono stati ottenuti anche in Europa ma – continua la Coldiretti – l’etichetta resta anonima per circa 1/3 della spesa dai salumi ai succhi di frutta, dalla pasta al latte a lunga conservazione, dal concentrato di pomodoro ai sughi pronti fino alla carne di coniglio.  Due prosciutti su tre venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche un pacco di pasta su tre è fatto con grano straniero senza indicazione in etichetta, come pure i succhi di frutta o il concentrato di pomodoro dalla Cina i cui arrivi sono aumentati del 379% nel 2015 per un totale di 67 milioni di chili, secondo la Coldiretti. L’Italia sotto il pressing della Coldiretti ha fatto scattare il 7 giugno 2005 l’obbligo di indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco e il 17 ottobre 2005 l’obbligo di etichetta per il pollo Made in Italy mentre a partire dal 1° gennaio 2008 l’obbligo di etichettatura di origine per la passata di pomodoro. A livello comunitario – continua la Coldiretti – il percorso di trasparenza è iniziato dalla carne bovina dopo l’emergenza mucca pazza nel 2002, mentre dal 2003 è d’obbligo indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca. Dal primo gennaio 2004 c’è il codice di identificazione per le uova e, a partire dal primo agosto 2004, l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto. Il prossimo passo – conclude la Coldiretti – è l’entrata in vigore dell’obbligo di indicare l’origine del grano impiegato nella pasta come previsto nello schema di decreto che introduce l’indicazione obbligatoria dell’origine del grano impiegato nella pasta condiviso dai Ministri delle Politiche agricole Maurizio Martina e dello Sviluppo Economico Carlo Calenda e già inviato alla Commissione Europea.

 




Olio d’oliva, quattro incontri per conoscerlo e degustarlo

OLIO OLIVAQuattro incontri, di giovedì, per saperne di più sull’olio di oliva e imparare a degustarlo. Li organizza la Comunità montana dei laghi bergamaschi dal 19 gennaio al 9 febbraio nell’ambito dei “Laboratori del saper coltivare”.

Le serate, tenute Marco Antonucci – assaggiatore professionista, iscritto nell’elenco nazionale dei tecnici ed esperti in oli extravergini e vergini d’oliva del Mipaf con qualifica di capopanel internazionale nonché coordinatore dell’International Oil Expert Association – hanno carattere tecnico/pratico. Oltre ad approfondire i principali aspetti produttivi, passeranno in rassegna diversi tipi di oli, valutandone pregi e difetti, dando poi spazio a suggerimenti per eliminare errori di produzione.

Gli appuntamenti si tengono nelle sedie della Comunità montana di Lovere, Casazza e Villongo. Sono aperti a tutti e l’entrata è libera.

Il calendario

Giovedì 19 gennaio – ore 20.30

Lovere, via del Cantiere 4

“L’olio del frantoio è sempre extravergine?”

Giovedì 26 gennaio – ore 20.30

Casazza, via Don Zinetti 1

“L’olio del frantoio è sempre extravergine?”

Giovedì 2 febbraio – ore 20.30

Villongo, via Roma 35

“L’olio del frantoio è sempre extravergine?”

Giovedì 9 febbraio – ore 20.30

Villongo, via Roma 35

“La resa, le piante, i costi, i frantoi, i contenitori, gli errori… Parliamone”




Olio d’oliva, ma come si fa a capire quando è buono?

olio oliva - generica

È su tutte le nostre tavole, ma siamo in grado di stabilire se un olio d’oliva è buono o scadente? E, non meno importante, lo conserviamo nel modo giusto? Perché la dicitura “olio extravergine di oliva” da sola non garantisce che siamo di fronte a un olio di qualità.

Marco Antonucci - olio (1)
Marco Antonucci

Con l’aiuto di Marco Antonucci, da molti anni impegnato a livello internazionale nella diffusione della cultura dell’extravergine e dell’analisi sensoriale attraverso seminari, corsi, incontri, guide, articoli e pubblicazioni di carattere sia divulgativo che universitario, abbiamo realizzato un vademecum fatto di piccoli trucchi che vi aiuteranno a riconoscere un olio buono da uno che non lo è. E a conservarlo in modo corretto. Tanto per iniziare, sfatiamo subito una convinzione diffusa: il colore non è importante.

Leggere con attenzione l’etichetta

Il primo consiglio è leggere bene l’etichetta. Più informazioni sono riportate, più chiare sono, e più possiamo fidarci del prodotto. L’indicazione Igp o Dop, che garantisce che l’olio è di una determinata area, e il marchio di consorzi locali possono essere buoni indici di qualità, oltre a tutte le indicazioni di legge.

È importante verificare anche la provenienza delle olive: non c’è una regione di provenienza migliore dell’altra, ma esistono tecniche virtuose di gestione dell’oliveto, raccolta, trasformazione e conservazione che permettono di avere un olio di qualità. Se le olive sono lavorate in frantoio aziendale, ad esempio, è una garanzia in più (il frantoio aziendale consente la lavorazione delle olive dopo poche ore dalla raccolta, conferendo agli oli alti valori nutrizionali). Altre informazioni importanti sono i dati del confezionatore (se non è lo stesso produttore), il numero del lotto (che facilita la rintracciabilità), il contenuto in acido oleico, di polifenoli, di vitamina A, D ed E. La trasparenza informativa tra produttore e consumatore è un elemento decisivo nel mercato di oggi. Il consiglio di Coldiretti è di guardare anche la data di scadenza e preferire l’extravergine nuovo guardando l’annata di produzione che molti indicano volontariamente in etichetta.

«Da qualche anno c’è scritto se l’olio è comunitario o non comunitario – dice Antonucci -. L’indicazione da cercare è “prodotto e confezionato da”. È questa “e” a fare la differenza. Anche la scritta “olio italiano al 100%” va benissimo ed è garanzia di qualità. Al contrario, la scritta “olio proveniente da Comunità europea” deve far pensare che l’olio può essere spagnolo o greco. Se è riportato anche l’anno di raccolta è un altro segno di qualità. Se non c’è scritto, è facile che nella bottiglia siano presenti anche oli di altri anni». «Il colore, invece, non va considerato – aggiunge – non dà né gusto né profumo».

olive - generica 2
Il profumo deve ricordare l’oliva

Quello che leggiamo in etichetta non basta a garantire la qualità. È importante anche valutare la componente olfattiva. L’olio deve avere un profumo che ricorda l’oliva, perché alla fine non è altro che una spremuta di olive (in gergo si dice che l’olio deve avere un “fruttato maggiore di zero”). Sembra una banalità scriverlo, però è utile e da tenere sempre a mente. Se profuma di erba appena tagliata, di pomodoro, carciofo, mela o mandorla, siamo in presenza di un buon prodotto.

Deve avere un gusto amaro e piccante

«L’olio è come il vino, per capire se è buono va assaggiato – spiega Antonucci -. Se all’assaggio si nota una sensazione di amaro in bocca, leggermente tendente al piccante in gola, allora l’olio è buono». Amaro e piccante, insieme al fruttato, sono i tre pregi che un buon olio extravergine deve avere e garantiscono anche le proprietà salutistiche del prodotto: alcuni composti nobili dell’olio come l’oleuropeina e l’oleocantale (l’uno antinfiammatorio, l’altro antiossidante potentissimo) garantiscono la loro presenza nel prodotto proprio attraverso il gusto, il primo di amaro e il secondo di piccante. Per assaporare bene l’olio lo si tiene su palato e lingua almeno 20 secondi, quindi si deglutisce.

olio oliva - bottiglietta paneNon deve essere rancido né acido

Uno dei difetti più comuni dell’olio è il “rancido”, dovuto all’invecchiamento dell’olio che è causato dalla luce, dal calore o dall’ossidazione (come sapore e odore assomiglia al grasso del prosciutto crudo lasciato una giornata al caldo a contatto con l’aria). «Per bene che lo si conservi, a un certo punto muore, come il burro – spiega Antonucci -. Dipende da come è conservato, ma in generale la durata media di un olio è un paio di anni».

Un altro difetto è la fermentazione. «Le olive si raccolgono la mattina e si portano al frantoio il pomeriggio. Se si lascia passare più tempo e le olive vengono ammassate in ambienti poco aerati e umidi, fermentano. In questo caso l’olio assume un leggero odore di aceto». In generale, se si percepiscono odori che richiamano verdure o frutti passati o peggio ancora l’odore della salamoia o di rancido, è segno che il prodotto è scadente e forse non è nemmeno extravergine.

Non deve avere il fondo

«Un terzo difetto che può avere l’olio è di presentare il fondo. «Come per il vino, anche per l’olio, la bottiglia non deve avere il fondo. Se l’olio è novello va bene, ma va consumato subito. In generale però è sempre bene filtrare l’olio ed evitare di acquistare oli che presentano uno strato sul fondo della bottiglia», consiglia Antonucci.

Non può costare meno di 12 euro

«Il detto “costa poco, vale poco” nel caso dell’olio d’oliva va tenuto sempre a mente. Bisogna diffidare degli oli a prezzi bassi. Un buon olio extravergine di oliva, lavorato con metodi artigianali e di qualità, deve avere un costo minimo di 12 euro al litro. Se il prezzo è più basso, quasi di sicuro la sua qualità non è eccellente ed è composto da un mix di oli provenienti da Paesi europei ed extra-europei, non soltanto da olio extravergine di provenienza italiana. La cosa migliore è acquistare l’olio direttamente dal produttore, sia per risparmiare accorciando la filiera, sia per avere la possibilità di assaggiare il prodotto prima dell’acquisto e per verificare personalmente come avviene la produzione».

Va conservato come il vino

Una volta acquistato un buon olio extravergine, è importante conservarlo nel modo corretto. «L’olio è più delicato del vino. La prima accortezza è evitare di sottoporlo a temperature elevate e dividere la damigiana in tante bottiglie. Se lo acquisto in Puglia in damigiane e lo metto nel baule dell’auto a una temperatura di 40 gradi e poi, arrivato a casa, lo ripongo in cantina lo uccido». Anche la conservazione in casa richiede alcune attenzioni. «Molti conservano male l’olio – avverte Antonucci -. La bottiglia deve essere riposta lontano dai fornelli e al buio, a una temperatura tra gli 11 e i 16 gradi, altrimenti si guasta. Inoltre quando si apre una bottiglia bisogna richiuderla subito, cosa che non si fa di solito. A differenza del vino, infatti, l’olio non ha conservanti quindi se si lascia aperto si ossida. Infine, quando la bottiglia è finita la si deve buttare perché sulle pareti si forma dell’olio ossidato». «Se si conserva l’olio come il vino non si hanno problemi» garantisce l’esperto.




L’inno alla “ciccia” del macellaio-poeta

Dario Cecchini
Dario Cecchini

In tempi in cui della carne si preferisce avere la visione più distante possibile dall’animale – in forma di fettine o arrosti, belli e pronti da mettere in padella – Dario Cecchini, il macellaio di Panzano in Chianti che ha reso il suo negozio una meta turistica internazionale, fa l’esatto contrario e trasforma in uno show (riuscitissimo!) niente meno che il sezionamento e il taglio di una mezzena di manzo.

È stato lui l’ospite della cena degli auguri dell’Associazione cuochi bergamaschi, che nell’occasione lo ha nominato socio onorario.

Gesti sicuri, parlata schietta e i versi di Dante a dire che dentro le vene di questo artigiano, erede di una tradizione nella macelleria lunga 250 anni, scorre anche il gusto per la poesia. «L’animale bisogna trattarlo il meglio possibile, dargli cibo buono, una vita lunga e una morte dignitosa, più compassionevole possibile. E per rendergli il giusto onore va usato tutto, dal naso alla coda, perché se la qualità c’è, è dappertutto». È il primo caposaldo del Cecchini-pensiero.

Il secondo, e conseguente, è l’elogio delle parti meno nobili. «La prima ricetta dell’Artusi è il brodo, che, guarda caso, si fa con le ossa, non con il filetto». E che dire della pancia del manzo? «Oggi ci si fanno gli hamburger, ma a me sembra sprecata – evidenzia -, prima ci si facevano bolliti eccezionali».

Sarà che è stato tirato su con gli “scarti” della macelleria di famiglia. «Da piccolo pensavo che la mucca avesse 5 teste, 20 zampe e 4 code – ricorda -. Le bistecche erano per i clienti e alla nonna portavano da cucinare tutto ciò che in bottega non era richiesto. La mia “prima volta” con la bistecca è stata al compimento dei 18 anni: è stato meraviglioso, ma è stato meraviglioso anche tutto quanto avevo mangiato fino ad allora, grazie alla sapienza in cucina della nonna».

Natale del cuoco 2016 -premiazione cecchiniIl giusto incentivo ai cuochi in sala a trasformare con passione e arte anche le parti più difficili. «Anche la gente, che ha sempre visto il manzo come un oggetto misterioso, sta cominciando a capire che la carne non deve essere per forza magra», rassicura Cecchini, che intanto svela un segreto: «Il taglio migliore, quello che i macellai non vendono mai ma che tengono come ricompensa per la famiglia è il “ragno”, un pezzettino brutto e un po’ grasso, con delle nervature a mo’ di ragnatela, da cui il nome». Dalla coscia, farcita di midollo e insaporita con sale e aromi, ha invece ricavato il pezzo forte di Natale della sua macelleria, il brasato al midollo.

Quanto alla bistecca, le regole sono poche ma tassative. «Deve essere alta troppo, grande troppo e bella troppo. Sotto i quattro centimetri è carpaccio – sentenzia – . Va cotta sulla brace otto minuti da un lato, otto dall’altro e otto per in piedi e mangiata nella maniera più primitiva possibile, portando in tavola solo sale e olio».

Con buona pace della fettina.




Il Censis: «Il consumo di carne è minacciato da falsi miti»

carne-piatto-tavola

«Il consumo di carne in Italia non è eccessivo». A dirlo non sono gli allevatori, i macellai o i maestri della bistecca, ma il Censis.

L’autorevole istituto di ricerca ha effettuato nel settembre-ottobre 2016 lo studio “Gli italiani a tavola: cosa sta cambiando”, utilizzando i dati sulla dieta come chiave per raccontare i cambiamenti in atto nella società.

Ne è emerso un vero e proprio allarme sul rischio che l’equilibrio nutrizionale delle famiglie italiane («quella dieta da sempre considerata nel mondo un modello a cui ispirarsi») possa essere compromesso dalla riduzione del consumo di alimenti come carne, pesce, frutta e verdura. Un fenomeno dettato in primo luogo dalla crisi, ma anche dalle «leggende metropolitane proliferanti sul web che demonizzano alcuni suoi alimenti di base (con la carne in testa)».

Tanto per cominciare, il Censis precisa che «i consumi “reali” di carne sono di gran lunga inferiori a quelli “apparenti”, che includono impropriamente anche le parti non edibili dell’animale e sui quali si basano le statistiche ufficiali. Studi scientifici hanno permesso di calcolare il valore reale di consumo stornando il peso delle parti non edibili: nel caso del bovino, tale valore corrisponde a poco più della metà (il 55%) del valore apparente, per un consumo reale pro-capite in Italia che si attesta tra i 10 e gli 11 kg ogni anno, ovvero circa due porzioni alla settimana, una quantità in linea con le raccomandazioni di medici e nutrizionisti».

L’Italia, inoltre, è nella posizione bassa della graduatoria per consumo di carne tra i principali paesi Ue, con 79,1 kg pro-capite all’anno: solo Grecia e Regno Unito, con un consumo rispettivamente di 72,6 e 76,6 kg pro-capite all’anno, si posizionano al di sotto del nostro Paese.

«Mangiare carne – prosegue la ricerca – non è contro la buona nutrizione. Un moderato consumo di carne è previsto dalla dieta mediterranea, considerata la più efficace per migliorare la qualità della vita e prevenire le principali patologie. Le proprietà nutritive della carne sono uniche nel loro genere: contiene proteine nobili, vitamine (tra cui la B12), ferro altamente disponibile. Inoltre, è un alimento ad alta efficienza nutrizionale: a parità di nutrienti, apporta meno calorie rispetto ad altri, riducendo il rischio di sovrappeso».

Mentre viene ridimensionata la pericolosità sulla salute. «Le patologie del benessere – si spiega -, aumentate negli ultimi venticinque anni (sovrappeso e obesità +26,3%, ipertensione +92,9%, diabete +180,3%), spesso sono state erroneamente associate al consumo di carne rossa, il cui consumo negli stessi anni è, invece, diminuito (-29,4%). Rispetto all’allarme lanciato nel 2015 dallo Iarc sulla cancerogenicità della carne rossa, va detto che lo studio si esprime in termini di probabilità, non di certezza, fa riferimento a quantità medie di consumo di carne molto al di sopra delle quantità effettivamente consumate in Italia e si riferisce principalmente a carne e prodotti per composizione (grasso, ingredienti, ecc.) differenti da quelli regolarmente consumati nel nostro Paese. Infine, lega il consumo eccessivo di carne rossa non alla possibilità di sviluppare il cancro, ma al possibile aumento del rischio relativo di ogni individuo di svilupparlo (rischio legato a una molteplicità di fattori individuali, comportamentali e ambientali, quindi non solo ad un unico fattore)».

MACELLAISenza dimenticare che la carne italiana è controllata. «Il modello italiano di controllo e di tracciabilità delle carni è un’eccellenza a livello mondiale – ricorda il documento – e garantisce ai livelli massimi possibili l’assenza nelle carni di residui di sostanze vietate o oltre i limiti consentiti, come testimoniano i periodici controlli ministeriali che attestano una presenza di residui nelle carni pari ad appena lo 0,2% (Piano Nazionale Residui)».

Sfatata anche l’idea che la carne sia un alimento grasso, quindi con conseguenze negative sulla salute, «poiché, grazie a tecniche di allevamento, selezione della specie e dieta degli animali, si è nel tempo modificata la sua composizione lipidica, riducendo il grasso totale fino al 50% e la percentuale di acidi grassi saturi».

E rispedite al mittente pure le obiezioni sui costi ambientali troppo alti. «La filiera della carne in Italia è estremamente efficiente e virtuosa: incarna un modello di economia circolare, con riciclo e minimizzazione di scarti e rifiuti, che sono più che dimezzati rispetto alla filiera di frutta e verdura e quasi la metà di quella dei cereali.
Evidenze scientifiche mostrano che l’impatto sull’ambiente della produzione di carne, se calcolato sulla base della frequenza di consumo secondo le raccomandazioni, è allineato con quello di altri alimenti, consumati con maggiore frequenza e in maggiori quantità. Se assunti nelle giuste quantità, le varie categorie alimentari hanno, quindi, un peso ambientale molto simile. L’Italia, oltretutto, grazie alla combinazione di allevamenti estensivi e intensivi, ha una produzione di carne bovina a più basso impatto sul consumo di acqua (11.500 litri necessari per kg) rispetto alla media mondiale (15.400 litri): per la maggior parte (10.000 litri) si tratta di acqua piovana, fonte rinnovabile e sostenibile».




Formaggi bergamaschi, chi è in… forma e chi un po’ meno

Tempo di bilanci per il mondo caseario, massima espressione economica a livello provinciale. Sulla soglia, infatti, di un anno decisivo (si spera) per il salto di qualità dell’agroalimentare bergamasco, con il Progetto Erg 2017 che renderà il nostro territorio (insieme ad altri tre della Lombardia Orientale: Brescia, Cremona e Mantova) il baricentro europeo della gastronomia, è bene capire lo stato di forma di alcuni dei nostri “campioni”, anche tenendo presente che uno dei biglietti da visita più autorevoli che presenteremo al Vecchio Continente sarà proprio l’invidiabile primato nazionale delle Dop casearie (ben nove). Forniamo quindi qualche valutazione dei prodotti, ma anche dei personaggi, locali e iniziative che più si sono messe in mostra nel 2016 appena concluso.

Taleggio

taleggioLa corazzata avanza, anche se dal punto di vista dei numeri (qualcosa in meno sul fronte vendite rispetto al passato) e promozionale c’è stata qualche battuta a vuoto unita all’inspiegabile congedo dello storico direttore Vittorio Emanuele Pisani, protagonista, insieme ad altri, del trend positivo degli ultimi anni e soprattutto della crescita d’immagine verso i giovani, anche attraverso efficaci campagne sui social network, come quella dei “Taleggiatori” che ha avuto protagonisti Elio e le storie tese.

Strachitunt

strachituntL’anno di “castigo” è finito: in estate dall’Europa è arrivato il via libera per tornare a marchiare Dop il “nonno” del gorgonzola, dopo la brutta avventura legata alle misure non corrette riscontrate in alcune forme. Peraltro durante l’anno di “limbo”, il formaggio, che continuava ad essere venduto come “Stracchino di montagna a due paste” non ha perso i suoi estimatori, anche se il danno d’immagine fatalmente c’è stato: ora si riparte.

Bitto storico

biitto-storicoDestino amaro per un Cru venduto nel mondo a prezzi stellari (anche 250 euro al chilo), rimasto fedele alla sua storia, eppure costretto a cambiare denominazione per non incorrere in multe europee: siamo curiosi di capire come il mercato accoglierà la nuova parabola dello “Storico ribelle”, nato per distinguersi dal Bitto Dop, e figlio di una delle più annose dispute casearie, peraltro numerose a questi latitudine (vedi anche Strachiunt e soprattutto Branzi). Le premesse per rialzarsi ci sono.

Branzi

branzi-ftb-180-gg-branzi-ftb-frescoResta un formaggio meraviglioso se fatto invecchiare al punto giusto (fresco invece è piuttosto anonimo), ma anche un grande incompiuto sul fronte della mancata Dop, dopo che in passato la nascita e soprattutto la contrapposizione di due Consorzi di tutela aveva portato a un unico risultato: neutralizzare gli sforzi di entrambi. Nonostante ciò, continua ad essere “il formaggio dei bergamaschi”, dalla grande popolarità e dal grande utilizzo in cucina come ingrediente principe di tante ricette.

Agrì

agri-3È un momento di grande crescita per il “bon bon” di Valtorta, che piace a grandi e piccini e che comincia a sfondare anche sui mercati esteri, pur con i limiti legati ai numeri (sempre esigui) della produzione e ai problemi di conservazione per un formaggio che dà il suo meglio quando viene mangiato freschissimo. Il 2017 può diventare l’anno della definitiva consacrazione, anche grazie al supporto sempre crescente del presidio Slowfood.

Formai de Mut

formai-de-mutBuona produzione e alcuni giovani leve compensano la “mezza scivolata” degli organizzatori della Fiera di San Matteo, che avevano imposto la vendita del solo Dop brembano durante l’evento, lasciando al box altri caci blasonati come lo stesso Branzi, per giunta in casa sua. Ma noi crediamo che il Formai sia più forte anche degli incidenti di percorso.

Zola Spalmabile

Quella degli spalmabili è un “amore di ritorno”, nel senso che fin dagli anni Settanta erano noti formaggi più freschi anche a livello industriale (vedi Dover) messi sul mercato solo per essere spalmati sul pane. Oggi in tanti, da Arrigoni di Pagazzano a CasArrigoni hanno riscoperto questo filone, proponendo zola dolci al cucchiaio di grande qualità che stanno incontrando un gradimento crescente.

L’iniziativa finanziaria

Formaggio nero della NonaIl crowdfunding anche per un formaggio? Perché no? Uno dei più antichi della Val di Scalve, il formaggio Nero de la Nona (datato 1753) ha puntato forte su questa forma di raccolta fondi finanziaria dal basso, solitamente dedicata alle start up più innovative, per rilanciare immagine e produzione: primo step 15mila euro con la caccia ai sostenitori aperta fin da settembre ricercando adesioni su Eppela, la principale piattaforma italiana di crowdfunding. Le “azioni”? In forme o anche solo in spicchi del cacio prodotto con latte intero di mucche di Bruna Alpina.

Il manager caseario

Gialuigi Zenti è un manager bergamasco (nativo di Zù di Riva di Solto) noto soprattutto per avere prima sviluppato il mercato americano per il gruppo Barilla (ha anche gestito per Barilla l’Academia di Parma). Ora sta cercando di sviluppare un progetto ad ampio raggio per Bergamo, partendo dai prodotti della Cooperativa di Vigolo (Monte Bronzone in primis), per poi ampliare il suo raggio d’azione verso altre realtà importanti dell’agroalimentare e il successivo coinvolgimento di attività turistiche e di accoglienza. Idea affascinante e coraggiosa che merita attenzione.

Il superpremio

arrigoni_gorgonzola-dolce-dopMeno male che qualcuno diceva che Bergamo per il Gorgonzola era ai confini dell’impero. Il terzo posto assoluto a livello mondiale del “dolce” Dop di Arrigoni di Pagazzano, alla finalissima della 29esima edizione dei World Cheese Awards di San Sebastian, dimostra al Consorzio di Tutela novarese che anche in terra d’Orobie, il principe degli erborinati viene fatto a regola d’arte. Lo certifica uno dei pochi premi internazionali “seri”, quest’anno tenutosi in terra basca, a cui hanno partecipato 3.000 caci in rappresentanza di 30 Paesi.

L’exploit in casa dei rivali francesi: Taddei & Gritti

Massimo e Camilla Taddei
Massimo e Camilla Taddei

Lasciare a bocca aperta i francesi con un serie di chicche made in Italy non è da tutti. Invece recentemente Massimo e Camilla Taddei di Fornovo e i fratelli Alfio e Bruno Gritti del caseificio Quattro Portoni di Cologno al Serio, hanno riscosso grande successo al Mercato internazionale di Rungis (Parigi), la più grande e importante vetrina agroalimentare di prodotti freschi del mondo, praticamente la Disneyland degli appassionati del fromage, guadagnando ordini anche tra i grossisti d’Oltralpe.

Il Locale: il cheese bar BBù - cheese bar Bergamo (3)ù

Finale non per un prodotto ma per un locale. Che il creato da Francesco Maroni e soci in un solo di anno di vita sia già diventato un punto di riferimento nazionale dei locali legati alla proposta casearia, con tanto di riconoscimento del “guru” Marcomini, non è cosa da poco…




Paolo Riva, il creativo dei dolci

paolo-riva-prodotti-3Una décolleté rossa, l’intramontabile bauletto di Louis Vuitton custoditi in una teca trasparente. I capi che fanno impazzire le donne sono trasformati in dolci al cioccolato dalla creatività di Paolo Riva.

Sono passati tre anni dall’inaugurazione della pasticceria a Treviglio, raffinata per i colori provenzali ripresi nel marchio e familiare dagli inebrianti profumi che ti avvolgono. Oggi non è solo il locale preferito dai golosi ma, con i suoi dipendenti, passati da una decina a 24, si conferma un’azienda florida. Durante le feste continua la produzione, a ritmo serrato, dei panettoni: dal laboratorio artigianale ne escono tremila l’anno. Le varietà sono tredici: classico, cioccolato e noci, cioccolato e pere, cioccolato, marron glacé, albicocca, uvetta, frutti di bosco, veneziana, pandoro, vuoto, mandorlata e una prelibatezza, mela e scorze di limone candite che ricorda nell’aroma la torta della nonna.

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«A contare più di tutto è la materia prima – ci tiene a precisare Riva -. Da noi non si trova la pralineria industriale, ma prodotti con una durata più breve proprio perché contengono ingredienti freschissimi come la polpa di frutta, più gustosi e salutari perché senza oli raffinati, dunque con il 60-70 per cento di grassi in meno». A colpire la vista sono capolavori in formato mignon come i pasticcini, oltre a marmellate, gelato e 18 tipi di brioche, dalla sacher con marmellata di lamponi a quella al pistacchio.

paolo-riva-prodotti-1Anche se la passione di Paolo Riva è il cacao. Portano la sua firma i cioccolatini al caramello, rosmarino e nocciola, le “Paolline”, sfere di cioccolato bianco ripiene allo zabaione oppure le “Nocciole alla Paolo” tostate e caramellate con una spruzzata di cioccolato bianco e lampone essiccato, il pasticcino con marzapane, fondente e noce, le barrette di fondente fermentato con il frutto della passione o la banana.
Il biscotto più gettonato è il macaron, un amaretto morbido dentro, dalla crosta croccante. Per realizzarlo al meglio, l’imprenditore è volato in Francia per seguire un corso e oggi ne sforna di ogni gusto e colore. In bella mostra le torte: ci sono le bavaresi al cioccolato fondente, alle arachidi e cioccolato morbido, al frutto della passione, al lampone, la gelée di fragole ai frutti di bosco con due strati di savoiardo, la mousse ai tre cioccolati senza farina, “Alba” con le tipiche nocciole, la panna cotta al cioccolato biondo.

paolo-riva-prodotti-2«Il segreto consiste nell’essere caparbi, umili e nel saper rischiare, spesso le difficoltà sono la molla più grande – dice il maestro pasticcere -. Oggi c’è un’esigenza di apparire, meglio essere defilati, esprimendosi solo quando c’è un vero bisogno. E lavorare sodo: fino a pochi anni fa era da “sfigato” fare il pasticcere, oggi, complice la tv, c’è la fila di aspiranti». Nel locale si può anche pranzare con sfizi gastronomici, insalate, panini, focacce, oltre ad acquistare conserve, spalmabili e l’ottimo caffè della sua torrefazione. E assaggiare l’ultima nata, la torta “Neve”, dal nome della bambina di Riva e della compagna Elena: una base di biscotto morbido alle nocciole croccanti, con strati di mandorle, pere e cioccolato, cremoso al mascarpone e crema ganache montata al cioccolato biscotto.

Pasticceria Paolo Riva

viale De Gasperi, 14/E,
Treviglio
tel. 0363 305162
www.pasticceriapaoloriva.com



Alla ricerca del panettone ideale? A Milano assaggi gratuiti nelle pasticcerie

panettone-milaneseVolete trovare il panettone che più vi piace? Giovedì 15 dicembre è la giornata giusta perché a Milano e provincia si tiene la “Giornata del Panettone artigianale milanese”, che propone assaggi gratis quasi cento pasticcerie e panifici che realizzano il panettone milanese tradizionale.

La possibilità di assaggio si vede dalla vetrina: i pasticceri aderenti espongono infatti la vetrofania per invitare i clienti alla prova del panettone artigianale. Oltre che in città, si assaggia anche a Cinisello, Sesto, Segrete, Legnano, Corsico e altre aree del territorio. Qui l’elenco delle insegne che partecipano.

Sempre il 15 dicembre una degustazione di panettone sarà proposta, dalle 14.30 alle 15.30, al Casello Ovest di Porta Venezia, sede dell’Associazione Panificatori di Confcommercio Milano, mentre sabato 17 sarà l’Unione Artigiani ad organizzarla, alle ore 11,30 presso la sede del Sole 24 Ore, in via Monterosa 91.

Ci sono anche dei gadget natalizi: l’albero del panettone tipico da ritagliare e le decorazioni per Natale. Si trovano nelle pasticcerie e si scaricano in internet dal sito: www.mi.camcom.it

Sono invece 150 le pasticcerie che possono fregiarsi del marchio “panettone tipico della tradizione artigianale milanese”, che assicura che si tratta di un prodotto fresco, senza conservanti e artigianale. Il marchio è depositato presso l’Ufficio Brevetti della Camera di commercio di Milano ed è una iniziativa promossa dalla Camera di commercio di Milano, dal Comitato dei Maestri Pasticceri Milanesi, dalle Associazioni dei pasticceri, dei panificatori, degli artigiani e dei consumatori.

Intanto cresce il business del panettone, 2,5 milioni in più rispetto allo scorso anno, +5% e affari per 60 milioni. Emerge da un’indagine della Camera di commercio di Milano su oltre trenta pasticcerie milanesi contattate in questi giorni. Per 9 su 10 va quello tradizionale. Per i pasticceri è il simbolo principale e naturale di Milano (55% moltissimo, 42% molto). Crescono gli stranieri tra la clientela, un cliente su venti, il 5%. Il 32% è favorevole a un panettone in versione estiva per avere un dolce tipico tutto l’anno.i Istat al primo semestre 2016 e 2015.