Beccalossi: “Scorpioni a tavola? Io mangio polenta e osei”

Viviana Beccalossi
Viviana Beccalossi

“Ecco l’Europa che non vogliamo. Un’Europa troppo spesso intenta a varare leggi e leggine per lo più inutili, che – come avviene per la caccia – vietano agli italiani di mangiare polenta e osei o lo spiedo bresciano, ma gli consentono di nutrirsi di insetti o scorpioni”. Viviana Beccalossi, assessore al Territorio di Regione Lombardia, commenta così la decisione del Parlamento Europeo, di approvare le nuove norme sull’alimentazione secondo le quali è possibile portare sulla tavola dei consumatori europei insetti, vermi, larve, scorpioni e ragni. “Non c’è limite al peggio nella folle corsa alle decisioni cervellotiche di Bruxelles – prosegue Viviana Beccalossi -, per quanto mi riguarda sarò sempre dalla parte di chi, con orgoglio e passione, difende la propria storia e le proprie tradizioni anche attraverso lo spiedo bresciano o polenta e osei. Insetti e scorpioni, peraltro lontanissimi da qualsiasi cultura, non solo italiana, ma dell’intero continente, li lascio a chi supinamente continua ad accettare queste decisioni”.




E’ nato Ce.R.Mel, il centro per la cura del melanoma

L'équipe dell'Ospedale Papa Giovanni XXIII dedicata al melanoma
L’équipe dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII dedicata al melanoma

E’ operativo da giugno il Ce.R.Mel., il nuovo Centro di ricerca e cura del melanoma dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, tra i centri di riferimento in Italia per il trattamento di una patologia che colpisce soprattutto i giovani e registra ogni anno solo in Italia circa 7 mila nuovi casi, di cui 300 curati all’ospedale bergamasco. Il centro di ricerca è nato per migliorare ulteriormente la qualità delle cure offerte per il melanoma, sia in termini di innovazione che di efficacia, e comprende un gruppo multidisciplinare clinico, coordinato dall’Oncologia, a cui collaborano, sotto l’egida del Cancer center aziendale, la Chirurgia 1, la Dermatologia e l’Anatomia patologica. Uno degli aspetti innovativi del Centro è lo studio genetico del melanoma, necessario per calcolare il rischio di ripresa della malattia e definire le terapie più efficaci, anche ricorrendo ai moderni farmaci a bersaglio molecolare, personalizzati cioè sul corredo genetico della malattia. Tra gli obiettivi anche l’ampliamento della dotazione tecnologia e delle competenze necessarie per eseguire sul tumore esami genetici sempre più approfonditi. La seconda linea di ricerca è invece costituita dalla cosiddetta outcome research, cioè quel lavoro di analisi e studio sull’efficacia dei percorsi di cura dei pazienti, indispensabile per raffinare la conoscenza sul tumore, sulla sua incidenza, sui fattori di rischio e sull’efficacia delle terapie.

In campo oncologico offrire le migliori cure disponibili equivale infatti a investire tempo e risorse nella ricerca clinica. Un assunto ben chiaro all’Oncologia del Papa Giovanni XXIII che conta centinaia di pubblicazioni scientifiche internazionali e richiama pazienti da tutta Italia, potendo anche contare su una forte reputazione internazionale e contatti con i maggiori centri italiani, europei e americani.

Tutti possono sostenere le attività del Ce.R.Mel., facendo una donazione all’Associazione Oncologica Bergamasca (AOB), che si è impegnata a supportare la fase di start up del progetto, facendosi tramite della raccolta di fondi ed elargizioni liberali da parte di privati, persone giuridiche, enti e istituzioni che vogliono sostenere la ricerca e la cura del melanoma. Le donazioni, che godono dei benefici fiscali, possono essere inoltrate tramite bonifico bancario all’AOB – Associazione Oncologica Bergamasca onlus (IBAN: IT 44 N 05428 11101 000000022144), precisando nella causale “Erogazione liberale a favore del Centro di cura e ricerca del melanoma”.




«Non siamo scemi!», tabaccai e fumatori al contrattacco

«Viviamo in un Paese in cui vendere e consumare tabacco è legale. Anche prevenire la diffusione del fumo è legittimo ma non lo è insultare chi, liberamente, decide di consumare un prodotto legalmente acquistato». I tabaccai non ci stanno a sentir dare dello scemo a chi fuma (e di conseguenza a chi vende sigarette) da parte del ministero della Salute e rispondono per le rime.

Oggetto del contendere la campagna-tormentone contro il tabagismo mandata in onda su tv e radio nella quale il comico Nino Frassica, con il suo stile stralunato, apostrofa senza mezzi termini i fumatori (il target sono giovani, donne, donne in gravidanza e fumo passivo nei confronti dei bambini) con la frase «Ma che sei scemo? Il fumo fammale! (con due emme perché fa molto male)». Epiteto declinato anche su chi non usa il casco in motorino o non rispetta gli animali. E sul finale ci scappa perfino uno scappellotto.

locandina tabaccai - scemo non sonoLa Fit – Federazione italiana tabaccai replica sullo stesso piano e lancia la propria campagna, “Scemo non sono!”, che coinvolge sia i rivenditori sia i fumatori. «Noi tabaccai – spiega il presidente Giovanni Risso – siamo consapevoli di vendere un prodotto controverso e per questo la Fit, da tempo, garantisce sostegno alle autorità nella prevenzione del fumo minorile. Non siamo però disposti ad accettare che si possa insultare chi, maggiorenne, scelga, liberamente e consapevolmente, di consumare sigarette acquistate in rivendite concessionarie dello Stato. Tanto che, a proposito, abbiamo anche mandato al Ministro Lorenzin una civile nota di disappunto».

L’iniziativa prevede una cartolina da inviare al ministero della Salute in due versioni. Quella per i fumatori, che tramite la Fit potranno inviare il messaggio “Scemo non sono! Sono un fumatore consapevole!”, e quella per i rivenditori con la dicitura “I miei clienti non sono scemi ma fumatori consapevoli. Anche io aderisco alla campagna Scemo non sono!”.

C’è anche una una locandina «contro l’insulto gratuito» da affiggere nelle rivendite, che recita «I tabaccai al fianco dei loro clienti fumatori consapevoli, tassati e beffati!»

«Non ci opponiamo alla prevenzione – conclude il presidente Risso – ma sottolineiamo quanto l’approccio scelto dalle istituzioni competenti per combattere il tabagismo sia offensivo nei confronti di chi, vendendo o consumando tabacco, opera una scelta consapevole contribuendo con circa 14 miliardi di raccolta fiscale alle casse dello Stato».




Coldiretti: “Sulla carne una campagna denigratoria che danneggia gli allevatori”

carne“E’ incomprensibile la campagna denigratoria che è stata lanciata nei confronti del lavoro degli imprenditori agricoli che operano nel comparto dell’allevamento, informazioni generiche che rischiano di gettare nella confusione più totale i consumatori, con ripercussioni gravissime su un settore di rilievo della nostra agricoltura”. Coldiretti Bergamo interviene così sull’avvertimento lanciato da l’Oms sui pericoli che potrebbero derivare dal consumo di carne rossa e carni lavorate. “Non è nostro compito mettere in discussione l’autorevolezza di questa ricerca – sottolinea Coldiretti Bergamo – ma è nostro dovere pretendere che non vengano divulgate informazioni che fanno di ogni erba un fascio, gettando in modo ingiustificato scompiglio nei consumi, con ripercussioni gravissime sui circa 200 allevamenti bergamaschi che producono carne e che già in passato hanno pagato un prezzo altissimo a causa di questo pressapochismo”. Secondo Coldiretti gli esiti della ricerca devo essere contestualizzati e ben valutati e poi deve essere fatta una netta distinzione tra gli alimenti che sono stati messi sul banco degli imputati, che non appartengono alla nostra tradizione alimentare, e la qualità della carne italiana, che non solo ha standard qualitativi molto alti, ma ha sempre più spesso il valore aggiunto della trasparenza nei confronti del consumatore, grazie anche all’utilizzo di soluzioni tecnologiche che garantiscono la massima tracciabilità, in tutti i passaggi dalla produzione al consumo. “I nostri stili di vita e le nostre abitudini alimentari – aggiunge Coldiretti Bergamo – sono riconducibili alla dieta mediterranea che si basa su una grande varietà di alimenti e sono radicalmente diversi rispetto a quelli degli Stati Uniti e del Nord Europa. Bisogna anche sottolineare che le carni Made in Italy sono più sane, più magre, e non trattate con ormoni a differenza di quelle americane. E anche per i nostri salumi il tipo di lavorazione è naturale e si rifà a tradizioni antiche tipiche della nostra cultura”.

Coldiretti Bergamo evidenzia che il rapporto Oms è stato eseguito su scala globale su abitudini alimentari molto diverse come quelle statunitensi, che contemplano un consumo del 60 per cento di carne in più degli italiani. Il consumo di carne degli italiani con 78 chili a testa ed è ben al di sotto di quelli di Paesi come gli Stati Uniti con 125 chili a persona o degli australiani con 120 chili, ma anche dei cugini “Purtroppo – conclude Coldiretti Bergamo – ci troviamo a fare i conti con l’ennesimo allarme che non riguarda le nostre produzioni e questo conferma la necessità di accelerare nel percorso dell’obbligo di etichettatura d’origine per tutti gli alimenti, a partire dai salumi. E’ questa la vera battaglia che l’Italia deve fare in Europa per garantire la salute dei suoi cittadini e il reddito delle sue imprese”.




Rapporto coi pazienti: medici, infermieri e psicologi a confronto

Da sinistra Giuseppe Remuzzi, Emilio Zanetti e Tiziano Barbui
Da sinistra Giuseppe Remuzzi, Emilio Zanetti e Tiziano Barbui

Parlare con gli ammalati: quando, come, con quali parole? E come cambia se il paziente è un bambino, o se sappiamo di non poterlo guarire? Medici, psicologi e infermieri se lo chiederanno – e questo è già un successo – nel convegno del 31 ottobre al Centro Congressi. Soprattutto però ne parleranno con i cittadini, con gli studenti, con chi in corsia veste il pigiama e non il camice. La Fondazione di ricerca Ospedale Maggiore (From), l’Ospedale Papa Giovanni XXIII con il sostegno della Fondazione Menarini, promuovono un meeting che vuole prendere atto di come sono cambiati i pazienti, che non delegano più le decisioni sulla propria salute ai tecnici, ma si informano, spesso su Internet; confrontano professionisti, centri e terapie; propongono soluzioni e priorità.

Gli operatori dal canto loro si trovano a vivere in un contesto profondamente cambiato, senza che la formazione universitaria ne tenga conto. Allora ben venga una giornata di riflessione e scambio, che sottolinei l’importanza di parlare (e ascoltare!) gli ammalati, anche cercando di capire se e come si possa imparare a farlo bene. Non si tratta di umanizzazione, brutto termine che sembra sottintendere che finora cura e assistenza fossero disumane. Prendere atto dei cambiamenti in corso, delle soluzioni messe in campo e di quello che resta da fare perché il colloquio – ma sarebbe meglio dire dialogo – tra medico e paziente non assomigli più a quello tra Renzo e l’Azzeccagarbugli. Sul tema interverranno, stimolati da Giuseppe Remuzzi, medici, infermieri, psicologi, anche l’ex ministro Fabio Mussi, in dialogo con il pubblico presente, cittadini, studenti, associazioni. Emilio Zanetti, vicepresidente From, ha sottolineato: “L’innovazione riguarda anche il modo di rapportarsi con i malati. La ricerca serve a fare le cose in modo nuovo, migliore e questo vale anche per gli aspetti di relazione. Una realtà come la nostra, che ha un forte legame con la città e il territorio, non può che appoggiare questa iniziativa”.

Giuseppe Remuzzi, direttore del Dipartimento di Medicina, ha raccontato della madre di un paziente, che, dopo aver approfondito in Internet le possibili terapie per il figlio affetto da malattia rara, scrisse una mail al medico curante: “Forse potremmo incontrarci e parlarne”. Quello che il New England Journal of Medicine chiama “the changing task of medicine”, la sfida della medicina che cambia, è tutto qua, in questo “potremmo trovarci e parlarne”. Una delle sfide più grandi è quella di parlare con gli ammalati e sapersi spiegare. All’Università a parlare agli ammalati non te lo insegna nessuno. E un bravo medico deve anche saper ascoltare per poi suggerire le soluzioni e i vantaggi e i rischi. E se una cosa non la sa fare lui, ti manda dalla persona giusta, senza connotazioni affettive o caritatevoli però, perché oggi è l’ammalato l’artefice vero del suo guarire. Un po’ come dal barbiere – irriverente se volete ma rende l’idea – quasi nessuno di quelli che ci vanno dice “faccia lei”. I più vogliono i capelli così, la messa in piega cosà, il barbiere consiglia, ma si decide insieme”.

Tiziano Barbui, direttore scientifico di From ha concluso: “La medicina è cambiata, sono cambiati i pazienti, è cambiato il modo di curare, che è sempre più multidisciplinare e sempre più dipendente dalla tecnologia. Per questo è necessario ripensare il rapporto con gli ammalati, perché al centro resti la persona di cui dobbiamo prenderci cura e la relazione con chi se ne deve occupare”. L’ingresso al convegno è libero, gratuito e aperto a tutti, previa prenotazione sul sito della Fondazione Menarini www.fondazione-menarini.it/Prossimi-Eventi compilando la scheda di iscrizione on line.

 

 




Sempre più badanti irregolari. A Bergamo sono almeno 20mila

“È in atto uno spostamento verso il nero, continuo e costante, nel campo del lavoro privato di cura. Sempre più badanti “spariscono” dal censimento delle centrali di gestione del lavoro, andando a rinforzare l’esercito di clandestini, evasori fiscali a tutti gli effetti”. Onesto Recanati, responsabile nella segreteria della Fnp Cisl di Bergamo dell’area welfare, non usa giri di parole nell’analisi dei dati forniti dal servizio Colf&badanti della Cisl e di Apicolf Bergamo. “Una tendenza che prosegue dal 2012. Speriamo sinceramente che la nuova legge sulla cura familiare della Regione Lombardia, pur tra mille contraddizioni, possa porre un freno a questo andazzo, e porti professionalità e regole certe in questo settore sempre più importante nella nostra società e nella nostra economia”. In provincia di Bergamo ci sono 325.472 abitanti con un’età superiore ai 65 anni, più del 30% della popolazione totale. Di questi, si può facilmente stimare che quasi 60mila siano non autosufficienti. Se si aggiungono gli anziani che vivono soli o quelli che per motivi “passeggeri” hanno bisogno di sostegno, si può facilmente comprendere come il problema dell’assistenza sia uno degli aspetti più importanti nella discussione politica e sociale. La Regione Lombardia ha cercato di muovere alcuni passi, promulgando la legge 15, “Interventi a favore del lavoro di assistenza e cura degli assistenti familiari”, nella quale si possono ritrovare spunti cari alle sigle sindacali che da tempo si battono per una regolamentazione del lavoro di cura e per un intervento di sostegno alle famiglie. “Abbiamo salutato con interesse l’approvazione della legge – dice Recanati -, adesso vorremmo capire quali gambe verranno date alla stessa, dal momento che il provvedimento regionale è stato finanziato con 700mila euro, che ripartiti sul centinaio di ambiti territoriali della Lombardia equivarrebbero a 7mila euro a testa”. Eppure, le ambizioni della “15” sono notevoli, a partire da quella dell’emersione dal nero di un vero e proprio esercito di badanti, soprattutto straniere, che da qualche anno sostengono le famiglie nella cura degli anziani. Badanti

A Bergamo, risultano 11.000 badanti regolari, e se ne stimano almeno 20.000 “clandestine”. Negli archivi del servizio Colf & Badanti della Cisl figurano, nell’anno 2013, 1.615 contatti, scesi a 1.585 lo scorso anno. Tra i dati forniti da Apicolf, invece, la discesa del “lavoro regolare” è censita dal 2012. Erano 779 tre anni fa, 614 nel 2013 e 411 nel 2014. Tra gli altri obiettivi della Regione, creare corsi di formazione per le badanti; istituire un albo professionale delle assistenti familiari e aprire sportelli per favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. “Tutto questo lavoro ricadrà inevitabilmente sugli ambiti e sui comuni – insiste Recanati -, e la Regione pensa di favorirli con 7mila euro ad ambito? Non crede che il lodevole impegno di far emergere il nero, si scontrerà con le esigenze delle famiglie che non riusciranno a sostenere una spesa “regolamentata e qualificata professionalmente”? Non inseguiamo certo le voglie di evadere il fisco ben presenti in questo settore (sia da parte delle famiglie, che delle badanti, che hanno ben imparato a sfruttare le pieghe delle assistenze sociali), ma è innegabile che senza incentivi fiscali o “in contante”, un lodevole obiettivo come questo finirà per scontrarsi con cinismi e interessi personali certamente meno nobili”. A tal proposito, dunque, va ricordato che i comuni lombardi servivano attraverso l’assistenza domiciliare socio – assistenziale l’1,8% degli anziani nel 2009, quota scesa all’1,4% nel 2012.

Tra le pieghe della legge regionale, la Fnp Cisl bergamasca, comunque, trova altre pecche. Prima fra tutte, l’anticipazione della “resa” del pubblico nel campo dell’assistenza domiciliare. “Suona preoccupante l’idea da parte della Regione di liberare le Asl, alla vigilia della nuova regolamentazione territoriale, di un’incombenza pesante come quella dell’Adi e del Sad, in pratica legittimando il privato ad arrangiarsi. Questa “pratica” si aggiunge alle liste d’attesa per le RSA che, nel 2014, vedevano Bergamo primeggiare in regione con oltre 7000 domande giacenti”.




Gusto e salute, la ricetta firmata dagli chef e approvata dai dietologi

Un piatto sano ma anche gustoso? L’ha regalato l’Accademia del Gusto dell’Ascom a Bergamo Scienza 2015, nell’ambito della conferenza “Alimentazione, stili di vita e cancro” promossa da Humanitas Gavazzeni sabato 17 ottobre.

La scuola di cucina dell’Associazione commercianti ha fatto il suo debutto alla manifestazione cittadina con uno show cooking dei suoi docenti, gli chef Francesca Marsetti e Mirko Ronzoni, che hanno elaborato una ricetta coerente con il tema della giornata dedicata al rapporto tra abitudini alimentari, stili di vita e prevenzione, valutata dal Coordinamento del Servizio Dietologia dell’istituto.

La offriamo anche ai nostri lettori

Quinoa e piselli con bocconcini di salmone ripassato alla piastra e uvetta

  • Ingredienti per 4 personequinoa multicolore

g 200 QUINOA MULTICOLORE
g 100 PISELLI
g 600 SALMONE (FILETTO)
g 60 UVETTA SULTANINA
6 40 ZENZERO FRESCO
OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA
SALE E PEPE

  • Procedimento

Lavare la quinoa in un colino sotto acqua corrente e metterla in una pentola con acqua (una quantità di acqua pari al doppio del suo peso). Durante la cottura chiudere la pentola con il coperchio e
lasciare che, a fuoco medio, l’acqua si assorba (circa 15-20 minuti).

Nel frattempo tagliare a cubetti il salmone e metterlo a marinare con l’olio e lo zenzero grattugiato fresco. A parte lessare i piselli in abbondante acqua senza sale. In una padella con pochissimo olio far saltare la quinoa con i piselli e l’uvetta sultanina, aggiustare di sale se necessario. In una padella antiaderente, senza grassi,
cucinare il salmone scottandolo mezzo minuto per lato.

A questo punto montare il piatto: aiutandosi con un coppapasta, impiattare nel centro la quinoa con i piselli e l’uvetta ed adagiarvi sopra i bocconcini di salmone.

  • La quinoa

La quinoa ha avuto origine 7.000 anni fa nelle Ande intorno al lago Titicaca, in Perù e in Bolivia. Con l’arrivo dei conquistadores è stata sostituita da altri cereali come il frumento e l’orzo ma nel XX secolo si è riscoperto il suo valore nutrizionale passando da una coltura per consumo personale a una coltura a livello commerciale e industriale. Ancora oggi la quinoa rappresenta uno dei pilastri
su cui è basata l’alimentazione delle popolazione andine.

La quinoa è una pianta erbacea, della famiglia delle chenopodiaceae (come gli spinaci e la barbabietola) . Sviluppa delle grosse spighe costituite da numerosissimi semi piccoli e rotondi. Ce ne sono di diverse varietà che conferiscono ai semi colori diversi. Ha ottime proprietà nutritive: contiene fibre, vitamine (come quelle del gruppo B e la vitamina E) e minerali, come calcio, fosforo, magnesio, ferro e zinco. Contiene grassi prevalentemente insaturi, comparabili a quelli della soia ed è particolarmente indicata per i celiaci, in quanto totalmente priva di glutine.

Cucinare la quinoa è semplicissimo, l’unico accorgimento importante è quello di porre i semi in un colino e sciacquarli bene con abbondante acqua fredda, per eliminare eventuali residui di saponina, una sostanza presente nella pianta che può conferire al seme un sapore amaro. Il modo più semplice di cucinarla è mettere la quinoa in una pentola e aggiungere dell’acqua (in quantità doppia rispetto alla quinoa, quindi, ad esempio, 1 tazza di quinoa e 2 tazze d’acqua), coprire la pentola con un coperchio e cuocere a fuoco medio fino a che l’acqua non si sarà completamente riassorbita (circa 15-20 minuti). La quinoa è pronta quando tutti i semi diventeranno trasparenti. Spegnete dunque il fuoco e lasciate riposare con il coperchio per 5 minuti circa, affinché tutta l’umidità venga assorbita dai semi. Togliete il coperchio e con una forchetta separate un po’ i grani di quinoa con una forchetta. Per quanto riguarda le dosi, sono sufficienti circa 50/70g di quinoa a persona, considerando che, da cotta, aumenta di 2,5 volte il suo volume.




Il rito del tè inglese ora “seduce” anche i salutisti

téQuello che tiene uniti gli inglesi non è la regina, ma il tè, seguito dal cricket. Nessuno li disprezza, molti li amano, la maggior parte li accetta. Il tè è parte della vita quotidiana tanto quanto la tazzina dell’espresso lo è in quella italiana.

I numeri non mentono. Gli inglesi bevono una media di 165 milioni di tazze di tè al giorno ed il 98% di questi vi aggiungono del latte. Provate a chiedere una fettina di limone e vi guarderanno come se aveste chiesto il sale al posto dello zucchero. Insomma, se smettessero di bere tè, gli inglesi soffrirebbero di disidratazione.

Durante il mio viaggio in India uno dei momenti più memorabili è stata la visita ad una piantagione di tè, dove la nostra guida ci spiegava come lì venisse raccolto e prodotto esclusivamente “tè felice”, spiegando che il raccolto di fronte a noi sarebbe stato venduto all’asta, a Cochin e Guwahati in India, ma anche a Colombo in Ski Lanka, Limbe in Malawi e Jakarta in Indonesia. Non avevo proprio idea che questo prodotto venisse smerciato ancora come in epoca precoloniale. Pensavo andasse direttamente alla fabbrica, impacchettato e poi distribuito. Invece si vende all’asta, e chi compra deve negoziare fino all’ultima foglia.

Poi noi lo vediamo impacchettato in modo più o meno elegante, venduto a caro prezzo da Harrods e Fortunum and Mason o attraverso i supermercati e la grande distribuzione a prezzi molto accessibili. I turisti continuano ad acquistare le belle scatolette di metallo contenenti la miscela, irrinunciabile souvenir anche nel mondo della globalizzazione.

Pur godendo di ottima salute, e continuando ad influenzare l’immaginario popolare, il tè e le sue varianti ai vari sapori si sono evoluti molto negli ultimi anni.

La frenesia per cibi e bevande salutari ha fatto impennare il consumo di tè verde, specialmente tra donne e giovani. I dati parlano chiaro: una tazza su otto non è più di tè tradizionale, ma di una miscela verde o alle erbe che promette benefici per la salute. La caccia agli antiossidanti passa da quel che beviamo.

Negli ultimi due anni sono fioriti, specialmente nella zona est di Londra, bar specializzati in questa bevanda, da servire come cocktail, e quindi mescolati con alcol, o come Bubble tea, un drink asiatico da bere freddo con dei grani di tapioca. Bello da vedere, ma non sono sicura in fatto di gusto. Nel centro di Londra e nei grandi alberghi il rito dell’afternoon high tea si celebra a ritmo serrato, con prenotazioni e liste d’attesa per ogni giorno della settimana, dalle tre alle sette di sera. I turisti lo amano, affascinati dal rituale fatto di torte, pasticcini e tramezzini presentati in modo impeccabile, come in una commedia di Oscar Wilde.

Non solo più il tè delle cinque.

Sono inoltre spuntati molti nuovi brand, alcuni ancora di nicchia, altri che hanno conquistato un pubblico ampio e in crescita, che fanno leva su un consumatore giovane, informato e sensibile all’ecologia: dal tè etico di Hampstead Tea, coltivato senza sfruttare i braccianti e l’ecosistema, all’australiano T2, con un packaging accattivante e boutique simili a negozi di design, a Kusmi, costoso ma buonissimo, al più sofisticato e francese di Mariage Frères.

www.italiangirlinlondon.com




Ecco perché anche l’Ascom è scesa in campo per combattere le ludopatie

furto-slot20141.jpgAnche l’Ascom aderisce al progetto “Jackpot. L’importante è non partecipare” strumento con cui l’Ambito territoriale di Seriate ha deciso di combattere il gioco d’azzardo patologico. La nostra collaborazione a questo importante iniziativa, che vede coinvolti 11 comuni e molte istituzioni, non è né estemporanea né dovuta ad una sensibilità personale. Sul tema della ludopatia e del giusto consenso al gioco lecito da anni l’Ascom si sta muovendo. Tra i nostri associati, molti sono coloro che hanno deciso di non installare negli esercizi slot machine; altri invece, pur tenendole, sono molto sensibili al tema. Noi non siamo né a favore né contro il gioco, siamo per il gioco lecito!

Il tema delle slot machine è comunque complesso. Innanzitutto c’è da tener presente un aspetto fondamentale: l’eccessiva spesa per il gioco sta sottraendo ricchezze ad altre tipologie di consumo nei bar e nei negozi. Chi ci guadagna è solo lo Stato! La seconda sottolineatura da fare è sul valore dell’introito del gioco lecito per i pubblici esercizi. Nella Bergamasca ci sono circa 2.000 attività che hanno al loro interno le slot, di queste 1.200 circa sono bar e 600 esercizi commerciali. Purtroppo, molte vivono sui ricavi del gioco e quindi il pensare di fermare il gioco lecito significa far chiudere un buon numero di attività. Su questo è quindi necessario fare una riflessione. Secondo noi è innanzitutto fondamentale promuovere una formazione adeguata, perché le nostre attività commerciali possano sostenersi senza ricorrere esclusivamente al gioco lecito, mettendo in campo la loro creatività e professionalità. Questo è un primo passo importantissimo.

Il secondo passo, altrettanto importante, è diffondere una cultura della prevenzione contro il gioco patologico. La consapevolezza dei gestori di bar e esercizi non deve essere incentivata solo dallo sgravio Irap previsto dalla legge regionale, ma non ancora attiva, o attraverso un pacchetto di agevolazioni sulle tariffe locali, che comunque sarebbero utili. Serve anche in questo caso formazione. La nostra Associazione, grazie ad un protocollo firmato con l’Asl, negli ultimi mesi ha organizzato otto corsi e formato 180 gestori, ora ha in programma altri nove corsi da ottobre a fine dicembre e formerà altri 200 gestori. Nel giro di due anni stimiamo che mille piccoli imprenditori all’anno (essendo la cadenza dell’obbligo formativo biennale) possano essere sensibilizzati e quindi diventare attivi nella prevenzione delle ludopatie. I contenuti del corso devono essere ancora affinati con tutti gli attori in campo, al fine di favorire la conoscenza del fenomeno, aumentare la sensibilità al tema ed attivare il codice di autodisciplina messo a punto con l’Asl.

E’ uno sforzo che noi stiamo facendo e che stiamo chiedendo anche ai nostri imprenditori. Ci sembra quindi che questa sia la strada giusta e di sistema per reagire in maniera forte ad un grave problema che esiste e che non può essere affrontato solo a colpi di ordinanza e di sanzioni.

*direttore dell’Ascom di Bergamo




Da Miro Radici e TenarisDalmine un sostegno all’Ospedale Papa Giovanni

I volontari dell'Associazione amici della pediatria, Sergio Tosato, ad di TenarisDalmine, con in mano il visore, Carlo Nicora, Milena Lazzaroni, Marco Gialli, l'infermiera Maria Teresa Brivio e Lorenzo D'Antiga
I volontari dell’Associazione amici della pediatria, Sergio Tosato, ad di TenarisDalmine, con in mano il visore, Carlo Nicora, Milena Lazzaroni, Marco Gialli, l’infermiera Maria Teresa Brivio e Lorenzo D’Antiga

Da oggi i prelievi saranno meno traumatici per i bambini ricoverati nella Pediatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII. E’ infatti arrivato in corsia il visore Veinsite, un dispositivo elettronico portatile che, grazie a raggi infrarossi, consente la localizzazione delle vene, agevolando prelievi e altre procedure che richiedono l’inserimento di aghi nelle sottili vene dei più piccoli. Il dispositivo viene indossato come un casco e lascia le mani libere all’operatore per interagire con il bambino. I Led presenti all’interno del caschetto emettono una luce infrarossa, che viene assorbita dall’emoglobina e poi diffusa dai tessuti circostanti. Le differenze nella diffusione e nell’assorbimento dei raggi vengono convertite dal sistema ottico del dispositivo in un’immagine dei vasi che viene proiettata su uno schermo a cristalli liquidi posto nel caschetto stesso. Guidato da questa mappa virtuale delle vene del paziente, l’operatore può così scegliere l’accesso migliore, riducendo i tempi della procedura, minimizzando le complicanze e facendo percepire al bambino un’operazione spesso traumatica come un gioco. L’introduzione di questo nuovo strumento è stata possibile grazie alla generosità di TenarisDalmine, che ha sostenuto un apposito progetto dell’Associazione Amici della Pediatria, onlus attiva nel reparto di Pediatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. “La nostra associazione festeggia quest’anno un importante traguardo: i primi 25 anni dalla sua fondazione e abbiamo deciso di celebrare questo momento consolidando e istituendo progetti a favore dei bambini ricoverati e di supporto alle loro famiglie, oltre che a sussidio ed integrazione dell’ente ospedaliero – ha commentato Milena Lazzaroni, presidente dell’Associazione Amici della Pediatria -. La donazione di questo strumento è stata possibile grazie alla sensibilità di TenarisDalmine, che insieme a noi ha creduto nell’utilità di questo progetto, che è in sinergia anche con gli obiettivi di Giocamico, che ci vede tra i maggiori sostenitori fin dagli albori del progetto”.

Da sinistra Andrea Gianatti, Peter Assembergs, Miro Radici e Roberto Labianca
Da sinistra Andrea Gianatti, Peter Assembergs, Miro Radici e Roberto Labianca

Sempre all’ospedale di Bergamo, ll Cancer Center del Papa Giovanni ha acquistato tre nuove figure per ottimizzare la cura e la ricerca dei tumori gastrointestinali: un oncologo esperto in ricerca traslazionale, quella dal laboratorio al letto del paziente, un data manager e un manager del Center. Un’iniezione di risorse che punta a ottimizzare l’attività di ricerca e che sarà possibile grazie al generoso sostegno dell’imprenditore Miro Radici. “Ho accettato con entusiasmo di finanziare questo importante progetto del professor Labianca – ha detto Radici – perché, attraverso la raccolta di dati collegata direttamente all’esperienza sul paziente, può essere di enorme aiuto a tutti gli addetti in questo settore”. Il direttore amministrativo Peter Assembergs, che ha presentato l’iniziativa, nel sottolineare come “il Papa Giovanni XXIII non aspetti passivamente che altri centri trovino le risposte alle domande ancora aperte, ma cerchi le risposte, in stretto contatto con la comunità scientifica internazionale”, ha anticipato che sarà dato puntuale riscontro dei risultati conseguiti non solo agli esperti del settore, ma a tutti i cittadini.