Malpensata, «il commercio non perda il treno»

Nonostante l’area sia diventata il parcheggio di interscambio che la città non ha, il ricambio dei residenti e l’immigrazione abbinano frammentato il tessuto sociale e non manchino situazioni di marginalità e problemi di sicurezza, lo spirito del quartiere si respira ancora ed è da qui che è partito il desiderio di rinascita culminato nel progetto di coesione sociale “Abitare una nuova Malpensata”, che coinvolge tutte le realtà presenti sul territorio, dal comitato di quartiere alla parrocchia, alle strutture d’accoglienza (Patronato, Nuovo Albergo Popolare, Caritas e Comunità Ruah), che ha ottenuto dalla Fondazione Cariplo un contributo di 350mila euro in tre anni. Anche i commercianti e artigiani sono chiamati a rendersi protagonisti, ma al momento la prima esperienza di associazionismo stenta a decollare.

L’associazione dei commercianti “Malpensata èvViva” è nata due anni fa ed è stata la promotrice della festa estiva nel parco (lo scorso anno organizzata direttamente, quest’anno affidata alla cooperativa Ruah, ma sempre con l’obiettivo di coinvolgere tutti gli attori del quartiere) e delle luminarie natalizie che hanno collegato visivamente, grazie allo stesso stile, il quartiere al centro. L’Associazione raccoglie una settantina di attività, ma sta vivendo una fase interlocutoria. Il presidente Dario Mascher, titolare del ristorante Bacco Matto in via San Giovanni Bosco, ha già presentato le proprie dimissioni e resta formalmente alla guida in attesa che si definisca il futuro dell’organizzazione.
Dopo soli due anni è già tempo di ripensamenti, cos’è successo?
«Purtroppo la partecipazione dei commercianti non è stata quella sperata. Nonostante le comunicazioni e gli incontri, il gruppo di chi si è messo in gioco è rimasto ristretto. Dopo un po’ le energie finiscono e ci si chiede se valga la pena proseguire».
Che ne sarà dell’associazione?
«Vedremo se all’interno del Progetto di coesione sociale si individueranno nuove modalità di coinvolgimento, di comunicazione, se si riusciranno a trovare nuove risorse, qualcuno che si faccia avanti. In caso contrario non ha senso tenere in vita la struttura, che ha pur sempre dei costi. Chi, tra i commercianti, vorrà continuare a interessarsi al futuro della zona e portare le proprie idee potrà farlo nelle diverse realtà già presenti, dal Comitato di quartiere alla Parrocchia».
Che obiettivi specifici aveva, però, l’associazione?
«Portare avanti il punto di vista dei commercianti in maniera univoca, essere un referente per le altre organizzazioni che operano nel quartiere e costruire insieme le proposte da sviluppare. Evitare la frammentazione ma al tempo stesso rendere evidente il ruolo che i negozi di vicinato hanno in un quartiere, vere e proprie sentinelle del territorio e presidio sociale, che qui ancora resistono, alcuni sono autentiche istituzioni. Su queste basi si sarebbe poi potuto costruire di tutto, anche operazioni più strettamente commerciali come promozioni, tessere fedeltà e così via».
Invece?
«Sembra prevalga lo sport della lamentela. Si preferisce pensare che se le cose vanno male è colpa dei parcheggi o di qualche altro fattore esterno, senza prendersi delle responsabilità. Spendersi per il quartiere magari non avrà effetti immediati per la propria attività, ma di una zona senza siringhe in giro, prostituzione in pieno giorno, facce poco raccomandabili traggono benefici tutti, chi abita, chi lavora, chi possiede immobili e, appunto, anche chi ha un esercizio».
In effetti, la diminuzione dei posti auto è uno dei problemi maggiormente segnalati dai negozi… 
«È vero, la sistemazione di alcune strade ha sottratto spazi alla sosta, ma alla Malpensata non sono i parcheggi che mancano. Il fatto è che sono tutti occupati da mattina a sera dai pendolari. Non solo da chi va in stazione, ma anche da chi si ritrova per condividere l’auto e imboccare l’autostrada, persino chi prende la navetta per Malpensa ha la possibilità di lasciare comodamente e gratuitamente l’auto per più giorni. Il problema non sono gli spazi ma le regole per la sosta. Qualcosa è migliorato con l’introduzione del limite di tre ore in alcune vie, ma la questione si potrà risolvere solo quando la città si doterà di un vero parcheggio di interscambio».
E il mercato? Come vede la presenza dell’appuntamento settimanale?
«È il mercato della città e per gli ambulanti e il Comune ha il suo senso. Ma al quartiere non porta niente se non una mattinata di pieno caos e una nuova collocazione non potrebbe che farci piacere, permettendo tra l’altro di recuperare l’area del piazzale. Lo spirito collaborativo degli ambulanti e del Comune sono stati però ammirevoli quando abbiamo segnalato l’esigenza di avere a disposizione per due lunedì il parco per la festa. È un segnale importante, i presidenti delle due associazioni di categoria hanno sostenuto una scelta non popolare, è stato il riconoscimento che il mercato deve qualcosa al quartiere».
Sul rifacimento del parco si concentrano molte aspettative…
«È stato fatto un bel lavoro di progettazione partecipata con il Comune, guidato da un grande esperto, il paesaggista londinese Peter Fink, capace davvero di aprire orizzonti nuovi. Ci si è interrogati su cosa volevamo che il parco desse al quartiere. A settembre dovrebbero partire i lavori e credo che sarà un passo importante. La Malpensata ha vissuto per anni uno sbilanciamento demografico con l’insediamento di un’alta percentuale di immigrati, recuperare è più difficile ma ci si deve provare. E il quartiere lo sta facendo, il progetto di coesione raccoglie ormai 150 persone, di diverse fasce d’età, estrazione sociale, attività, interessi. È un’importante infrastruttura sociale e sarebbe un peccato che il commercio perdesse l’occasione di farne parte».




Start-up d’impresa, “vietato” improvvisare

Si è concluso il 28 giugno il percorso formativo di approfondimento sullo start-up d’impresa, svolto nella sede del Comune di Leffe nell’ambito dei “Progetti Territoriali – Attività e servizi per supportare la nascita e la crescita delle imprese nei territori della Pianura Bergamasca, della Valle Seriana e della Valle Imagna”, finanziati dalla Camera di Commercio di Bergamo e realizzati dall’Azienda Speciale Bergamo Sviluppo in collaborazione con il sistema associativo locale e una serie di partner istituzionali dei territori coinvolti. In particolare le attività calendarizzate sul territorio della Valle Seriana sono rivolte ad aspiranti/neo-imprenditori, per supportarli nella delicata fase di start-up e fornire loro le conoscenze e gli strumenti tecnici necessari a progettare/analizzare l’idea imprenditoriale. Dopo il seminario di orientamento sul “mettersi in proprio”, svolto il 10 e il 17 maggio, il tema dell’avvio d’impresa è stato al centro di un percorso formativo (5 giornate per complessive 20 ore di formazione) suddiviso in 3 moduli, dedicati rispettivamente al piano organizzativo, al piano marketing e al piano economico-finanziario, a cui hanno partecipato 15 persone. A Christian Pasinetti, docente nel corso, abbiamo chiesto le impressioni sull’aula e gli argomenti maggiormente “sentiti” da coloro che si apprestano a “intraprendere”.
“Il percorso è stato apprezzato oltre ogni aspettativa – afferma Pasinetti – e per me si è trattata di una nuova, positiva esperienza, che mi convince sempre più del fatto che prima di iniziare a fare impresa è opportuno un passaggio formativo”.
Mettersi in proprio non è un atto formale, ma una scelta che incide su strategia e conduzione aziendale.
“Proprio così. Nel primo incontro sono state presentate le diverse forme giuridiche, analizzando i criteri per la scelta tra forma d’impresa individuale o collettiva, ma il metodo didattico ha previsto anche momenti di confronto con i partecipanti, tra i quali erano presenti anche soggetti con imprese già costituite, che hanno permesso di evidenziare criticità, dubbi e problematiche”.
Quali altri temi sono stati approfonditi?
“Abbiamo dedicato ampio spazio alla pianificazione economica e finanziaria, evidenziando quando è possibile e opportuno scegliere tra contabilità ordinaria e semplificata. Abbiamo quindi esaminato un modello excel per dimostrare come al variare di certi parametri ci possano essere conseguenze sulle dinamiche finanziarie. Inoltre uno degli errori più ricorrenti è non calcolare il proprio tempo impiegato e il valore dell’immobile utilizzato per l’attività d’impresa: si tratta di costi figurativi che vanno messi in conto”.
Quali impressioni riporta da questo percorso formativo?
“La sensibilizzazione c’è stata e darà i suoi frutti. Gli aspiranti imprenditori, che in prevalenza desiderano mettersi in proprio nei settori commerciale, artigianale e della consulenza, si muovono con maggiore consapevolezza. Ci sono già richieste per poter usufruire dei percorsi di assistenza individuale e consulenza specialistica per analizzare la fattibilità del proprio progetto imprenditoriale e approfondire gli aspetti della gestione aziendale”.
Soddisfatto anche Giuseppe Carrara, sindaco di Leffe, che in occasione della conferenza stampa di presentazione del progetto, alla presenza di alcuni dei membri del Cda di Bergamo Sviluppo, dei partner territoriali e dei rappresentanti del sistema associativo, ha affermato: “È fondamentale mantenere alto il “livello di guardia” sulle possibilità di sviluppo economico e sociale del nostro territorio attraverso la nascita di nuove iniziative imprenditoriali. Le istituzioni, come avvenuto per questo progetto, devono essere parte attiva per creare un tessuto che sia davvero di supporto alle imprese”.




Airoldi: “Tante le buone idee, ma devono avere gambe per camminare”

Il suo motto è la semplicità, il suo modello di riferimento Steve Jobs. Damiano Airoldi, bergamasco, classe 1966, ne ha fatta di strada da quando 25 anni fa, insieme a un amico, fondò a Bergamo la Magnetic Media Network. Oggi, la sua impresa ha una cinquantina di dipendenti e, ogni anno, grazie ai suoi sistemi informatici, aiuta a gestire le complessità aziendali di circa 1500 clienti che operano nei settori più disparati. “Con grande pragmatismo, senza fare voli pindarici, possiamo ottenere strumenti incredibili per comunicare”, spiega Airoldi, che ha parlato della sua azienda nell’ambito delle “Conversazioni Imprenditoriali” promosse da “BergamoIncontra”.
Come nasce Magnetic Media Network?
“Nel 1989 la Mmn era una piccola azienda composta da me e dal mio socio e amico. Alla base di tutto c’era l’idea di fare informatica che, a quei tempi, era ancora nelle ere geologiche della tecnologia. In questi anni abbiamo sviluppato sistemi e cercato di portare l’informatica nelle aziende, soddisfacendo esigenze molto diverse. Quando queste esigenze diventano quotidianità, significa che sono efficaci”.
Insomma avete tentato di rendere semplici sistemi all’apparenza complessi…
“Abbiamo sempre inseguito la semplicità che è un elemento chiave in questo settore. Semplicità vuol dire anche economicità, efficacia, significa scalare le dimensioni di questi sistemi col crescere delle esigenze. O anche con il diminuire delle esigenze, visti i tempi che corrono, ridimensionando tali sistemi in modo dinamico”.
Qual è stata una delle vostre migliori intuizioni?
“In anticipo sui tempi, abbiamo capito la straordinaria importanza di quello che oggi è comunemente definito Smartphone. Già nel 2006 evidenziavamo la necessità di portarsi appresso posta elettronica e informazioni per una migliore organizzazione del tempo e del lavoro. Questi sono dei pezzi semplici da cui siamo partiti per costruire un’informatica molto complicata. Così abbiamo conquistato la fiducia dei nostri partners e siamo diventati credibili portando nelle aziende il mondo di Apple a cui siamo sempre stati legati, anche in tempi non sospetti”.
Quali sono i settori aziendali che traggono maggior beneficio dalla tecnologia?
“I dispositivi Apple sono molto gettonati nella grafica e nell’editoria. Anche gli studi legali sono un nostro fiore all’occhiello perché fanno comunicazione, si servono dell’informatica ma non hanno bisogno di capirla. E poi le scuole, i centri di ricerca… dopodiché c’è una grande passione nello scoprire le problematiche di tante aziende, piccole e grandi, dal singolo professionista alla multinazionale”.
Come si riesce a resistere nonostante la crisi?
“Nella Magnetic Media Network, dove lavorano una cinquantina di persone, cerchiamo di cogliere le esigenze specifiche di ciascun cliente. Questa è forse l’arma vincente in un settore tanto volubile”. 
Com’è cambiato l’approccio alla tecnologia rispetto a 25 anni fa?
“Mi sento quasi un highlander. Questo mercato è vasto e pieno di cadaveri eccellenti. Non c’è un futuro certo per nessuna azienda, di qualsiasi dimensione, quindi figuriamoci per noi. Ma è una sfida sempre molto stimolante. All’inizio c’era l’innamoramento per l’idea che i personal computer potessero cambiare la vita delle persone, in ufficio e poi a casa. Oggi il concetto di pc è molto più naturale mentre allora era molto più impattante. In quegli anni l’informatica voleva dire grosse aziende dotate di calcolatori creati da grossi nomi come Ibm ma anche da altri scomparsi come Mixware. I piccoli distributori, i piccoli oggetti, i piccoli nomi erano considerati degli ausili. Quando l’informatica dal posto di lavoro è arrivata nelle case, la gente si è resa conto di quanto fosse facile utilizzarla senza complessità tecniche. Questo ci ha dato più margine di azione. Semplificare il lavoro delle persone, ma allo stesso tempo divertire, è stata da sempre la nostra finalità. Gli utenti Mac e Apple sono stati i proseliti degli evangelisti perché avevano capito di avere in mano uno strumento che gli rendeva la vita più facile e avevano il piacere di raccontarlo. Questo è stato per noi uno stimolo per continuare”.
Il periodo più difficile che l’azienda ha dovuto affrontare?
“Nei primi anni 2000, quando abbiamo fatto il passo più lungo della gamba, ma devo dire che ci è servito. Quando le cose vanno troppo bene non capisci gli errori. Aver avuto difficoltà serie ci ha permesso di misurare anche certe scelte successive. Sono stati momenti complicati, ma educativi.
Voi operate soprattutto nel nord Italia?
“Sì, da Torino a Venezia, ma Bergamo e Milano sono diventate il baricentro della nostra attività. Soprattutto il capoluogo lombardo è un eccellente catalizzatore di opportunità. Quando ci siamo allontanati da Bergamo, per trasferire la nostra sede a Trezzo sull’Adda, abbiamo aperto un’attività che continuasse a presenziare in città, ma per il mercato consumer. Si tratta del tipico negozio Apple che vende prodotti al privato o al piccolo professionista”.
Quanto è importante il concetto di innovazione per stare al passo coi tempi?
“In questi mesi di difficoltà la cosa più complessa è guardare avanti e individuare molto velocemente le tendenze. In un mercato e in un’economia che cambiano vorticosamente, anche l’idea di successo invecchia rapidamente. Ogni intuizione richiede grande capacità di adeguamento, solo che ogni idea ha bisogno di un grande lavoro per essere messa a frutto e quando ci arrivi è già da rivedere. Pensiamo al tablet, un’invenzione nata nel maggio del 2010. Sono solo tre anni e sembra già un po’ vecchiotto”.
Che consigli darebbe a coloro che stanno per avviare una start-up?
“Non ho consigli, li invidio soltanto. Scherzi a parte, il consiglio che mi sento di dare è che se hai una buona idea devi preoccuparti di capire se funzionerà dal punto di vista economico. Tanti hanno idee strabilianti per l’impatto sociale o per la loro tecnologia avanzata, ma magari non stanno in piedi. L’informatica la si può imparare da soli, è la ragioneria che è difficile. Bisogna saper guardare oltre. I giovani oggi sono tutti aperti, culturalmente preparati, ma a certe cose noiose, come fare denaro, non pensano. Si lavora, poi si vedrà. Ma a medio termine poi il problema emerge. Io sono ben lungi dall’essere un ragioniere, sia ben chiaro, queste cose le ho capite col tempo”.
Avere una buona base economica di partenza è importante, ma anche l’accesso ai finanziamenti è un altro elemento di cui si deve tener conto…
“Non bisogna mai porsi limiti, non preoccuparsi di chiedere ma essere coscienti di quello che si costruisce dal punto di vista economico, altrimenti il progetto crolla. Ho avuto il piacere di aiutare tante start-up e si nota un grande entusiasmo che spesso si smorza e muore per colpa non solo di idee sbagliate ma perché non si è riflettuto abbastanza sul finanziamento. Poi ci sono quelli che partono con investimenti pazzeschi ma che non riescono ad andare da nessuna parte perché i loro progetti si fondano su progetti utopici.
Quali sono le eccellenze con cui ha collaborato in questi anni?
“Rimango sempre stupito dalle tante realtà eccellenti di cui vengo a conoscenza attraverso il mio lavoro. Ho scoperto anche che in alta Valle seriana ci sono specialisti della tecnologia che fanno cose strabilianti. Ci sono centinaia di realtà interessanti ma con scarsa visibilità. I bergamaschi sono dei grandi lavoratori ma hanno poca voglia di mettersi in mostra. Sono stato di recente in un talent garden a Milano, dove ho conosciuto ragazzi che hanno idee straordinarie. Dovremmo avere maggiore capacità di comunicazione e più attenzione verso queste realtà”.
Con quante aziende state collaborando?
“Abbiamo in media circa 1500 clienti all’anno che provengono dai settori più disparati”.
L’aspetto più affascinante del suo lavoro?
“Il grande piacere di conoscere le singole persone credo sia una delle cose più affascinanti in assoluto del mio lavoro. Sedersi attorno a un tavolo e farmi raccontare da un professionista come funziona il suo mestiere è bellissimo. Così un giorno ho scoperto un’azienda che riesce a tracciare i movimenti dei suoi tessuti in fase di produzione inserendo al suo interno dei piccoli circuiti”.
Un aneddoto a cui è particolarmente legato?
“Io sono un osservatore di Apple da sempre. Ho iniziato la mia attività con l’arrivo di Apple in Italia e ho presenziato a tantissimi eventi. Ricordo in particolare l’incontro che venne organizzato in occasione del famoso ritorno di Steve Jobs in Apple. Aveva già una discreta fama, nulla comunque di comparabile a oggi, ma è stato incredibile quando si è collegato in videoconferenza con Bill Gates: non vi dico i fischi. Gates era considerato il genio del male, alla stregua di Dark Fener. Faccio notare che nel filmato ufficiale non si sentono i fischi che c’erano quel giorno. Comunque, al di là della rivalità tra Apple e Macintosh, trovo che Bill Gates sia una persona straordinaria”. 




Radici: «Aeroporto, Università e Ospedale: i tre pilastri per far ripartire Bergamo»

Idee chiare e piedi per terra, mirare alla concretezza senza rinunciare alle ambizioni. Credo che la situazione economica e finanziaria, così come è maturata, ci ponga di fronte alla necessità di rivedere i modelli che hanno contrassegnato la felice avventura imprenditoriale nella terra di Bergamo e disegnato un’identità dai più invidiata. Sono convinto che, in questo particolare momento congiunturale, non possiamo rivelarci impreparati né tentennanti. Come pure che le soluzioni non potranno dipendere solo dalle risorse economiche, che necessitano di essere alimentate da nuove iniziative in grado di valorizzare l’essenza stessa del territorio, senza cadere nell’errore di accantonare quanto di buono è stato fatto negli anni scorsi. Al manifestarsi di una realtà complicata, con la quale nessuno di noi credeva di dover fare i conti, si è aperto un confronto naturale sulle strategie da adottare e gli obiettivi da perseguire, a livello amministrativo, imprenditoriale, formativo. Si deve dialogare nell’esclusivo interesse della città e i piccoli problemi non possono e non devono rappresentare ostacoli insormontabili. Un confronto è utile fino a quando si arriva in tempi rapidi a una condivisione delle cose da fare. Più passa il tempo, più si farà fatica a recuperare terreno.
Per questo motivo ritengo si debba ripartire da quelli che sono diventati pilastri inamovibili e punti di riferimento della nuova Bergamo: Università, Ospedale, Aeroporto. Sono le tre realtà che possono contribuire a cambiare il volto del territorio, promuovendone le componenti migliori e sostenendone la crescita innanzitutto in termini di qualità e prestigio. Nel recente passato, Bergamo e il suo hinterland hanno primeggiato nei settori tessile, meccanico e manifatturiero puro. Il presente e futuro non potranno che essere legati ai servizi e al turismo, ma ci si dovrà adoperare per conservare quote importanti di quei rami manifatturieri che appartengono alle lavorazioni di alto livello e alle filiere tecnologiche e commerciali in grado di primeggiare in termini di competitività su mercati sempre più agguerriti.
Partiamo dai tre pilastri. L’Università dimostra una capacità di attrazione degna delle migliori scuole accademiche e il processo di internazionalizzazione è destinato ad accrescere le relazioni con altri Paesi, anche grazie alla presenza di studenti stranieri. Il nostro ateneo merita di essere sostenuto e la componente studentesca messa in condizione di formarsi in una città di cui devono sentirsi parte attiva.
La trasformazione culturale non può che partire dalla formazione. Solo con l’Università possiamo aiutare le giovani generazioni a diventare risorsa e coltivare idee nuove e vincenti.
L’Ospedale Papa Giovanni XXIII è un’eccellenza. Chi ne dubita, non capisce il valore che i protagonisti della medicina hanno contribuito a costruire negli anni. Mentre si discute di trincee e barriere, ogni giorno i pazienti trovano equipe solerti e preparate a curare malattie e intervenire nei casi urgenti. Le macchine vanno messe a punto e sono certo che si troverà presto una soluzione ai problemi infrastrutturali. Voglio sottolineare come tutto quanto di buono sia dipeso dall’avvento di figure di spessore internazionale, da Lucio Parenzan che fu pioniere della chirurgia pediatrica, a Paolo Ferrazzi, punta di diamante della cardiochirurgia, all’ematologo Tiziano Barbui, a Giuseppe Remuzzi ora ai massimi livelli della ricerca sulle malattie renali, ai tanti nomi passati e presenti capaci di applicare con successo le tecniche più avanzate, nelle sale operatorie come nei reparti, 24 ore su 24. Le medicina ospedaliera dimostra come siano proprio le individualità a innescare l’effetto volano, contribuendo allo sviluppo di settori di livello assoluto. E’ una lezione che vale per tutte le attività e professionalità, dove contano lo studio, la preparazione, l’acume e l’ingegno.
L’Aeroporto di Orio al Serio è un caso di successo unico nel panorama del trasporto aereo, che non si misura solo con i numeri del movimento passeggeri e delle merci ma anche con i livelli di performance e di efficienza legati all’operatività e ai servizi garantiti alle persone  e alla compagnie aeree. Una infrastruttura di volo che ha saputo cogliere l’opportunità del trasporto low cost traducendola in ricadute economiche e occupazionali fino a rappresentare l’8 per cento del Pil provinciale. Oggi, dopo la crescita senza soluzione di continuità registrata nell’arco di un decennio, dobbiamo preoccuparci di consolidare la posizione raggiunta e aumentare il livello di qualità dei servizi offerti. Gli investimenti decisi da SACBO e le opere da realizzarsi in aerostazione e sulla pista rispondono a questa necessità. Così come gli sforzi intrapresi per rendere l’attività aeronautica sempre più compatibile con il territorio circostante, attuando misure adeguate di mitigazione ambientale. E’ indubbio che all’attività dell’aeroporto si accompagnano le prospettive di crescita del turismo. La città assorbe una parte significativa seppure ancora minima dei flussi di viaggiatori in transito nello scalo, ed esiste certamente l’opportunità di richiamarne di più. L’ingente patrimonio artistico e architettonico, le tradizioni musicale ed enogastronomica sono il nostro biglietto da visita, oltre che elementi fondamentali per lo sviluppo di tutto il territorio. Bisogna saper fare la differenza rispetto ad altre città che pure vantano analoghe ricchezze. Un ragionamento che vale anche e soprattutto per la candidatura di Bergamo a Capitale della Cultura 2019. Non ci si illuda che per diventarlo basti dare fondo a ingenti risorse economiche, ormai difficili da reperire. Ritengo ci debba essere un filo conduttore che parte dalle nostre bellezze artistiche e architettoniche e ci porta a espandere le relazioni con il mondo. Il migliore promoter di Bergamo è da considerarsi colui che, arrivando in visita alla città, ne resti abbagliato e soddisfatto dell’accoglienza e dei servizi ricevuti. E’ una strategia fruttuosa sempre che condivisa da tutti gli attori, perché tutto dipende dal salto di qualità e dal cambiamento di mentalità in grado di far preferire una meta come Bergamo. Occorre, ora più di prima, fare leva sull’intelligenza e la creatività, destinati a rappresentare il vero valore aggiunto per affrontare le sfide presenti e future. E infine la capacità e il coraggio di reinventarsi. Non è mai facile, ma sempre possibile, purché ci si creda.

di Miro Radici
presidente della Sacbo




Turismo, la promozione corre sul web 2.0

Virtualtourist, Tripadvisor, Holidaycheck, IgoUgo, Minube, Sulle Strade del Mondo, Menu Turistico, edreams. Sono alcune delle 50 vetrine web 2.0 in cui Bergamo, grazie a Comune e Turismo Bergamo, sarà presente con recensioni, foto e discussioni dedicate a una città candidata a diventare Capitale Europea della Cultura nel 2019 e porta d’accesso alla Lombardia – via Orio al Serio – di migliaia di visitatori attesi per l’Expo 2015. Per trasformare questi grandi eventi in occasioni irripetibili per scrivere il futuro della città, Bergamo si rifà il trucco on-line e si affida al passa-parola, amplificato dai social network. Non senza prima aver misurato il proprio appeal.
Sono state analizzate le presenze sul web riferite alla nostra città, evidenziando quanto sono attivi i bergamaschi e la web reputation della nostra città, da cui è emerso un sentiment positivo: a gennaio 2012 il 65,9% dei turisti ha espresso un parere positivo sulla città. Parole di elogio sono dedicate soprattutto ai numerosi punti di interesse culturale, ai palazzi storici e, in generale, al territorio. Meno apprezzati i parcheggi, i prezzi dei taxi e l’abitudine alla chiusura di negozi e servizi all’ora di pranzo. Non mancano gli errori, a partire dal turista che indica nella Gamec un luogo straordinario per fare shopping.
Grazie ad un censimento dei principali blog e community dove si scambiano informazioni sul turismo, per determinare dove fosse opportuno essere presente, il Comune di Bergamo ha optato per 9 blog e 23 community di viaggio italiani e 13 tra forum e community straniere dove andare a presentare l’offerta della nostra città. «Il web 2.0 ha portato ad un cambio radicale di prospettiva – sottolinea Roberta Garibaldi, delegata al Turismo per il Comune -. I turisti da passivi diventano attivi in quella che non può essere che definita una vera e propria rivoluzione sociale prima ancora che tecnologica». In questa svolta guidata dagli utenti, il Comune ha assoldato un team di professionisti, dietro la firma del blogger “Bergamo Insider”, chiamati ad intrufolarsi nella folla degli internauti social e nelle community, per diffondere un’immagine positiva della città e conquistare qualche nuovo turista, innescando un processo virtuoso di passa-parola. Non mancano link e presentazioni della pagina Bergamo Insider a Pinterest, Flickr, Google Plus, Instagram, Foursquare e Facebook. «Per portare avanti questo lavoro abbiamo investito su una nuova figura, dedicata a scavare nei meandri delle decine di blog e siti turistici per raccogliere impressioni, valutazioni e giudizi, per poi stilare statistiche, così da programmare un piano di intervento – prosegue Roberta Garibaldi -. Grazie a Bergamo insider da oggi si racconta al popolo del web cosa offre Bergamo, le sue bellezze architettoniche, la possibilità di escursioni nella natura, mostre ed eventi, dando consigli su dove gustare le specialità enogastronomiche, dove praticare sport, fare shopping e far divertire i bambini. Crediamo fortemente in questa attività, cuore del futuro della comunicazione turistica».
Anche Turismo Bergamo da qualche anno sta sviluppando la valorizzazione del territorio attraverso il web, affidandosi a siti, blog e social network. Il primo strumento di comunicazione è il portale unico del turismo – www.turismo.bergamo.it – concepito proprio basandosi sui dettami del web 2.0: condivisione dei contenuti, mappa interattiva e georeferenziazione oltre che utilizzo dei principali social network attraverso un’area dedicata all’interazione con i turisti. Sul portale sono presenti cinque expert (Arianna, Elena, Francesca, Laura e Sara, presenti anche sulla rivista di Turismo Bergamo “The Key to Bergamo” e sulle pagine ufficiali Facebook e Twitter), chiamate ad animare i profili dedicati ai settori di cui sono responsabili – food & wine, eventi, nightlife, sport & wellness e city & shopping – creando così un’occasione di confronto diretto con i turisti, con informazioni su misura e proposte di attività legate alla scoperta del territorio ed eventi. Per quanto riguarda gli altri social network, Turismo Bergamo sta lavorando su alcune realtà come Pinterest, Foursquare e sta gettando le basi per una partnership con TripAdvisor, sito internazionale e fonte del passaparola virtuale tra viaggiatori. «L’attenzione verso questi strumenti è ai massimi livelli perché parlano un linguaggio molto diverso da quello di cui si servono le istituzioni – evidenzia il presidente di Turismo Bergamo Luigi Trigona -. È un fenomeno che deve essere governato per offrire all’utente delle informazioni corrette e per raccogliere critiche e suggerimenti, che possono rivelarsi utili e costruttivi. Il web 2.0 rappresenta un’occasione per la città di guardarsi allo specchio e stabilire un dialogo in tempo reale con i turisti, favorendo il passa-parola. Non abbandoneremo comunque la promozione tradizionale: grazie al progetto “Passaparola” stiamo individuando in Italia e in Europa dei veri e propri ambasciatori che possano promuovere il nostro territorio».
Altra componente importante del mondo web dedicato al turismo è sicuramente quella del Blog. Il blogger turistico è veicolatore di informazioni, suggerimenti e impressioni sui viaggi molto importante. In merito a questo Turismo Bergamo ha già ospitato alcuni quotati blogger internazionali con il risultato positivo di diffondere in maniera “virale” Bergamo come destinazione turistica.

Internet canale privilegiato
Sulla base dell’Osservatorio Nazionale del Turismo Unioncamere, il 39,6% prenota il soggiorno attraverso Internet: il 12,9% dal sito di proprietà, il 10,3% dai grandi portali, il 16,4% tramite mail. Quanto ai voli, le prenotazioni per arrivare a Bergamo in aereo, nel più importante aeroporto low cost, arrivano via web. Internet come canale di comunicazione ed influenza detiene un vero e proprio primato: pilota le scelte del 32,2%, sia attraverso le informazioni (20,7%) che attraverso le offerte promozionali (13,3%). Quanto all’impiego del web nella commercializzazione del prodotto turistico, Internet è scelto come canale diretto dal 64,2% delle strutture ricettive italiane, soprattutto dagli hotel. Il 40,7% delle imprese fa promozione on line diretta alla propria clientela (in particolare il 52,5% degli hotel e il 32,3% delle strutture extralberghiere). I contenuti generati dagli utenti hanno una notevole importanza prima del viaggio, durante il soggiorno, sempre più condiviso in tempo reale attraverso applicazioni mobili, e dopo il viaggio, attraverso commenti, valutazioni ed emozioni. Attraverso i social network i mercati turistici sono diventati vere e proprie conversazioni sul tema del viaggio, da sempre argomento di grande fascino.

La presenza di Bergamo in rete
Su “You Tube” a gennaio si contavano 3.371 video. Su Flickr, luogo di incontro e condivisione per tutti gli appassionati di fotografia, si contano ben 51 gruppi, 19 profili, 9.938 utenti e la bellezza di 119.497 fotografie della città. Nella piazza virtuale di Facebook, Bergamo riscuote in media 1.920 “pollici” di approvazione (Like); la pagina “Città Alta-Bergamo” ha ottenuto circa 52.385 “mi piace”. Anche i cinguettii di Twitter non vanno male: le 26 pagine riscuotono in media 515 tweet per pagina.

I “must” per i visitatori
Per richiamare turisti, Bergamo Insider ha già definito i contenuti. Tra le attrazioni: l’unicità di Bergamo di racchiudere due città in una, Città Alta e Bergamo Bassa; le mura, una delle più importanti testimonianze dell’architettura militare del Cinquecento; le opere di Raffaello, Tiziano, Botticelli, Mantegna, Bellini e Lotto custodite dall’Accademia Carrara; l’opera di Donizetti e il teatro che lo celebra; il Festival Internazionale della Cultura; l’itinerario naturalistico all’Orto Botanico e nel Parco dei Colli; gli scorci segreti e nascosti su e giù per funicolari e scalette; la semplicità e il sapore autentico della cucina bergamasca; le vie dello shopping in centro, la peculiarità di negozi e botteghe, oltre al più grande centro commerciale d’Italia; la Bergamo sotterranea, tutta da scoprire al di sotto delle vie ciottolate di Città Alta.




«La “movida”? Indice di qualità della vita e motivo di attrazione»

Che ai giovani piaccia la movida è un fatto acclarato, ma che la apprezzi ben il 92,1% è un dato degno di nota. Ancor più eclatante la scoperta che il 46,3% delle persone di una certa età giudichi importante che vi siano luoghi nelle città caratterizzati dalla concentrazione di locali per mangiare, ballare, divertirsi. La movida, insomma, piace alla stragrande maggioranza dei cittadini che associano a questo fenomeno sociale un giudizio positivo. La percentuale di chi vede la movida come un fatto positivo diminuisce con l’aumentare dell’età pur rimanendo il valore più alto rispetto a chi la vede come “negativa”. Ciò vale fino alla fascia di età over 65 dove i due valori si invertono, ma risultano fortemente influenzati da chi (40,1%) non sa neanche che cosa sia la movida. Sono questi gli aspetti principali emersi della ricerca Censis-Fipe, la federazione italiana pubblici esercizi aderente a Confcommercio-Imprese per l’Italia, con la partecipazione del Silb, l’associazione delle imprese di intrattenimento da ballo e di spettacolo.
In buona sostanza, alle persone piace uscire la sera e distrarsi. E per oltre il 63% dei cittadini è molto importante che nelle città ci siano luoghi dove mangiare, ballare e divertirsi. Anche qui le percentuali più alte si registrano nella fascia di età 18-29 anni, ma diminuiscono con l’aumentare dell’età. Nonostante ciò, anche fra gli ultra 65enni c’è un buon 46,3% che ritiene la movida molto importante per la qualità della vita e abbastanza importante per attirare turisti. Tradotto in valori assoluti, sono oltre 29 milioni gli italiani che una volta ogni tanto escono la sera e, di questi, 15,6 milioni escono almeno una volta a settimana, mentre a frequentare il centro storico della propria città sono circa 22 milioni di italiani. «La movida – sostiene Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Bar e Caffetterie Ascom, in linea con il presidente della Fipe, Lino Stoppani – assume sempre più una connotazione turistica, come dimostrano le notti bianche. Spesso però un’offerta fuori controllo da parte di locali diversi dai pubblici esercizi, una vendita di alcol a basso costo e comportamenti spregiudicati da parte di alcuni operatori, se non addirittura una presenza di offerta abusiva che può spingersi fino a limiti deprecabili e riprovevoli, contribuiscono a trasformare i luoghi di ritrovo in arene di conflitto con problemi di gestione dell’ordine pubblico. È necessario trovare un punto di equilibrio per migliorare la qualità della vita di chi si diverte e di chi risiede nelle zone del divertimento».
Se uscire la sera è considerato un comportamento positivo – si esce per passeggiare, incontrare amici (69%), andare a mangiare (59%) o al pub, in discoteche ed enoteche (28%) e anche per fare shopping (2,7%) – il mal governo di un territorio fa percepire la movida come un problema tanto da arrivare all’emanazione di regole ed ordinanze che spesso non reggono di fronte ai giudizi dei Tribunali Amministrativi. In questo contesto trovano spazio le degenerazioni che trasformano un fenomeno da opportunità a problema. E sulla ferrea regola che la buona notizia non è mai una notizia e quella cattiva lo è, la ‘malamovida’ trova un’eco forte sui mass-media, soprattutto se ad essa sono legati fatti di cronaca nera. A far degenerare la situazione sono gli eccessi, sia nel senso del numero delle persone rispetto agli spazi delle zone cruciali, sia nel senso del consumo di alcol soprattutto quando associato ad assunzione di sostanze stupefacenti, sia nel senso della perdita di ogni freno. Secondo il 45% dei giovani ci sono dei momenti di svago in cui è lecito trasgredire e secondo il 26,6% di essi nella sfera privata ogni comportamento è lecito.
È sbagliato pensare, tuttavia, che a creare un rapporto critico con l’alcol sia la movida o la discoteca. Da un’indagine a cui la ricerca fa riferimento, risulta che oltre il 90% dei minori in età compresa tra i 12 e 14 anni ha già provato alcolici e il 59% ha sperimentato l’alcol in presenza dei propri genitori. Ancora più significativo diventa il 73% degli adolescenti che ha bevuto la prima volta in presenza di adulti. E l’iniziazione è avvenuta per il 63% in occasione di un semplice un pasto in casa o fuori casa e in meno del 23% dei casi in un’occasione speciale. «Occorre pertanto –conclude Stoppani – riflettere anche sulla capacità di istituzioni quali la famiglia e la scuola di indirizzare i giovani verso salutari stili di vita».




Castro, quando l’inciviltà fa male al turismo

Non riusciamo proprio a immaginare quale mente arguta abbia potuto partorire l’idea di piazzare un vecchio frigo davanti all’ingresso della chiesa di Castro. Ma  tant’è. In piena stagione turistica, in una giornata a dir poco splendida (quella di domenica scorsa), con il lago preso d’assalto, il paese impegnato in feste di piazza e attraversato dal passaggio di auto d’epoca, il vecchio frigo ha fatto bella mostra di sé nel piccolo centro storico, offuscando il bel portale della chiesa. Al di là della palese inciviltà dell’autore, l’episodio rappresenta l’ennesima prova che quella del turismo è una battaglia lunga e difficile. Perché si possono realizzare strutture, pianificare raffinate strategie, aprire i migliori collegamenti col mondo, ma se si trova un imbecille che decide di scaricare il vecchio frigo in piazza, deturpando la chiesa e il centro, stiamo tutti…freschi.




Testi scolastici, la rivincita delle librerie. La distribuzione a Bergamo torna nei negozi

Le librerie bergamasche hanno giocato le carte dell’innovazione e della capillarità per “riconquistare” il servizio di distribuzione dei libri di testo per la Scuola Primaria nel Comune di Bergamo, dopo che lo scorso anno era stato appaltato ad un unico soggetto, permettendo sì una riduzione dei costi di circa il 10% ma tagliando del tutto fuori le librerie tradizionali e di quartiere, già costrette a fare i conti con la crisi economica e con il continuo, e impari, confronto con la grande distribuzione (come dimostra, del resto, il trend negativo delle attività).
Grazie al lavoro congiunto delle due associazioni di categoria provinciali dei librai è stato raggiunto un accordo con l’Amministrazione che riporta i ragazzi e le loro famiglie in libreria, restituendo il piacere che in passato tante generazioni di piccoli studenti hanno potuto apprezzare, quello di ritirare sottocasa i libri che li accompagneranno nei loro primi passi nel mondo dell’istruzione.
Alla base c’è un innovativo sistema di gestione delle cedole attraverso una piattaforma informatica finanziata, curata e messa a disposizione dalle associazioni stesse, che fa comunicare tra loro le scuole, i punti vendita e il Comune. «Si eliminano le cedole cartacee – spiega il presidente del Gruppo librai dell’Ascom Cristian Botti –, e già questa è una prima forma di risparmio, e si migliora e velocizza tutto il processo». Alle scuole il compito di caricare i dati degli alunni aventi diritto ai libri, mentre alle famiglie basterà recarsi in una delle librerie aderenti (il cui elenco sarà pubblicato da metà luglio sui siti del comune e delle associazioni di categoria) con il codice fiscale del figlio. Il libraio, accedendo al sito, verificherà la presenza del nominativo, visualizzerà i titoli dei testi assegnati allo scolaro, stamperà direttamente la cedola, la farà firmare al genitore ed effettuerà la prenotazione e poi la fornitura. «Un sistema – è stato sottolineato dalle associazioni -, che consente a tutti di approvvigionarsi per tempo dei testi e quindi di consegnarli agli studenti in anticipo rispetto alle attese delle cedole una volta necessarie». «Grazie alla digitalizzazione si semplifica anche la rendicontazione al Comune, cui il programma è stato concesso in comodato gratuito per un anno – aggiunge Botti -. Se prima, infatti, era necessario contare materialmente ogni cedola, d’ora in poi basterà un click per avere il riepilogo delle operazioni effettuate da ogni libreria e determinare i compensi».
Oltre a semplificare il processo e a valorizzare le librerie e le cartolerie in accordo con i programmi di tutela e rilancio dei negozi di vicinato intrapresi dall’Amministrazione, il protocollo assicura un risparmio al Comune dell’8% sul prezzo ministeriale (comprensivo del già previsto sconto dello 0,25% stabilito dal Miur), soddisfacendo perciò anche il requisito del contenimento dei costi ormai imprescindibile per gli enti pubblici. Per partecipare alla convenzione i librai devono garantire tale sconto, mentre da parte del Comune c’è l’impegno a saldare le fatture entro 60 giorni a partire del 23 settembre 2013. Sul piatto ci sono una platea di 5mila alunni (cui il Comune in base alla legge sul diritto allo studio deve fornire gratuitamente i libri di testo) e una spesa di circa 150mila euro, ma c’è soprattutto la possibilità di riavvicinare alle librerie tradizionali una fascia importante come quella dei più giovani e di conquistarla facendo valere le prerogative delle librerie e cartolerie tradizionali. «Il fatto che lo sconto sia stato concordato a monte – fanno notare le associazioni -, impegna tutti gli aderenti a fornire i testi ai singoli studenti alle stesse condizioni evitando che si scateni ogni ulteriore corsa a sconti e regalie aggiuntive che da anni minano il rispetto delle potenzialità di ciascun punto vendita e del sistema che, insieme, le librerie rappresentano».
Potenzialmente interessate sono tutte le 300 attività presenti in Bergamasca, ma soprattutto le 64 insegne della città. «Per ora – dice ancora Botti – il progetto riguarda Bergamo, ma c’è la volontà di estenderlo già dal prossimo anno a tutta la provincia, dove i Comuni stanno procedendo in ordine sparso, in alcuni casi affidando l’appalto ad un unico fornitore come avvenuto lo scorso anno in città, in altri continuando con il sistema delle cedole. Molto dipenderà dai risultati di questa prima iniziativa, l’invito è perciò ad un’adesione massiccia delle librerie e cartolibrerie in modo da assicurare una buona copertura e mostrare sin dal debutto la bontà del progetto».
Il presidente non nasconde il grande passo avanti che fa segnare l’accordo, «innanzitutto perché riporta i nostri punti vendita al centro della distribuzione dei testi scolastici, ma anche perché suggella una fattiva collaborazione tra le due associazioni dei librai per offrire chance ai propri associati, senza dimenticare l’accelerazione data sul fronte dell’innovazione tecnologica, grazie al programma che le associazioni stanno curando direttamente». Insomma, se alle piccole si rimprovera spesso la mancanza di efficienza e competitività rispetto a realtà più strutturate, il progetto offre tutti gli strumenti per dimostrare il contrario, facendo rete, e per far riscoprire al contempo i valori della professionalità e del rapporto personale che caratterizzano le insegne indipendenti.  
La partecipazione da parte dei librai non prevede ulteriori spese oltre allo sconto concordato. Le attività interessate hanno già ricevuto la circolare che illustra l’accordo e la scheda di adesione e c’è ancora un po’ di tempo (la data è stata spostata all’8 luglio) per sottoscriverlo ed inviarlo. Il modulo può essere anche scaricato dal sito dell’Ascom all’indirizzo www.ascombg.it. I dettagli tecnici e operativi saranno forniti direttamente agli esercenti che avranno fatto pervenire l’adesione, insieme alle credenziali per l’accesso al sito dedicato.




Bonus arredi, ecco come “funziona”

Il 31 maggio è stato approvato in Consiglio dei Ministri il Decreto Legge che proroga il bonus fiscale per le ristrutturazioni edilizie sino al 31 dicembre 2013, estendendolo agli arredi. Al tetto massimo di spesa è di 96.000 euro per unità immobiliare – di cui è detraibile il 50% in dieci anni – è stato aggiunto un bonus per l’acquisto di mobili fino ad un massimo di spesa di 10.000 con una detrazione del 50% in dieci anni. Ne possono beneficiare tutte le persone fisiche che hanno in corso una pratica e sostenuto spese di ristrutturazione o manutenzione straordinaria a partire dal 26 giugno 2012. Il bonus riguarda esclusivamente l’acquisto di mobili destinati all’arredamento di immobili oggetto di una ristrutturazione ed è destinato all’acquisto di tutti i tipi di arredo effettuati a partire dal 6 giugno 2013 e non oltre il 31 dicembre 2013 (fa fede la data del pagamento secondo il criterio di cassa). I pagamenti devono essere effettuati tramite bonifico “parlante” dal beneficiario della detrazione.
Federmobili, l’associazione dei rivenditori del sistema Confcommercio, ha fortemente richiesto, insieme con le altre più importanti associazioni di categoria della filiera, l’introduzione dello sgravio fiscale ed ora supporta i propri associati sul versante dell’informazione sulle modalità di gestione. Lo fa con un vademecum sintetico e con una guida dettagliata che approfondisce le situazioni che si possono verificare, con esempi, suggerimenti operativi e le risposte alle domande frequenti (scaricabile dal sito solo dai soci Federmobili). Ecco le principali informazioni.

Cosa deve fare il rivenditore?
· Il rivenditore deve innanzitutto ricordare che il bonus è utilizzabile esclusivamente se il cliente ha in corso una pratica di ristrutturazione. Nel caso non abbia in corso una ristrutturazione, può suggerire di aprirne una realizzando (e pagando con bonifico) lavori che rientrano nelle casistiche previste dalle normative (ad esempio interventi per la sicurezza domestica).
· Emettere fattura (di acconto e saldo o unica fattura) con i dati fiscali del negozio e con la descrizione dei beni e dei servizi acquistati.
· Chiedere all’acquirente di pagare tramite bonifico postale o bancario “parlante”, anche online (Il modello, già predisposto dalle banche, è il medesimo che si utilizza per effettuare gli altri pagamenti inerenti i lavori  di ristrutturazione e le voci da compilare sono tutte esplicitate: dati del beneficiario, partita Iva o codice fiscale dell’impresa, causale).
· Ricordare che l’ordinante del bonifico deve essere il soggetto al quale è intestata la fattura o ricevuta comprovante le spese per la ristrutturazione e la spesa di acquisto dei mobili (in caso di più persone che vogliono beneficiare della detrazione, ad esempio coniugi, la fattura dovrà riportare i codici fiscali di chi intende beneficiarne e il bonifico dovrà essere eseguito dagli stessi soggetti).
· Ricordare che deve esserci corrispondenza tra l’importo indicato in fattura e l’importo del bonifico.
Attenzione: al momento del pagamento del bonifico, banche e poste trattengono il 4% sull’imponibile a titolo di acconto dell’imposta dovuta dal rivenditore di mobili. La trattenuta del 4% verrà recuperata dal rivenditore l’anno successivo sotto forma di acconto sulle imposte. Si consiglia, nel caso la fornitura completa di mobili superasse i 10.000 €, di fare una fattura fino al valore ammesso alla detrazione e una con il rimanente da saldare con bonifico ordinario o altra forma di pagamento.

Il rivenditore può anche ricordare che:
· Il beneficio è pari al 50% del valore del mobili acquistati fino al limite massimo di 10.000 € (quindi per una spesa di 8.000 € si possono detrarre 4.000 €, per una spesa di 14.000 € se ne possono detrarre 5.000 €)
· In ogni caso spetta al cliente comunicare alla propria banca l’intenzione di pagare con un bonifico parlante per poter accedere alle detrazioni fiscali
· Il bonus vale sia per lavoratori autonomi che dipendenti
· La detrazione viene calcolata con la dichiarazione del 2013 (aprile 2014) e l’importo viene detratto in 10 anni con rate di pari importo
· Sui mobili non viene applicata nessuna ulteriore agevolazione fiscale (l’Iva è al 21% salvo ulteriori futuri aumenti)
· Non è possibile effettuare pagamenti con bonifico di importi differenti rispetto alla fattura emessa
· Se un cliente non avrà accesso alla detrazione di quanto acquistato perché non è in regola con l’ammissibilità della pratica il venditore non ha responsabilità (se si è attenuto al rispetto dei pagamenti e delle procedure)
· È possibile usufruire del bonus mobili anche pagando tramite finanziamento. In questo caso sarà il rivenditore al momento del caricamento della pratica ad indicare con le dovute modalità che si tratta di acquisto per il quale verrà richiesta la detrazione. Le società finanziarie si stanno attrezzando per adeguare i moduli già utilizzati per altri beni detraibili ai mobili.




Quadrino: “La crisi? E’ iniziata con la bolla high tech del 2000”

Umberto Quadrino è un imprenditore e manager. Dopo un'esperienza all'ufficio ricerche dell'Unione industriali a Torino, è entrato a far parte del Gruppo Fiat. Nel 1976 è assistente dell'ad Cesare Romiti. Quattro anni dopo assume la responsabilità dell'area amministrazione e controllo. Dal 1982 al 1991 lavora in società controllate come l'Iveco, dove è direttore di amministrazione e finanza, e la Gilardini, come amministratore delegato. Nel 1996 è nominato ad della New Holland. Nel 2001 diventa presidente di Montedison ed Edison, società che vengono fuse in un'unica azienda. Il 26 aprile 2011 ha concluso il suo mandato. Michele Ferrero, titolare del colosso dolciario, l'ha voluto come consulente. Oggi assiste aziende italiane internazionali nella definizione delle loro strategie. 
Dottor Quadrino, la crisi che stiamo vivendo sembra essere senza fine. Qual è la sua opinione?
“Non posso essere ottimista: l'aumento della disoccupazione e l'andamento dei conti pubblici gettano ombre sulla possibilità di una rapida ripresa. Ma il disfattismo è sciocco e non serve a nulla. Ci sono eccellenze italiane, settori industriali che vanno bene, con aziende che riescono a esportare tre quarti della loro produzione registrando fatturati in crescita e risultati notevoli. Come il comparto di abbigliamento e arredo casa; pochi sanno, ad esempio, che siamo i primi produttori al mondo di rubinetti. La nostra industria meccanica è ai primi posti. Va molto bene anche l'alimentare, anche per merito del nostro vino, dall'ottima qualità, che traina l'export”.
Anche Marchionne, ad di Fiat-Chrysler, ha dichiarato che bisogna piantarla col pessimismo, che anche  l'auto può ripartire…
“Sono contento dell'ottimismo di Marchionne, ma la realtà è che continuiamo a importare auto di grossa cilindrata mentre esportiamo Panda e Punto. Per essere ottimista attendo prodotti italiani che competano con Bmw e Mercedes”.
Quali settori hanno un deficit commerciale con l'estero?
“Tradizionalmente la chimica farmaceutica, l'elettronica, l'automobile e il settore dell'energia. Nella chimica le guerre tra aziende italiane hanno portato a una crisi irreversibile del settore. Negli Anni Sessanta nei laboratori della Olivetti di Ivrea nascevano i primi computer. Ma poi le cose sono andate come ben sappiamo: non è stata colta la sfida dell'alta tecnologia e così pc, iPad e cellulari sono tutti importati. Nell'automobile, negli Anni Sessanta e Settanta eravamo forti esportatori mentre oggi la bilancia è pesantemente in rosso. Nel settore dell'energia l'Italia non ha risorse naturali e deve importare”.
Per ridurre l'importazione di energia potremmo produrla in casa con le energie rinnovabili. Ma qual è il costo dell'energia pulita?
“Oggi il costo è ancora  elevato anche se si e molto ridotto negli ultimi anni.  Il maggior costo rispetto alle fonti tradizionali è forte: 12 miliardi all'anno e diventeranno 16 nei prossimi anni. Questo costo grava sul consumatore ogni volta che accende la luce senza che nessuno gli abbia chiesto un parere.  E' un onere che pesa più dell'Imu, che costa 7-8 miliardi”.
A proposito, cosa pensa della tassa sulla prima casa?
“Tutti i Paesi hanno un'imposta sul patrimonio. E' stato un errore averla tolta senza aver fatto i conti coi vincoli di bilancio. Non si può abbassare il carico fiscale senza avere una valida alternativa”.
E’ d’accordo con la “patrimoniale”?
“Le imposte patrimoniali sono una tassazione antipatica. Esistono un po' ovunque, anche in Francia e Svizzera. Ma devono essere moderate, colpiscono infatti il risparmio e sono come una seconda tassazione che disincentiva gli investimenti e lo sviluppo dell'economia. Le tasse sul reddito in Italia sono molto elevate, ma ci sono redditi esenti, come quelli agricoli, e c'è una vasta evasione, che è una forma di un'autoesenzione. Invece, tassare il patrimonio è più facile. Lo puoi vedere, toccare e attaccare. In materia fiscale ci vuole l'operazione ragionevolezza: lotta all'evasione affinché tutti paghino e un carico fiscale più moderato e sopportabile”.
Un tempo c'era la netta distinzione tra Occidente e Sud del mondo, oggi come è cambiato lo scenario?
“Se un marziano avesse guardato, dieci anni fa, il pianeta Terra avrebbe osservato un'area geografica molto sviluppata, la nostra, al contrario di Asia, Africa e Sudamerica, i cosiddetti Paesi in via di sviluppo. Oggi la situazione è diversa. L'Occidente che si sviluppava del 2% l'anno ormai da tempo ha iniziato a perdere colpi. La crisi attuale non è cominciata nel 2007, ma molto prima, nel 2000 con l'esplosione della bolla high tech. Dopo quella prima crisi ne sono seguite molte altre”.
Come quella dei mutui subprime?
“Certo, le banche hanno prestato facilmente soldi per l'acquisto delle case, finanziando anche oltre il valore dell'immobile e senza curarsi troppo delle capacità di rimborso del debito”. I risultati si sono visti con la relativa spirale negativa”.
Non ci siamo fatti mancare neppure lo scandalo derivati…
“Sì, un approccio che si è rivelato sbagliato. Persino le banche che creavano questi prodotti alla fine conoscevano poco il contenuto degli stessi e i reali rischi. Anche in questo caso la bolla è scoppiata”.
Così siamo entrati nella crisi del 2008. Cosa può fare lo Stato italiano per uscire dal tunnel?
“L'Italia ha aderito all'euro e deve comportarsi secondo le regole che la moneta unica oggi detta. Questa è la realtà che dobbiamo affrontare e realisticamente non c'è da attendersi dal settore pubblico una politica espansiva di rilancio dell'economia. Finora si sono aumentate le tasse, domani forse si riuscirà a ridurre la spesa, ma entrambe le cose non facilitano certo la spesa economica. Non a caso, gli unici settori economici che vanno bene, sono legati all'esportazione, in particolare verso i paesi emergenti dove l'economia è in piena espansione”.
L’Europa?
“La crisi c'è ovunque, con la sola eccezione della Germania anche se l'economia sta rallentando. Il dibattito in corso è se la politica monetaria europea, finora improntata alla ricerca della stabilità monetaria e alla bassa inflazione, debba essere modificata in direzione più espansiva con minori vincoli alla crescita della spesa pubblica. E' quello che chiedono Italia e Francia, ma finora la Germania non ha dato retta”.
Stanno meglio altrove, insomma…
“Stati Uniti, Inghilterra e Giappone stampano moneta a dismisura per riviltalizzare l'economia. Infatti le cose in questi Paesi vanno meglio, ma c’è il rischio di ricreare un'altra bolla. Non esiste una scorciatoia per risolvere il problema dell'eccessivo indebitamento e non si possono pagare i debiti contraendone altri all'infinito. L'adozione dell'euro è stata una cosa buona e giusta e ha imposto disciplina economica a paesi come l'Italia che non l'hanno mai avuta. Ora vanno attuate delle politiche economiche convergenti con il resto d'Europa, altrimenti la moneta unica per l'Italia rischia di essere una camicia di forza”.
Gli italiani lamentano spesso la conversione mille lire-un euro.
“E' un fenomeno tipico italiano. Da noi la tazzina di caffè è arrivata a costare il doppio, raggiungendo il prezzo di Francia e Germania. Sono lievitati anche i prezzi dei ristoranti e di quei servizi dove c'è stato un minore controllo. C'è stato anche un innalzamento degli stipendi dei top manager ai parametri internazionali. Diciamo che con l'adozione dell'euro quando i prezzi dei prodotti erano più bassi rispetto a quelli degli altri paesi europei abbiamo assistito a un veloce allineamento. Peccato che non ci siamo allineati al resto d'Europa per quanto riguarda la produttività e l'efficienza della pubblica amministrazione”.
Ma allora stavamo meglio con la lira?
“No. L'economia italiana dagli Anni Ottanta era abituata a un livello d'inflazione molto elevato, superiore alle due cifre, che veniva recuperato con periodiche svalutazioni. Alta spesa pubblica, alti aumenti salariali, alta inflazione portavano la nostra economia a non essere competitiva con gli altri paesi. La situazione veniva sanata con forti svalutazioni che restituivano per qualche tempo competitività al Paese e riducevano il peso del rimborso del debito espresso in lira svalutata. Un meccanismo malato che penso nessuna persona di buon senso possa rimpiangere”.