“Hallowbeer”,  a San Pellegrino si scopre il fascino delle birre scure

La festa di Halloween ha ormai preso piede anche in negozi e locali della Bergamasca. Vetrine allestite con zucche, dolcetti, scherzetti e serate tra mostri, fantasmi e streghe punteggiano sempre più spesso questo periodo dell’anno. Le atmosfere dark della ricorrenza hanno ispirato anche il mondo delle birrerie artigianali ed è così nato “Hallowbeer – Il lato scuro della birra”, festival interamente dedicato alle birre scure, in programma da giovedì 31 ottobre a domenica 3 novembre nel salone del ristorante Bigio a San Pellegrino.
L’evento – firmato dal Birrificio Via Priula di San Pellegrino e dalla Compagnia del Luppolo, promotori anche di BeerGhèm, l’ormai affermata rassegna dei birrifici artigianali bergamaschi – dà la possibilità di assaggiare, acquistando appositi gettoni, una trentina di birre scure, in bottiglia o alla spina, provenienti da tutto il mondo. «È una scommessa – spiegano gli organizzatori -, vogliamo mostrare quanto possono essere varie le birre di questo tipo, da quelle molto alcoliche (ci sarà la Tokyo BrewDog, dalla Scozia, da 18% alc) a quelle molto leggere, dalle estremamente luppolate a quelle dolci, Black Ipa, Weizen Dunkel, la gamma più ampia possibile della numerosa famiglia delle Stout, Imperial Stout, Porter e tutto ciò che di più intrigante e vario siamo riusciti a trovare».
Anche l’accompagnamento gastronomico è a tema con i piatti dello chef del ristorante Bigio ispirati al colore nero: risotto al tartufo nero, tagliatelle nere ai porcini, guanciale di manzo con polenta nera, anatra e verza, e ancora taragna, taglieri, "branzburger".
Il festival si apre giovedì 31 ottobre dalle 18 all’una di notte. Prosegue l’1 e 2 novembre dalle 11.30 all’una e il 3 novembre dalle 11.30 alle 24.  
Info: http://www.birrificioviapriula.it




Passeggiar Gustando, anche l’ottava edizione fa centro 

Ben 3.200 assaggi serviti, 1.100 partecipanti e 5.520 euro raccolti a favore del Fondo Diocesano di solidarietà famiglia e lavoro attraverso il fondo Ascom aperto presso la Fondazione della Comunità Bergamasca Onlus. Sono questi i numeri dell’ottava edizione di Passeggiar Gustando, la manifestazione promossa dai dettaglianti alimentari di Ascom – gastronomi, salumieri, macellai e fruttivendoli -, dalla Pia Unione San Lucio e dai panificatori di Aspan. Ad inaugurare i venti stand  all’opera per offrire ai bergamaschi i prodotti tipici del territorio, il presidente dell'Ascom Paolo Malvestiti, il direttore Luigi Trigona, il vicedirettore Oscar Fusini, l’assessore comunale alle Attività produttive Enrica Foppa Pedretti, Renzo Casati e Andrea Chiodi, rispettivamente presidente e amministratore di Bergamo Mercati, Alessandro Riva, presidente di Bergamo Vive e manager del Distretto del Commercio di Bergamo Centro. I presidenti di categoria Mauro Rocchi (gastronomi e salumieri), Ettore Coffetti (macellai), Livio Bresciani (fruttivendoli), Roberto Capello (Aspan) e Pierantonio Chiari (Pia Unione San Lucio) hanno unito le forze per servire con una squadra di collaboratori risotto alla loanghina e taleggio, zuppa di cereali, polenta taragna, formaggi, salumi, salamelle, roast beef, verdure alla griglia, uva, macedonia, pane Garibalda, torta Sant’Alessandro ed altri prodotti da forno artigianali. Musica e spettacoli hanno accompagnato il lavoro degli alimentaristi: dalle 11 alle 13,30 si sono esibiti  gli ABBAclub, mentre dalle 15 alle 18 il gruppo “Wander Through the time”, i trampolieri Cotton club e il clown Pietro hanno intrattenuto i passanti sul Sentierone. 

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Settimana per l’Energia, «una strategia comune per costruire un modello virtuoso di società» 

«Quello che ci ha insegnato questa fortunata edizione è che dobbiamo cominciare a “ristrutturare” le nostre teste, il nostro modo di pensare, il nostro modo di essere imprenditori e cittadini. Solo così possiamo realmente aprire la strada a un nuovo futuro di sostenibilità».
Il presidente dell’Associazione Artigiani Angelo Carrara traccia un bilancio positivo a chiusura della quinta edizione della Settimana per l’Energia, sottolineando la grande partecipazione alle diverse iniziative. «Quest’anno – continua – abbiamo cercato di proporre eventi ancora più mirati, puntando molto sulla qualità delle proposte e questa è stata una scelta vincente, che ci ha portato ad avere sale sempre piene se non stracolme. Per ciascun componente del nostro territorio, imprese, professionisti, studenti e famiglie, abbiamo saputo creare occasioni di riflessione e di confronto sui temi del recupero e del riciclo, realmente proficue per tutti. Il punto di partenza è stato innanzitutto quello di abbandonare il vecchio concetto negativo di “rifiuto” per parlare positivamente di “risorse” e del loro utilizzo per un’economia realmente “green”».
Un risultato che, sottolinea il presidente Carrara, ha cementato ancora di più il gioco di squadra del cosiddetto “sistema Bergamo”: un tavolo di coordinamento che ha coinvolto, oltre ad Associazione Artigiani e Confindustria Bergamo, anche gli Ordini degli Ingegneri e degli Architetti, l’Università, l’Ufficio Scolastico per la Lombardia, Bergamo Sviluppo e per la prima volta Bergamoscienza, e che ha visto la presenza di 21 fra enti e organismi che hanno contribuito in qualità di partner o sponsor.
«Ringraziamo tutti quelli che hanno creduto in questo progetto – chiosa Carrara – e rinnoviamo l’invito a quanti intendono divenire parte attiva della prossima edizione. Solo con una strategia comune possiamo costruire un modello di società virtuosa, proiettando la nostra provincia verso obiettivi di lungo periodo, come possono essere l’Expo 2015 ma anche la candidatura di Bergamo a Capitale della Cultura 2019».
«Ovviamente – aggiunge il vicepresidente Giacinto Giambellini, delegato all’innovazione di via Torretta – tutti noi siamo portatori degli specifici interessi delle categorie che rappresentiamo, ma prima di tutto siamo cittadini di un territorio: è per il suo bene che il mondo artigiano ha guardato oltre se stesso, aprendosi agli altri e dimostrando di saper fare sistema. La Settimana per l’Energia ha tenuto conto di tutto questo, si è messa dalla parte di chi vuole risolvere i problemi e ha cercato di dare risposte che nel tempo, siamo convinti, daranno buoni frutti».




Commercianti bergamaschi dal Papa, «un pensiero a tutti i colleghi»

C'era anche una delegazione bergamasca tra le oltre 5mila persone che si sono date appuntamento a Roma per il Grande Raduno 50&Più, il meeting organizzato dall'Associazione degli ultracinquantenni del sistema Confcommercio, che ha vissuto un grande momento di spiritualità nella partecipazione all'udienza di Papa Francesco, lo scorso mercoledì 23 ottobre. Attraverso l'organizzazione dell'associazione provinciale, che ha come presidente Giuseppe Capurro e segretaria Laura Benigni, i commercianti bergamaschi hanno conosciuto il nuovo Pontefice e la grande umanità che sa trasmettere ad ogni cuore. Hanno anche voluto simbolicamente condividere l'esperienza con i colleghi che non hanno potuto essere presenti, «facendo salire al cielo  – è stata la dedica comune – una preghiera  anche per quelli che in quel momento stavano lavorando nelle loro botteghe. Che il Signore li protegga e illumini le loro scelte». Il giorno precedente hanno invece preso parte all’evento di 50&Più alla Fiera di Roma, intitolato “Nessun uomo è un’isola”, a dare voce all’impegno, alla responsabilità individuale e ribadire che ognuno fa parte di un unico destino. Tra gli ospiti anche Betty Williams, Premio Nobel per la Pace nel 1976.




“Time management”, se la gestione del tempo fa bene alla produttività

Dottor Bergamaschi
L’azienda per la quale lavoro ha organizzato un corso di “time management” con l'obiettivo – ha spiegato – di migliorare la gestione del tempo lavorativo. C'è chi ha interpretato questa mossa come una sorta di giudizio negativo sui dipendenti e c'è chi l'ha liquidicato con il classico: serve a poco o nulla. Lei di che parere è?

e-mail, Grumello del Monte

"Il tempo è il capitale più grande, non si può comprare, non è una risorsa abbondante e non si può fermarlo". E' una delle affermazioni più famose che l’economista tedesco Lothar Seiwert è solito fare durante i suoi seminari in giro per l’Europa. Ed è vero: una gestione “sbagliata” del tempo regala spiacevoli conseguenze come stress, insicurezza e spreco di risorse e di energie, che a loro volta generano un circolo vizioso in grado di travolgere l'individuo e il suo equilibrio psicofisico. Soprattutto in ambito professionale dove è importante essere concentrati e la gestione del proprio tempo rappresenta una competenza fondamentale per ogni lavoratore. Nella vita di tutti i giorni il tempo può essere suddiviso in tre macro aree: il tempo lavorativo, il tempo libero e il tempo “indispensabile” (cioè per mangiare, dormire e riposare). Considerando che quest’ultimo, fondamentale per il mantenimento del proprio benessere fisico, non dovrebbe mai essere sacrificato, ci si dovrebbe dedicare a migliorare l’efficienza delle altre due tipologie attraverso un’organizzazione efficace delle proprie attività. Diventa allora fondamentale conoscere l’arte del “time management”, ovvero la capacità di gestire il proprio tempo in maniera efficace o come direbbero gli esperti “per fare proprio il processo di pianificare ed esercitare un controllo sul tempo utilizzato per specifiche attività, al fine di aumentare l'efficacia, l'efficienza e la produttività”. Forse qualcuno non lo sa, ma esistono una serie di tecniche che aiutano l’individuo a realizzare ogni attività, entro uno specifico periodo di tempo. Secondo il principio di Pareto (se non lo conoscete, vi invito a leggere qualcosa sull’argomento) è il 20% di ciò che facciamo a determinare l'80% dei risultati; ne consegue che la maggior parte del nostro tempo e del nostro operato, ben l’80%, viene invece disperso in attività molto povere in termini  di risultati effettivi. La maggior parte delle persone è davvero brava a perdere tempo e senza saperlo mette in campo precise modalità come rimandare, temporeggiare, analizzare eccessivamente, non riuscire a dire di no, perdersi in cose di secondaria importanza e il non delegare, che rappresentano comportamenti dannosi in grado di compromettere il raggiungimento degli obiettivi.  E’ necessario allora cambiare approccio e il “time management” aiuta a focalizzare l'interesse sul presente e sulle priorità reali, applicando una serie di accorgimenti per sbrigare il proprio lavoro e non esserne sepolti. Se gli interventi di un efficace “time management” sono numerosi e sono da calibrare a seconda della situazione specifica, posso però indicare almeno tre spiacevoli abitudini che è possibile cominciare ad evitare: la consuetudine al caos, la discontinuità nelle mansioni e l’incapacità di valutare le priorità. Una gestione caotica dei propri impegni non consente di lavorare per scadenze e priorità; è necessario invece organizzare in modo certosino le mansioni con le relative tempistiche, dividendole in quelle da fare subito e quelle da fare in rapida e propedeutica successione, specificando sempre tempi e modi. Al tempo stesso bisogna evitare di dedicarsi al lavoro in modo discontinuo a causa di costanti interruzioni come telefonate, chiacchiere, arrivo ed invio di mail e sms: che piaccia o meno, la colpa di tutto ciò è solo una personale mancanza di concentrazione; è allora fondamentale riconoscere questa cattiva abitudine e debellarla dalla propria vita quanto prima, rimandando ad un momento più opportuno le “interazioni con l’esterno”. Infine la valutazione delle priorità: spesso in azienda il termine “urgente” è usato come sinonimo di “importante” e bisognerebbe fare tutto e subito. Il risultato è di fare quasi tutto e male; è importante invece imparare a valutare quale attività siano “adesso” determinanti per il conseguimento di un obiettivo aziendale, rimandando a “domani” quelle che invece non assicurano un immediato valore aggiunto. Oggi sono molti i corsi di “time management” presenti sul mercato, che vengono organizzati proprio partendo dai fabbisogni della realtà aziendale che ne fa richiesta; il mio consiglio è di accettare con entusiasmo questa chance che, oltre ad evitare all’azienda una perdita di efficienza, di produttività e un mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, aiuta gli individui a diventare lavoratori migliori. Non mi resta che auguravi buon lavoro.




Panificatori, «ora una legge tutela il nostro lavoro»

“Pane fresco” e “panificio”, due termini di uso quotidiano che non sembrava avessero bisogno di grandi spiegazioni. Le nuove tecniche di produzione e modalità di vendita hanno invece reso necessaria una definizione “legale”, richiesta da diversi anni dai panificatori lombardi, inceppatasi tra i cambi di deleghe e legislature e finalmente divenuta concreta con l’approdo in Consiglio regionale (l’approvazione è in programma mentre andiamo in stampa) del progetto di legge “in materia di promozione e tutela dell’attività di panificazione”. «Dal 2006, anno delle “lenzuolate” di Bersani – ricorda il presidente dell’Aspan Roberto Capello, che è anche presidente dell’Unione Regionale dei Panificatori Lombardi – il panettiere è nudo. Chiunque poteva diventare panificatore e veniva estesa la definizione di pane ad altri prodotti oltre al fresco, come il precotto surgelato o il crudo gelato. La nostra azione non ha però mai avuto – tiene a precisare – intenti puramente protezionistici della categoria. In gioco c’è un patrimonio di valori tutto italiano e unico al mondo, la panificazione artigianale, rappresentata nel nostro paese da 23mila imprese, 4.500 in Lombardia, ognuna delle quali propone almeno una specialità che la contraddistingue. È questa “panediversità” che crediamo vada tutelata, la capacità di dare una risposta sartoriale e territoriale al consumatore. Insieme, naturalmente, si tutelano i consumatori – sottolinea -, che potranno distinguere chiaramente il tipo di produzione. Non vuol certo dire che pani precotti, surgelati o a lunga conservazione siano dannosi, si forniscono solo strumenti più immediati per scegliere».
Per la nuova legge può chiamarsi panificio solo quell’attività in cui si svolge l’intero ciclo della preparazione del pane, dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale, e pane fresco quello preparato secondo un processo continuo, nel quale non intercorra cioè un intervallo di tempo superiore alle 72 ore. «In questo modo si torna alla definizione etimologica: il panificio è il luogo in cui si fa il pane, altra cosa fa chi lo prende e lo commercializza – rileva Capello -. La distinzione è importante perché meno passaggi intercorrono e più valore, anche dal punto di vista dell’impatto ambientale, ha il prodotto e poi perché in questo modo chi fa il pane ci mette la faccia, il consumatore saprà perciò chi è il “responsabile” di ciò che acquista».
Il fatto che sia trascorso del tempo tra la presentazione delle prime istanze dei panificatori e la formulazione della legge ha permesso di sottolineare alcuni aspetti in linea con l’evoluzione del settore, sollecitati sempre dalla categoria. «Con l’introduzione della figura del responsabile dell’attività produttiva, con obbligo di un aggiornamento periodico, viene valorizzata l’esperienza scolastica della Lombardia, che con più di trenta corsi di panificazione è un’eccellenza nel panorama nazionale – nota il presidente -. In un mondo così dinamico, occorre saper cogliere le variazioni, che si tratti di nuovi orientamenti dei clienti o di nuove modalità organizzative, ad esempio l’orario di lavoro e l’attenzione ai costi ambientali. La formazione permette di aprirsi a questi temi moderni e di mettere in atto un miglioramento continuo». «Il secondo aspetto innovativo – prosegue – riguarda la volontà della Regione di valorizzare il pane di filiera lombarda. Un passo che nasce proprio dall’esperienza bergamasca di coltivazione di grano per la panificazione sul territorio, da utilizzare nei nostri forni. Non si tratta di un’operazione di carattere sentimentale, di un ritorno alla natura legato ad una moda, è una questione di intelligenza economica, che paga e che dà valore al territorio. E che, tra l’altro, è in perfetto accordo con i paradigmi dell’Expo, ormai alle porte».   




Accesso al credito, agevolazioni per i soci di Confcooperative

Si aprono nuove strade verso l’accesso al credito per le cooperative bergamasche. Grazie alla convenzione recentemente siglata da Confcooperative Bergamo con Banca Popolare Etica le cooperative e i loro dipendenti e collaboratori potranno godere di strumenti finanziari agevolati. L’obiettivo è quello di sostenere l’accesso al credito tramite un accordo che si inserisce in una convenzione quadro nazionale firmata tra Banca Etica e Confcooperative-Federsolidarietà. Confcooperative Bergamo e Banca Etica insieme quindi per far crescere una cultura dell'economia sociale e dell'imprenditoria sociale nella nostra provincia: una forte convenienza ideale ma anche un insieme di strumenti per favorire l'accesso al credito per le cooperative aderenti a Confcooperative che potranno accendere mutui e finanziamenti nelle varie forme tecniche per fronteggiare le loro esigenze finanziarie.
Le imprese potranno fare affidamento sullo sportello di Bergamo di Banca Etica, aperto lo scorso aprile, che al momento conta 700 soci e una raccolta di 14,9 milioni di euro per 6 milioni di impegni al servizio delle cooperative. Per le imprese associate a Confcooperative inoltre sarà possibile contare anche su un abbattimento del tasso di interesse applicato per le operazioni di mutuo con il concorso in conto interesse di Fondo sviluppo, (il fondo mutualistico di Confcooperative). «La convenzione si inserisce in una convenzione quadro nazionale firmata tra Banca Etica e Federsolidarietà e nasce dalla volontà di favorire i rapporti tra le cooperative sociali e non e una banca partecipativa che incontra i nostri valori – ha spiegato Giuseppe Guerini, presidente di Confcooperative Bergamo -. La convenzione è importante anche perché potrà fare da veicolo per sviluppare nuove sinergie nel mondo del credito all’insegna del pluralismo economico. Per questo l’idea è di non fermarci alla convenzione ma di andare oltre e nei giorni scorsi abbiamo infatti formalizzato l’adesione come Confcooperative Bergamo per entrare a far parte della base associativa di Banca Etica».
La vicinanza al territorio, il sostegno alle piccole e medie imprese, la valorizzazione dell’economia sociale per le imprese che non pensano solo agli utili sono alcuni dei valori di Banca Etica che si propone di gestire le risorse finanziarie di famiglie, donne, uomini, organizzazioni, imprese, associazioni ed enti, orientando il loro risparmio verso le iniziative socioeconomiche che perseguano finalità sociali e che operino nel pieno rispetto della dignità umana e della natura. «Attraverso gli strumenti dell'attività creditizia – spiega Paolo Comini, responsabile area nord-ovest di Banca Etica – l’istituto indirizza la raccolta ad attività finalizzate al conseguimento dell'utile sociale, ambientale e culturale, sostenendo, mediante le organizzazioni no profit, le attività di promozione umana,sociale ed economica delle fasce più. L’investitore, infatti, può scegliere di indirizzare l’impiego dei propri risparmi verso quattro settori: cooperazione sociale, promozione della cultura e della società civile, salvaguardia e tutela ambientale, cooperazione allo sviluppo nei paesi del Sud del mondo».
Tra le finalità di Banca Popolare Etica è presente anche una funzione educativa nei confronti del risparmiatore e del beneficiario del credito, responsabilizzando il primo a conoscere la destinazione e le modalità d'impiego del suo denaro e stimolando il secondo a sviluppare con responsabilità progettuale la sua autonomia e capacità imprenditoriale. «Al di là del merito creditizio – spiega Andrea Bravi, direttore della filiale cittadina situata in via Borgo Palazzo – l'istruttoria per la concessione del credito non è solo tecnica ma anche socio-valoriale. La concessione di mutui a tassi agevolati e altri prodotti finanziari nasce infatti dalla consapevolezza di sostenere un modello d’impresa come quello della cooperazione che ha risvolti sociali importanti per il tessuto economico in cui opera».
Ad accompagnare le cooperative nell'informativa dell'accesso al credito e per l'istruttoria della pratica, Confcooperative Bergamo metterà a disposizione il suo ufficio «Credito e Finanza», che dalla sede di via Serassi è da tempo un punto di riferimento per le associate. Infine, in un’ottica di proposta di «sistema» che riguardi anche le persone fisiche, la convenzione siglata con Banca Etica prevede, oltre che per la singola cooperativa, condizioni agevolate su una serie di servizi anche per i dipendenti dalla cooperativa stessa e i suoi collaboratori, a conferma del principio della mutualità su cui si fonda l’Istituto.




Lavoro, in causa sempre più manager e dirigenti 

“Le controversie non risparmiano alcun settore e in questo ultimo periodo sono in crescita le cause che riguardano dirigenti e manager, con retribuzioni di un certo peso” rileva Ermanno Baldassarre, giuslavorista e presidente dell’Ordine degli avvocati di Bergamo.
Il ricorso alla cassa moltiplica però i problemi: “La cassa integrazione è ormai uno strumento essenziale per garantire la sopravvivenza delle pmi ed ormai anche gli studi professionali – legali inclusi – ricorrono alla cassa in deroga. Crescono però oltre alle cause per licenziamento e qualifica anche quelle per differenze retributive e applicazione non corretta degli ammortizzatori sociali”. Ma a generare caos negli uffici giudiziari è il rito Fornero.
Una riforma che ha avuto un “impatto devastante” sul sistema giudiziario italiano, come sottolineato da Fabio Rusconi, presidente dell’Agi, Associazione degli avvocati giuslavoristi italiani?
“Diciamo che è una pessima legge perché decuplica i problemi, anziché semplificarli. Inoltre non fa che replicare procedure già esistenti, come la procedura d’urgenza già presente nel Codice, per quanto concerne la prima fase del rito che riguarda il merito. E’ bene che sia posta una maggior attenzione alle cause di licenziamento, è giusto pensare che una causa non possa durare dieci anni, ma non si può istituire, paradossalmente, un quarto grado di giudizio”.
Una legge di cui nessuno sentiva il bisogno?
“Il rito del lavoro è una splendida quarantenne (“nata” nel 1973, ndr) sfregiata da pessimi interventi di chirurgia estetica, tra cui quello ad opera della Fornero. Il problema non riguarda tanto i tempi di giudizio, ma le complicazioni create dall’interpretazione delle norme”.
Quali soluzioni intravede per ridurre il contenzioso?
“La prima strada, impercorribile, sarebbe quella di rendere il rito del lavoro effettivo, con tutte le necessarie risorse come dovrebbe essere. I termini per i giudici – è una provocazione-  dovrebbero essere perentori. L’arbitrato, con una funzione sussidiaria dell’avvocatura da ripensare per il futuro, potrebbe giocare un ruolo importante per snellire il contenzioso”.
La mediazione si è rivelata inefficace?
“Il tentativo obbligatorio di conciliazione si è rivelato un flop perché raramente si sono trovate soluzioni davanti alla  allora Direzione Provinciale del Lavoro (ora denominata Territoriale). Quanto alla mediazione non è uno strumento utile per risolvere i problemi legati al lavoro”.
E’ cambiato il ruolo delle organizzazioni sindacali nel contenzioso?
“Il sindacato continua a svolgere la sua funzione, in mezzo al guado tra lavoratore e impresa. Prima di entrare in causa il lavoratore si consulta con il sindacato o l’associazione di categoria, che possono svolgere un ruolo importante per definire a livello extragiudiziale le controversie”.
In tribunale i lavoratori hanno sempre la meglio, come vuole il senso comune?
“L’applicazione del  principio del favor lavoratoris è insito in un rapporto dispari, in modo che non prevalga la condizione del contraente più forte a scapito della parte più debole. Ma ciò non vuol dire che venga denegata la giustizia. Come nel campionato di calcio, sulla distanza, vince la squadra migliore anche le cause di lavoro, analizzando le risultanze nel tempo, vanno nella direzione in cui ci si aspettava che andassero”.
Non capitano mai cause pretestuose?
“Raramente vengono radicate cause palesemente pretestuose, pur essendovi un certo contenzioso che non ha particolare rilevanza economica, come per le piccole differenze retributive”.
Quale impatto ha una causa di lavoro su un’impresa?
“C’è chi sostiene che ormai i costi delle aziende siano implementati da quelli degli avvocati. La realtà è che i servizi legali vanno correttamente pagati perché tutelano interessi e diritti di vitale importanza, soprattutto in fase preventiva”.




Trescore, «finalmente i commercianti credono nel rilancio»

Per il rilancio dei negozi e la rivitalizzazione del paese, Trescore Balneario ha intrapreso un percorso originale, quello del Centro commerciale naturale, un sistema di esercizi coordinato in un’area urbana, già attivo e affermato in diverse regioni, come Toscana e Veneto, che non è ancora entrato nelle politiche di sostegno e sviluppo della Lombardia – dove si è puntato sinora sulla formula del Distretto –, ma che potrebbe farlo in futuro. La nuova Act, Associazione Commercianti di Trescore, nata per dare concretezza al concetto riempiendolo di idee e iniziative, ha infatti ricevuto l’investitura di “progetto pilota” dall’assessore regionale al commercio Alberto Cavalli, intervenuto lo scorso 12 ottobre al taglio del nastro dell’iniziativa e dichiaratosi interessato seguire anche a questo tipo di esperienza.
Il “la” all’operazione è stato dato dal Comune, che nel Pgt ha previsto il Town center management come strumento di pianificazione, riqualificazione e potenziamento del centro storico ed ha sollecitato i commerciati a darsi un coordinamento per confrontarsi e collaborare in questa direzione. L’input ha colto nel segno e nel giro di pochi mesi la partecipazione è decollata, bruciando letteralmente le tappe. A giugno è nata ufficialmente l’associazione, che oggi conta 65 associati su circa 120 attività presenti nel centro storico. Ha già collaborato allo Shopping sotto le stelle estivo e alla Festa dell’uva ed ha realizzato StreeTfood, manifestazione dedicata alla cucina e all’assaggio in cui sono state coinvolte in prima persona le attività associate, con postazioni e intrattenimento in strada fino a tarda sera. Una prima uscita di successo, che dà la carica al nuovo gruppo.   

I COMMERCIANTI
«Il paese ha molto da offrire, non possiamo permettere che si spenga»

Qualche serranda abbassata c’è anche qui. Così come i cartelli “affittasi” o “cedesi attività”. A dominare è però ancora la varietà commerciale, che in altre realtà della Bergamasca è invece già diventata un ricordo. Lungo il percorso da piazza Cavour a piazza Dante, passando per via Locatelli e nelle più moderne corti – ossia l’area individuata come Centro commerciale naturale – si trovano macellerie, panifici, fruttivendoli, bar, negozi di abbigliamento, calzature e tutto quanto può rispondere alle esigenze del consumatore. In alcuni casi si tratta anche di attività storiche, depositarie di esperienza e tradizione, sempre più rare da trovare dietro al bancone. La passeggiata è piacevole. I primi 15 minuti di sosta sono gratuiti, il che favorisce la commissione veloce, poi il costo è di un euro all’ora, nei diversi spazi presenti in centro. Poco fuori, l’ampio piazzale Pertini è libero, ideale per chi vuole concedersi un giro in tutta tranquillità.
In piazza Cavour, la Ferramenta Gualini è una vera e propria istituzione. Per la verità, lo è per tutta la Bergamasca. Si tratta infatti della più antica attività commerciale familiare (il primo documento ritrovato risale al 1806), premiata dalla Camera di Commercio e inserita nel registro nazionale delle imprese storiche istituito da Unioncamere. «La nascita dell’associazione è un fatto positivo – esordisce Andrea Gualini, 37 anni, settima generazione in forza al negozio -. Una scossa va data e se ci sono accordo e concertazione si possono di certo realizzare iniziative di maggior richiamo rispetto a quanto si può fare da soli. Direi che non servono stravolgimenti (e mi rivolgo anche alle possibili scelte del Comune), ma cercare di tenere e valorizzare quanto c’è di buono. Ogni attività deve poi darsi da fare, noi ormai ci siamo specializzati in tutto e cerchiamo di inventare sempre qualcosa di nuovo per migliorare il servizio».
Anche all’albergo ristorante Della Torre, in piazza, sono pronti a mettersi in gioco. «La volontà è dare visibilità e valorizzare tutte le attività presenti in paese, anche quelle un po’ più distanti – dice lo chef Diego Pavesi, quinta generazione alla guida dell’esercizio che si sviluppa all’interno di una torre trecentesca –. StreeTfood è stata una prima prova ed è andata bene. Ha richiamato persone da fuori ed i commercianti hanno potuto presentare i propri prodotti e farsi conoscere. Personalmente sono sempre disponibile all’aggregazione, mi fa piacere che si sia formato un bel gruppo perché ci si può supportare a vicenda: di certo è un bene per tutti!».
«Sapere che siamo in tanti a partecipare è uno stimolo in più», evidenzia Maurizio Campana, del bar Bollicine, aperto nel 2007 in via Locatelli. «Trescore è sempre stato il centro di riferimento anche per gli altri paesi della Val Cavallina, sappiamo che quando si organizza qualcosa qui la gente risponde ed è un bel vantaggio. Proporsi come alternativa ai centri commerciali però non è facile – riflette -, in una giornata piovosa è quasi scontato che si vada a fare shopping all’Oriocenter».
La possibilità di inserirsi in un tessuto commerciale ancora vivace è ciò che ha fatto decidere a Luciano Cisana di rilevare la macelleria in via Locatelli, trasferendosi tre anni fa da Curno (dove l’influsso dei centri commerciali è ben più evidente). «Qui va meglio – afferma -, ben vengano le iniziative per rivitalizzare il centro, anche se il mercato, non dobbiamo nascondercelo, oggi è quello che è».
Attività storica è anche la boutique Parimbelli, dal 2004 trasferita in via della Resistenza, ben 22 vetrine su tre piani e un bacino di clientela ampio e consolidato. Marco Parimbelli è uno dei due vicepresidente dell’Act. «Pur essendoci ancora molti negozi – rileva -, ci siamo resi conto che il centro si stava pian piano spegnendo, la sera, ad esempio, è vuoto. C’è però stata una reazione, credo che per la prima volta ci sia uno spirito vero di collaborazione». «L’idea del Centro commerciale naturale ha già avuto riscontri positivi a livello istituzionale – nota -, il paese ha una spiccata vocazione commerciale e sarebbe stato un peccato non mettere in campo strumenti per tutelarla e valorizzarla. Certo non sarà facile, ma c’è la voglia di dialogare in modo costruttivo con il Comune e collaborare con le associazioni del territorio per risvegliare anche culturalmente e socialmente il paese».
«Riportare l’attenzione sul centro storico è l’unica azione che può salvare i paesi», dice chiaramente Juri Signorelli, giovane titolare del negozio di grafica e stampa Ink, in via Locatelli. «La nuova associazione è giovane ed è motivata – dichiara -, magari non sarà facile mettere d’accordo tante persone diverse, ma è comunque meglio confrontarsi su molte idee che su nessuna. E poi, al di là del richiamo verso l’esterno, c’è la possibilità di conoscerci e stringere sinergie tra di noi, in fondo anche questo un modo per sviluppare le nostre attività».   
Sara Suardi, socia della pasticceria 2G in piazza Dante e componente del direttivo dell’Associazione commercianti, non solo lavora ma abita anche a Trescore e pensa prima di tutto al paese. «L’impegno è rivolto soprattutto a far vivere di nuovo Trescore, a riscoprire il valore della comunità – afferma -. Dovevamo muoverci per non rischiare di lasciarlo morire e la nostra prima manifestazione è stata un successo. Ora dobbiamo proseguire con l’impegno e la volontà di tutti». A supportare la visione positiva è il socio Giovanni Martinelli: «Con quasi 130 attività di tutti i generi e tanti pubblici esercizi, Trescore è una corazzata dal punto di vista commerciale. Qui si può trovare tutto senza spostarsi a Bergamo o nei centri commerciali, è giusto dare valore a tutto questo».
Residente e componente del direttivo dell’Act è anche Elisabetta Algisi, titolare della Fioreria Clorifilla, in via Roma, che ha aperto, giovanissima, 26 anni fa. «L’Associazione si basa sulla consapevolezza che Trescore ha molto da offrire – nota – e che si è lavorato troppo poco per renderlo attrattivo, soprattutto in chiave turistica. Le potenzialità ci sono, pensiamo solo al Lotto, alle Terme e poi al paesaggio e al lago. In passato eravamo il polo turistico della Valle, in centro c’erano ben sette alberghi; non dico che si potrà tornare a quei fasti, ma cerchiamo almeno di puntare su queste carte, imparando a lavorare insieme. L’organizzazione sarà vincente solo se tutti i partecipanti si metteranno in gioco, promuovendo se stessi e l’associazione».
Secondo Loretta Finazzi, titolare da 11 anni della merceria Fili di Fate, in via Roma, si può pure portare più vita in paese, ma conta soprattutto la capacità di rispondere alle esigenze della clientela. «Sinceramente durante l’apertura serale non è entrato nessuno in negozio e allora mi chiedo cosa cambia – dice -. Preferisco impegnarmi per far girare la mia attività, dedicandomi alle riparazioni che prima non facevo, ma di cui, visto il periodo, ora c’è richiesta. È logico che preferirei starmene dietro al bancone e vendere solamente, ma se non si può bisogna per forza buttarsi su un servizio utile e che può rendere».
«La nostra attività in realtà non aveva bisogno di promozione, eppure abbiamo partecipato a StreTfood, offrendo il nostro servizio perché pensiamo che sia importante che la gente giri e conosca i negozi», racconta Ciro Prisco, titolare della Bottega della Pizza, pizzeria d’asporto da 13 anni aperta in via Roma ed esponente di una famiglia napoletana che «ha portato la pizza in Val Cavallina». «La presenza delle attività professionali – rimarca – può essere anche una risposta alle sagre, offrendo qualità a prezzi contenuti, a differenza di quanto di può trovare in tante manifestazioni». 




Zanetti: «Ancora alla guida della Popolare? Vedremo cosa deciderà il Consiglio»

Fredda mattinata d’ottobre.
«Ogni stagione ha aspetti positivi e negativi allo stesso tempo».  
Lei a che stagione della vita è arrivato?
«Alla quarta, ormai ho 82 anni».
Non pensa che potrebbe essere il momento per fare altro?
«No, anzi adesso ho più tempo. Anche per pensare al tempo che rimane».
Al netto dei suoi incarichi istituzionali, ma soprattutto bancari, presidente di Ubi e della Banca Popolare per 28 anni, ad Emilio Zanetti si potrebbe pensare come a certi vecchi zii, con un sentimento di vago affetto e riconoscenza per quello che hanno rappresentato. In particolare per il concetto di immutabilità ed incrollabilità. Esattamente come i capelli che porta in testa (appena più leggermente incanutiti), i suoi pensieri sono gli stessi di undici anni fa (come forse di 30 o 40 o 50). Nel 2002, su queste colonne, comparve una sua lunga intervista che, senza troppa fatica, si potrebbe riproporre anche adesso, quasi riga per riga, togliendo solo qua e là qualche piccolo riferimento alle cronache di allora, senza timore di essere smentiti. Il puzzle mentale di Zanetti sembrerebbe costituito dagli stessi pezzi. Almeno formalmente, sostanzialmente chissà.
A proposito di tempo per pensare. Dopo l’assemblea di Ubi dello scorso aprile, disse che si sarebbe ritirato in un luogo solitario per meditare: l’ha fatto?
«È un proposito che non ho ancora realizzato».
Perché?
«Mancanza di tempo. No, diciamo, per mancanza di volontà. Anche se si è super impegnati, però, due giorni in un anno si trovano».
Parliamo di banca, ma partiamo da un altro punto di vista, quello immobiliare. BergamoScienza ha ridato un po’ di vita al centro cittadino, occupando immobili lasciati liberi. Tra questi anche parecchi di proprietà della Banca Popolare di Bergamo. Fra un mese finita la manifestazione ritorneranno vuoti e il centro cittadino ripiomberà nella sensazione di abbandono.
«La crisi economica ha inciso profondamente sui consumi ed ha coinvolto anche attività tradizionali, quali Sacerdote. Le ragioni sono state illustrate nell’intervista concessa al vostro giornale dal dottor Luca Sacerdote, che ha dovuto assumere una decisione certamente sofferta che merita il nostro rispetto, una decisione ritenuta necessaria tenuto conto della contrazione dei consumi e della forte concorrenza. Per il reparto Uomo la chiusura è avvenuta il 31/12/2012, purtroppo si profila pure la chiusura del reparto Donna a fine d’anno. La Galleria La Torre ha lasciato i locali il 31 marzo scorso, essendosi trasferita in locali di proprietà più ampi. Stiamo cercando altri inquilini che possano svolgere attività compatibili con l’ubicazione centrale della nostra città e che di conseguenza possano valorizzare il centro cittadino mantenendo il necessario decoro».
Non crede che la politica immobiliare della banca, ci riferiamo al livello degli affitti delle locazioni commerciali negli ultimi anni, sia stata non propriamente vicina al territorio?
«In passato la politica immobiliare della Banca, così come la chiama Lei, soprattutto quella riguardante le locazioni commerciali, prevedeva canoni molto inferiori a quelli di mercato. Nel tempo si è proceduto a un riallineamento, mantenendo peraltro livelli inferiori o comunque non superiori a quelli di mercato. Questo è avvenuto anche per il settore residenziale, ove si è cercato di favorire l’acquisizione degli immobili da parte degli inquilini attraverso la concessione di mutui che fossero appetibili».
Che cosa si augurerebbe di vedere in queste vetrine?
«Mah, mi piacerebbe un grande stilista, un nome dell’alta moda ad esempio».
Lei quanti vestiti ha nell’armadio? Per dire quante volte è entrato da Sacerdote?
«Una volta l’anno… ma io i vestiti di solito, me li faccio fare su misura».
Undici anni fa, alla domanda “Come immagina la Popolare tra vent’anni?” rispose: “Una banca libera ed indipendente che continui il proprio cammino e continui ad assolvere il proprio ruolo. La penso come una vera public company, con un azionariato molto diffuso dove non si formino gruppi di potere di qualsiasi natura. Mi auguro che possa difendere sempre la propria indipendenza”. Per lei è ancora così?
«Le do la stessa risposta, mi auguro che la banca o meglio il gruppo sia esattamente così; libero e senza condizionamenti di sorta. Me lo auguro francamente, perché tutti abbiamo operato tenendo conto di questi indirizzi».
La parola territorio è il mantra delle Banche Popolari. Hanno coltivato questa vocazione di vicinanza alle componenti territoriali, anche in considerazione della loro natura giuridica che fino almeno agli anni 70/80 le differenziava veramente dalle banche di interesse nazionale. Ora molto meno. E il Governatore, in almeno due occasioni ufficiali, ha invitato le popolari a trasformarsi in Spa…
«Le Banche Popolari hanno sempre assolto ad una funzione di carattere sociale, con un’attenzione particolare allo sviluppo dei territori in cui sono insediate ed io sono certo che continueranno questa loro missione. Purtroppo la crisi, lunga e assai pesante (ricordiamo che la Lehman Brothers è fallita nel 2008), ha costretto molte imprese a ridimensionare l’attività, altre non ce l’hanno fatta. Questo ha inciso anche sui bilanci delle banche, le perdite sui crediti sono cresciute notevolmente. Teniamo ben presente che noi gestiamo i risparmi di famiglie e imprese e quindi denari di risparmiatori che devono essere allocati con prudenza, certamente per favorire lo sviluppo delle imprese e dei livelli occupazionali. L’attività delle banche popolari in passato si è distinta dall’attività di altre istituzioni creditizie. Allora gli istituti di credito di diritto pubblico e le banche di interesse nazionale tendevano ad avere rapporti con grandi imprese ed operavano soprattutto con sedi poste nei capoluoghi di provincia. Con le privatizzazioni anche queste banche si sono trasformate, hanno curato sempre più i rapporti anche con le piccole e medie imprese, non sempre con l’attenzione che le banche popolari riservano allo sviluppo e alla crescita del territorio e delle iniziative a questo collegate».
Lei è presidente dell’Associazione delle Banche Popolari, da sempre molto attiva nel valorizzare e difendere la natura cooperativa. Come vede il futuro?
«Sono convinto che le Banche Popolari debbano mantenere l’attuale forma giuridica di Società cooperativa, trovando soluzioni volte a favorire l’apporto di capitali, tanto necessari per consentire lo sviluppo degli impieghi, così come auspicato da alcuni autorevoli esponenti del nostro settore. Alcune innovazioni sono state introdotte e riguardano l’innalzamento del limite al possesso azionario sino all’1% e per le Fondazioni di origine bancaria livelli maggiori sempre che derivanti da operazioni di fusione».
Come è possibile che due Governatori abbiano approcci diversi sul tema, a distanza di pochi anni? Ci riferiamo a Draghi che applaudì e favorì la concentrazione tra banche, benedicendo nel caso di Ubi, quella anomala e difensiva tra una spa, Banca Lombarda, che abbandonava il modello per blindarsi in una cooperativa, Bpu?
«Tecnicamente l’operazione di aggregazione di Bpu (Banche Popolari Unite) e Banca Lombarda e Piemontese è avvenuta nel 2007 attraverso la fusione per l’incorporazione della seconda nella prima. Le condizioni stabilite riguardavano il mantenimento della forma giuridica di Società Cooperativa e la Sede Legale in Bergamo. L’operazione ebbe il benestare di Banca d’Italia e quindi dell’allora Governatore Draghi. Il discorso del nuovo Governatore Visco, riguarderebbe casi particolari nei quali i principi ispiratori delle Banche Popolari sono stati travisati a causa di comportamenti anomali che ne hanno minato la Governance con conseguenze gravi, anche sotto il profilo dell’autonomia e dell’indipendenza, valori assolutamente da difendere».
Le banche da popolari sono impopolari?
«Tutte le banche lo sono un po’ diventate, ma occorre partire dal presupposto che le banche amministrano il denaro altrui. L’allocazione del risparmio al sostegno alle medie e piccole imprese è nel dna, soprattutto delle banche popolari. Cinque anni di crisi hanno però segnato anche il sistema bancario, i suoi bilanci. Molti imprenditori sono stati bravi però a stare a galla, ristrutturando le aziende e aprendosi a nuovi mercati».
Avendo seguito l’ultima assemblea di Ubi, in particolare la bagarre di  alcuni soci che hanno tentato per un po’ di bloccare i lavori, non è venuto anche a Lei il pensiero: “il voto capitario è superato o da rimodulare”?
«Nell’ultima Assemblea vi è stato un momento di tensione che mi auguro non debba ripetersi. L’Assemblea è il luogo dell’incontro con i Soci, un incontro che si vorrebbe avvenisse in modo civile. La forma giuridica è ininfluente, dipende dal comportamento dei singoli, ai quali è richiesto di interloquire, ripeto, in termini civili».
Gli investitori istituzionali detengono consistenti quote del capitale sociale delle banche popolari, in Ubi anche il 30%, votano come tutti e non hanno rappresentanti in Consiglio. Non c’è qualcosa da correggere?
«Gli Investitori istituzionali, soprattutto i Fondi Pensione, svolgono una funzione importante perché, come dicevo prima, è necessario favorire la patrimonializzazione delle banche. Questi soggetti, finora, non hanno dimostrato interesse a occuparsi della gestione. Se a loro giudizio questa è conforme alle loro aspettative, manterranno l’investimento, diversamente lo dismetteranno. Da noi, ma per quanto di mia conoscenza, anche in altri Istituti non è stata avanzata richiesta di partecipazioni negli organi amministrativi. Se questo avvenisse, e se dovesse rappresentare un’utilità per la Società, e se le persone indicate fossero in possesso di requisiti di professionalità e di onorabilità, tali da costituire un arricchimento negli organi collegiali non vedo remore all’inserimento di alcuni nominativi nelle liste da presentare all’Assemblea. Le Banche Popolari hanno progredito anche perché ai vertici hanno avuto persone che si sono impegnate con onestà e passione ed hanno creduto nei principi e nei valori delle stesse. Le maggioranze e le minoranze una volta elette debbono operare tutte insieme nel superiore interesse della Banca. Quando abbiamo celebrato i 140 anni di vita della Banca Popolare di Bergamo, nel 2009, il Professor Tancredi Bianchi, a un giornalista che gli chiedeva di esprimere un giudizio sulla Banca ha detto: “È la storia di persone che hanno sempre anteposto l’interesse della Banca a qualsiasi interesse personale”. È quanto io auspico anche per il futuro».
Si metta nei panni di un imprenditore, quale peraltro lei è, e venga in banca a chiedere un prestito. Cosa farebbe?
«Porterei un progetto valido. In presenza di certi requisiti le progettualità imprenditoriali sono finanziabili. Ma non si può pensare che tutto sia meritevole di supporto. Si parla tanto di credit crunch, ma ci sono molti elementi che vanno valutati».
Che cosa salva del mondo imprenditoriale bergamasco?
«Il grande impegno, in alcuni casi lo spirito di sacrificio, la capacità di essersi rimboccati le maniche e di aver guardato avanti, ricercato nuovi mercati soprattutto, ma anche nuovi prodotti. In alcuni casi la crisi purtroppo ha mietuto qualche vittima».
Lei si sarebbe mai aspettato un periodo così duro?
«Nel 2007, quando effettuammo l’incorporazione con Banca Lombarda, forse solo qualche economista preveggente fu in grado di anticipare quello che sarebbe accaduto di lì a poco. Ci ha colto quasi di sorpresa, per le dimensioni e per la durezza delle condizioni. Speriamo di intravedere la luce in fondo al tunnel».
Come vede Bergamo, adesso?
«Ci sono state importanti realizzazioni, penso allo sviluppo dell’aeroporto e a cascata il turismo e i servizi».
Orio ci porta milioni di passeggeri e intanto i pendolari attraversano i binari per prendere il treno per Milano…
«Mi auguro che questo sia un problema che trovi presto una soluzione…».
Ma non difettiamo di progettualità?
«Non direi, abbiamo alcune eccellenze: Università, ospedale e aeroporto indicano questo. Credo che anche la vita dei bergamaschi sia migliorata».
L’anno prossimo ci sono le elezioni. Che cosa si augurerebbe per Bergamo?
«Il voto è segreto! Mi auguro che la città venga retta da persone oneste e che abbiano a cuore le sorti della città».
È una risposta ecumenica! Tentorio farebbe bene a ricandidarsi?
«Tentorio ha bene amministrato, così come il suo predecessore, pur con qualche sbaglio, tipico di chi fa».
La Fondazione del Credito Bergamasco sta preparando per il 2015 la mostra di Palma il Vecchio. La Fondazione BPB cosa ipotizza di metter in campo?
«Abbiamo ristrutturato il complesso di Sant’Agostino con un impegno notevole, porta Garibaldi e ancora Astino e la chiesa del nuovo ospedale di Bergamo e dando sostegno a molti organismi. Vedremo che cosa mettere in campo».
L’anno prossimo scade anche il suo mandato come presidente della Banca Popolare? Che fa? Pensa di andare o restare?
«Vedremo cosa deciderà il Consiglio».
Prima suo padre, adesso lei, tra poco toccherà a suo figlio Matteo?
«Vedremo se saprà guadagnarsi l’apprezzamento degli organi deliberanti».
Si augurerebbe di vederlo sulla poltrona che è stata sua e prima ancora di suo padre?
«Con questa banca abbiamo un legame affettivo».
Tornasse indietro rifarebbe tutto?
«Cercherei di evitare certi errori, quelli che fanno un po’ tutti».
Qual è stato il giorno più bello, qui dentro?
«Ce ne sono stati molti, non saprei citarne uno in particolare». 
Bpb è il gioiello di Ubi…
«Abbiamo a che fare con una clientela solida, con un’imprenditoria capace e questo ci ha consentito di risentire meno della crisi».
Chi le ha dato più dispiacere Jannone o Masnaga?
«Lascio il giudizio ad altri. Passi ad un’altra domanda».
Dieci anni fa alla domanda: "C’è qualcuno in particolare che l’ha delusa?" mi rispose “Non in modo particolare”
«Anche adesso questa resta la mia risposta».
Quali sono i peccati che le inducono più indulgenza?
«Mi rifaccio a quello che dice Papa Francesco: chi siamo noi per giudicare? Dovrei pensarci».
Ritorniamo al tema della meditazione. Forse questo suo procrastinare è sintomatico. Trovarsi a tu per tu con se stessi non è facile…
«È mancata l’occasione».
In quel caso le sarà inevitabile trovarsi a tu per tu con il Padreterno. Che cosa gli chiederebbe?
«Di essere molto misericordioso nel giudicarmi».
Che cos’è per lei la misericordia?
«Bisognerebbe chiederlo di nuovo a Papa Francesco. Tutti, nella vita, abbiamo fatto degli errori, io non sono esente».
Uno sbaglio in particolare?
«Dovrei fare un bell’esame di coscienza. Le darò una risposta, dopo i due giorni meditativi».