Shopping e turismo, «la città valorizzi questa alleanza» 

nella foto: Rodolfo Baggio, docente del Master in Economia del Turismo dell’Università Bocconi di Milano e presidente di IfittItaly

Di fronte alla trasformazione di shopping center e factory outlet in mete e destinazioni, i negozi e le botteghe storiche non possono stare a guardare. Lo shopping rappresenta un’esperienza memorabile che accompagna ogni viaggio ed un’occasione unica per rivitalizzare i centri storici, eppure in pochi ne hanno colto le potenzialità fornendo tour e pacchetti turistici dedicati. Rodolfo Baggio, docente del Master in Economia del Turismo dell’Università Bocconi di Milano e presidente di IfittItaly – la principale comunità globale per lo scambio e lo sviluppo di conoscenze sull’uso e l'impatto delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione nel settore dei viaggi e del turismo – ha presentato con Magda Antonioli Corigliano e Cristina Mottironi un progetto europeo di valorizzazione dello shopping come fattore strategico per il turismo urbano. La piattaforma TOURISMlink (www.tourismlink.eu) mette per la prima volta a disposizione delle pmi un’offerta integrata – dai ristoranti ai cinema, dai musei ai negozi – che consente di creare pacchetti su misura di ogni esigenza di turista. Non manca una riflessione, a margine del convegno “Il turismo culturale europeo verso il 2020”, sull’importanza della valorizzazione dello shopping come motivo di viaggio o visita e sui limiti della nostra presenza sul web, con uno dei più grandi esperti al mondo di Ict a servizio del turismo.

Quanto vale lo shopping dei turisti?
«Difficile dare una stima degli acquisti perché non esiste, purtroppo, un dato che restituisca in modo fedele il quadro. La Banca d’Italia ogni anno fornisce l’indotto legato al turismo, ma nessuno è entrato nell’ordine di idee di valorizzare una componente in grado di creare un importante valore aggiunto e di rivitalizzare i centri storici che fanno i conti con consumi interni in picchiata. Esistono le gite organizzate negli outlet, ma la rete del piccolo commercio, depositaria della tradizione e della tipicità non rientra nei tour».
Quali sono le opportunità offerte dagli shopping tour?
«Lo shopping è un forte strumento di destagionalizzazione e ad avere grandi potenzialità inespresse sono soprattutto le città di media grandezza. Il problema è che manca una vera e propria offerta dedicata per non parlare dei servizi annessi e connessi, dai personal shopper ad itinerari guidati ad hoc. A Torino, ad esempio, è stato lanciato un itinerario per boutique alla scoperta di indirizzi storici, atelier di stilisti emergenti, grandi firme ma anche indirizzi per chi cerca pezzi vintage e di antiquariato».
Lo shopping è un’esperienza irrinunciabile che accompagna ogni viaggio?
«Qualcosa si acquista sempre, souvenir e “tourist junk” inclusi, e se non si compra si fa window-shopping, perché i “leccavetrine” esistono da sempre. Lo shopping è un’esperienza memorabile non solo per i viaggi di piacere ma anche per quelli business».
Quali sono le premesse per diventare una meta per i turisti amanti dello shopping?
«Bisogna anzitutto cambiare mentalità, ritoccando gli orari di apertura, specialmente nei fine settimana. La forza di outlet e centri commerciali è sempre stata quella delle aperture in pausa pranzo, serali e nel fine settimana. Abbassare la saracinesca alle 19.30 limita le occasioni d’acquisto specialmente per il turista d’affari per cui la sera e la pausa-pranzo rappresentano i momenti da dedicare allo shopping. Serve poco o nulla aprire bottega di prima mattina».
Crede che Bergamo possa attrarre i turisti dello shopping?
«Non conosco la città, ma sono certo che le insegne delle vie del centro e di Bergamo Alta non siano state abbastanza valorizzate in chiave turistica, né più né meno di altre città italiane. Le strade dello shopping delle città europee sono invece ben attrezzate…».
Le vie dello shopping d’Europa e del mondo si assomigliano sempre di più, con una proposta omologata di insegne, non crede? Come far emergere la tipicità nell’omologazione?
«Le botteghe storiche non possono essere sostituite da grandi gruppi e negozi in franchising. Urge ora come non mai una pianificazione territoriale ed iniziative per rendere più sostenibili i canoni di locazione. Non è affatto vero che il mercato si regola da solo e tutta questa smania di liberismo si è rivelata deleteria».
In alcuni centri storici, tra cui Bergamo ed alcuni comuni della provincia, sono state prese misure restrittive per le licenze di kebab e phone center. Cosa ne pensa?
«Le restrizioni ci vogliono e le istituzioni pubbliche devono intervenire per salvaguardare la tipicità di ogni luogo. I negozi sono espressione e parte integrante del territorio. Continuano tutti a parlare di valorizzazione del turismo culturale, ma il turista non vive rinchiuso nei musei. Bisogna indirizzarlo con suggerimenti ed informazioni sugli indirizzi, le vie , le botteghe, i ristoranti che valgono una sosta».
Bergamo è la capitale, via Orio al Serio, dei turisti low cost. Quale può essere la proposta più interessante per questa tipologia di turisti?
«Bisogna ribadire che non è affatto vero che il turista low cost cerchi sempre il risparmio a tutti i costi. A conti fatti la spesa per un viaggio è più o meno sempre la stessa, anzi chi risparmia su volo e alloggio spesso destina maggiori risorse agli acquisti».
Per diventare a tutti gli effetti una città a prova di turista qualcuno dice che si debba puntare su grandi marchi e firme della moda. È d’accordo?
«Tutti si concentrano sul target del lusso quando in realtà sono i consumi meno vistosi a dare i maggiori risultati. Nei concept store della moda la maggior parte della gente si limita ad acquistare l’articolo meno costoso pur di uscire con il pacchetto griffato. Il vero obiettivo è fornire al turista un’esperienza unica. Spesso la boutique di iper-lusso di una grande maison di moda non lascia gli stessi ricordi di una trattoriaccia o di una vecchia salumeria, con un mix unico di profumi e colori. Le grandi boutique come le grandi catene alberghiere invece si assomigliano tutte. Il turista cerca un’esperienza di viaggio unica e autentica, che gli consenta di entrare in contatto profondo con il luogo visitato».
Expo porterà milioni di turisti e visitatori in Lombardia. Siamo pronti ad accoglierli?
«Mi sembra che, anche in questo, siamo in clamoroso ritardo, specialmente sul fronte dell’organizzazione dei grandi flussi di traffico dai Paesi più lontani, che si affidano da sempre ai tour operator. Creare itinerari di shopping su misura di turista in concomitanza con l’Esposizione Universale rappresenta una scommessa interessante per attrarre un turista diverso dal cliente di tutti i giorni o dal turista italiano. Per organizzare proposte di appeal non ci si può aggrappare all’arte dell’improvvisazione, né si può pensare che il singolo commerciante che si muove da solo possa avere dei grandi risultati».
Quali sono i vantaggi della piattaforma TOURISMlink che avete ideato?
«La piattaforma favorisce l’adozione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte delle pmi per il business to business. Il progetto integra l’offerta turistica con i servizi complementari, dai negozi ai ristoranti, ai musei. Si offre la possibilità di creare con immediatezza pacchetti su misura delle molteplici esigenze del turista moderno. A Valencia, ad esempio, è stata creata un’offerta complementare nuova integrando servizi come le piccole attività del commercio che non avevano ancora trovato una rappresentanza. Così si dà una chance in più alla destinazione turistica e si offre un’opportunità alle agenzie di viaggio, massacrate dal fai da te, che possono proporre senza grandi investimenti dei pacchetti interessanti».
Il turismo non rientra tra le priorità dei governi italiani e compare solo di sfuggita nell’agenda del governo Renzi. È la nostra grande occasione persa?
«Di turismo si parla molto ma si fa davvero poco. C’è stato uno sprazzo di attenzione con il Piano strategico per lo sviluppo del turismo l’anno scorso, che però si è rivelato un po’ inconsistente nella pratica. La pianificazione deve essere unitaria e il Governo deve dare indirizzi precisi. Le nostre risorse, ancora più di quelle degli altri Paesi, non sono illimitate e bisogna scegliere gli asset strategici per lo sviluppo. Gli altri Paesi hanno piani dettagliati, noi invece vogliamo sempre fare di tutto un po’. Non possiamo fare ricerca in qualunque disciplina, nessun Paese se lo può permettere. È ora di finirla con gli investimenti a pioggia che rendono poco o nulla e sono estremamente dispersivi. Una pioggerellina non risolve niente, serve un bell’acquazzone».
Lei è un esperto di informatica e tecnologie della comunicazione. Come valuta la nostra promozione mediante il web?
«I siti si moltiplicano e si copiano a vicenda e il portale unitario (il controverso www.italia.it, ndr.) è figlio di errori clamorosi. Gli altri Paesi hanno realizzato grandi portali turistici venti anni fa ed oggi sono al passo coi tempi nel fornire esperienze uniche al visitatore. Penso al sito della Svizzera, dell’Islanda, della Norvegia, dell’Australia e del Canada, per citare i migliori. Noi invece siamo decisamente indietro. In collaborazione con l’Università di Catania stiamo cercando di ricostruire con sforzi titanici la rete web italiana che presenta una struttura davvero anomala con siti legati a senso unico».
Quali sono i principali limiti?
«L’unica cosa sensata del web è il collegamento e invece in Italia si entra in un sito e si ha la sensazione di essere chiusi a chiave a doppia mandata in una stanza. Internet dà l’opportunità unica di realizzare idealmente il mercato medievale che riuniva nella stessa piazza tutte le attività. Poi è chiaro, una volta aperto il mercato, si affilano i coltelli e ognuno bada al suo cassetto. Intanto però si è raggiunto lo scopo principale di farsi trovare, che è la molla di ogni investimento effettuato nel web».
Quali sono gli investimenti peggiori effettuati nel web?
«Il web è splendido perché dà spazio alla creatività e alla fantasia ma non perdona di avere l’idea per secondi. Ora c’è una vera e propria rincorsa nella creazione di sistemi di prenotazione on-line che è di per sé perdente, a meno che non si vogliano investire più risorse di Booking.com che investe 1 miliardo e 200 milioni l’anno in pubblicità online. Non credo che le Regioni e tanto meno i Comuni e le Province abbiano queste somme da investire». 




I ristoranti bergamaschi e la sfida della cucina vegana sul nuovo numero di Affari di Gola

Il confronto tra pizzaioli e vip sui modi di mangiare la pizza di cui parliamo nella notizia dedicata https://www.larassegna.it/notizie_la_rassegna.php?nid=562&ref=home viene sviluppato sul numero di marzo di Affari di Gola, il mensile dell'enogastronomia bergamasca edito da La Rassegna. La rivista, in edicola in questi giorni, porta in copertina alla cucina vegana, nuova sfida dalla ristorazione orobica. Proprio in questi giorni, infatti, 16 locali partecipano ad un corso promosso dall'Ascom e dalla Lav sui fondamenti di questa filosofia, che non prevede l'utilizzo di alcun alimento di origine animale e che sta guadagnando sempre maggiori consensi.
Ma si parla anche di piatti tutt'altro che light, come la cassoeula, scoprendo che ha origini napoletane, e di un nuovo salume – Mosaico – creato dal macellaio Elio Cazzaniga di Canonica d'Adda. Ci sono anche l'intervista con la nuova delegata provinciale dell'Onaf, l'Organizzazione nazionale degli assaggiatori di formaggi, Grazia Marcalli, e con il campione del mondo di cioccolateria Davide Comaschi, che svela i trucchi per riconoscere la qualità dei prodotti. Sul versante del vino si scoprono la produzione di bollicine della Val Camonica e le chicche scovate dal sommelier Luca Castelletti in Crimea, Israele e Azerbaigian.




Candidati sindaco a confronto sulla pizza. Ecco come la mangiano Tentorio e Gori

La pizza. Piace a tutti, ma ognuno ha una propria personale visione di come gustarla al meglio. Le scuole di pensiero sono tante, tra chi la preferisce sottile e chi più morbida, chi con farciture semplici, chi ricchissima. Le correnti si dividono anche sul come mangiarla. Con coltello e forchetta o addentando direttamente le fette prese con le mani? A New York il sindaco Bill De Blasio è stato pubblicamente ripreso per l’utilizzo delle posate, mentre sulla costa opposta le celebrity della notte degli Oscar non ci hanno pensato su due volte a servirsi dal cartone. E a Bergamo? La rivista Affari di Gola (http://www.affaridigola.it) ha girato il “dilemma” ai pizzaioli e ad una serie di personaggi pubblici, a cominciare da Franco Tentorio e Giorgio Gori, candidati alle poltrona di sindaco della città. Anche in questo campo li si scopre su posizioni diverse, con il primo cittadino in carica che solo in pochissimi casi rinuncia alle posate e lo sfidante che opta per le mani. A raccontare la loro pizza sono anche l’allenatore dell’Atalanta Stefano Colantuono, l’ex sciatrice e consigliere regionale Lara Magoni, il campione di motociclismo Giacomo Agostini, il cantante dialettale Il Bepi, lo chef Chicco Cerea e il critico Edoardo Raspelli.
E voi come la mangiate? Dite la vostra sulla nostra pagina Facebook    




Proprietà industriale, quattro incontri per una gestione stategica

Per chi vuole approfondire le opportunità della proprietà industriale, marzo è il mese giusto. Bergamo Sviluppo propone infatti un ciclo di quattro incontri dedicati a favorire una corretta ed efficace gestione degli strumenti di tutela.
I seminari, per un totale di 16 ore, sono rivolti alle micro, piccole e medie imprese locali, ma aperte anche a tutti gli interessati e permetteranno di comprendere come tutelare le proprie innovazioni in funzione della crescita su mercati internazionali, come proteggersi dal fenomeno della contraffazione, come accedere più facilmente al credito attraverso lo strumento della Propprietà Industriale e come valorizzarla commercialmente.
Queste le date e i temi
Giovedì 13 marzo: “La tutela dell’innovazione nei processi di internazionalizzazione”
Martedì 18 marzo: “Lotta alla contraffazione: analisi del fenomeno e strategie di difesa”
Giovedì 20 marzo: “Proprietà Industriale: strumento di facilitazione per l’accesso al credito”
Martedì 25 marzo: “La valorizzazione commerciale della Proprietà Industriale”

Tutti gli incontri si terranno a Bergamo nelle sale del Palazzo dei Contratti e delle Manifestazioni, in via Petrarca 10, dalle 14 alle 18.
La partecipazione, previa iscrizione online sul sito http://www.bergamosviluppo.it, è libera e gratuita.
Il ciclo di incontri è promosso nell’ambito del progetto “Tutela e valorizzazione della Proprietà Industriale a supporto dell’innovazione e della competitività delle MPMI bergamasche”. L’iniziativa è finanziata da Ministero dello Sviluppo Economico e Camera di Commercio di Bergamo, coordinata da Unioncamere e vede il contributo tecnico-scientifico dell’Ufficio Brevetti e Marchi della Camera di Commercio e dell’Università di Bergamo – Dipartimento di Ingegneria.




Diego Pedrali entra nella Giunta di Federazione Moda Italia

Diego Pedrali (nella foto), presidente del Gruppo Abbigliamento dell'Ascom Bergamo, è entrato a far parte della Giunta di Federazione Moda Italia, la più importante organizzazione aderente a Confcommercio – Imprese per l’Italia che rappresentanza il dettaglio e l’ingrosso dei settori abbigliamento, tessile per arredamento, tessuti per abbigliamento, pelletterie, accessori, articoli sportivi, con oltre 35.000 imprese commerciali piccole e medie associate.
La nomina è avvenuta nel corso del Consiglio Nazionale che si è riunito per la prima volta a Bergamo e che ha preceduto l’importante convegno organizzato da Ascom in collaborazione con la Federazione dal titolo “È possibile la ripresa del settore Terziario in Italia? L'analisi e le proposte della Modern Money Theory”, a cui ha preso parte Warren Mosler, economista statunitense, autore di spicco della Teoria Monetaria Moderna e fondatore del Centro per la Piena Occupazione e la Stabilità dei Prezzi che ha sede all'Università del Missouri a Kansas City.
Pedrali, classe 1950, titolare del negozio di abbigliamento "L’uomo Più" a Torre Boldone, è presidente del Gruppo abbigliamento e calzature dell’Ascom di Bergamo dal 1996; fa parte del consiglio della Camera di Commercio di Bergamo ed è consigliere del Direttivo dell'Ascom Bergamo.
«La nomina – ha dichiarato – permetterà di far valere ancora di più le istanze dei piccoli operatori commerciali».
Nel corso del Consiglio, Carlo Saponaro, già membro della giunta federale e presidente di FederModa Bari, è stato eletto vicepresidente di Federazione Moda Italia, mentre Federica Grassini, presidente Confcommercio Pisa oltre che di Federmoda Pisa e Toscana, è stata cooptata in Giunta, come Pedrali.




Obiettivo occupazione, intesa fra sindacati e Confindustria Bergamo 

nella foto: Ercole Galizzi

Fare in modo che la mini-ripresa si traduca anche in un recupero di posti di lavoro nel nostro territorio. Si pone questo obiettivo l’accordo siglato da Confindustria Bergamo con Cgil, Cisl  Uil che si focalizza su cinque punti: la promozione della nuova occupazione giovanile, la valorizzazione delle competenze del personale anziano, la formazione continua dei cassintegrati, il lancio di un welfare territoriale, la verifica della regolarità contributiva e retributiva del personale impiegato tramite appalti, per scoraggiare abusi. Dopo l’annuncio fatto all’assemblea di ottobre da parte del presidente di Confindustria Bergamo Ercole Galizzi, arriva dunque questa intesa che si spera potrà produrre risultati concreti. Il protocollo, immediatamente operativo, è stato presentato durante un incontro stampa nella sede di Confindustria Bergamo con il presidente dell'associazione imprenditoriale Ercole Galizzi e il vice presidente Matteo Zanetti e i segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil Luigi Bresciani, Ferdinando Piccinini e Marco Cicerone ed è la conclusione di un confronto fra le parti svoltosi in questi mesi sulle dinamiche concernenti le flessibilità organizzative e gestionali, la professionalizzazione dei lavoratori, la tutela e la stabilità occupazionale.
La prima iniziativa riguarda la programmazione di interventi a supporto della nuova occupazione giovanile in incremento occupazionale e con prospettiva di stabilizzazione dei rapporti di lavoro, in modo da consentire la tutela dei lavoratori e contemporaneamente le esigenze dei datori di lavoro di flessibilità nei tempi e nei modi di esecuzione delle prestazioni. Le soluzioni verranno declinate nelle singole unità produttive con specifiche modalità e nell’immediato comporteranno una proposta di Confindustria Bergamo sui rapporti di lavoro a tempo determinato. Segue la richiesta di orientare il Piano d’azione provinciale per le politiche attive anche alla valorizzazione del reinserimento al lavoro di personale a fine ciclo lavorativo che, per esperienza o competenza, sia in grado di trasmettere professionalità al personale di nuova assunzione. C’è, inoltre, l’attivazione di una iniziativa di welfare territoriale, realizzata con il supporto dei Centri per l’Impiego della Provincia di Bergamo e finalizzata ad attenuare le situazioni di particolare disagio derivanti da prolungate applicazioni delle integrazioni salariali (è prevista una dote di 500 euro da assegnare secondo particolari criteri). Si aggiunge la programmazione di interventi di formazione continua adeguati alle specifiche esigenze delle imprese e dei lavoratori coinvolti dal ricorso ad ammortizzatori sociali, interessando i principali centri formativi attivi nel territorio che siano disponibili ad implementare la propria offerta di servizi. Infine, la sensibilizzazione delle imprese sui rischi correlati al ricorso a procedure di appalto che dovessero coinvolgere appaltatori/subappaltatori inadeguati, promuovendo la diffusione di specifiche clausole contrattuali di garanzia, per prevenire eventuali irregolarità retributive e contributive ed evitare sia carenze di tutela per i lavoratori sia  responsabilità a carico delle imprese committenti.
L’intesa avrà carattere sperimentale fino alla fine del 2015 e sarà poi riproposta di anno in anno, salvo disdetta, diventando quindi, di fatto, permanente.
Tutti gli interventi saranno oggetto di rendicontazione e monitoraggio periodico, per consentire eventuali adattamenti e comunque verificare il conseguimento di concreti risultati.




Sagre, la scelta di Pedrengo: acquisti nelle aziende del paese

Nella battaglia, spesso accesa, tra promotori e sostenitori delle sagre e chi, invece, ne denuncia gli effetti negativi (su tutti i gestori di bar, ristoranti e pizzerie, ma anche i residenti nelle zone interessate dalle manifestazioni per via del disturbo), si fa largo una terza via, che passa anche da un “accordo morale” per cercare di salvaguardare i diversi interessi in campo.
È quanto sta accadendo a Pedrengo, dove tutti gli organizzatori delle prossime feste estive nell’area attrezzata di via Piave hanno sottoscritto un impegno comune – nel corso della recente riunione fissata dall’Amministrazione per la definizione del calendario – a rivolgersi per le forniture ai negozi e alle attività presenti sul territorio. Un modo, quindi, per far girare l’economia locale e far ricadere anche sulle aziende una parte del movimento generato dalle grandi tavolate all’aperto.
Non ci sono obblighi né ci saranno controlli, naturalmente, perché la concorrenza e la libertà di scelta devono prevalere, «abbiamo però voluto dare una sorta di ufficialità – spiega il sindaco Gabriele Gabbiadini – ad un comportamento già in essere, così da rimarcarne il valore, mettere cioè in evidenza l’importanza di fare scelte consapevoli». Pedrengo, tra l’altro, può contare su realtà produttive e di distribuzione capaci di soddisfare le esigenze di questo tipo di eventi e al resto possono pensare i negozi di vicinato, che, stretti tra le difficoltà della piccola impresa e la congiuntura negativa, possono trovare in questo tipo di forniture una salutare boccata di ossigeno. «Appoggiarsi a partner locali – prosegue il sindaco – è anche funzionale ad una migliore gestione degli aspetti legati alla sicurezza e igiene degli alimenti, soprattutto per i prodotti deperibili come carni, verdure e surgelati». E non è che la zona di acquisto sia delimitata sulle mappe, «l’iniziativa – ribadisce – è semplicemente un invito a tenere conto di ciò che offre il territorio». 
Gabbiadini non nasconde che le sagre creano problemi ai gestori dei locali pubblici, «che hanno dipendenti e assicurano un servizio tutto l’anno, ma che nel periodo estivo rischiano di restare sulla soglia ad aspettare i clienti». «Non si può non tenere conto del tessuto produttivo e del lavoro – afferma -, ma è anche vero che le associazioni che chiedono di organizzare le feste lo fanno per raccogliere fondi per il sostentamento delle proprie attività, che quindi ritornano alla comunità come servizio sociale». Entrambe le parti hanno perciò le proprie buone ragioni e quello che il Comune sta cercando di fare è raggiungere un equilibrio. Già con l’amministrazione precedente nel regolamento di polizia urbana sono stati introdotti dei precisi criteri e limiti per l’organizzazione delle feste in via Piave. Il periodo di svolgimento è compreso tra l’ultimo fine settimana di maggio e il primo di settembre, le manifestazioni non possono durare più di cinque giorni (ad eccezione di quella degli Alpini, legata ad una convenzione che prevede da parte del Gruppo la gestione dell’area, il servizio di allestimento e manutenzione della struttura) e un terzo dei weekend deve restare libero da iniziative. Complessivamente non possono essere superati i 45 giorni di festa totali e sono state fissate anche delle priorità nella valutazione delle richieste in caso di disaccordo, con la precedenza che va, nell’ordine, alle associazioni territoriali di volontariato sociale, a quelle sportive, ai partiti politici e alla storicità degli appuntamenti. Il regolamento definisce anche gli orari per l’utilizzo degli altoparlanti e la diffusione della musica.
«Ma accanto alle regole scritte – fa notare il primo cittadino – ciò che stiamo portando avanti è la sensibilizzazione e la responsabilizzazione degli organizzatori, che in fondo sono le chiavi di volta per rendere efficaci gli interventi. Sulla diffusione della musica, ad esempio, il messaggio è stato recepito e oggi riceviamo solo sporadiche lamentele. Tre anni fa abbiamo anche inserito l’obbligo di adesione delle feste al codice etico sulla somministrazione di alcolici promosso dall’Ambito territoriale di Seriate, accolto sulle prime come un’imposizione, ma ora ampiamente condiviso. Non è che sia così gravoso rispettarlo – fa notare -, si tratta di non servire alcolici ai minori e a chi è in uno stato di evidente alterazione, secondo la legge, e di informare sui rischi dell’alcol, soprattutto per chi si mette alla guida. Ciò che abbiamo chiesto è una presa di coscienza del problema e la disponibilità a condividere un percorso». Anche l’invito a fare acquisti in paese ha lo stesso senso, «vuole far riflettere sulle ricadute che le manifestazioni hanno sul territorio e offrire una strada rispettosa del tessuto produttivo locale». 
A chi si interroga sul fatto che possa essere una mossa elettorale, Gabbiadini (eletto nelle file del Pdl, si ripresenterà da indipendente) risponde che sarebbe stato molto più semplice non intervenire sul tema delle sagre. «Quando si cerca di regolamentare dei fenomeni, inevitabilmente si va incontro a delle critiche – rimarca -, tra chi vorrebbe più libertà (di fare tardi, di avere a disposizione più giornate) e chi chiede più restrizioni. Noi stiamo cercando di garantire i diritti di tutti, con modalità che tengono conto della nostra realtà e il più possibile accettate».   
Per l’estate 2014, intanto, i giochi sono fatti. La stagione – nell’area adiacente il bel parco Frizzoni che ospita anche maestosi Cedri dell’Himalya – si aprirà con la festa dell’Oratorio per chiudersi con quella storica dell’Avis Aido. Nel mezzo ci sarà spazio per la Festa dei Pescatori nella quale si inserisce la manifestazione del Comune per i giovani “Pedrengo Music Festival”, quella degli Alpini, le iniziative delle associazioni Croce Bianca, Terra d’Europa e Omero, e la festa del Pd.




Pubblici esercizi e Tripadvisor, prove tecniche di dialogo

Ci sono dei punti in comune fra TripAdvisor e Fipe-Confcommercio, ma restano però da risolvere i problemi che riguardano l’identificazione del recensore e la sua effettiva presenza nel ristorante. È questo il frutto dell’ultimo incontro in ordine cronologico fra la Federazione italiana dei pubblici esercizi e il gigante dei commenti online generati e gestiti direttamente dai consumatori.
Dopo lo scontro iniziato nell’estate del 2012 fra le due realtà, si è arrivati a riconoscere che esiste effettivamente un mercato delle recensioni false che creano danni ai ristoratori e allo stesso portale. Per questo motivo Fipe e TripAdvisor intendono proseguire il dialogo e cercare di avviare una sinergia proficua e costruttiva.
Il confronto era iniziato a seguito delle lamentele arrivate alla stessa Fipe da parte dei pubblici esercizi che si ritrovavano loro malgrado a leggere commenti alcuni dei quali erano facilmente identificabili come palesemente falsi, perché riferiti magari a un piatto mai esistito nel menu o a una serata in cui il locale era chiuso.
Immediata è scattata la richiesta di Fipe di incontrare TripAdvisor.
Quest’ultimo ha subito riconosciuto in Fipe l’interlocutore ideale e qualificato per instaurare un rapporto di confronto costruttivo e di collaborazione reciproca atto a valorizzare la ristorazione italiana attraverso il web. La società, nell’ammettere l’esistenza di agenzie fittizie di web-reputation, ha rivendicato l’estraneità di rapporti dalle stesse e ha ribadito l’esistenza di filtri con cui individuare situazioni poco attendibili, ma si è mostrata ancora cauta sia sulla possibilità di rinunciare al ricorso all’anonimato da parte degli utenti, sia sulla possibilità di creare un sistema con cui dimostrare che il commento rilasciato sia frutto esclusivamente di un’opinione personale e del servizio effettivamente ricevuto.
«Pur riconoscendo gli enormi sforzi effettuati anche da parte di TripAdvisor – afferma Aldo Cursano, vicepresidente vicario Fipe-Confcommercio – e pur avendo intrapreso un percorso comune, non possiamo ancora dire di aver risolto tutti i problemi delle recensioni.
I ristoratori debbono imparare a non subire il web, come spesso accade, ma a gestirlo meglio. TripAdvisor – prosegue Cursano – garantisce una vetrina globale nel mondo del web, dove la ristorazione può promuoversi e farsi conoscere a un pubblico più vasto di quello che si può raggiungere con i mezzi pubblicitari tradizionali. Anche su questo si fonda la scommessa fra TripAdvisor e Fipe. Nel combattere l’uso distorto della rete, dobbiamo porci assieme l’obiettivo di formare gli utenti e informarli sulle opportunità di creare un dialogo tra ristoratori e clienti e sulla possibilità di gestire la critica, perché, se autentica, diventa una spinta per migliorare l’offerta ed il servizio».




La rabbia dei tabaccai: «Il nostro aggio è il più basso d’Europa»

nella foto: Il Consiglio Fit di Bergamo 

Lo scorso 25 febbraio si è concluso il rinnovo delle cariche sociali del Sindacato Provinciale Tabaccai, Fit di Bergamo.
Dopo le riunioni zonali, svoltesi nei mesi scorsi, che hanno portato all’elezione di 42 delegati di zona, si è proceduto all’elezione del Consiglio Direttivo e quindi del presidente provinciale e dei vicepresidenti. Nel corso della riunione, alla presenza del presidente nazionale, Giovanni Risso, del componente il comitato esecutivo Giovanni Catelli e del delegato territoriale di Brescia Alessandro Rossini, i consiglieri, all’unanimità e per acclamazione, hanno rieletto quale presidente provinciale, Luca Mangili. Eletti alla carica di vicepresidenti Isidoro Mariani, Roberto Masnada e
Giovanni Cremaschi.
Il Consiglio Direttivo è altresì composto da: Marco Falconi, Gianbattista Gamba, Nunzio Carrara, Angela Ventura, Giuseppe Chiapparini, Pasquale Tanga, Roberto Togni, Giuseppe Finazzi e Umberto Crespolini. In questi giorni, la categoria è in fermento, con scioperi indetti per chiedere l’aumento dell’aggio. Il presidente Risso sottolinea che “la categoria continuerà ad astenersi dalla vendita del tabacco anche lunedì 17 e lunedì 24 e fino a quando sarà necessario. Fino a quando, cioè, il ministro dell’Economia e delle Finanze non ci riceverà per ascoltare le nostre motivazioni e cominciare a ragionare sulle possibili soluzioni. Indifferibili – sottolinea Risso – se si vuole consentire alla rete di vendita dello Stato di poter continuare ad operare con dignità e professionalità”.
“I tabaccai ricchi? Ma ci facciano il piacere!” rimarca Risso, precisando che “l’aggio dei tabaccai italiani è il più basso d’Europa, appena la metà di quello dei colleghi francesi, che già sono penultimi nella classifica. E lo dico dati alla mano, non certo per sensazionalismo mediatico”.
“La battaglia sull’aggio dei tabacchi, la nostra battaglia, non è il capriccio di un momento – continua il presidente -ma è iniziata da tempo, da quando la redditività delle nostre rivendite è calata a picco. Per questo parlare ora di percentuali non ha senso. Il discorso da fare è ben più ampio”. “Siamo la rete più estesa ed efficiente in Italia. Le tabaccherie sono l’ultimo presidio rimasto tra i negozi di prossimità e la cittadinanza si rivolge con fiducia a noi tabaccai. Tutto, sia detto chiaramente, a vantaggio in primis dello Stato, per il quale siamo i primi collettori d’imposte. Perché dunque – incalza ancora Risso – il nostro lavoro non deve essere adeguatamente retribuito? Perché, a quelli che già gravano sulla nostra amministrazione, dobbiamo aggiungere anche il costo di una tale capillarità? Lo Stato ricava gran vantaggio dalla diffusione sul territorio della tabaccherie. Bene, è giunta l’ora che il Governo ne tenga conto, anche perché sui costi in continuo aumento nessuno sconto ci è riconosciuto. Abbiamo iniziato a trattare alcuni mesi fa ma nulla è successo. Vogliamo delle risposte” – conclude Risso.




Terziario in cerca di ripresa. Mosler: «Il nodo sono le restrizioni Ue»

nella foto: il presidente dell’Ascom e della Camera di Commercio Paolo Malvestiti, l’economista statunitense Warren Mosler e il presidente di Federmoda Italia Renato Borghi 

L’austerità strozza il giro dei consumi, che è lo scopo stesso dell’economia, ed è stata creata a tavolino con il trattato di Maastricht che ha punito l’Italia per essere un Paese di buoni risparmiatori. «È la politica restrittiva dell'Unione Europea che causa problemi, non l’euro e il sistema monetario di per sé. L'Ue ha deciso che gli Stati membri non avrebbero dovuto ricevere aiuto dalla Bce per liberare le forze dei mercati e fargli "disciplinare" le nazioni dell’Unione – sostiene a gran voce Warren Mosler, fondatore di spicco della scuola economica Modern Money Theory o Mosler Economic -. Questo errore ha fatto sì che i tassi d'interesse andassero alle stelle e ha aggravato la crisi finanziaria. La crisi dei tassi d'interesse terminò nel 2012 quando la Bce dichiarò che avrebbe fatto tutto il necessario per prevenire il default degli stati membri. Questo ha permesso all'Italia di finanziarsi a dei tassi d'interesse più bassi, ma non ha risolto i problemi dell'economia reale.
Al contrario, nuovi tagli alla spesa e le nuove tasse hanno incrementato ulteriormente la disoccupazione. E questa è tutta e solo politica». Come lo è la soluzione: «La Bce non può rimanere senza euro. Lo scorso anno sono stati spesi 1.000 miliardi di euro in liquidità bancaria. E da dove sono venuti questi soldi? Si è trattato di un semplice inserimento dei dati». Né più né meno del tabellone di punteggi di uno stadio o di un foglio di calcolo di Excel. Non resta altro che cambiare le regole del gioco.

Da settima potenza mondiale e prima produzione industriale in Europa siamo stati declassati nel girone degli Stati con squilibri macroeconomici eccessivi, come ha ribadito il commissario europeo Olii Rehn. Come vede l’Italia, Paese che conosce molto bene, dagli Stati Uniti?
«Mi sembra che vada molto male. Le regole dell’Unione Europea hanno punito l’Italia per essere un buon risparmiatore. Il deficit del Governo corrisponde al risparmio del settore privato. Il deficit al 3% limita la crescita dei risparmi privati di cui l’Italia ha bisogno».

È davvero tutta colpa dell’euro e delle politiche di Bruxelles? I parametri di Maastricht creano povertà e disoccupazione?
«Assolutamente sì. L’austerità ci riporta al trattato di Maastricht, nel 1997. È come aver davanti un incidente ferroviario al rallentatore, già previsto venti anni fa. Non è naturale non avere deficit ed il veto è stato istituito per avere la certezza che ci sarebbe stata l’austerità, con l’annesso disastro sociale ed economico. Il limite al 3% è troppo basso. Bisogna smantellare le restrizioni, cosa che hanno detto che avrebbero fatto verbalmente, ma lo devono mettere per iscritto. Una combinazione di tasse più basse e l’aumento della spesa pubblica è la direzione giusta. Solo in questo mondo i risparmi possono incrementare».

Come se ne esce?
«Bisogna chiedere all'Unione Europea di allentare i limiti al deficit pubblico. L'ideale sarebbe passare dal 3% all’8,5%. Nessuno Stato ha mai chiesto di allargare il deficit perché ha sempre guardato positivamente solo a deficit bassi. È questo il grande problema e il grande errore. La mia idea è condivisa, ma mi sono sentito di recente dire da un illustre economista tedesco che ormai la politica è andata troppo oltre in questa direzione per tornare indietro. E questa è la peggiore risposta che mi potessero dare».

Renzi ha annunciato di voler ritrattare, dopo aver portato sul tavolo a Bruxelles le Riforme, i parametri di Maastricht, vecchi vent'anni. È possibile che si stia andando nella giusta direzione?
«Non ho visto nella lista delle priorità del nuovo governo l'aumento del deficit. Se la trattativa include la possibilità di innalzare il tetto del deficit allora credo che ci siano delle buone speranze, diversamente non vedo ancora grandi possibilità all'orizzonte».

L’Italia può davvero abbandonare l’Eurozona? 
«Qualora non sia possibile ottenere un innalzamento del tetto del deficit, restano altre due opzioni: la prima è soffrire per sempre, l’altra è quella di adottare la lira e ottenere il deficit necessario per incrementare la spesa pubblica e far ripartire l’economia. Il ritorno alla lira o a qualsiasi altra moneta, fiorino, ducato, purché coniata in Italia consente di incrementare la spesa pubblica senza dover chiedere a nessuno il permesso. In uno Stato naturale non esistono problemi di solvibilità. Ma se si sceglierà la lira e si continuerà a perseguire il pareggio di bilancio come obiettivo, non si otterrà ugualmente alcun risultato».

Tornare alla lira non comporta dei rischi?
«Se i leader vogliono continuare a mantenere il pareggio di bilancio il cambiamento non porta alcun miglioramento. Il secondo timore è tecnico: io non consiglierei di convertire in lire i depositi bancari esistenti, ma di mantenerli in euro, in questo modo non ci sarà una corsa all'accumulo di lire ma si spenderanno euro per ottenere lire».

Qual è oggi la priorità per rilanciare imprese e lavoro, con un tasso disoccupazione elevatissimo? Si parla di liberalizzare contratti di lavoro in entrata e in uscita, tagliare la burocrazia… Solo negli ultimi giorni si è tornato a parlare di crescita e occupazione. Quale può essere la “exit strategy”?
«Bisogna partire dal presupposto che, in generale, alla imprese non piace assumere chi è disoccupato, specialmente dopo due o tre anni di assenza dal mercato del lavoro, anche se si è molto qualificati e competenze. Una soluzione per favorire il reinserimento lavorativo può essere rappresentata dall'impiego di transizione. Questo tipo di impiego facilita la transizione dalla disoccupazione all'impiego nel settore privato, come è stato dimostrato laddove è stata messa in atto. La Banca Centrale Europea potrebbe finanziare un posto di lavoro di transizione per tutti coloro che siano a disposizione per quel lavoro con una retribuzione salariale minima stabilita».

I consumi in Italia sono scesi dal 2007 al 2013 dell’11%. Nel 2013 i consumi delle famiglie sono calati di 21,6 miliardi di euro rispetto al 2012. Allarma il crollo della spesa alimentare che ammonta, sempre nel 2013, a -3,6 miliardi di euro. Quali soluzioni intravede perché l’economia torni a girare?
«Se il governo continua a sottrarre ricchezza ai cittadini e a ridurre la spesa pubblica non vedo soluzioni. Non è una sorpresa che il dato relativo ai consumi sia così disastroso».

Moltissime piccole imprese chiudono, le grandi imprese passano in mano straniera. Si dice spesso alle aziende italiane di aprirsi a nuovi mercati. La corsa all’export è un’opportunità oppure porta solo altri a far godere dei nostri sacrifici?
«Le esportazioni sono un beneficio solo se usate per compensare le importazioni. L’Italia può esportare una Ferrari in Germania ed utilizzare il guadagno dell’esportazione per acquistare tre Mercedes, ma il massimo guadagno sarebbe importare direttamente cinque Mercedes. Quello che conta sono i termini reali di scambio. Non bisogna avere un surplus commerciale nel proprio Paese. Le esportazioni devono essere il prezzo delle importazioni».

La tassazione è ai limiti della sopportazione, le imposte locali sono aumentate del 130% negli ultimi 20 anni. La pressione fiscale sembra non avere limiti, a danno di occupazione e consumi. La spesa pubblica italiana per ridurre la povertà è inferiore ad altri Paesi, come la Svezia, ma anche la Francia e la Germania. Lo Stato incassa troppo e spende troppo poco?
«Non ha alcun senso portare via denaro alla gente. Alzare le tasse e allo stesso tempo diminuire la spesa pubblica è un suicidio. Se aumentano le tasse il potere d’acquisto precipita e se diminuisce la spesa pubblica la gente ha allo stesso modo meno soldi perché si erodono i risparmi privati. Il risultato è che non ci sono  abbastanza soldi da spendere e i consumi crollano inesorabilmente. Tutto a questo punto deve essere tagliato: salute, educazione, sicurezza. Possiamo compararlo ad un parrucchiere che a forza di accorciare, da una chioma sempre più corta si trova a non avere più capelli da tagliare. Non ha senso e ogni economista non può che essere d’accordo su questo».

Una scelta particolarmente invisa è stata l’aumento dell’Iva al 22%. Cosa pensa di questa imposta?
«L 'Iva è una tassa che colpisce tutti, anche le persone che hanno i redditi più bassi e questo non può che essere rilevante e degno di considerazione politica. Il mio lavoro è soprattutto quello di indicare e fornire delle opzioni politiche. Se ci si pensa con attenzione non è auspicabile avere una tassa sulle transazioni. Se vogliamo che le persone possano acquistare e vendere prodotti liberamente non bisogna introdurre restrizioni sugli scambi: se l'Iva è troppo elevata si scoraggiano i consumi e se c'è una tassazione del reddito troppo elevata anche questa scoraggia il buon andamento delle transazioni. L'Iva ha dei costi di attuazione elevati e richiede un impiego di migliaia di persone che si occupano dei controlli, persone che potrebbero invece essere impiegate in altro modo a servizio della comunità». 

In Italia le differenti aree geografiche – Nord e Sud – hanno trattamenti molto diversi da parte dello Stato. A pagare il conto sono soprattutto le aree che permettono di pagare i conti delle altre Regioni. In questo momento è giusto continuare ad aiutare il Sud e le altre zone disagiate, oppure bisogna favorire le regioni-guida, anche esse in difficoltà, in modo che riparta l’economia?
«Le tasse del Nord non aiutano il Sud e viceversa. È solo un giro di soldi nel medesimo contenitore, l’Italia, lontana dalla ripresa con la tassazione insostenibile di oggi. L’unica soluzione per raggiungere l’equità sociale e tasse e prezzi più bassi per tutti è quella di incrementare la spesa pubblica. Per premiare la produttività e l’efficienza di un’area rispetto all’altra si può modificare la spesa pubblica e bilanciare le tasse in ogni area geografica».

Quali nazioni hanno applicato la Sua teoria?
«Nessuna, il mondo purtroppo va, a mio avviso, nel modo sbagliato. La Cina stava seguendo una politica di questo tipo, incrementando il deficit, salvo poi invertire la rotta. Il risultato è stato che la crescita si è ridotta e interrotta. Anche gli Stati Uniti stavano seguendo questa via, salvo poi negli ultimi anni tagliare la spesa e alzare le tasse, con gravi effetti sull’economia. È un errore: hanno continuato a vedere nel deficit un problema e la retorica dell’“abbassare il deficit pubblico” non ha fatto che avvalorare una tesi fasulla».

Invece ci hanno sempre detto che le tasse aumentavano per ridurre il debito pubblico.
«Nel mondo di oggi bisogna fare questo e l’Unione Europea si assicura che ciò venga fatto. Il debito degli stati membri oggi è reale. L’Italia quando aveva la lira non ha mai avuto alcun tipo di problema nel gestire il deficit pubblico. Gli interessi salgono e scendono perché sono le Banche Centrale a deciderlo e non hanno a che vedere con il mercato e con l’economia reale. È una scelta politica. L’Unione Europea ha creato un muro tra le banche e i governi per aiutare i mercati nella riduzione del deficit. I mercati possono imporre agli Stati in ogni momento la bancarotta, diversamente da quanto accade nel sistema monetario naturale».

Per quale ragione in Italia è tanto difficile tagliare le spese della politica? La responsabilità va ricercata nella mancata volontà della classe politica o – per incapacità o mancanza di volontà – nei burocrati che scrivono le leggi?
«Gli sprechi vanno sempre eliminati, in modo che queste risorse possano essere rimesse nell’economia. Con una maggior efficienza di gestione si può arrivare ad abbassare le tasse. Ma questo non è sufficiente, serve incrementare il deficit italiano. Visto che ai politici italiani piace  tanto spendere e spandere, non resta che aumentare la spesa pubblica per far tornare a girare l’economia. Con la disoccupazione al 12,6%, i tagli alle tasse efficaci per far ripartire l’economia dovrebbero arrivare a 100 miliardi di euro (dieci volte tanto quello che si annuncia di voler fare, ndr.)”.