L’impresa familiare a un bivio

nella foto: Alessandro Minichilli

Le aziende familiari resistono meglio alla crisi e danno occupazione, ma possono ancora crescere e diventare grandi, arrivando a competere sui mercati mondiali. Solo l’11,7% delle più grandi imprese italiane ha effettuato almeno un’acquisizione negli ultimi 13 anni, dato che evidenzia un vero e proprio limite allo sviluppo. L’azienda familiare è a un bivio: “O le nostre aziende fanno acquisizioni o finiscono con l’essere acquisite, come mostra il lungo elenco delle operazioni perfezionate o avviate da gruppi francesi” – sottolinea Alessandro Minichilli, professore associato della Cattedra AIdAF-Alberto Falck di Strategia delle Aziende Familiari dell’Università Bocconi, tra i curatori dell’Osservatorio Aub.
La crisi e la stretta al credito impongono inoltre una rivalutazione del ruolo dei portatori di capitali terzi e del private equity. Bisogna inoltre infrangere il “soffitto di vetro” (glass ceiling) che soffoca ogni aspirazione alla carriera delle donne: cda e vertice in rosa detengono, dati alla mano, performance eccellenti.
La medio-grande impresa familiare tiene duro di fronte alla crisi e incrementa l’occupazione. Questione di dna?
“Di fatto la migliore tenuta occupazionale va alle imprese familiari (che rappresentano  il 58% di quelle prese in esame) che hanno incrementato i posti di lavoro  del 5,7%  dal 2007 al 2012, contrariamente alle multinazionali che registrano un calo del 4,5%.  Nelle aziende familiari esiste una sorta di “patto implicito” tra datore di lavoro e dipendente. Un legame che spinge gli stessi imprenditori a parlare di “collaboratori”, indice di un maggior coinvolgimento,  in una struttura in cui il dipendente non è  un numero”.
Quali sono  i punti di forza delle aziende familiari?
“Senza dubbio il coinvolgimento della proprietà ed il legame più stretto con i dipendenti. Le aziende prese in considerazione, spesso caratterizzate da una forte presenza della famiglia e del fondatore, sono ancora molto vicine alla nascita imprenditoriale e portano ancora con sé quei valori di creatività, design e innovazione che costituiscono la forza del prodotto e quindi del mercato stesso.  Oltre alle eccellenze nel campo della moda e del design, siamo secondi solo ai tedeschi nella produzione di macchine utensili ed è tutto merito delle aziende – quasi tutte familiari – nate dall’intuizione di brillanti ingegneri fondatori”.
Qual è il tallone d’Achille dell’impresa familiare italiana?
“Le questioni critiche riguardano la governance. La difficile congiuntura economica dell’ultimo triennio ha determinato un atteggiamento di maggior prudenza verso il ricambio al vertice: le successioni sono passate dal 5% del 2008 al 3,7 % del 2012. Il problema è che, a prescindere dalla congiuntura economica, le successioni al vertice sono più frequenti nelle aziende in maggiore difficoltà. Questo è un limite, perché il cambio al vertice non va fatto nei momenti di grande crisi, ma al momento giusto”.
Le aziende guidate da leader giovani hanno performance migliori?
“Sì, mostrano performance superiori rispetto a quelle con leader over 40 e over 50. Il fondatore amplifica i due estremi: porta ad una crescita aziendale grandissima fino a 40 anni (+11,5 punti percentuali rispetto alla media della popolazione), buona fino alla soglia dei 50 (+3,5), mentre al giro di boa del 60 si blocca (al +0,1) per invertire completamente la tendenza  tra i 60 e i 70 anni (-1,7) e segnare il tracollo oltre i 70 anni (-3,9)”.
A quanti anni è bene che il fondatore o il leader si faccia da parte?
“I dati mostrano come il momento giusto sia alla fine dei 60 anni e comunque mai oltre aver spento le 70 candeline. La successione va programmata per tempo e deve avvenire al momento giusto”.
Un altro limite da infrangere è quello del “soffitto di vetro” che soffoca la carriera delle donne. Superare il “glass ceiling” è davvero un’opportunità?
“Dall’Osservatorio emerge che le donne possono rappresentare una concreta opportunità per le aziende, oltre che un obbligo nella linea di successione. Le donne al vertice dell’azienda di famiglia sono state selezionate per la loro competenza e non per affiliazione. Le donne lavorano inoltre meglio in coppia e in team: le migliori performance si registrano nelle imprese con vertice e cda in rosa”.
L’atteggiamento di preclusione verso una strategia acquisitiva rappresenta il principale freno allo sviluppo delle aziende familiari?
“Oggi lo slogan “piccolo è bello” che ha da sempre accompagnato il modello imprenditoriale italiano mostra tutti i suoi limiti. Oggi, o le nostre aziende fanno acquisizioni o finiscono con l’essere acquisite, come mostra il lungo elenco delle operazioni perfezionate o avviate da gruppi francesi. Le acquisizioni consentono all’azienda di crescere in nuovi mercati e di consolidare i propri presidi. L’Osservatorio evidenzia come solo l’11,7% delle maggiori aziende familiari italiane abbia effettuato almeno un’acquisizione negli ultimi 13 anni”.
Quali sono gli ostacoli all’internazionalizzazione, soprattutto nei mercati emergenti?
“Si tende a misurare la distanza in termini culturali oltre che geografici. E’ una questione di approccio: se l’azienda multinazionale analizza i mercati basandosi sulla loro crescita, l’ azienda familiare, che tende a preservare al massimo l’autonomia decisionale, pensa che affacciarsi sul mercato asiatico presenti rischi elevati, quando in realtà non è quasi mai così”.
Quali sono le nuove sfide?
“Con la crisi e la stretta al credito prima o poi le aziende devono rivalutare il ruolo dei portatori di capitali terzi per preservare e valorizzare il patrimonio. L’apporto di nuove risorse finanziarie e conoscenze da parte di un private equity può fornire un aiuto concreto per uscire dall’impasse o per consolidarsi e crescere. Molte aziende italiane pur possedendo i requisiti per procedere all’apertura di capitale non colgono questa opportunità. Il nostro mercato è sempre stato estraneo a queste operazioni, anche se il private equity si sta timidamente facendo strada. I risultati non mancano: la media dei tre anni post investimento raffrontata con il triennio precedente all’operazione evidenzia la crescita delle imprese che hanno aperto il capitale ad un fondo”.




Parte da Lovere la rivoluzione dell’ombrello 

nella foto: Diego Parisi

Si può essere creativi anche rivoluzionando un oggetto semplice come un ombrello. E’ il caso di Diego Parisi, 49 anni, di Lovere, padre di “Eccentrella”, il nuovo parapioggia con l’asta in posizione eccentrica rispetto alla copertura.
L’inventore bergamasco ha prima brevettato i prototipi e poi ne ha fatti fabbricare qualche migliaio in Cina e ora è pronto a lanciare il modello sul mercato nazionale.
Se le innovazioni servono per migliorare la vita quotidiana, il suo nuovo modello dal design accattivante si sta già conquistando un ruolo di primo piano. L’originalità è concentrata nella struttura: l’asta non più centrale, ma spostata a fianco permette di coprire dalla pioggia in modo totale. Gli ombrelli tradizionali, al contrario, riparano, più una spalla rispetto all’altra, che resta così più esposta alle intemperie. Questo perché la mano che tiene l’ombrello è decentrata rispetto al corpo. 
Parisi, come le è venuta l’idea di creare “Eccentrella”?
“E’ successo nel 2004. Passeggiavo per Bergamo, sotto la pioggia, proteggendomi con un ombrello convenzionale e quando mi specchiavo nelle vetrine mi accorgevo che avevo sempre la spalla sinistra bagnata. La mia compagna, perfino la borsetta fradicia. Non c’era una protezione totale dall’acqua. L’unica eccezione sono i modelli molto grandi che però nel contesto urbano sono ingombranti. Ho realizzato che mettendo invece l’asta dell’ombrello in posizione non centrale rispetto alla copertura, questo problema sarebbe stato superato”.
E così ha rivoluzionato il parapioggia…
“In effetti l’ombrello è leggermente più corto davanti rispetto a uno con asta centrale e quindi si evitano rotture nella parte anteriore della copertura soprattutto quando ci si scontra con altre persone. Possiede un ingombro minore rispetto a un ombrello più grande ad asta centrale, ma protegge allo stesso modo”.
Dal 2004 al debutto sul mercato attuale sono un po’ di anni …
“Ci sono passaggi ineludibili. Prima ho depositato il modello del telaio presso l’ufficio brevetti di Milano, una pratica semplice e necessaria. Poi ho presentato la stessa domanda ad Arlington, negli Stati Uniti. In questo caso, il procedimento è stato più lungo e costoso. Ma alla fine le Commissioni competenti si sono riunite e hanno confermato l’assoluta novità del mio prodotto rilasciandomi  l’utility patent nel 2009”.
La fabbricazione è avvenuta in Cina, perché?
“Negli Stati Uniti sarebbe costata troppo. Per questo ho optato per studio, sviluppo e  produzione in Cina. Le prime due fasi hanno richiesto oltre un anno, la produzione solamente tre settimane. In Asia la produzione ha costi ancora contenuti. E ciò mi permette di vendere “Eccentrella”, in Italia, a soli 19,90 (Iva inclusa) più un contributo per la spedizione, con consegna nell’arco di una settimana. La richiesta può essere fatta attraverso il mio sito aziendale www.eccentrella.com”.
Quali sono le caratteristiche tecniche e i materiali di “Eccentrella”?
“La copertura a forma di cupola, regolare e circolare, ha un diametro di 110 centimetri. L’asta è in alluminio, l’apertura a molla. La bilanciatura del telaio è perfetta e permette di tenere l’ombrello senza affaticare la mano. Le stecche hanno 12 misure diverse e sono in fiberglass. Il tessuto è blu o verde con manici abbinati. Non ho voluto nessuna fantasia, mi sono concentrato sul modello”.
Non teme la concorrenza? Oppure che qualcuno possa copiarle l’idea?
“L’azienda olandese Senz ha ideato un modello simile al mio, conosciuto come “The storm”, la tempesta, ma non ha una vera cupola ed è troppo basso. Anche Carpisa ha progettato un ombrello che si avvicina nell’idea al mio, ma è piccolo, pieghevole e non altrettanto bilanciato. Eccentrella è perfetta ed è destinata a essere l’ombrello del futuro”.
Prima però deve pubblicizzarlo. Oltre al web, quali saranno le sue piazze principali?
“La mia campagna parte ora e durerà un paio di mesi a Milano. Il centro, Duomo e San Babila, saranno battuti da un triciclo pubblicitario. Poi tra aprile e maggio sarò nelle vie centrali di Bergamo”.
La sua mente creativa ha in serbo altre novità?
“La meccanica è una scienza molto primitiva, ti permette di progettare invenzioni e di capire subito in che direzione andranno e se sono fattibili. In cantiere ho molte idee. Come una biro che ti permette di scrivere velocemente perché dotata di un inchiostro speciale, molto più scorrevole. E poi sto pensando di realizzare un monopattino monoruota che possa raggiungere i 16 chilometri orari. E ancora sogno di vedere ai piedi della gente delle scarpe da ginnastica con una forma molto particolare. Ma non posso svelare nulla. Non vorrei che la Nike ci arrivasse prima di me”.

www.eccentrella.com
info@eccentrella.com
347.8075279




Scaglia: «Troppi ostacoli al futuro dei giovani»

nella foto: Mario Scaglia

“È inutile piangersi addosso, bisogna darsi da fare. Il mondo è cambiato radicalmente e non si può pensare di agire come si è fatto negli ultimi trent’anni”. Mario Scaglia, 78 anni, Cavaliere del lavoro, una vita dedicata alla meccanica nell’azienda che presiede, la Scaglia Indeva di Brembilla, in fatto di economia la sa lunga. E appena si fa un timido accenno alla crisi, lui si mostra immediatamente refrattario ai luoghi comuni. “Troppo è già stato detto sull’argomento – esclama l’imprenditore -. Il punto è che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità e ora ne dobbiamo sopportare le conseguenze. Cerchiamo almeno di tenere in piedi l’esistente”. Ma in un simile contesto, molti imprenditori preferiscono emigrare piuttosto che investire in un territorio che non dà frutti. E il rischio di un ulteriore depauperamento delle risorse rimaste è dietro l’angolo: “Oggi è impossibile pretendere che rimangano qui delle aziende che hanno alti costi strutturali e di manodopera con difficoltà burocratiche infinitamente peggiori di quelle che possono trovare altrove – dice Scaglia -. Servono condizioni che aiutino le imprese a sopravvivere, altrimenti ce la fanno solo gli appassionati come noi Scaglia, che cerchiamo di restare avvinghiati al nostro brandello di territorio. Però chi deve aprire un’attività ex novo di certo non viene da noi”.
Ma le opportunità qui non esistono o non sappiamo coglierle?
“Dipende. I miei figli in azienda a Brembilla stanno cercando quattro ingegneri anche neolaureati e non li trovano. Se si va a Milano ormai più della metà delle edicole è gestita da extracomunitari perché gli italiani non hanno voglia di alzarsi presto la mattina. Nei ristoranti delle grandi città idem, i camerieri sono quasi tutti stranieri, perché questi orari elastici all’italiano non vanno bene. Studiare è fondamentale, così come sapere l’inglese, ma non bisogna vergognarsi di iniziare dal basso. Poi, se uno è bravo, crescerà”.
Ci sono anche molti giovani che hanno idee creative e danno vita a start up di successo…
“Tanti ragazzi hanno delle buone idee ma hanno grosse difficoltà a metterle in piedi. Io non l’ho fatto personalmente, ma so cosa hanno penato i miei familiari per farlo, tra regole per l’agibilità, il capannone e via a seguire. In questo campo servono le riforme. Le idee ci sono ma o siamo più bravi, più furbi e intelligenti degli altri o altrimenti le possibilità in Italia non esistono. Ci sono tanti altri Paesi appetibili. Io ho due nipoti che stanno studiando negli Stati Uniti e mi dispiacerebbe che rimanessero là. D’altronde sono attirati da un sacco di possibilità che qui non abbiamo”.
Il problema dei finanziamenti da parte delle banche frena l’intraprendenza di molti imprenditori che vorrebbero mettersi in proprio ma che non hanno i fondi per farlo?
“Io non sono poi così sicuro che le banche siano tanto rigide come si dice. In fin dei conti le banche hanno bisogno di collocare il loro denaro. Ci sono degli azionisti che a un certo momento vogliono che il loro denaro ritorni. È ovvio che serve un minimo di garanzia. Non posso andare a chiedere un prestito senza niente in mano per dei progetti che non stanno in piedi”.
I programmi scolastici secondo lei sono troppo teorici?
“Non lo so e non li conosco. Però, per esempio, noi Scaglia abbiamo finanziato un corso di inglese di tre anni per i bambini della scuola materna di Brembilla. Così poi i bimbi portano a casa il dischetto ai genitori, lo ascoltano insieme, e poi chissà…”.
I tirocini in azienda per i ragazzi alle prime esperienze sono utili?
“Noi a Brembilla li abbiamo sempre fatti. Già quarant’anni fa, durante le vacanze, gli studenti venivano da noi a fare praticantato, così quando terminavano il ciclo di studi già avevamo collaudato i ragazzi, li avevamo preparati al lavoro. In questo piccolo paese c’è un pendolarismo attivo in entrata di 600 persone. Questi sono dei miracoli. A Brembilla negli ultimi trent’anni c’è sempre stata la piena occupazione. Oggi questa affermazione comincia un po’ a perdere colpi. Comunque le famiglie devono mettersi in testa che i loro figli devono studiare, andare all’università perché le figure professionali che servono di più sono gli ingegneri, i chimici, gli informatici”. 
Oltre a presidente dell’azienda di famiglia, la Scaglia Indeva di Brembilla, lei è anche Cavaliere del lavoro…
“Sì, un’onorificenza immeritata”.
Beh, dai, le farà comunque piacere…
“È un riconoscimento che si dà ai vecchi sciòr. Scherzi a parte, è un premio che inorgoglisce e dà la carica, la forza di continuare e di mantener vivo quell’entusiasmo che l’età tende un po’ a smorzare. Di recente, per esempio, ho deciso di creare una Fondazione dedicata a mio padre per incentivare la cultura del lavoro a Brembilla e nella sua valle”.
Tra circa un anno Milano si prepara ad accogliere l’Expo 2015. Pensa che l’evento riuscirà a portare una ventata di aria fresca anche all’economia bergamasca?
“Sicuramente l’Expo porterà una ventata per l’economia di tutto il capoluogo lombardo, non solo per l’indotto che genererà ma anche per le numerose opere che si stanno realizzando per agevolare questo evento. Vedi ad esempio la metropolitana milanese, la Brebemi, la Pedemontana, tutte opere la cui realizzazione è stata accelerata proprio in vista dell’Expo”.
Quali sono le potenzialità e i limiti di una città come Bergamo?
“In tutta sincerità, Bergamo in pieno pomeriggio è una desolazione con questi bar, anche belli, ma deserti e i negozi vuoti. È sempre stata una città dal carattere mitteleuropeo, un po’ rigida. Però di recente l’ho vista davvero morta. E quando è viva lo è solo grazie alle bancarelle. L’altro giorno, come spesso faccio quando vengo a Bergamo, ho messo il naso dentro la chiesa di San Bartolomeo per osservare ancora una volta bellezze come la pala del Lotto o Fra’ Damiano Zambelli, e ho incrociato tre stranieri che per guardare gli intarsi dovevano chinarsi con una pila in mano. Di bellezze ne abbiamo tante nel nostro territorio, ma dobbiamo valorizzarle di più. Bergamo deve  sprovincializzarsi”.
Il momento più difficile che ha attraversato in questi anni?
“Quando nel 2009 ho dovuto mettere in cassa integrazione un po’ di operai. Ho lottato fino alla fine per salvarli ma sono stato costretto a lasciarli a casa, seppur a malincuore”.
La più grande soddisfazione?
“Ne ho avute tante, sono stato molto fortunato anche perché ho avuto accanto una famiglia che mi ha sempre supportato. Ho fatto il pendolare tra Brembilla e Milano e mia moglie ha saputo gestire la situazione con grande dolcezza e tenerezza. Anche i  miei figli sono stati bravissimi: due sono riusciti a prendere in mano le aziende e a mandarle avanti meglio di me, il terzo fa l’avvocato penalista. C’è armonia tra noi e le tensioni, quando ci sono state, sono sempre state superate con molta civiltà e serenità”.

Ingegnere meccanico con il pallino dell’arte

Giunta alla quinta generazione, la Scaglia Indeva ha quasi due secoli di storia alle spalle (è stata fondata nel 1838) e un lungo bagaglio di esperienza in fatto di fornitura di macchine, sistemi elettronici e pneumatici per la movimentazione dei carichi in impianti industriali. Provenienti dalla Valle Imagna e abili artigiani della lavorazione del legno, dai rocchetti alle anime di bottoni, gli Scaglia si stabilirono a Brembilla già alla fine del Settecento. Fu l’inizio di una lunga tradizione che prosegue ancora oggi con successo. Laureatosi in Ingegneria meccanica al Politecnico di Milano nel 1958, Mario Scaglia è entrato in azienda nel 1960 e fino al 2003 ne è stato presidente e amministratore. Da quando ha lasciato le redini ai figli Stefano e Riccardo, l’imprenditore oggi coordina le imprese del gruppo con 750 dipendenti e 111 milioni di fatturato. Dal 2000 Mario Scaglia, che è un grande appassionato e collezionista di opere d’arte, è presidente della Gamec, mentre dal 1987 al 1993 lo è stato dell’Accademia Carrara. Sindaco di Brembilla dal 1975 al 1980, è presidente onorario della casa di riposo del paese e lo scorso anno ha ottenuto dal capo dello Stato Giorgio Napolitano il riconoscimento di Cavaliere del lavoro.




Il monito del rettore, «siamo malati di presente» 

nella foto: Il Rettore dell'Università di Bergamo, Stefano Paleari con il professor Jürgen Renn, direttore dal Max Planck Institut di Berlino.

È un netto richiamo a riprendere l’orizzonte strategico, a governare e non limitarsi ad amministrare il cambiamento, a non lasciarsi sopraffare dalla “dittatura del presente” («siamo più follower, per dirla con il linguaggio dei social network, che leader») quello che il rettore Stefano Paleari ha lanciato nel proprio intervento per l’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Università di Bergamo. La cerimonia, al teatro Donizetti, ha avuto come ospite d'onore il professor Jürgen Renn, direttore dal Max Planck Institut di Berlino, con cui l’ateneo cittadino collaborerà nei prossimi due anni, e 24 rettori di Atenei italiani e stranieri, impegnati in un successivo confronto sulla centralità dei territori.
La considerazione di fondo del rettore riguarda la visione del tempo, che «è ritornato ad essere quello scandito dall’orologio e non già dalla progettualità della persona. È un tempo sequenziale e non creativo». «Le nuove tecnologie – fa notare – ci rendono perennemente visibili, raggiungibili, contattabili. Spazio e tempo convergono in un solo punto: ovunque siamo in qualunque momento, una sorta di “agopuntura permanente”. Probabilmente facciamo più cose di prima, ma non le cose che vogliamo, probabilmente ci sentiamo più liberi, possiamo rispondere e agire comodamente seduti da casa; se non lo facciamo però ci sentiamo inadatti e impreparati. Quindi siamo obbligati a farlo e dunque siamo meno liberi». «Tutto ciò dimostra quanto la nostra vita sia totalmente immersa nella contemporaneità, piegata sul presente e sulle esigenze del momento. In una società di questo tipo è più difficile, ma non per questo meno importante, prevedere le tendenze di lungo periodo, vedere e rispettare i confini, i ruoli e le gerarchie. Siamo, in altre parole, ripiegati, fagocitati dalla cronaca, costretti a camminare con la testa bassa per evitare, aggiustare e contrastare gli ostacoli lungo il cammino. Guardiamo continuamente il grigio dell'asfalto e non ci rimane più il tempo per i colori dell’aurora e l’azzurro del cielo».

Il ruolo delle Università
nelle parole di Papa Francesco

«I cambiamenti imposti e le scelte economiche concomitanti hanno segnato profondamente l’Università italiana – ha ricordato Paleari nel proprio discorso – che vanta secoli di storia ma che solo da qualche decennio si è affermata sia come Istituzione di massa, sia come organizzazione per il sostegno della competitività degli Stati, anche di quelli “emergenti”, di fronte al diffondersi sempre più consistente del ruolo della conoscenza come chiave per lo sviluppo sociale ed economico. I cambiamenti introdotti raramente hanno tratto origine dalla domanda sul ruolo ultimo e sul fine dell’Istituzione universitaria. Si sono concentrati, cioè, sui mezzi e sulle contingenze finanziarie». E per esplicitare i fini ricorre al discorso di Papa Francesco a Cagliari, nello scorso settembre: «Il Santo Padre afferma che le università sono luogo di discernimento, di cultura della prossimità e di formazione alla solidarietà. Un luogo fisico, quindi, in cui i giovani apprendono la lettura critica del mondo e sono educati alla relazione con gli altri secondo principi solidaristici. Diciamo allora che l'Università è luogo di formazione delle coscienze prima ancora che di ampliamento e trasmissione sic et simpliciter del sapere».
A cosa servono le università in un Paese? È giusto che vi accedano tutti coloro che lo desiderano? È opportuno che si confrontino in termini quantitativi e qualitativi con quelle di altri Paesi e in che modo? È bene che competano come squadre indipendenti o è meglio che creino anche un nuovo tessuto connettivo comune pur nelle reciproche diversità? Sono quindi le domande che Paleari pone sul piatto del dibattito. «I quesiti posti – dice – sono un avviso per tutti. In primo luogo per il legislatore che, almeno in Italia, in questi anni, mentre decantava l'autonomia, la riduceva sempre più, per gli atenei virtuosi e non; mentre sosteneva la necessità di dare più risorse ai meritevoli, contraeva i finanziamenti erga omnes; mentre sosteneva nei principi il diritto allo studio, lo decapitava nei fatti riducendone gli interventi». Ma il messaggio va anche alla comunità accademica «che ha perso in gran parte la sua capacità progettuale, trasformata da soggetto spesso autoreferenziale in un comparto puramente esecutivo della Pubblica amministrazione».

Si teme lo scoglio senza accorgersi
che ormai ci si è incagliati

«E se l’Università – prosegue il rettore – si è sempre più configurata come organizzazione burocratica, venendo meno, almeno in termini organizzativi, alla sua funzione cosmopolita, lo si deve proprio alla “dittatura del presente” che ha distrutto il confine tra attività di governo e amministrazione. Che oggi si distinguono difficilmente ma che sono assai diverse. Governa chi può guardare all'orizzonte, amministra chi evita gli scogli. Di norma le due attività, entrambe indispensabili, competono a soggetti differenti. In Italia, invece, non solo nelle Università, da troppo tempo si amministra senza governare o si governa senza amministrare. Si guarda allo scoglio, o appena oltre, senza accorgersi che ormai ci si è incagliati. Non è questione di vento ma di nave, equipaggio e gerarchie. E di reciproca fiducia».
Tra gli esempi degli effetti di questo “eterno presente” sull’Università italiana c’è il dibattito sul numero di Università.

Meglio dei campus
è l’inserimento nel tessuto della città

Paleari sceglie le parole del filologo Vittore Branca – primo rettore dell’Università cittadina dal 1968 al 1972 – pronunciate a conclusione del suo mandato rettorale per evidenziare lo scarto e le opportunità contenute nella nascita di nuove Università, spesso in città con una lunga storia civica, come risposta alla crescita abnorme degli Atenei esistenti. «Dall’Ottocento e sino a questi ultimi anni è prevalso il concetto di concentrare le attrezzature universitarie – diceva Branca -; e questo indirizzo si è rivelato in tutta la sua inconsistenza con la creazione – come è successo negli Stati Uniti – di grandi “campus” universitari che si sono rivelati veri e propri ghetti avulsi dal tessuto sociale. Da molto tempo sostengo che l’Italia ha un patrimonio immenso di piccole città storiche o di quartieri storici in grandi città che, per il loro tessuto urbanistico non possono accogliere la vita della civiltà industriale e tecnocratica… Ebbene, una funzione che non li sconvolge o deturpa ma, anzi, ne sfrutta la suggestione storica, artistica e culturale è proprio quella di cittadelle degli studi, specie a tipo umanistico».
«Il discorso di Branca, di fatto – fa notare Paleari -, dà anche l’avvio alla seconda fase che è quella della crescita del numero di Università italiane. Il numero di Atenei, pari a 39 nel 1950, è 52 alla fine degli anni Ottanta e 78 all’inizio del nuovo secolo. E, in alcuni casi, come spesso avviene alla fine di un ciclo, si assiste a fenomeni di eccesso, l’apertura cioè di nuove Università e sedi più per rispondere a pressioni politiche e corporative che a precise esigenze di decongestionamento delle grandi sedi. Le politiche degli ultimi anni hanno posto fine a questa fase senza tuttavia indicarne una nuova o, anche peggio, ricercando soluzioni sbrigative e anacronistiche».

Un  quadro semplice di regole
per il futuro del sistema universitario

Se è vero che l’obiettivo è quello della qualità da realizzarsi con numeri non elitari, «una nuova terza fase evolutiva del sistema universitario italiano non può quindi nascere come ripiego alla miopia politica, né come inganno ideologico», sottolinea Paleari. Ciò che occorre, anche alla luce della sempre maggiore dinamicità delle relazioni e mobilità giovanile è «seppellire un’ampia stratificazione di norme e cavilli e costruire un nuovo e semplice quadro di regole che porti evolutivamente le Università a promuovere ciò che è necessario, prestando attenzione alle proprie vocazioni e alla capacità di attrarre oltre che di essere in sintonia con un sistema territoriale. Questo percorso può portare anche a modificare il perimetro attuale degli Atenei italiani, forse anche il numero, ma non secondo una logica contabile bensì seguendo un preciso indirizzo sotto il profilo della scelta politica». «Le Università possono quindi specializzarsi e assecondare nuove dinamiche territoriali – spiega -, sempre in una logica di competitività internazionale, e a diverse specifiche finalità da assolvere possono anche corrispondere differenziati assetti organizzativi».

Più delle classifiche
conta la “qualità diffusa”

Una tale visione porta a rivedere il valore delle “classifiche” o ranking universitari, dove la leadership è erroneamente valutata come in una competizione sportiva e/o aziendale. «Negare la natura prettamente sportiva e aziendale dell’agire universitario non significa però rifiutare stimoli e incentivi – precisa Paleari -. Un’Università che si chiude al confronto, al bisogno di crescere e di premiare i migliori, è destinata a morire non già per decreto del Governo ma sotto il profilo sociale, perché non è più riconosciuta come tale». La nuova idea di Università «è quindi la consapevolezza del ruolo in un quadro di obiettivi competitivi. Dove il concetto di competere – rimarca – è quello della sua etimologia, ovvero quello di mirare a un obiettivo comune, dove ognuno si spende per ottenerlo. La competizione fra Atenei è quella che conduce a una migliore qualità, quella che porta anche il peggiore a essere migliore di prima. Concorrere significa gareggiare insieme e, possibilmente, non decidere a tavolino e al di fuori di un insieme di regole chi alla fine “vincerà”». «La nuova Università sarà migliore non se avrà portato un’Università italiana nelle prime dieci in classifica e oppresso tutte le altre, ma se avrà creato le condizioni per il miglioramento di tutti, che poi è il compito di ogni Istituzione sociale. Vorrei che anche per le Università valorizzassimo e apprezzassimo la “qualità diffusa” piuttosto che le sole “torri d’avorio” e che vi fosse una classifica internazionale che misurasse la bontà media dell’alta educazione. Questo non significa ovviamente non sostenere le eccellenze, concentrare i talenti e valorizzarne il merito». 




Benzinai Eni, impianti chiusi il 5 e 6 marzo

Si blocca la trattativa tra Eni e le organizzazioni di categoria dei gestori per il rinnovo dell'accordo collettivo scaduto da oltre due anni e le tre sigle sindacali- Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Figisc Confcommercio – annunciano l'avvio di una serie di iniziative di protesta tra le quali l'immediata proclamazione di uno sciopero. I gestori Eni chiuderanno i loro impianti il 5 ed il 6 marzo prossimi, nel rispetto del codice di regolamentazione imposto dalla Commissione di garanzia. Faib Confesercenti, Fegica Cisl e Figisc Confcommercio si dicono «costrette a prendere atto dell’incomprensibile atteggiamento di chiusura improvvisamente manifestato da Eni a pochissimi passi dalla conclusione del lungo negoziato». «Quella di interrompere le trattative, ad intesa pressoché raggiunta, è una responsabilità grave che assume Eni – sottolineano le tre sigle – perché avviene in contesto letteralmente drammatico per le piccole imprese di gestione chiamate a pagare scelte commerciali assunte negli ultimi anni dall'industria petrolifera nel suo complesso e da Eni, quale leader del mercato, in particolare, che si sono rivelate disastrose e fallimentari, come testimoniano anche le più recenti rilevazioni sulle quote mercato».
Anche il Gruppo gestori di carburanti Figisc-Ascom di Bergamo partecipa all’iniziativa nazionale, imperniata su cinque rivendicazioni fondamentali:
*contro un sistema che distrugge ricchezza e posti di lavoro
*per far cessare le discriminazioni sul prezzo dei carburanti che colpiscono i gestori, garantendo condizioni eque e non discriminatorie per competere sul mercato di riferimento
*per un prezzo più giusto e per la libertà di continuare ad essere impresa
*per garantire efficienza, servizi ed assistenza ai consumatori, contro la selfizzazione selvaggia, il degrado della rete e l’espulsione dei gestori e dei loro dipendenti dal settore
*per la tutela dei diritti della categoria, contro la cancellazione della contrattazione collettiva portata avanti dalla compagnia petrolifera.




«Oggi le ragazze si vergognano a fidanzarsi con un falegname: assurdo»

nella foto: Lodovico Acerbis

“La professionalità è importante ma bisogna rivalutare le arti manuali”. Quella dell’imprenditore Lodovico Acerbis è una ricetta che proviene da una lunga esperienza maturata sul campo. Oggi di bambini che progettano e si costruiscono da soli tavoli e sedie giocattolo in legno, ormai, non ce ne sono più. Eppure lui, nel 1947, lo aveva fatto. Ed era pure riuscito a vendere quei mobiletti a un bottegaio del suo paese. Altri tempi, certo. Ma riscoprire la tradizione e gli antichi mestieri potrebbe essere il giusto punto di partenza per rivalutare l’economia del nostro territorio. “Non capisco perché oggi le ragazze si vergognino a fidanzarsi con uno che fa il falegname – dice il presidente della Acerbis International spa di Seriate, azienda che ha contribuito alla nascita e alla diffusione del mobile di design italiano -. Preferiscono dire che fa l’operatore di controllo numerico, che poi è la stessa cosa ma suona meglio. È un freno assurdo. Ma quanti ragazzi in America mentre studiano vanno a servire nei bar? Non è mica un lavoro svilente. Anzi, un giorno quando saranno arrivati potranno vantarsi della loro lunga gavetta. E invece in Italia succede che i lavori manuali li lasciamo agli stranieri, al famoso idraulico polacco”.
È vero che la scuola forma in maniera troppo teorica e non prepara gli studenti al mondo del lavoro?
“Sì, c’è una distanza tra i programmi scolastici e il mondo del lavoro, ma è anche vero che quando gli industriali cercano di fare qualcosa in più per avvicinare i ragazzi all’imprenditoria, spesso dall’altra parte non c’è un’adeguata risposta. Faccio un esempio. Io sono responsabile dell’Adi, associazione per il disegno industriale. Questo gruppo di imprese ha deciso di rivolgersi agli studenti universitari organizzando un sistema di seminari alla Ca’ Foscari di Venezia e al Politecnico di Milano in cui alcuni imprenditori legati a celebri marchi, come Alessi o BTicino, si recano nelle aule dei futuri designer e architetti per insegnare loro i trucchi del mestiere. Il primo anno non veniva neanche uno studente. Il secondo anno siamo andati a bussare direttamente  alle porte delle Università per illustrare ai professori l’importanza di questa iniziativa, ma ci hanno un po’ snobbato. Finalmente abbiamo trovato un docente che ci ha creduto e oggi, dopo quattro anni, ai nostri seminari arriva un centinaio di studenti, ma non di più. Eppure questo non è il nesso perfetto tra un laureando e l’impresa?”.
E cosa ne pensa dell’opportunità di fare tirocini in azienda?
“Questo è un aspetto importante. Se io sono diventato quello che sono è perché da piccolo, quando passeggiavo per strada, osservavo i lattonieri oppure i saldatori che facevano il loro mestiere. Spesso mi chiedevano “Vuoi provare anche tu?”. E così imparavo. Oggi invece non è più possibile, sia perché bisogna rispettare le norme di sicurezza, sia perché oggi i giovani non hanno più quella curiosità che avevamo noi all’epoca. Lo stimolo alla professionalità è importante ma bisogna rivalutare anche la manualità”.
Se lei fosse al governo quali provvedimenti anti-crisi prenderebbe?
“Io obbligherei le banche a finanziare le coppie che devono acquistare la prima casa. Questo è l’unico modo per mettere in moto l’economia e per frenare il fenomeno delle case sfitte”.
Il problema dei finanziamenti da parte delle banche riguarda anche molti imprenditori che vorrebbero mettersi in proprio ma che non hanno i fondi per farlo.
“Posso capire che gli istituti di credito abbiano bisogno di garanzie. Il problema è che la prima cosa che ha portato le imprese al suicidio è che quello che doveva essere il loro primo cliente, ovvero lo Stato, non paga i debiti. Questo è inconcepibile! Anche lo Stato deve pagare a 60 giorni come stabilisce l’Unione europea e se non lo fa qualcuno deve pur rispondere”.
Che cosa consiglia a un giovane che vuole mettersi in proprio?
“Io penso a quando negli anni ’60 la mia azienda era esplosa e per necessità, nell’arco di tre anni, avevamo dovuto trasferire l’abitazione, 3mila metri quadrati di fabbrica e circa 1.500 metri quadrati di esposizione in un’altra sede. E ce l’abbiamo fatta nonostante fossimo indebitati fin sopra i capelli. Avevamo più mutui bancari che denti in bocca. Eppure ci finanziavano. Oggi è tutto più complicato, quando ti presenti con un progetto, prima di darti i soldi ti ipotecano la casa, la moglie, i figli… è un grosso problema. Peccato perché vedo del movimento tra i giovani. Ci sono molte start up in giro. Molte partono col fondo liquidazione dei genitori che vanno in pensione e così comprano il bar al figlio che però poi magari chiude dopo sei mesi. E allora il consiglio che mi sento di dare è di cominciare a dedicarsi a quelle attività che non richiedono troppi finanziamenti di partenza. Per esempio le app del telefonino non costano nulla, costa solo il tempo che ci metti. Basta un computer e cominci a lavorare”.
I postumi della crisi, purtroppo, si respirano ancora. Per il prossimo futuro vede margini di miglioramento?
“Il mercato immobiliare a Milano, per esempio, è in ripresa e questo è un timido segnale, ma in generale la crescita in Italia è lenta. Ci troviamo di fronte a un problema non solo di capacità economica ma anche di propensione all’acquisto. Le grandi aziende devono fare i conti con 6milioni di lavoratori che oggi non hanno più un posto. Tutti quei negozianti che hanno chiuso i battenti a causa della crisi un tempo per noi erano possibili acquirenti”.
Insomma, è diminuita la capacità di spesa della gente…
“Sì, purtroppo la gente non compra più come un tempo. Un settore come quello del mobile, per esempio, ha cominciato ad andare in crisi proprio con la contrazione della domanda dell’edilizia e con la diminuzione dei consumi. E la cosa non vale solo per la fascia medio bassa ma anche per la classe medio-alta che di solito ha potenziale d’acquisto poiché possiede i fondi per farlo. In quest’ultima categoria rientra l’uomo di 40-50 anni, che ha famiglia e figli e che anni fa, quando si era sposato, aveva ripiegato su un piccolo appartamento con mobili di poco valore. Raggiunta l’età matura, con un lavoro più stabile e un gruzzoletto da parte, decide di rinnovare la sua casa. Anche il mercato del rinnovo ha però risentito di questa crisi”.
Quanto è importante l’internazionalizzazione?
“È fondamentale. Già in tempi non sospetti il nome della mia azienda era Acerbis International, quasi ad indicare quella innata vocazione ai mercati esteri che tutti dovremmo avere.
Su quali mercati puntare?
“Dalla mia esperienza, al momento ci si dovrebbe concentrare non tanto sull’Europa quanto sugli Stati Uniti. La Spagna per esempio ha avuto un freno pazzesco, mentre l’Oriente si mantiene”.
È vero che la burocrazia italiana è troppo farraginosa?
“La burocrazia crea ostacoli non solo nell’industria ma anche all’andamento del governo. Finalmente nel programma di Renzi si parla di snellire un po’ questo sistema. C’è una cricca tecno burocratica talmente ricca e storica, seduta su poltrone di marmo, che sarà difficile smuovere, ma bisogna provarci. Diminuire il numero di dipendenti in certi settori crea un sistema più snello anche perché in questi tempi di crisi la cura dimagrante la devono fare tutti. Come dicono gli americani quando si è magri si corre più veloce”. 




Turismo, contributi per le reti d’impresa. A disposizione 8 milioni

Il ministro per gli Affari regionali, il Turismo e lo Sport ha pubblicato il 7 febbraio 2014 il Decreto di approvazione del “Bando per la concessione di contributi a favore delle reti di impresa operanti nel settore del turismo” che destina 8 milioni di euro per la creazione di reti di impresa e di filiera nel settore turistico del territorio nazionale. Il Bando, aperto fino al 9 maggio 2014, permette alle MPMI del settore turistico di presentare domanda di partecipazione per il consolidamento o la costituzione di un’aggregazione di imprese sotto forma di Contratto di rete, Ati, Consorzio e società consortile con un minino di 10 imprese aderenti (e almeno l’80% di imprese turistiche).
Ogni progetto deve prevedere un programma di investimenti non inferiore a 400.000 euro con un finanziamento a fondo perduto pari al 50% per il perseguimento di una o più delle seguenti attività:
messa a sistema degli strumenti informativi di amministrazione, di gestione e di prenotazione dei servizi turistici, la creazione di piattaforme per acquisti collettivi di beni e servizi
creazione di sistemi di promo-commercializzazione on line
implementazione di iniziative di promo-commercializzazione che utilizzino le nuove tecnologie e, in particolare, i nuovi strumenti di social marketing
sviluppo di iniziative e strumenti di promo-commercializzazione condivisi fra le aziende della rete finalizzate alla creazione di pacchetti turistici innovativi
promozione delle imprese sui mercati esteri attraverso la partecipazione a fiere e la creazione di materiali promozionali comuni

SOGGETTI DESTINATARI
E TIPOLOGIA DI AGGREGAZIONE

Possono beneficiare dell’intervento finanziario unicamente le imprese aderenti all’aggregazione che, al momento della presentazione della domanda a valere sul presente bando, risultino come di seguito dettagliato:
raggruppamenti di piccole e micro imprese con forma giuridica di “contratto di rete”;
raggruppamenti di piccole e micro imprese che potranno assumere la forma giuridica di Ati (Associazioni Temporanee di Imprese costituite o ancora da costituire), Consorzi e società consortili costituiti anche in forma cooperativa.
Le aggregazioni non ancora costituite dovranno presentare idonea documentazione con la quale manifestano l’impegno a costituirsi formalmente, nelle fattispecie previste dai punti a) b) entro 90 giorni dalla data di pubblicazione del bando a pena di esclusione.
I progetti saranno valutati da un Nucleo di valutazione da costituirsi con Decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo in funzione della qualità dei progetti e della rispondenza ad alcuni criteri quali la destagionalizzazione dei flussi turistici e l’utilizzo di tecnologie innovative.

IL CAPOFILA
All’interno di ciascuna aggregazione, l'impresa che presenta la domanda è contestualmente il capofila e referente amministrativo per l'erogazione del contributo. È a cura dell’impresa capofila la ripartizione del contributo pubblico alle imprese componenti l’aggregazione. Spetta al capofila mantenere i rapporti con il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo – Direzione generale competente in materia di turismo. In particolare, è compito del capofila:
presentare la domanda di partecipazione in nome e per conto dell’aggregazione;
presentare le istanze di rendicontazione e tutta la documentazione che la Direzione generale competente in materia di turismo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo riterrà opportuno richiedere all’aggregazione;
comunicare alla predetta Direzione qualunque variazione intercorra nel corso della realizzazione del progetto approvato e inserito nella graduatoria definitiva.

TEMPI DI REALIZZAZIONE
DEI PROGETTI DI AGGREGAZIONE

I progetti dovranno essere conclusi entro quindici mesi dall’accettazione del documento di notifica di ammissione al contributo. Potrà essere concessa una proroga per un periodo massimo di sei mesi per motivate e dimostrate ragioni connesse esclusivamente ad aspetti tecnici e realizzativi dei progetti.

REGIME DI AIUTO ED INTENSITÀ
DELL’INTERVENTO FINANZIARIO

La dotazione finanziaria complessiva è pari a euro 8 milioni. L’importo concedibile è fissato in euro 200.000 euro per ciascun progetto di rete. Non saranno ritenuti ammissibili progetti di rete che prevedono una spesa totale ammissibile inferiore a euro 400.000 euro. Il finanziamento sarà concesso a fondo perduto nel rispetto del regime degli aiuti “de minimis”

SPESE AMMISSIBILI
Saranno dichiarate ammissibili le spese sostenute a decorrere dalla data di pubblicazione del bando sul sito www.beniculturali.it/turismo (ovvero il 7 febbraio 2014) e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, e sostenute entro e non oltre 15 mesi dall’accettazione del documento di notifica di ammissione al contributo, salvo eventuali proroghe concesse. Le spese devono essere riconducibili a una o più delle seguenti tipologie:
a) i costi funzionali alla costituzione della rete di imprese, quali quelli riferiti alla presentazione di fidejussioni, spese notarili e di registrazione, nella misura massima del 5% del contributo richiesto;
b) costi per tecnologie e strumentazioni hardware e software funzionali al progetto di aggregazione;
c) costi di consulenza e assistenza tecnico-specialistica prestate da soggetti esterni alla aggregazione per la redazione del programma di rete e sviluppo del progetto nella misura massima del 10% del contributo;
d) costi per la promozione integrata sul territorio nazionale e per la promozione unitaria sui mercati internazionali, in particolare attraverso le attività di promozione dell’Enit – Agenzia Nazionale del Turismo;
e) costi per la comunicazione e la pubblicità riferiti alle attività del progetto;
f) costi per la formazione dei titolari d’azienda e del personale dipendente impiegato nelle attività di progetto, nella misura massima del 15% del contributo.
È consentita una variabilità tra le singole voci di spesa sostenute rispetto a quelle originariamente ammesse all’intervento finanziario in una forbice massima del +/- 10%. I costi ammissibili si intendono al netto di Iva, bolli, oneri bancari e ogni altra imposta e/o onere accessorio.

MODALITÀ E TERMINI
DI PARTECIPAZIONE

La domanda, unitamente agli allegati e a tutta la documentazione, deve essere presentata dal capofila o legale rappresentante entro e non oltre il 9 maggio 2014 a pena di esclusione. I modelli di domanda e i relativi allegati sono scaricabili dal sito web istituzionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (www.beniculturali.it/turismo). La domanda e i relativi allegati dovranno recare apposita firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata. Ai fini della presentazione fa fede la data di spedizione della domanda tramite Pec. L’istruttoria avverrà, pertanto, secondo l’ordine cronologico di spedizione.




Alta formazione imprenditoriale, Bergamo Sviluppo in campo   

Sono aperte le selezioni per la partecipazione alla nuova edizione del corso di Alta Formazione “Imprenditorialità e Innovazione per l’internazionalizzazione delle imprese”, realizzato da Bergamo Sviluppo in collaborazione con tutte le associazioni di categoria provinciali e con il supporto di due centri di Ateneo dell’Università di Bergamo, Cyfe (Center for young and family enterprise) e SdM School of Management.  L’iniziativa, denominata Go.In’, è rivolta a imprenditori e manager di piccole e medie imprese, interessati a qualificarsi in tema di internazionalizzazione, identificando e perseguendo le opportunità di crescita e affrontando gli scenari, le decisioni strategiche e organizzative. L’obiettivo è fornire strumenti efficaci per operare in ambito internazionale, rafforzando le competenze manageriali e la capacità di innovare in senso globale. Il corso sarà realizzato nel periodo aprile – dicembre 2014 per una durata complessiva di 140 ore d’aula, in weekend alterni, il venerdì pomeriggio e il sabato mattina, nella sede della facoltà di Ingegneria dell’Università di Studi di Bergamo a Dalmine. Le lezioni permetteranno di confrontarsi con docenti universitari, professionisti, esperti e imprenditori in un programma multidisciplinare «che non vuole essere una business school in pillole – precisano i promotori – ma agire sulla formazione imprenditoriale, utilizzando anche format didattici innovativi, dagli strumenti multimediali ai business game e giochi sociali, che favoriscono l’immedesimazione e il mettersi in discussione».
La proposta, giunta alla terza edizione, ha raccolto grande interesse, tanto che lo scorso anno le richieste di adesione sono state quasi il doppio dei posti disponibili. Vi hanno preso parte trenta tra titolari e manager di piccole e medie imprese, giovani rappresentati di imprese familiari e imprenditori alla guida nuove imprese ad alto potenziale, attivi in settori differenti (metalmeccanica, legno, edilizia, automazione industriale, commercio e servizi, tessile, gomma, chimico-farmaceutico ed estrattivo).
Per il 2014 è stato fissato un tetto di 25 imprese, vi sarà, quindi una selezione in ingresso. Le imprese interessate compilare e inviare la scheda di adesione (pubblicata sul sito www.bergamosviluppo.it) entro venerdì 14 marzo. È previsto il versamento di una quota di iscrizione pari a 200 euro + Iva, che dovrà essere versata solo successivamente alla selezione, da parte delle imprese ammesse. 




Brebemi, gli agricoltori denunciano: «Con noi il conto è ancora aperto»

nella foto: Alberto Brivio

 

Nonostante le siano stati attribuiti  prestigiosi riconoscimenti, Coldiretti Bergamo continua a denunciarne il mancato rispetto degli impegni verso le imprese agricole cui Brebemi ha sottratto terreni o distrutto fabbricati.
Brebemi infatti viene considerata un “modello per l’Europa” ma a distanza di 5 anni dall’inizio dei lavori deve ancora circa 2,5 milioni di euro agli agricoltori per espropri e asservimenti.
“Dei 140 accordi bonari stipulati da parte di oltre 100 aziende nostre associate – spiega il presidente di Coldiretti Bergamo, Alberto Brivio – tra proprietari e affittuari sono poco più di 15 gli imprenditori che devono ancora ricevere parte dell’anticipo e sono ben 70 quelli che devono ancora ricevere il saldo. Complessivamente Brebemi deve ancora per gli espropri 2 milioni di euro”.
Ma l’elenco delle inadempienze è ben più corposo. “La situazione è tutt’altro che rosea anche per quanto riguarda gli asservimenti e le occupazioni temporanee, cioè le aree interessate dalle imposizioni di servitù come canali, tubi, ecc. o le aree occupate in modo provvisorio dai cantieri – prosegue Brivio -; per queste voci, infatti, Brebemi deve ancora versare  più di 410 mila euro, vale a dire oltre il 40% del totale dovuto”. Inoltre sono ancora fermi al palo i decreti di esproprio riferiti alla totalità della superficie di terreno espropriata alle oltre 100 aziende che fanno riferimento a Coldiretti Bergamo, vale a dire 650mila mq. Questo significa che tutta l’area su cui sono state costruite l’autostrada e le opere connesse fiscalmente risultano ancora di proprietà degli agricoltori, che pur non potendola più coltivare perché già coperta da colate di cemento o asfaltate, devono ancora farsi carico delle tasse che la riguardano, come IMU, IRPEF e Bonifica.
Ed è ancora tutto da definire anche per quanto riguarda le aree interposte, cioè le aree racchiuse tra i tracciati della Brebemi e della Tav, una fascia di terreno non più produttiva, di fatto sequestrata, perché irraggiungibile. La superficie di questa area è di circa 600mila mq e rappresenta un valore di oltre 10 milioni di euro. Per il momento è ancora in carico agli agricoltori che, pur non potendola più coltivare, sono costretti a pagarne le imposte.
“A questo punto è evidente che più di un interrogativo me lo pongo sul project financing – conclude Brivio -. Sono necessarie risposte urgenti, visto che le aziende agricole hanno ad oggi evidenti difficoltà a considerare questa infrastruttura un esempio virtuoso”.




Agenti immobiliari, corso di formazione su aste e stralci 

Chi vorrebbe una casa fa fatica ad acquistarla e chi ce l’ha troppo spesso se l’è vista portare via per l’impossibilità di pagare le rate del prestito. Con la crescita degli immobili in sofferenza, vendere in tempo di crisi significa per gli agenti immobiliari operare nel settore aste e stralci. Grazie alla partnership con MLS REplat, innovativa piattaforma che tratta anche questa particolare categoria di immobili, Ascom ha voluto dissolvere la diffidenza verso uno strumento poco conosciuto e verso un iter burocratico ritenuto complesso. La piattaforma, che conta su 1.200 agenzie in tutta Italia,  è l’unica a trattare immobili in sofferenza e all’asta dai principali istituti di credito e dai Tribunali. Il portale rappresenta un modo agevole per rispondere alle richieste dei clienti in tempi brevi: ampliando il mercato, condividendo nella stessa banca dati immobili con altre agenzie, si possono incrementare le vendite, inserendo condizioni contrattuali trasparenti e modulabili a seconda dell’immobile proposto. La forza di REplat sta nel poter contare su un fondo di garanzia chiamato a dirimere ogni eventuale controversia, oltre che nella formazione sulla gestione di immobili in sofferenza, una nuova sfida che gli agenti sono chiamati ad affrontare. Grazie a corsi di formazione e all’assistenza legale su misura ogni agenzia immobiliare può cogliere l’opportunità di inserirsi in un mercato di forte espansione in grado di portare in media sei transazioni in più all’anno. Per insegnare agli operatori immobiliari a  gestire i meccanismi che ogni esecuzione porta con sé, affiancando il proprietario di casa in difficoltà e affrontando e risolvendo ogni problematica Ascom e REplat hanno organizzato un corso specifico. Le giornate di formazione sono in programma presso la sede Ascom di via Borgo Palazzo, 137 (Sala Villa) il 4, il 18 e il 25 marzo dalle 9 alle 12. Per iscriversi al corso:  mariangela.oldrati@ascombg.it 035.4120304.