Valle Seriana e Val di Scalve, al lavoro con arte e cultura  

Lorenzo Serafini, classe 1987, è laureando in Scienze storiche all’Università di Trento. Come tanti bergamaschi della sua età, sogna di poter vivere di arte e di cultura, trasformando la sua passione in un vero e proprio lavoro. E, per il momento, sembra che ci stia riuscendo. Lorenzo è infatti uno dei sei ragazzi che collaborano al progetto “Percorsi turistici e culturali e laboratori artistici”, in programma da luglio a ottobre in 23 comuni montani, in un'area che va da Ponte Nossa a Valbondione, fino a Schilpario. Dare un’opportunità occupazionale e di formazione a giovani precari partendo dal rilancio del patrimonio storico, commerciale ed enogastronomico è l’obiettivo, quanto mai ambizioso, di Valle Seriana e Val di Scalve. Un modo nuovo, insomma, per combattere disoccupazione e crisi economica, mettendo all’opera i cervelli creativi di studenti e laureati. L’iniziativa è sostenuta dal Pirellone che ha indetto un bando nell’ambito delle Politiche giovanili e stanziato un finanziamento di 29.780 euro che ha permesso agli under 35 della zona – formati professionalmente e coordinati da una guida esperta, Helen Debarros – di organizzare tour in borghi e ville storiche, degustazioni di prodotti tipici, biciclettate sotto le stelle, escursioni in mezzo alla natura e laboratori per bambini. Il Museo arte e tempo di Clusone e il gruppo Artelier si sono rivelati fucine di idee privilegiate da cui attingere le menti più preparate da inserire in questo progetto, tutti laureati o laureandi in discipline che vanno dalla storia dell'arte all'architettura: «Volevo riscoprire il patrimonio storico della Valle Seriana, così affascinante ma ancora poco valorizzato – racconta Lorenzo Serafini – quindi mi sono avvicinato al Mat di Clusone lavorando prima nella guardiania e poi entrando a far parte del Mat club, associazione volontaria nata nel 2009 e diventata il centro delle nostre attività culturali. Avevo però voglia di mettere la mia professionalità al servizio dei cittadini. Grazie al bando regionale siamo riusciti a organizzare una serie di iniziative che quest’estate porteranno i turisti, e non solo, a fare shopping ma anche a scoprire il territorio dal punto di vista dell’arte e della natura». Per questo progetto, Lorenzo è stato assunto con un contratto part-time mentre altri cinque sono per ora a tempo determinato: «Non è male per essere la mia prima esperienza lavorativa – aggiunge –. Intanto ho la possibilità di pagarmi gli studi, mi mancano gli ultimi esami e poi la tesi su un argomento che riguarderà il territorio in cui abito. Oggi si fa sempre più fatica a trovare lavoro ed è bello per un giovane come me potersi guadagnare da vivere con la cultura e il turismo. Posso unire l’utile al dilettevole. Il problema grosso, in questo settore, è sempre quello delle risorse. Per fortuna, ogni tanto, le istituzioni ci vengono incontro».
La precarietà è, purtroppo, il denominatore comune dei sei ragazzi che collaborano alle iniziative. Ci sono due insegnanti di storia dell’arte e italiano, sempre in balia di supplenze temporanee, un grafico e un impiegato in un ufficio turistico. Altri due giovani collaborano alla Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo. Una di loro è Romina Capelli, 31 anni, laureata in Arti figurative e spettacolo alla facoltà di Scienze umanistiche di Bergamo: «Sono da sempre precaria – spiega –. Al momento lavoro alla Gamec come educatrice museale ma è una prestazione occasionale. Così sono riuscita ad arrotondare il mio stipendio entrando a far parte di questo progetto, dapprima come custode del Mat e poi collaborando con il gruppo Artelier». Nato da una costola del Mat e diventato un braccio operativo della cooperativa sociale Aquilone, Artelier si occupa di gestione dei musei, dell’organizzazione di eventi culturali e della valorizzazione del territorio dell'alta Valle Seriana. «Con questa serie di iniziative estive, che proseguiranno poi anche a Natale e Pasqua – continua Romina – daremo vita a percorsi turistici ed enogastronomici, visite guidate e laboratori ludici per i più piccoli. Siamo in sei ragazzi e ci occupiamo un po’ di tutto. Io per esempio adoro i bambini ma se qualcuno ha bisogno di me per un'altra iniziativa inserita nel cartellone, corro volentieri in suo aiuto. Ormai siamo un bel gruppo di amici e questa è per noi un’opportunità per collaborare con musei diversi e farci conoscere all’interno delle istituzioni». L’auspicio di Romina è che questa bella esperienza possa un giorno trasformarsi in un lavoro a tempo indeterminato: «Sono mamma di due bimbi e per gestire al meglio anche la famiglia, fino ad ora mi sono accontentata di occupazioni saltuarie, ma per il futuro, soprattutto quando i miei figli saranno cresciuti, vorrei un po’ più di certezze».




Sale da ballo: «Penalizzati dai troppi circoli fuorilegge»

Sale da ballo improvvisate e circoli fuori legge inaspriscono e rendono sleale la concorrenza con sale da ballo, discoteche e locali notturni, alimentando ingenti danni economici. La crisi poi non fa che agevolare il proliferare di circoli e club, nati con il solo scopo di sottrarre denaro all’erario e fare business, contrariamente a quanto impone una forma giuridica che bandisce il lucro dalle sue finalità. «Con la crisi crescono i circoli, che non versano tasse, non hanno dipendenti ma soci e non sono soggetti all’agibilità e quindi ai relativi standard di sicurezza. Sono oramai più grandi delle stesse discoteche e la maggior parte non rispetta le regole dei circoli – sottolinea Paolo Visinoni, presidente del Gruppo Sale da Ballo Ascom -. La forma giuridica sembra in molti casi un modo di aggirare la legge per sfruttare i vantaggi fiscali dei circoli, senza tuttavia rispettarne di fatto le regole. Un circolo infatti non ha fini di lucro e non può pertanto trovare nell’attività di bar e somministrazione una forma di guadagno, non può avere nemmeno un’insegna, né tanto meno fare pubblicità». D’estate la concorrenza di feste che trasformano cortili e prati in sale da ballo a tutti gli effetti si fa sentire sempre più con la crisi: «Ormai si balla ovunque. Le feste nei paesi e nei quartieri stanno portando ad una vera e propria erosione del popolo del ballo, specialmente degli appassionati di latino americano», continua Visinoni.
Una recente analisi del centro studi Fipe-Confcommercio realizzata per il Silb, l’associazione italiana delle sale da ballo aderente alla stessa Federazione, ha fotografato il fenomeno. «Far ballare senza avere le autorizzazioni previste per legge significa innanzitutto mettere a rischio la salute di chi partecipa agli eventi e significa anche sottrarre circa un miliardo di euro al circuito economico legale – evidenza il sindacato -. Un valore pari a quello generato dalle strutture che consentono lo stesso tipo di offerta, ma con tutte le carte in regola, e una fetta non da poco, visto che tutto l’intrattenimento, compreso cioè anche quello non danzante, genera un valore pari a 7,5 miliardi di euro».
Il fenomeno delle discoteche mascherate da circoli ricreativi, sportivi o culturali è conosciuto a molti cittadini come esperienza vissuta, ma scarsamente registrato a livello numerico. Eppure dalla ricerca risulta chiaramente che nel 43,6% dei casi la tessera associativa fatta firmare al cliente al momento dell’ingresso in realtà è utilizzata prevalentemente per vedere amici e bere qualcosa. Non meno rilevante è il dato che riguarda l’ascolto della musica e il ballo, finalità vera per cui si sottoscrive la tessera associativa nel 13,5% dei casi. D’altra parte, la rete dei luoghi non convenzionali, fra associazioni sociali e culturali è di circa 20.000 unità a cui vanno aggiunti altri 14.000 tipologie di circoli sportivi fra palestre, spa, centri, piscine e quant’altro. «Si tratta – spiega la ricerca – di potenziali luoghi di offerta di intrattenimento accompagnata da somministrazione di alimenti e bevande».
Le iniziative contro l’abusivismo sono aumentate in maniera notevole, passando dalle 10 del 2010 alle 97 dell’anno successivo per arrivare alle 147 del 2012 e 56 in questa prima parte del 2013. La provincia più responsabile nel denunciare questa forma di illegalità è stata quella di Parma con 31 segnalazioni effettuate dal Silb, seguita di misura da Lecce e Brescia con 20 denunce. «L’abusivismo – dichiara Maurizio Pasca, presidente Silb-Fipe – è la più sgradevole e pericolosa concorrenza sleale in grado di stravolgere e condizionare la competitività sana fra imprese. Come associazione di categoria stiamo svolgendo un ruolo di sentinelle sul territorio per combattere l’illegalità, ma non possiamo fare tutto da soli. Le nostre segnalazioni devono essere sostenute e portate avanti dalle forze dell’ordine, dalle pubbliche amministrazioni e anche dai cittadini che dovrebbero rifiutare di firmare tessere associative per ballare, bere e mangiare».
Il fenomeno non è nuovo anche in Francia, dove le azioni di contrasto si concentrano soprattutto nelle normative sulla formazione obbligatoria, sul controllo delle licenze per la somministrazione di alcol, sui divieti per la vendita di alcolici a minori di 18 anni e nelle limitazioni ai minori di 16 se non sono accompagnati da un adulto. La federazione francese ha anche istituito una commissione speciale dedicata all’abusivismo a cui si dà risalto con una campagna di informazione sui media. Non molto diversa la situazione in Spagna, dove i problemi del settore sono costituiti dalle abitudini di consumo variate anche in relazione alla multietnicità sociale, dalla liberalizzazione che ha portato ad una concorrenza sleale e dall’abuso di alcol che si tenta di contrastare con una cultura del bere responsabile e con una cultura dello stile di vita mediterraneo, cioè con “l’arte de vivir”.




Negozi storici, riconoscimento all’Albergo Alpino di Colere

Daniele Vecchio riceve l'attestato dal presidente della Regione Roberto Maroni

Cerimonia di premiazione dei “Negozi storici” a Palazzo Pirelli a Milano. La Regione Lombardia lunedì 22 luglio, ha premiato le 64 attività commerciali lombarde che negli ultimi 12 mesi hanno ricevuto il prestigioso riconoscimento. Tra queste l’Albergo Alpino di Colere, al Passo della Presolana (via Cantoniera). Nato nel lontano 1925, su una struttura costruita nel 1840 dagli Austriaci e utilizzata come casermetta, è da sempre gestito dalla famiglia Vecchio, prima dal nonno Camillo, poi dal figlio Aldo e dalla moglie Germana e ora da quattro dei sei figli, Cristina, Daniele, Elena e Stefania.
Con l’Albergo Alpino i negozi storici bergamaschi riconosciuti da Regione Lombardia raggiungono quota 90: tre insegne storiche di tradizione; 27 tra locali e negozi storici (16 in città e 11 in provincia) e 60 storiche attività (11 in città e 49 in provincia).
«La nostra storia, l’identità dei nostri luoghi e delle nostre città vivono nelle tradizioni del commercio – afferma Paolo Malvestiti, presidente Ascom Bergamo -. Le 90 attività storiche della provincia di Bergamo sono un grande patrimonio da tutelare. Il riconoscimento valorizza la capacità imprenditoriale e la famiglia, due elementi che non vanno disgiunti quando si parla di commercio e di terziario e che rimangono il punto di forza di tutto il sistema, anche in un momento, come quello attuale, in cui il settore del commercio è in fase di profonda trasformazione».
A conferma del ruolo che le attività storiche rivestono nel commercio bergamasco, Ascom ha costituito un gruppo di coordinamento con lo scopo di valorizzarle e promuoverle, tra le prime iniziative la pubblicazione dell’insegna in alcune guide edite dal Touring Club.




Uniacque, da Federconsumatori duro attacco alla gestione

Federconsumatori ribadisce il giudizio negativo nei confronti della gestione di Uniacque. “Azienda a totale capitale pubblico, cioè pagata da tutti noi – evidenzia Federconsumatori – che non vuol saperne di considerare  gli utenti come i suoi primi azionisti e continua a trattarli con un indisponente atteggiamento di presunta superiorità. Azienda che si nega al confronto con le associazioni di tutela dei consumatori al punto di non concludere la stesura della Carta dei Servizi e del collegato regolamento: strumenti dove si precisano diritti e doveri tra le  parti per la fornitura dell’acqua, il servizio di depurazione e quello di fognatura. Servizi “regolarmente” fatti pagare in bolletta”.
“Azienda – prosegue Federconsumatori – che l’anno scorso ha applicato l’aumento del 70% sul costo dell’acqua distribuita dalla rete di Bergamo  precedentemente gestita da BAS. Azienda che  acquisisce reti di distribuzione idrica dai Comuni (il diritto a farlo deriva dall’essere “Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato”) e poi tarda a realizzare  le opere necessarie a garantirne l’efficienza e il rispetto delle norme di tutela dell’ambiente. E’ pubblica l’accusa fatta da Amministratori comunali che contestano l’immobilismo di Uniacque a  fronte di scadenze prossime che, se non rispettate, comporteranno sanzioni da parte dell’Europa”.
“In questo contesto – sottolinea Federconsumatori – la Provincia ci mette del proprio. Non si capisce come possa (la Provincia) essere contemporaneamente socia e promotrice di Uniacque quale Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato sull’intero territorio bergamasco, e azionista di Hidrogest e Cogeide. Società che svolgono lo stesso servizio, in contenzioso con  Uniacque su  importanti aree provinciali. Federconsumatori auspica che  Provincia e Sindaci/Azionisti di Uniacque si interessino  anche dei problemi sopra esposti”.




Quel vigile che ha scelto d’essere uomo prima che automa

La legge altro non è che una somma di regole, che gli uomini creano e si impongono, per vivere meglio: non è un dogma, né una monade astratta ed incontrovertibile, ma un mezzo per moderare l’istinto umano che, altrimenti, sarebbe quello della belva. Per questo, le leggi soggiacciono a due fondamentali criteri: si cambiano, quando non rispondono più alle esigenze della società, e si interpretano, in modo da adattarle alle situazioni, perché non sortiscano l’effetto opposto, rispetto alla volontà del nomoteta. Perché servano all’uomo, insomma, anziché asservirlo. Il modesto caso di cronaca che ha visto protagonista il vigile urbano Francesco Brignone, reo di avere indossato un copricapo fuori ordinanza nell’adempimento dei propri compiti e, per questo, sanzionato dai superiori, mi pare sia assolutamente esemplare. Perché, dal punto di vista strettamente regolamentare, i suddetti superiori hanno ragione, anzi ragionissima: una divisa non può essere vilipesa, adattandola al proprio gusto e alle circostanze quotidiane. Dal punto di vista civile, però, ossia dell’interpretazione della norma, questa censura ci pare algidamente inumana, date le circostanze che hanno condotto il vigile ad indossare il copricapo incriminato. Per capirci, un conto è un tutore dell’ordine che vada a dirigere il traffico in Porta Nuova con in testa un pitale, un cappellino con su scritto “Idraulica Bigliozzi”, un cilindro sfondato a stelle e strisce: altro è, come nella circostanza di cui stiamo parlando, se il vigile indossa un cappello alpino, nel giorno del funerale del più grande alpino che una città profondamente alpina abbia espresso nella propria storia. Perché è di questo che si tratta: Brignone era in servizio in centro, il giorno del funerale di Nardo Caprioli e, evidentemente per dimostrare il proprio cordoglio e la propria partecipazione ad un evento che ha coinvolto l’intera cittadinanza, ha indossato un cappello che è il simbolo e la sintesi di tutto un mondo, di mille storie di valore e di sofferenza, di una comunità umana e spirituale gigantesca e meravigliosa. Comunità di cui Brignone fa parte, essendo un alpino, e che rappresenta una fetta non indifferente e, certamente, socialmente benemerita, della popolazione bergamasca: mica l’associazione amici del vì de pomm, o quella dei giocatori di carambola. Il che, mi darete atto, non è esattamente la stessa cosa: mi pare che vi sia un margine discrezionale, per chi debba applicare la norma, tra un cialtrone che fa una pagliacciata e un gesto pieno di sentimento e di rispetto. Quella norma giuridica che regolamenta la vita degli umani non è al di sopra della legge morale: ne è, semmai, il portato. Il colonnello Brignone, nonno del reprobo, comandava il Morbegno: quello della “bala bianca” e del “Morbegno avanti!” di Nikolajevka. Il papà del reprobo era un alpino della Julia, quella del ponte di Perati. Il reprobo ha messo su di un piatto la minaccia di sanzioni disciplinari e, sull’altro, un cappello stropicciato, deformato e scolorito: e ha scelto di essere uomo, prima che automa. Ha voluto dimostrare affetto al suo presidente alla maniera degli alpini: non ha fatto male a nessuno, anzi, semmai ha rallegrato qualche passante, ha suscitato simpatia e ha fatto pensare ai bergamaschi, che lo hanno visto, quel giorno, dirigere il traffico con in testa il suo bel cappello alpino, che le istituzioni non siano poi così arcigne, così remotamente distanti dalla gente comune, così freddamente normative, intente solo a far multe o ad esigere gabelle. Per questo, oggi, la decisione di applicare rigorosamente il regolamento per il caso di Brignone ci pare che allontani l’istituzione dall’idem sentire della gente: ci pare, insomma, che si voglia sacrificare l’umanità al totem della regolamentarità. E ne deriverà, state tranquilli, un notevolissimo danno d’immagine per la pubblica amministrazione che, dal coté polizia municipale, non è che goda di tutto questo gradimento: l’idea che venga punito un vigile urbano, perché, nel giorno del funerale del presidente degli alpini, ha indossato un cappello che la sua famiglia ha portato con orgoglio per generazioni, non fa una gran bella impressione, in una provincia in cui ci sono ventimila alpini. Se fossi il responsabile delle pubbliche relazioni di palazzo Frizzoni, un pensierino a questo ulteriore aspetto della faccenda lo dedicherei. Perché è verissimo che le norme vanno rispettate, ma è anche vero che è il giudice che deve interpretarle: e anche la gente giudica, più o meno severamente, in base ai propri criteri. Che non sempre coincidono coi regolamenti, perché, per fortuna, certe volte si giudica col cuore.

di Marco Cimmino




Vini per l’estate, su Affari di Gola dieci bollicine e dieci bianchi a buon prezzo

Il successo all’estero dei prodotti agroalimentari tocca anche all’Agrì, piccolo gioiello caseario di Valtorta ancora lavorato a mano, che dà il massimo gustato fresco, appena fatto. Proprio questa caratteristica sembrava precludergli mercati più lontani e invece, grazie a nuove tecniche di imballaggio e conservazione, ha spiccato il volo. Merito anche di Slow Food che lo ha inserito tra i propri Presìdi e ne sostiene la promozione. Oggi alcune gastronomie di Amsterdam lo richiedono con continuità, ma sta crescendo anche il gradimento nella ristorazione. Al “formaggino” brembano è dedicata la copertina del nuovo numero di Affari di Gola, la rivista che racconta l’enogastronomia di Bergamo e provincia. Nel “menù” di questo mese anche una guida ai vini dell’estate, con focus sulle bollicine, dal buon rapporto tra qualità e prezzo e, sempre per stare freschi, due suggerimenti per mangiare bene all’ombra di un bosco. Si va poi alla scoperta dell’uso alimentare della canapa, i cui semi sono un concentrato di principi benefici, e di un allevamento di conigli a Casirate d’Adda dove gli animali crescono ascoltando musica classica. Si parla anche del salame di Monte Isola e si approfondisce l’evoluzione della produzione di formaggi caprini, sempre più all’insegna della qualità. Quaranta pagine tutte da gustare, in edicola e on line.    




“Bergamo è una città difficile, più spazio ai giovani per innovare” 

“Se fossi un gelato? Sarei un cono al gusto zabaglione, perché dà forza ed energia”.
La chiacchierata con Riccardo Schiavi comincia così, con una domanda a sorpresa e finisce con “Ma io mi chiedo, dove vuole andare Bergamo?”. Una domanda (retorica) altrettanto sorprendente, mentre tenta di finire un toast sbocconcellato infinitamente nel corso di una mezz’ora abbondante inondata di parole, pensieri e massime. La prima che viene in mente, dopo aver diviso con lui un tavolino del suo locale “La Pasqualina” in via Borfuro (clone della sede storica di Almenno San Bartolomeo) è questa: “punta alla luna, male che vada avrai vagabondato tra le stelle”.  Per dirla in chiave più pasticciera: punta a fare una brioche tutta, ma proprio tutta integrale, male che vada avrai buttato via 7, 8 mila brioches e altrettanti impasti mal riusciti, ma avrai vagabondato tra li ingredienti più genuini del mondo. L’ultimo (impasto sbagliato) in ordine di tempo, risale all’ora prima dell’incontro e per sua stessa ammissione “in laboratorio sono dato fuori come un matto, mi capita ancora di buttare in pattumiera l’impasto, ma se prima succedeva spessissimo, adesso molto meno”:
Schiavi è comunque riuscito a sbarcare sulla luna delle brioches e a piantare la sua bandiera, una conquista che è tutta farina (integrale) del suo sacco, fatta di attenzione e cura per quello che si mangia ogni giorno. “Può sembrare banale, ma far colazione al bar tutte le mattine con cappuccino e brioche rientra nel piano nutrizionale del cliente e dunque, con 360 colazioni l’anno, una brioche ha il suo peso specifico”. Come tutto quello che si trova in questo locale aperto nel 2006 in un anfratto del centro di Bergamo (dove un tempo si vendevano lucidi, squadre e tecnigrafi) da questo signore che, in testa oltre a tanti capelli neri e un ciuffo candido beffardo in mezzo, ha tante idee (ristorativamente e qualitativamente parlando) meravigliose. “Le idee più belle mi vengono quando vado in montagna a sciare, libero la mente e i pensieri mi tornano leggeri”. Tipo quella volta che pensò al contenitore “coccodè” per il suo gelato: tanti scomparti come per le uova, per altrettante palline con i vari gusti tutti da assaggiare senza stancare il palato, frustrato nella scelta imposta da molte gelaterie (tre gusti e non di più). A dire il vero, se fosse un gelato, potrebbe essere gusto entusiasmo, fatto con gli ingredienti più genuini della passione “E’ la cosa che non mi fa sentire il peso del lavoro, io tutte le mattine mi alzo per andare a divertirmi” e dell’ottimismo, mantecati da quel pizzico di sana follia commerciale che fa la differenza. Quando sette anni fa ha aperto questo locale (succursale dell’azienda di famiglia di Almenno) molti gliela “diedero lunga” un paio di mesi. E, invece, visto così dà l’idea che la faccenda possa durare un paio di secoli. Tanto per cominciare, il personale che ci lavora, propone fuori menù e senza alcun costo quello che manca in moltissimi altri locali: il piatto della buona cera. Tutti gentilissimi, senza essere invadenti, professionalità e cortesia mixati quanto basta per dubitare di trovarsi a Bergamo dove in certi bar la musoneria la fa da padrone. Schiavi mostra la carte dei valori, cinque punti saldi, un “quintalogo”che comincia con “vivere e far vivere un’esperienza unica al cliente”. Solo quando è molto stanco, Schiavi si chiede “ma chi me l’ha fatto fare?” L’ultima volta gli è capitato di ritorno da Porto Cervo dove un anno fa ha aperto “La Pasqualina”, chiamiamola “on the beach” volendo togliere quell’allure vippissima che contraddistingue la località sarda. “Tornavo a mezzanotte in aereo ed ero alle prese con un grosso problema. Così, immerso nei pensieri famigliari, me lo sono chiesto”. Qualche senso di colpa? “No, compatibilmente con tutto il resto cerco di godermi i miei bambini, Gabriele e Tommaso. Loro sono la mia energia, quello che sto facendo è anche per loro, voglio dare loro una possibilità di lavoro, ma solo se saranno d’accordo. Se vorranno fare altro, ad esempio gli idraulici, non li ostacolerò di sicuro”. Che cosa voleva, invece, fare da grande Riccardo Schiavi, figlio maggiore di quella Rosa Preda (“tanti difetti, ci si scontrava ma quando ho iniziato la mia attività le ho detto chiaramente: “qui comando io, non impicciarti” ricorda mentre si commuove “ ci volevamo bene e adesso che non c’è più mi manca”) che era una vera forza della natura? “A scuola ero un asino, sono riuscito a prendere il diploma da ragioniere “te lo diamo ma sparisci dalla circolazione”, mi hanno detto. Sono sempre stato abituato a lavorare. Ho capito che per essere felice avrei dovuto fare quello che mi piaceva, seguire la strada professionale per cui mi sentivo tagliato. Se invece che nascere imprenditore fossi rimasto ragioniere, magari sarei stato meglio, ma sono nato così e non ci posso fare nulla. Sono un semplice ragioniere, ma certe cose le ho imparate per conto mio”. La più importante? “La strategia. Dal punto di vista imprenditoriale è importante sapere dove si vuole andare. Fino a qualche anno fa avevo in testa molta confusione, poi sono riuscito a capire quale fosse la mia strada. Adesso la sto perseguendo con serenità, questo è l’ingrediente principale della vita come del lavoro.Mi guardo allo specchio e mi vedo così”. Non dice né quante ore lavora ma ammette “Bisogna aver voglia di sbattersi”, né quante proposte di investimento ha ricevuto: “Tantissime”. L’ultima, in ordine di tempo, è appunto “La Pasqualina” di Porto Cervo che nasce dall’intenzione imprenditoriale di riportare nella località sarda il bel tempo che fu. “Ho firmato subito il contratto 6+6 su una promenade che stentava a decollare. Mi piace questo locale perché accontenta una clientela trasversale che sembrava che a Porto Cervo non avesse più punti di riferimento; non c’è solo la famosa piazzetta dove potersi trovare. La mia gelateria ha riportato un po’ di umanità nella località più in, diciamo i piedi per terra”. Con un piede in Sardegna e l’altro in via Borfuro, Schiavi pensa ad ampliare la Pasqualina di centro città e a creare un dolce caratteristico che identifichi Bergamo in campo dolciario. “Conosco abbastanza Bergamo, ma trovo che sia una città difficile come i bergamaschi che la vivono, del resto sono così anche io. Professionalmente parlando, anche nel campo dove opero, possiamo contare su grandi figure, gente a cui piace girare il mondo e a cui piace darsi da fare. Purtroppo, però, si assiste ad un certo invecchiamento dell’imprenditorialità, ed è quello che personalmente vorrei evitare avvalendomi di gente giovane. Sono sicuro che i giovani mi aiuteranno non solo a non invecchiare ma a innovare. Gliel’ho detto: se fossi un gelato sarei lo zabaglione, tradizione e innovazione insieme  ”.




Sicurezza in auto, premiata l’idea imprenditoriale del “Pesenti”

Gli allievi dell’Istituto Pesenti di Bergamo all’interno del settimo percorso di formazione imprenditoriale “Impresa in Azione”, promosso da Junior Achievement Italia, hanno creato l’Impresa Net Ja realizzando Helios, un dispositivo elettronico per la sicurezza nelle automobili che contribuisce alla prevenzione di incidenti stradali causati da stanchezza, distrazione o negligenza.
Helios è costituito da un sistema di sensori, posizionati all’interno del copri volante o direttamente integrato al volante, e da una centralina elettronica in grado di valutare l’eventuale allentamento della presa delle mani sul volante e nel caso provocando l’emissione di  un segnale acustico di allarme.
L’idea imprenditoriale è stata notevolmente apprezzata. Infatti, gli allievi dell’Impresa Net Ja si sono classificati primi al concorso “Skills for the Future Hyundai Award” patrocinato dalla Hyundai Motor Company in occasione della Fiera Europea JA-YE che si è svolta a Riga (Lettonia) lo scorso marzo, primi alla finale regionale del concorso JA Impresa in Azione  che si è svolta al Centro Commerciale “Orio Center” di Bergamo il giorno 10 maggio 2013, primi al concorso organizzato da Confindustria Bergamo “10 e Lode” categoria JA e hanno ben figurato anche alla finale nazionale del concorso JA Impresa in Azione  che si è svolta a Palermo il 4 e 5 giugno scorsi aggiudicandosi il premio Innovation Lab.
Si tratta di notevoli risultati che premiano gli sforzi di studenti e docenti e danno lustro non solo all’Istituto Pesenti, ma anche a tutta la realtà imprenditoriale della nostra provincia,  da sempre attenta al problema della formazione dei giovani
Tali risultati si sono potuti realizzare anche grazie al prezioso contributo di enti, istituzioni, aziende e varie Associazioni di categoria operanti sul territorio Bergamasco. Importante la collaborazione della Lovato Electric spa e della Federazione dei Maestri del Lavoro di Bergamo che hanno messo rispettivamente a disposizione qualificate tecnologie innovative e professionalità, competenza e passione.
In particolare, nell’anno scolastico appena trascorso l’iniziativa è stata patrocinata e/o sponsorizzata da: Lovato Electric; Federazione dei Maestri del Lavoro; Hyundai Motor Company Italy; Camera di Commercio di Bergamo; Bergamo Sviluppo; Confindustria Bergamo; Associazione Artigiani; CONFIAB; Confcooperative; UBI Banca – Popolare di Bergamo; ABB SACE Division Bergamo; C&D Elettronica Bergamo; Centro Pelle Snc – Tappezzeria d’Auto Treviolo; Testa spa – Macchine Tessili Zanica; Autofficina F.lli Mora Bergamo.




Capetti: “Serve un  territorio   competitivo per uscire dalla crisi”

La situazione economica provinciale, le dimensioni della crisi e le sue ripercussioni sociali mettono a forte rischio occupazionale un numero considerevole di lavoratori.
Le procedure di riduzione del personale e le riorganizzazioni, che in tanti casi hanno comportato la chiusura di singoli reparti o addirittura di intere aziende, hanno coinvolto alcune imprese medio/grandi e maggiormente significative del territorio bergamasco, con un pesante impatto economico e sociale.
Va evidenziata la fase di grave criticità del sistema delle piccole e medie imprese, più esposte ai diversi fattori della crisi (calo dei consumi interni, restrizione del credito).
La situazione economica del nostro territorio, che già aveva subito la pesante crisi del settore tessile, è ulteriormente aggravata dalla forte crisi che sta coinvolgendo il sistema delle costruzioni, storicamente punto di forza del sistema economico bergamasco.
Si è quindi di fronte ad un notevole cambiamento del nostro sistema produttivo che comporta pesanti riflessi occupazionali.
Il disallineamento tra professionalità richieste e profili professionali disponibili sul territorio si aggiunge ad un pesante squilibrio quantitativo nel mercato del lavoro bergamasco.
Di fronte ad una situazione completamente nuova per una provincia di grande operosità e di grandi realtà imprenditoriali, è indispensabile riposizionare le politiche di sviluppo in grado di promuovere la creazione di nuove imprese e di generare nuova e buona occupazione.
E’ ancor più urgente per le aree territoriali più esposte alla crisi come quelle delle Valli Brembana e Seriana coinvolte da processi di deindustrializzazione.
L’obiettivo deve essere ridurre la disoccupazione, la precarietà, stimolare la domanda, anche sperimentando interventi in aree industriali dismesse.
Questa crisi non è congiunturale, ma strutturale: la domanda ripartirà per alcune imprese e per altre no.
Nostro malgrado, le cose non torneranno più come prima.
Per affrontare il mondo nuovo dopo la crisi bisogna cercare discontinuità con il passato ed individuare nuovi modelli.
A cominciare da una nuova visione del territorio.
Mentre un tempo si diceva che “imprese competitive rendono il territorio competitivo” (logica dei distretti industriali), probabilmente oggi si è competitivi come imprese e come persone se si è inseriti in un territorio competitivo.
Ad esempio l’ambiente, fino a ieri era considerato come un vincolo ed un freno alla crescita d’impresa.
Oggi, con la “Green economy”, può diventare un forte volano di sviluppo sostenibile, capace di coniugare sviluppo e preservazione del territorio per le generazioni future.
Credere nella formazione permanente è l’unica soluzione per competere, visto che siamo in condizioni di forte svantaggio dal lato del costo del lavoro, delle dotazioni infrastrutturali e della dimensione media di impresa.
La lettura delle competenze manageriali e territoriali deve essere continua per generare formazione e trasferimento di conoscenza.
Le linee strategiche europee per l’Economia della Conoscenza, nell’agenda Europa 2020, definiscono un nuovo modello di crescita intelligente, di coesione sociale e di sostenibilità.
In questo paradigma il capitale intellettuale di impresa e territorio, rappresenta l’elemento centrale per lo sviluppo di quelli che oggi si definiscono sistemi di intelligenza collettiva.
Il futuro è legato alla capacità di utilizzare la conoscenza che le comunità posseggono nel presente, e che le stesse comunità continueranno a costruire per le successive generazioni.
L’unica risposta è l’innovazione, che non vuol dire produrre le stesse cose a minor prezzo, perché così inevitabilmente perderemmo, ma fare quello che non è stato fatto nel passato.
Nuove tecnologie, nuovi materiali possono rivivificare anche i settori più tradizionali.
Cose nuove e vincenti. Inutile soffermarsi sulle produzioni già sperimentate perché su quel terreno non ci sarà competizione possibile con i Paesi emergenti.
Cosa questi Paesi non hanno?
Non hanno le nostre Università, la storia delle nostre Università.
Questo è il nostro vantaggio da sfruttare.
Il futuro del nostro territorio deve puntare sulla conoscenza ed è quindi fondamentale il potenziamento del rapporto fra Università e imprese promuovendo processi di innovazione e ricerca
determinanti per lo sviluppo dell’economia territoriale.
Si deve investire sulla qualità delle risorse umane, sulla qualità della cultura e della formazione permanente, affinché le imprese possano divenire maggiormente competitive e possano promuovere processi di innovazione e sviluppo anche attraverso la valorizzazione delle risorse del territorio.
E’ necessario analizzare il ruolo delle politiche industriali in un’economia più aperta e globalizzata. La chiave di lettura è quella del rapporto tra locale e globale: anche le reti locali di impresa possono essere strumento di crescita delle economie e di diffusione delle conoscenze se si rappresentassero in modo efficace ed equilibrato dentro le reti globali di impresa.
La crisi può essere  una opportunità, ma perché lo diventi, è necessario guardare avanti, spingere lo sguardo oltre la crisi.

Giuliano Capetti
Assessore provinciale alla Viabilità e Trasporti,
Istruzione, Formazione e Lavoro




Neolaureati, trovare lavoro a Bergamo è diventato più difficile

Bergamo offre l’8% del lavoro ad alta qualifica della Lombardia e ad un anno di distanza dalla laurea, i giovani bergamaschi riescono a soddisfare in gran parte la domanda di lavoro espressa dalla provincia, che riesce tuttavia ad assorbirne poco più della metà. Tra inevitabili flessioni e settori in crescita, l’indagine Specula Lombardia “Quali orizzonti per i neolaureati lombardi?” condotta a settembre dello scorso anno dagli esperti dell’Area Ricerca Formaper della Camera di Commercio di Milano restituisce il quadro in chiaroscuro delle prospettive di inserimento dei neolaureati bergamaschi.

In controtendenza la metalmeccanica, purché hi-tech
Nel 2012 gli inserimenti dei giovani laureati appaiono penalizzati in misura anche maggiore rispetto a quanto accade nella regione, particolarmente nei settori del terziario sociale in cui la presenza pubblica è significativa (istruzione, sanità), oltre che nel commercio al dettaglio e nel comparto del turismo, che invece in regione fa registrare una lieve crescita di neolaureati avviati al lavoro. Sempre nell’ambito del terziario tradizionale, il commercio all’ingrosso (dove si concentrano le filiali commerciali di aziende multinazionali) gioca, al contrario, un ruolo positivo sull’assorbimento di giovani ad alta qualifica, più marcato rispetto alla media lombarda. Tra gli altri settori di significativa rilevanza occupazionale per il tessuto economico provinciale la metalmeccanica, al cui interno sono cresciute le opportunità per i giovani ad alta qualifica, un riscontro in controtendenza nel generale panorama manifatturiero provinciale e che fornisce un incisivo contributo alla complessiva tenuta regionale del settore.

Il contratto? Un miraggio e tanti optano per l'autoimpiego
Il generale peggioramento delle prospettive lavorative viene comunque confermato dal trend delle tipologie contrattuali applicate. In provincia cala ulteriormente il ricorso al contratto standard maggiormente tutelante, ovvero il tempo indeterminato, anche se esso risulta meno penalizzato che nel complesso della Lombardia (-9,8% contro il -15,8% lombardo). Sul decremento ha certamente inciso la consistente contrazione degli avviati nell’istruzione, proporzionalmente più rilevante rispetto al complesso della regione, ma anche, in una sorta di “effetto sostituzione”, il maggior ricorso all’apprendistato ed al contratto di inserimento (circa il 46% in più, ma in rapporto ad una contenuta numerosità di contratti) anche nella stessa manifattura, da sempre caratterizzata dall’uso tipico del contratto a tempo indeterminato. In flessione anche il lavoro somministrato, le collaborazioni ed i tirocini, mentre resiste il lavoro intermittente, tipologia contrattuale di relativa diffusione sul territorio. In ogni caso, il contratto più frequentemente applicato ai nuovi inseriti resta sempre il tempo determinato, tipologia che ha ormai ampiamente colonizzato i settori a significativa partecipazione pubblica (istruzione in prima battuta, ma anche sanità ed assistenza sociale), proprio gli ambiti in cui trova collocazione il maggior numero dei giovani laureati. Ma anche per tale forma contrattuale nel 2011 si registra una flessione significativa (-12,9% contro il -7% della Lombardia) coerente con la contrazione dei nuovi inserimenti in tali comparti. Infine, spicca l’incremento degli imprenditori, che traduce una intensificazione di iniziative di auto impiego intraprese dai neolaureti, in particolare dai più “anziani” di essi (ossia laureati del 2008 e 2009), presumibilmente anche a seguito delle difficoltà incontrate nella ricerca di una collocazione professionale adeguata.

Ingegneria, formazione e sanità le carriere più scelte
Nell’arco del quadriennio 2007-2010 i laureati residenti a Bergamo che, a studi completati vanno a costituire l’offerta di lavoro ad alta qualifica, rappresentano una quota in relativo aumento nell’ultimo anno, quando arriva a toccare l’8% (pari a 2.689 giovani) del totale regionale. Si tratta di giovani che, conseguito un titolo universitario, risultano aver ultimato il proprio iter di studio, in quanto non iscritti a nessun altro corso universitario o post universitario in Lombardia.
Gli ambiti in cui l’apporto dei giovani laureati della provincia incide maggiormente rispetto al totale regionale ed è anche significativo per numerosità, coincidono con il blocco ingegneristico, con quello dell’insegnamento e formazione (sia pur, in entrambi i casi, con un costante decremento di laureati lungo l’intero periodo di raffronto) e con il sanitario e paramedico (che, al contrario, aumenta nell’arco del quadriennio in esame). Da notare, nel 2010, anche l’incidenza significativa dell’indirizzo economico, mentre l’indirizzo psicologico, dopo il balzo in avanti dell’anno precedente (quando si era registrato un raddoppio di laureati rispetto al 2007) presenta un incremento più contenuto, sia in termini assoluti che come quota sul totale dei giovani laureati lombardi.

Il bilancio ad un anno dalla laurea
Con riferimento ai laureati bergamaschi del 2010, una fotografia a distanza di 12 mesi dalla laurea mostra come la parte di essi che lavora, con qualsivoglia tipo di contratto, trovi uno sbocco lavorativo in buona misura (71%) entro il sistema economico provinciale, di cui soddisfa largamente la domanda (82%). Si tratta, ad ogni modo, di una domanda di entità non certo sostenuta, considerato che, complessivamente, a distanza di 12 mesi dalla laurea risulta attiva solo poco più della metà (51,7%, pari a 1.390 giovani)) dei laureati bergamaschi 2010, come testimoniato dal possesso di un contratto lavorativo. Va, peraltro, considerato che tale riscontro riguarda solo le possibilità occupazionali in Lombardia (e quindi non rileva l’eventuale sbocco lavorativo extra-regione) e che da esso restano esclusi sia il lavoro autonomo professionale (che, in effetti, risulta essere l’area lavorativa più rilevante che sfugge all’indagine), sia il praticantato. Il dato, quindi, sottostima in certa misura lo sbocco lavorativo dei neolaureati.

Il mercato bergamasco assorbe meno laureati
L’analisi mostra che, nel 2011, nella provincia di Bergamo risultano avviati poco più di 2.660 laureati (triennio 2008-2010), una quota pari all’8% sul corrispondente totale avviato nella regione. Rispetto ai giovani che avevano trovato lavoro sul territorio nel biennio precedente, il loro numero appare in calo, particolarmente in rapporto all’anno prima (-8,5%) e con una dinamica negativa più accentuata di quella regionale (-5,3%). Tra le province lombarde, l’area di Bergamo scivola così, per numerosità di giovani laureati avviati al lavoro, dal secondo posto dell’anno precedente, al quarto. Gli ambiti in cui questi giovani confluiscono in misura proporzionalmente maggiore rispetto alla media lombarda, risultano, in ordine di importanza:
il terziario sociale, al cui interno trova sbocco, nel 2011, ben il 42% dei neolaureati, quasi il doppio rispetto ai servizi alle imprese (23,1%). Da sole, istruzione e sanità raccolgono quasi il 30% dei laureati avviati al lavoro sul territorio di Bergamo (contro il 20,4% della regione), ambiti contraddistinti da una flessione degli inserimenti lungo l’arco del triennio, proporzionalmente più accentuata della media regionale;
la manifattura, che assorbe il 16,1% dei neolaureati (contro l’11,3% della Lombardia), a ribadire l’appartenenza ad un tessuto produttivo locale ancora a forte vocazione manifatturiera. Al suo interno, nel 2011 il settore metalmeccanico arriva ad interessare ben il 65% degli inserimenti di giovani ad alta qualifica che lavorano nel settore, con un continuo aumento lungo il triennio;
il terziario tradizionale (terziario commerciale, dei trasporti e turistico), dove trova lavoro il 14,3% dei giovani laureati (contro il 13,8% della regione). L’evoluzione occupazionale del comparto mostra un andamento diversificato tra i diversi settori. A seguire un trend interamente favorevole è unicamente il commercio all’ingrosso, confermando, almeno in parte, una ripresa delle attività di vendita da parte di imprese di media/grande dimensione (filiali commerciali di aziende multinazionali) e dove l’inserimento di giovani ad alta qualifica fa ben sperare in una ripresa di occupazioni “di qualità”. Al contrario, i laureati che nel 2011 trovano un lavoro nel commercio al dettaglio sono in calo rispetto all’anno precedente, riportandosi sui medesimi valori del 2009, presumibilmente per l’effetto combinato di una contrazione delle vendite (la riduzione del giro d’affari su base annua continua ad essere molto marcata) e di una certa saturazione, in termini di addetti, ormai raggiunta dal settore. Da notare che una quota significativa degli inserimenti (23,6%) si concentra sui laureati negli indirizzi farmaceutici, coerentemente con la moltiplicazione delle farmacie grazie alle liberalizzazioni sopraggiunte in questi anni. Nel settore dell’alloggio e ristorazione l’inserimento dei neolaureati è, nel 2011, leggermente inferiore all’anno prima, ma comunque più sostenuto che non all’inizio del triennio, per quanto si tratti di un’occupazione non sempre di qualità (soprattutto con riferimento ai pubblici esercizi, dove molti giovani lavorano per avere una immediata fonte di reddito, in attesa di trovare un lavoro più adeguato alla propria preparazione). In lieve calo, nell’ultimo anno, anche l’assorbimento dei giovani laureati nell’ambito dei trasporti.
Tra gli altri comparti si segnala il perdurante ristagno degli inserimenti nell’edilizia, settore di tradizionale rilevanza locale per l’alta concentrazione di attività, che risulta ancora fortemente gravato dalla crisi economica ed al cui immobilismo è contemporaneamente ancorato quello delle attività immobiliari. Dall’altro lato, va accennato all’evoluzione favorevole del numero di neolaureati avviati nell’ambito dell’informatica, tanto più se si considera che, diversamente, il comparto dei servizi professionali conosce, nel 2011, un’evidente riduzione di neolaureati complessivamente introdotti.
Quanto agli indirizzi di laurea, in rapporto al quadro complessivo regionale nel 2011, a livello del mercato del lavoro provinciale risultano penalizzate soprattutto alcune lauree spendibili in ambiti a forte partecipazione pubblica, gravati dal blocco del turnover: ciò riguarda, in particolare, l’insegnamento e formazione (che pur vanta una numerosità di inserimenti tra le più elevate) a causa della citata contrazione del settore dell’istruzione.

Meno opportunità per medici e ingegneri gestionali
Sempre in rapporto al dato medio lombardo, nell’ultimo anno emergono le minori opportunità lavorative dei laureati negli indirizzi medici (-32,1% contro un calo del 24,6% della Lombardia) e in ingegneria gestionale (-20,2% contro il calo del 15,0%). Viceversa, tra gli indirizzi più richiesti a livello locale, rispetto alla Lombardia, spicca il blocco delle ingegnerie industriali (+10,2% contro il +2,0% della regione), entro cui il territorio di Bergamo si contraddistingue per l’assorbimento di laureati in ingegneria meccanica. Essi confluiscono principalmente nella manifattura metalmeccanica ed il traino esercitato dalla domanda estera sul settore giustifica l’accresciuta numerosità di giovani laureati avviati nell’arco del triennio. Infine, da segnalare nell’ultimo anno anche un certo incremento degli avviati tra neolaureati nell’ambito delle biotecnologie (oltre il 20% in più, ma su numeri molto bassi), uno sbocco prevalentemente concentrato tra manifattura, istruzione e sanità (una quota del 40% dei casi), effettivamente coerente il titolo di studio.