Affari di Gola, nel numero di giugno le terrazze golose sui laghi d’Iseo e di Endine

Quanto a scenario non hanno nulla da invidiare a località turistiche più rinomate. Per chi vuole sentirsi in vacanza a due passi da casa Affari di Gola, la rivista dedicata all’enogastronomia bergamasca, ha selezionato sul numero di giugno quattro indirizzi tra il Sebino e il lago di Endine che uniscono alla buona cucina il fascino del paesaggio, a strapiombo o in prossimità della riva.
La storia di copertina è invece quella del caseificio Taddei di Fornovo San Giovanni che regala un nuovo nome al suo premiato strachitunt, visto che con la Dop il termine non potrà più essere utilizzato per le produzioni di pianura. Si chiama Blutunt e sarà promosso anche con manifestazioni su misura. Sul fronte dei salumi, altra eccellenza orobica, si analizzano le opportunità della riapertura del mercato statunitense ai prodotti a bassa stagionatura. Non mancano i personaggi, come Giulia Romanelli, food stylist bergamasca d’adozione che ha curato i set di tanti marchi noti, compresi quelli di memorabili pubblicità Barilla, e la storia del cameraman che ha cambiato vita aprendo una gelateria in Algarve. E per affrontare al meglio la stagione calda l’approfondimento sui centrifugati, da utilizzare sia come drink sia nei piatti.




Export, green economy e turismo «le carte da giocare per la svolta»

L’attività economica è ancora in panne, ma per il futuro si prospetta un leggero miglioramento. La timida risalita, per Bergamo, è però rinviata al 2015. Non si tratterà comunque di un ritorno ai tempi floridi del passato, ma solo di un graduale recupero di quanto perso nel periodo della crisi. Sono le valutazioni, a tratti amare, portate da Fedele De Novellis, economista di Ref Ricerche, nel corso dell’11esima Giornata dell’economia organizzata dalla Camera di commercio. Calo dei livelli di produzione, aumento del tasso di disoccupazione, diminuzione dei consumi, stasi del mercato immobiliare e difficoltà di autofinanziamento delle imprese sono soltanto alcune delle criticità globali che si ripercuotono anche a livello locale. «La debolezza dell’economia reale – ha spiegato De Novellis – è contrastata dalla volontà delle Banche centrali di continuare a sostenere l'economia con misure non convenzionali e gli investitori danno fiducia a queste rassicurazioni. Questo si ripercuote anche sull’Italia dove lo spread, pur mantenendosi a livelli alti, è comunque sceso di parecchi punti».
La nota dolente resta però il canale di erogazione al credito, ancora interrotto a causa delle sofferenze bancarie: «La liquidità delle imprese cala – ha spiegato Massimo Guagnini dell’associazione per le Ricerche econometriche Prometeia – e di conseguenza c’è una difficoltà oggettiva a puntare sull’autofinanziamento. Il problema è che le banche danno sempre meno accesso al credito. L’unica componente positiva in questo scenario è data dalle esportazioni internazionali anche se, da sole, non bastano a sostenere l’intera economia».
Nonostante il recente rallentamento della domanda estera, soprattutto europea (l’export di Bergamo nel primo trimestre 2013 è diminuito su base annua dell’1,8% e del -3,9% in area europea), la partecipazione al commercio internazionale è stata e resta decisiva per la tenuta dell’industria manifatturiera e dell’intero sistema economico provinciale. Tra il 2008 e il 2010, cioè nel passaggio più violento della crisi internazionale, il numero delle imprese esportatrici con sede in provincia di Bergamo è aumentato dal 4 al 4,5%. Nel contempo è cresciuta anche l’occupazione legata a queste aziende: gli addetti sono infatti passati dai 131mila del 2008 (il 31,7% del totale) a quasi 135mila del 2010 (33,3%). Questo significa che un terzo degli addetti delle imprese della provincia è direttamente coinvolto in attività di export. A questi va poi aggiunta la quota di quanti effettuano lavorazioni o svolgono servizi per conto delle aziende esportatrici del territorio. Oggi i prodotti made in Bergamo sono presenti in tutto il mondo. Tra i raggruppamenti merceologici di dimensioni assolute maggiori, sono confortanti i buoni risultati dei macchinari (789 milioni con una crescita tendenziale del +5,1%) e dei prodotti alimentari (111 milioni, +9,4% tendenziale). Tiene l’export degli apparecchi elettrici (221 milioni, +2%), dei prodotti chimici (450 milioni, +1,8%) e di legno e carta (62 milioni, + 1%).
«Dobbiamo focalizzare l’attenzione non sul passato ma sul presente e sul futuro – ha detto il presidente della Camera di commercio Giovanni Paolo Malvestiti –. Purtroppo l’industria bergamasca si trova ancora su livelli di produzione inferiori del 16% rispetto al 2007. In Lombardia il tasso di disoccupazione complessivo è cresciuto dal 7,5 medio del 2012 all’8,7% della forza lavoro nel primo trimestre 2013. È probabile che il tasso di disoccupazione di Bergamo sia peggiorato in misura analoga. Bisogna quindi sollecitare una politica più attiva». Le stime presentate da Prometeia riguardo all'occupazione ventilano la possibilità di un sensibile calo, pari allo 0,7%, delle unità di lavoro nel 2013. Una tendenza che, tuttavia, prevede un recupero nel 2014-15 con una crescita dello 0,6%. Più ottimistici gli auspici riguardanti il tasso di disoccupazione che dovrebbe passare dall'attuale 6,8% al 6% nel 2015. Stessa cosa vale per i consumi delle famiglie che, secondo l’associazione di ricerche, passerebbero da +1,5% del 2011-12 a +0,5% del 2013 per crescere nel biennio 2014-15 fino al 2,4%. «Il commercio – prosegue Malvestiti – risente da anni del calo delle vendite e dei consumi delle famiglie, questi ultimi intaccati dalla discesa delle retribuzioni reali e dall’accresciuto peso della componente fiscale sui prezzi finali. Speriamo non si ricorra all’aumento dell’Iva perché sarebbe un colpo mortale per l’economia».
Intanto, ad aprile 2013 risultano presenti nella specifica sezione del Registro imprese di Bergamo 10 start-up innovative (in Lombardia 86, in Italia 471). Sono ancora piccoli numeri, ma destinati a crescere e a giocare un ruolo importante nella riorganizzazione del sistema delle imprese bergamasche. L’auspicio di Malvestiti è che Bergamo possa trarre un ulteriore giovamento dall’Expo 2015: «Il traguardo è vicino – ha confermato il presidente –, l’Expo sarà un momento importante per la Lombardia e per l’Italia ma soprattutto è un’occasione da non perdere per Bergamo. Stiamo inoltre lavorando affinché la nostra città diventi Capitale europea della cultura nel 2019 e proprio il 30 maggio scorso sono state esposte le linee guida per il dossier che Bergamo dovrà presentare per rafforzare la sua candidatura. Serve una spinta al cambiamento. Internazionalizzazione, innovazione e apertura ai flussi della cultura e del turismo globale, complice l’aeroporto di Orio, stanno accelerando la metamorfosi del modello di sviluppo di Bergamo». Nel 2012, secondo le stime di Bankitalia, il numero dei visitatori internazionali in Bergamasca è salito a 835mila (+35,8% sull’anno precedente), mentre la dinamica tendenziale dei primi due mesi del 2013 risulta in calo. La spesa dei viaggiatori stranieri che visitano la provincia di Bergamo è cresciuta nel 2012 del 3,5% portandosi a 209 milioni, anche in questo caso con una riduzione a gennaio e febbraio 2013. «Nonostante la crisi abbia rallentato i movimenti e i consumi turistici – conclude il presidente dell’ente camerale – la provincia, anche grazie al ruolo giocato dall’aeroporto di Orio al Serio, registra un incremento costante dei flussi di visitatori. Questo significa che nella crisi emergono anche dinamiche di reazione positiva e di trasformazione».




Gori: “Offerta coordinata e riconoscibile per rilanciare Bergamo”

di Giorgio Gori*

Non sono tra quelli che ritengono che il turismo sia destinato a rimpiazzare la vocazione manifatturiera della nostra provincia; o meglio, mi auguro vivamente che ciò non debba accadere. Al contempo sono assolutamente convinto che il turismo possa nei prossimi anni rappresentare una fondamentale leva di sviluppo e di creazione di ricchezza per il nostro territorio.
Purché il territorio si dia una mossa. La sensazione è infatti che ci si creda fino ad un certo punto, e che manchi fin qui una visione complessiva. I secoli e una tradizione di buona amministrazione ci hanno consegnato una città di straordinaria suggestione paesaggistica, ricca di tesori d'arte e – ancora – di gradevolissima vivibilità. L'impressione è che si pensi che questa eccellenza dovrebbe di per sé bastare per attrarre frotte di turisti da tutto il mondo, e allo stesso modo per primeggiare tra i molti centri che si sono candidati al ruolo di Capitale europea della Cultura per il 2019.
Non è così, non basta. Città Alta e i Colli sono gemme di straordinaria bellezza, così come le nostre valli, ma per fare in modo che i turisti italiani e stranieri arrivino a scoprirne la meraviglia dovremmo innanzitutto cercare di attrarli qui, disponendo i pezzi pregiati di cui disponiamo in modo tale che siano valorizzati ed efficacemente comunicabili.
Quest’ultimo elemento del puzzle, la comunicazione, sembra fin qui essere il più trascurato. Bergamo è bella – ma chi lo sa? Una strategia coordinata sulla rete, e in particolare sui social network, mi pare ciò che oggi più difetta alla “vendibilità” della città (e si consideri che l’elemento oggi più importante per affermare la reputazione di una meta turistica è rappresentato dai commenti in rete di chi ci è stato; ragione in più per trattare al meglio i turisti che raggiungono Bergamo, e per amplificare – con le dovute tecniche – i loro apprezzamenti online).
Quanto ai “pezzi pregiati”, una spolverata all’argenteria non guasterebbe. L’Accademia Carrara è chiusa da cinque anni e, sperando che nel 2014 possa riaprire, ha bisogno di una forte attività di comunicazione che ne qualifichi l’assoluto rilievo internazionale e di una coraggiosa politica di mostre-evento che ne rinnovi di frequente l’appeal. Per capirci: sono passati 15 anni dalla mostra dedicata a Lorenzo Lotto e ancora viviamo di quel ricordo. Esistono a Bergamo, in ambito artistico, competenze che l’attuale governance della Carrara non sembra in grado di valorizzare. Per questo, dovremmo forse anche immaginare degli eventi “fuori salone”.
Gaetano Donizetti è considerato uno dei cinque maggiori compositori d’opera mai vissuti. Bergamo ne è consapevole? Il Bergamo Musica Festival è una piccola perla, ma non rappresenta un sufficiente elemento di caratterizzazione della città intorno alla figura del grande musicista. Donizetti è per Bergamo ciò che Rossini è per Pesaro. Da quell’esperienza possiamo trarre insegnamento e indirizzo.
Anche gli aspetti museali – sempre riferiti a Donizetti – non sono oggi all’altezza della scommessa turistica della città. Donizetti merita di meglio, anche attraverso l’uso delle più moderne tecnologie.
Esiste poi un problema di percorsi. Il tema dell’accesso a Città Alta è ben lungi dall’essere risolto. L’accerchiamento da parte dei mezzi privati ne soffoca le potenzialità attrattive; la mancanza di parcheggi dedicati ai residenti giustifica l’occupazione da parte delle auto di alcune tra le piazze più belle del borgo medievale. E i turisti, quelli che ci arrivano, tendono a concentrarsi tutti sulla “vasca” della Corsarola, trascurando angoli preziosi e i meravigliosi tracciati pedonali dei Colli. Andrebbero indirizzati e aiutati a scoprire che Città Alta va ben oltre quell’unico percorso affollato. Che dire poi dei borghi di Città Bassa, ricchi di fascino e monumenti almeno quanto la città sul colle ed ad oggi quasi ignorati dai flussi di visitatori?
Esiste poi una Bergamo contemporanea che, a mio avviso, può essere ugualmente di grande interesse turistico. La strepitosa avventura di Bergamo Scienza, capace di calamitare oltre centomila visitatori durante l’evento annuale, è l’espressione di una vocazione in nuce, legata alla conoscenza, che Bergamo dovrebbe coltivare con maggiore convinzione e continuità, partendo da quell’esperienza, dall’Università e dalle sue attuali eccellenze (dal Mario Negri al Kilometro Rosso, oltre ovviamente al nuovo ospedale). Lì c’è una traccia per il lavoro da fare nei prossimi anni.
Certo, i collegamenti con il resto del mondo sono ancora molto carenti. L’aeroporto rappresenta una fondamentale leva di sviluppo anche per il turismo, ma la mancanza di un link ferroviario pesa sulla possibilità di intercettare una significativa porzione dei flussi che attraversano lo scalo. La stessa relazione con Milano – della cui area metropolitana Bergamo rappresenta il cluster più promettente rispetto alla cultura e al tempo libero – è certamente frenata dall’indisponibilità di un collegamento su rotaia al passo coi tempi.
Alcune di queste cose richiederanno tempo ed investimenti che solo parzialmente dipendono dalla nostra mobilitazione. Altre sono invece alla nostra portata.
Possiamo cominciare con il fare squadra, per esempio. Il recente esperimento di “In Gruppo”, l’iniziativa promozionale che ha riunito tutti i più importanti ristoratori della provincia, dimostra che insieme si è molto più forti. Lo stesso dovrebbe valere per il settore dell’accoglienza alberghiera, e per il commercio. Solo la capacità di comporre un’offerta coordinata, riconoscibile, può consentire a Bergamo di giocare la partita della competizione territoriale con qualche probabilità di successo. Il “Distretto del Commercio”, se potenziato, può ambire ad un rilievo su scala regionale, ed attrarre flussi da Milano. Servirebbe una piattaforma unica, per raccontare la città al “mondo”, per le prenotazioni degli alberghi, per la comunicazione degli eventi e per il ticketing dei musei e degli spettacoli. Io il futuro lo immagino così. Per arrivarci dovremo abituarci a lavorare insieme, soggetti pubblici e privati, associazioni di categoria e sponsor. “Apertura” e “condivisione” mi paiono i due concetti chiave per fare di Bergamo una meta turistica di primaria importanza.

*presidente di InNova Bergamo




Graziani: «Cari studenti, non scoraggiatevi pensando al futuro»

Con la campanella di sabato 8 giugno sono terminate le lezioni nelle scuole lombarde e per molti studenti sono iniziate le vacanze, mentre i docenti sono impegnati negli adempimenti di fine anno tra scrutini e pagelle. Dopodiché inizieranno gli esami di Stato per 18.984 studenti delle scuole bergamasche. A cominciare per primi sono gli 11.312 alunni di terza della scuola secondaria di primo grado che affronteranno le prove appena conclusi gli scrutini finali e il 17 giugno lo scritto nazionale Invalsi, di italiano e matematica, alla sesta edizione e uguale in tutta Italia.
Per i 7.672 candidati di quinta superiore cominciano via agli esami di Stato. Si sta quindi concludendo un anno di lavoro molto intenso, che ha visto le scuole bergamasche impegnate ogni giorno nell’offrire un servizio altamente qualitativo dal punto di vista didattico, educativo e formativo, attento alle istanze dell’utenza e volto alla valorizzazione di conoscenze, abilità personali e competenze di ciascuno studente.
Ragazzi, siate vincenti e non scoraggiatevi di fronte al delicato periodo economico e sociale attuale, perché il merito premia sempre. Il mio augurio è che il clima di sfiducia generale non scoraggi voi studenti, facendovi temere per il vostro domani.
A voi ragazze e ragazzi è richiesto un maggiore impegno in modo da poter affrontare le sfide con cui dovrete confrontarvi ora e nei prossimi anni. Mostrate con coraggio quanto valete ed esprimete il meglio di voi stessi, con serietà e impegno, vivendo l’appuntamento con gli esami di Stato, sia al termine della scuola media sia del quinquennio superiore, come un momento formativo irrinunciabile, un punto di arrivo ma soprattutto di partenza per le vostre scelte future, di studio o di lavoro. 
Gli esami sono ormai alle porte. Ci siamo. Affrontate dunque con la vostra consueta energia e con motivazione quest’ultimo periodo di preparazione, evitando la corsa sfrenata alle ultime conoscenze. Si sta per concludere un percorso che vi ha fatto crescere come persone e come cittadini. Ecco, pensate positivo e investite sul vostro futuro da protagonisti!
Ai commissari e ai presidenti di commissione raccomando di operare con rigore e serietà, uniti ad un atteggiamento di accoglienza e attenzione, per valorizzare gli elementi positivi di tutti gli studenti. Sono certa che svolgerete un buon lavoro, con elevata professionalità e spirito di dedizione. Buon esame e buon lavoro

Patrizia Graziani. dirigente dell’Ufficio Scolastico Territoriale di Bergamo




Il fenomeno dei Neet, come “recuperare” i giovani senza speranza

Egregio Bergamaschi
leggo con attenzione la sua rubrica e mi rendo conto che la mia e-mail è forse fuori luogo. Le scrivo perché il figlio di mia sorella, 21enne, ha abbandonato gli studi, non ha intenzione di riprenderli, non è interessato a nulla e neppure sta cercando un lavoro, dice che tanto è inutile. Sta sprecando gli anni migliori della crescita e mia sorella non si dà pace.
Chi può darci una mano?
                                                                              e-mail, Bergamo

L’attuale crisi economico-finanziaria ha confermato due fatti che erano già tristemente noti a tutti: il tasso di disoccupazione giovanile (considerando i giovani sino a 30 anni) è costantemente superiore al doppio del tasso di disoccupazione complessivo e la categoria dei giovani è massicciamente esposta ad un costante peggioramento delle occupazionali. In questo periodo sono quindi i “giovani” a soffrire maggiormente la crisi, non solo perché non hanno accesso ad un mondo del lavoro che non conoscono, ma perché si ritrovano a vivere demoralizzati una quotidianità senza aspettativa; sono individui rassegnati e demotivati, privi di stimolo anche solo per fare il minimo sindacale e cambiare la propria vita. E’ un fenomeno nuovo che preoccupa l’Europa e ovviamente l’Italia e che racconta di una generazione che si ritiene “senza speranza”, che vive alla giornata o sulle spalle della famiglia di origine e non riesce a realizzare piani per costruirsi una vita personale e professionale autonoma. Ma non solo: è una fetta di popolazione con meno di trentacinque anni che non solo non possiede un lavoro, ma non lo sta nemmeno cercando e non frequenta corsi di aggiornamento; i sociologi si sono persino scomodati a declinare un nome per loro e oggi sono conosciuti come “neet”, acronimo che nella lingua inglese significa “not in education, employment or training” e che identifica una generazione di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione, che ha abbandonato i percorsi scolastici, non ha un impiego, non segue corsi di formazione e vive alla giornata senza un reale progetto di vita. E se pensiamo al nostro paese, gli ultimi dati non sono confortanti: i “neet” italiani hanno dai 15 ai 29 anni e nel 2012 sono arrivati a 2 milioni 250mila; ciò significa che in Italia un giovane di quella fascia di età su 4 si trova in questa terribile condizione. Il dato potrebbe essere meno negativo se ci trovassimo di fronte a una realtà in movimento, di giovani che non hanno lavoro al momento, ma si stanno attrezzando per mettersi in gioco, non appena ci sarà l’inversione della curva, ma purtroppo non è così. L’appartenenza alla categoria “neet”, oltre ad essere uno spreco del potenziale dei giovani, ha ripercussioni negative per l’economia e la società. Trascorrere dei periodi di tempo come “neet”  può condurre all’isolamento, all’insicurezza, alla criminalità, ad avere problemi di salute fisica e mentale; e ognuna di queste conseguenza implica un costo sociale. Pertanto appartenere al gruppo “neet” non costituisce solo un problema individuale, ma anche un problema per la società e l’economia nel suo complesso. Non si pensi che il problema sia recente: basti pensare che l’acronimo “neet” è nato nel Regno Unito alla fine degli anni 80, per definire una modalità alternativa di classificazione dei giovani a seguito dei cambiamenti avvenuti nelle politiche in materia di indennità di disoccupazione; da allora l’interesse per i “neet” è cresciuto a livello politico europeo e definizioni equivalenti a questa sono state create in quasi tutti gli Stati membri. Magari avrebbe avuto più senso anticipare delle strategie per gestire una situazione che aveva già tutte le caratteristiche dell’urgenza. Negli ultimi anni gli Stati membri dell’Unione Europea hanno predisposto politiche nazionali ed europee destinate ad aumentare l’occupabilità giovanile e a promuovere maggiore partecipazione all’occupazione da parte dei giovani, sia attraverso misure relative all’istruzione, come il prevenire e ridurre l’abbandono scolastico e incrementare i corsi di istruzione e formazione professionale, sia attraverso misure che facilitano la transizione dalla scuola al lavoro. Inoltre molti paesi hanno introdotto una serie di incentivi, di agevolazioni fiscali e sovvenzioni al fine di incoraggiare le aziende ad assumere, formare i giovani e a creare occupazioni supplementari destinate a loro, ma non sempre sono state strategie vincenti. Certo è che il lavoro da fare è ancora lungo e oltre allo Stato, è importante anche l’intervento della famiglia e dei genitori, che hanno il dovere di trasmettere il desiderio di una vita “realizzata” e appagante e non devono mai legittimare atteggiamenti di stallo e di rinuncia; ma purtroppo in molti casi non è così. Infine, una riflessione: chiunque sia entrato negli “anta” ricorda sicuramente che quando si era ragazzi, non si provava nessun timore per il futuro, anzi si era convinti che, in un modo o nell’altro, avrebbe trovato un’occupazione e uno stipendio; magari non il mestiere dei sogni, ma non c’erano dubbi che avrebbe vissuto una vita dignitosa. Avevamo “speranza e voglia di sognare” e francamente ci piacerebbe che la stessa fortuna l’avessero anche i giovani di oggi.




Ferrari: «Il successo di un prodotto? Parte dal nome»

di Raffaella Trigona

Si è tenuta a Bergamo una giornata di “scuola” di brand naming, insegnante d’eccezione Béatrice Ferrari, esperta indiscussa della materia in Italia. Béatrice è un puzzle di origini, nata in Italia ma vissuta in Francia, dotata – come lei stessa dice – di una personalità eclettica e curiosa. Da anni si occupa di “far esistere le cose” perché “se una cosa non ha nome non esiste…”.
D’altra parte dare un nome a qualcosa è un’azione di grande rilevanza in tutti i contesti culturali umani, per quanto differenti. Per fare qualche esempio, nel ceppo linguistico indoeuropeo “nominare” significa creare una cosa e avere potere su di essa. Nella lingua cinese è accordata un’importanza capitale alla denominazione, che vuole dire assegnare un ordine al mondo. 
Ma perché oggi è ancora più importante “dare un nome”? E’ possibile trovare un nome “giusto”? In che modo? Quale ruolo svolge la creatività in questo processo?
Per poter rispondere a queste domande occorre fare una breve riflessione sulla contemporaneità. La nostra età globale è, infatti, caratterizzata da un forte incremento di complessità negli ambienti, nelle organizzazioni, nelle conoscenze stesse. E’ difficile dire se sia diventato più complesso il mondo o se sia diventato più complesso il nostro modo di guardarlo. Di fatto, abbiamo bisogno di un circolo virtuoso in cui il nostro sguardo sul mondo sia all’altezza delle sfide poste ogni giorno anche nel campo professionale.
Le pratiche formative, in questo caso particolare l’attività di “naming”, possono essere uno strumento validissimo per dissolvere modi ormai inadeguati di comunicare un “brand” e per costruire nuove strategie di comunicazione di quel brand. Un’azione mirata può consentire la scoperta e la costruzione di intrecci sempre più profondi tra il prodotto e il contesto nel quale è inserito.
Il percorso proposto da Béatrice Ferrari ha messo in primo piano una nozione dinamica di creatività e di innovazione: la novità del nome non è mai predeterminata in un prodotto ma emerge da un complesso processo circolare (il “naming circle”) in cui si intrecciano l’aspetto linguistico, quello del marketing e quello giuridico.
Questo tipo di approccio evidenzia la stretta relazione che può sussistere tra creatività e innovazione. In una visione tradizionale la creatività è descritta come l’accensione di nuove idee individuali e l’innovazione è rappresentata come l’implementazione pratica di quelle idee in un certo contesto collettivo. In una prospettiva complessa emerge con forza, invece, l’idea che la creatività richieda contesti favorevoli e un definito piano strategico. 
Strategia, dunque, è la parola chiave che caratterizza questa proposta del “brand naming”, con cui si intende “ogni decisione o iniziativa relativa alla definizione di un nome commerciale (nome di prodotto, di servizio, di società, insegna, nome a dominio, etc…), cioè il nome di proprietà in grado di capitalizzare un investimento”.
In tale prospettiva il “brand name” vincente deve avere una caratteristica fondamentale: deve essere evocativo. Il nome vincente non denomina soltanto, non descrive semplicemente ma è in grado di evocare un intero mondo, ricco di significati, carico di emozioni e di suggestioni. Il nome non spiega ma indica un “senso”, sintetizza un valore. Basti pensare al Mulino Bianco di Barilla: la famiglia, la tavola, l’incontro, le relazioni, la qualità, la bontà, la quotidianità.

Le quattro mosse
per arrivare al risultato ottimale

Quali sensazioni ci evoca il nome “Häagen-dazs”? Quali immagini schiude? Quale suono ci fa sentire? Quale colore ci corrisponde? Nord Europa, viaggi, bianco, azzurro. Ed ecco che nasce una marca di gelato.
E quando pronunciamo “Kodak”? Cosa ci viene in mente? Velocità, brevità, rapidità, scatto. Ed ecco il click della fotografia.
Proprio in questi casi il nome intrinseco non è né conosciuto né riconosciuto dai consumatori… Ma non importa!
Un gioco di ritmi, una combinazione di lettere, vocali aperte o chiuse, suoni dolci o duri, alterazioni, fusioni. L’impatto fonetico è importantissimo ma non basta. Il nome vincente viene trovato ma non a caso. Occorre un processo consapevole di ricerca approfondita composto da almeno quattro tappe: 1) chiarire il bisogno; 2) elaborare i nomi in creatività, 3) scegliere i nomi più adeguati, 4) controllare la validità dei nomi scelti.
Solo al termine di questo percorso – spiega Béatrice Ferrari – possiamo dire di essere arrivati a un “brand name”. E per fare questo c’è una variabile fondamentale: il tempo. Il fattore temporale è infatti un agente produttore di novità ma dobbiamo poterne avere a disposizione a sufficienza. Deve essere ammessa la possibilità dell’errore, del vicolo cieco, del poter seguire delle molteplici linee di sviluppo, per poter giungere a quella vincente.
Il cammino , dunque, è lungo e tortuoso. Non ci resta che augurare “buon naming” a tutti!
Raffaella Trigona




Turismo in frenata, ma non per i congressi 

Come era da attendersi, anche il territorio bergamasco ha risentito nel 2012 del calo dei movimenti turistici, ma con soddisfazione la contrazione dei flussi è stata decisamente minore rispetto ai dati medi nazionali, sia in termini di presenze che di arrivi. «Per essere precisi è stata di quasi la metà – spiega Andrea Macchiavelli, direttore del Cestit, il Centro Studi per il Turismo e l'Interpretazione del Territorio dell’Università degli Studi di Bergamo, commentando i dati dell’Osservatorio della Provincia -. Il calo del 2% è poca cosa in un contesto come quello nazionale, che perde in media il 3,9%. Il dato arriva non solo in un momento di recessione economica, ma anche dopo anni di forti incrementi, particolarmente consistenti lo scorso anno, con una crescita del 6% e una variazione positiva di presenze straniere del 9%. Una battuta d’arresto che deve dunque considerarsi fisiologica». La crisi ha colpito soprattutto i turisti italiani. «Gli stranieri attutiscono il colpo – sintetizza – e difendono le posizioni, i laghi crescono con le presenze straniere, va bene la Valle Imagna, grazie alla componente business e il turismo d’affari non abbandona la pianura».
Segnano un calo le Orobie dopo due anni di ripresa: «È il segno – commenta il professore – che non si riesce ancora a sostituire la domanda solida del turismo classico di villeggiatura: ossia estiva, di over 60, dalla fortissima componente lombarda. Inizia a farsi avanti una nuova domanda turistica short-break, decisamente più giovane, attratta da enogastronomia e prodotti tipici, trekking e sport. Una nuova tipologia di turismo che consentirebbe di allungare la stagione, attraverso eventi di richiamo e nuove proposte». Le Orobie, quindi, sono destinate ad una ristrutturazione complessa e già «molti sono gli investimenti fatti, soprattutto in Val Seriana, che purtroppo, assieme alla Val di Scalve, presenta il dato più negativo».
Con la crisi si rinuncia alla forma più economica di turismo, il campeggio: «Le presenze calano – è l’analisi -, ma di fatto tramonta la forma più diffusa di camping nelle valli, basata soprattutto sugli stanziali, che ormai sono fuori mercato». Perdono quota gli alberghi, mentre decollano i bed and breakfast. «Nonostante la quantità di posti letto minore, le strutture ricettive extralberghiere sono in forte crescita, con un incremento considerevole degli stranieri – continua Macchiavelli -. Il prezzo sembra la maggiore discriminante, ma non è la sola componente a giocare un ruolo nella scelta. Il grande sviluppo di questa forme di ricettività ha senz’altro contribuito a questo travaso». Anche la città e la Grande Bergamo perdono qualche turista per strada: «In un anno di forte contrazione, Orio tiene, ma è bene interrogarsi – ammonisce – sull’impatto dei nuovi collegamenti, dalla Grecia a Cipro nell’area del Mediterraneo, alle nuove rotte con l’Est Europa».
Un turista da coccolare è quello russo: «Non si vedono ancora gli effetti dei collegamenti con la Russia, anche perché è impensabile avere una crescita con solo due voli a settimana, ma è importante attrezzarsi per accoglierli al meglio – traccia un breve identikit il docente – . Il turista russo in Europa ha di fatto sostituito il giapponese, con capacità di spesa elevata ad alti livelli. Il turista russo si contraddistingue per non avere una grande capacità selettiva ed appare di fatto più orientabile. Bergamo ha grandi potenzialità per intercettare questa nuova domanda. Anche per questo l’Università in collaborazione con Sacbo ha lanciato un progetto di accoglienza e orientamento dei turisti in arrivo ad Orio. Un altro turista a cui pensare è quello polacco, che inizia ormai ad avere un certo peso nel turismo invernale legato allo sci».
Tra le altre strategie da mettere in campo, far sì che Bergamo divenga una porta d’accesso, attraverso Orio, ad Expo: «Bergamo deve il suo sviluppo turistico all’aeroporto, ora è fondamentale che giochi al meglio le sue carte in vista dell’Esposizione Universale – rileva Macchiavelli -. Una buona parte di visitatori arriverà nel nostro scalo: sta alla città riuscire ad intercettarli, ma bisogna mettere in campo risorse e strategie. Finora si è fatto poco per creare un vero e proprio brand per il territorio. Bisogna lavorare alla creazione di un’immagine e di un marchio forte per la città, oltre a migliorare collegamenti e accoglienza».




L’allarme degli artigiani “Il fisco si mangia tutto”

Le imprese italiane? Sembra che si faccia di tutto per spingerle all’estero per trovare condizioni normali: il fisco italiano pesa per il 68,3% degli utili lordi d'impresa, in Svizzera appena il 30,2%». Giorgio Merletti,  presidente della Confartigianato, lancia l'ennesimo allarme sul fisco che soffoca le Pmi. «Non ce la fanno più le nostre aziende a sopportare una pressione fiscale che nel 2013 toccherà il 44,6% del Pil, 2,4 punti in più sopra la media Eurozona» ha proseguito dal palco dell'assemblea dell'organizzazione. Appello raccolto dal ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato: “Sono al vostro fianco – ha assicurato – ma le cose non sono facili, non ci sono risorse e dobbiamo attivare meccanismi a costo zero per dare soddisfazione alle imprese”.
La realta è che «paghiamo 38 miliardi di maggiori imposte rispetto ai partner europei, 639 euro in più per abitante. Tra il 2005 e il 2013 l'incremento delle entrate fiscali è stato pari ai 132 miliardi di incremento del Pil. Così non si esce dal tunnel della crisi» ha incalzato Merletti. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nei 600 giorni da novembre 2011 a oggi si sono perse 60mila imprese, la disoccupazione giovanile è cresciuta di oltre 8 punti, il Pil calato del 3,4%, la pressione fiscale è aumentata di quasi 2 punti e il credito alle imprese è diminuito di 65 miliardi. Nel frattempo si sono avvicendati il governo tecnico supplente e poi lo «stallo alla messicana». Numeri da brivido, per questo le imprese non vogliono più promesse dalla politica. «Adesso tocca a voi, chi governa rispetti il mandato, fate il vostro dovere» ha detto il numero uno degli artigiani, particolarmente applaudito su fisco, burocrazia («ci costa 31 miliardi l'anno»), da spellarsi le mani sul «disastro Sistri». «Una amministrazione pubblica che non paga è una vergogna. Mi impegno al vostro fianco per il completo azzeramento dello stock dei debiti scaduti» ha assicurato Zanonato, consapevole di dover dare tempi certi alle Pmi artigiane, di cui ha lodato a più ripresa tenacia, talento, «qualità e materia grigia» ha detto citando Einstein. Revisione dell'Imu, perché «è contraddittorio tassare un tornio o una pressa, così gli immobili strumentali». Promette misure per la ripresa e semplificazioni entro giugno, via le complicazioni inutili, ha detto, e più risorse anche per il credito attraverso il Fondo centrale di garanzia, grazie al supporto di Cassa depositi e prestiti. Fino a una nuova legge Sabatini, in tandem con l'Economia, per dare il via a una misura per il rinnovo del processo produttivo e per acquisire beni strumentali. E anche i costi dell'energia (le Pmi pagano il 37,8% in più della media Ue) devono essere abbassati ai livelli degli altri paesi competitori europei. «Stiamo valutando misure di sostegno agli investimenti delle pmi che operi con modalità snelle».




Reti d’impresa, così la Valle Imagna cerca il rilancio

Il progetto di Bergamo Sviluppo coinvolge sia Organizzazioni di categoria, sia una serie di partner territoriali.  “L’iniziativa – afferma Angelo Carrara, presidente di Bergamo Sviluppo – ben si inserisce nella logica della mission di Bergamo Sviluppo, che sta operando per lo sviluppo dell’intero territorio in una logica sempre più di rete, che oggi coinvolge non solo il sistema associativo locale, ma anche i territori, dai quali raccogliamo richieste che poi cerchiamo di trasferire in proposte progettuali come questa, nata dal dialogo e dal confronto”.
L’animazione profusa da Bergamo Sviluppo in Valle Imagna per la creazione di reti d’impresa ha puntato sulla crescita delle attività tradizionali e l’introduzione di nuove forme di imprenditoria. Ne è testimone Giacomo Invernizzi, segretario dell’Azienda Speciale Consortile Valle Imagna, partner territoriale del progetto camerale, coordinatore del tavolo “Lavorinvalle” che riunisce il gruppo promotore delle iniziative imprenditoriali valdimagnine, nonché portavoce della Rete Agrimagna che coinvolge dieci imprese del settore agroalimentare.
“Il tavolo ha iniziato a lavorare ipotizzando quale avrebbe potuto essere il futuro della valle sotto l’aspetto imprenditoriale e su quali risorse potesse contare per sviluppare nuove idee. E’ stato naturale fare riferimento alle vocazioni tradizionali dei luoghi e sviluppare una filiera che punti alla valorizzazione dell’ambiente”.
Il progetto di accompagnamento delle reti di imprese in Valle Imagna riguarda attualmente ecoturismo, agricoltura, legno e biomasse. Il dato interessante è che queste iniziative coinvolgono soggetti di età compresa tra 25 a 40 anni. L’intero progetto, promosso da Bergamo Sviluppo, coinvolge le associazioni di categoria, che hanno realizzato forme di accompagnamento in accordo e con il sostegno della Camera di Commercio di Bergamo che ha permesso i relativi finanziamenti. Le voci delle possibili iniziative sono interessanti e già praticabili: ecoturismo, produzione di energia da biomasse, promozione dei prodotti agricoli e zootecnici locali, manutenzione boschiva che consenta di evitare l’impoverimento di pascoli e terrazzamenti e aiuti a prevenire danni al sistema idrogeologico.
“C’è un bel pezzo di economia da ricreare – sottolinea Invernizzi -. Si tratta di rendere il territorio abitabile e quindi più ricco perché in grado di sostenersi con le proprie risorse. Si deve puntare al risveglio di talune professionalità che richiedono preparazione e cultura della qualità. Ad esempio, l’agricoltura a cui facciamo riferimento è quella tipica di montagna e non va confusa con le coltivazioni intensive. Nelle forme di aggregazione a cui stiamo pensando, turismo e impresa agricola vanno a braccetto”.
L’idea, maturata sullo slancio fornito dal progetto territoriale di Bergamo Sviluppo, è quella di sostenere le aziende molto legate alle tipicità del territorio per ricavare localmente le risorse necessarie per la produzione e per le attività. Piccole produzioni ma di qualità, con filiere dirette di vendita. E’ il caso di AgrImagna, rete costituita da dieci piccole aziende: tre zootecniche, due vinicole, due dedite alla produzione di piccoli frutti (more, lamponi, ribes), due di frutta e verdura, una che abbina l’allevamento di piccoli animali alla produzione di marmellata di castagne. Rete AgrImagna ha appena aperto un sito web (www.agrimagna.it) per la commercializzazione diretta con i gruppi di acquisto solidale.
L’edilizia è l’altra esperienza storica su cui il tavolo coordinato da Invernizzi sta lavorando. “E’ appena partita un’indagine su dieci aziende per analizzare gli elementi di forza e criticità e provare a ipotizzare una progettualità. Siamo consapevoli delle difficoltà che il settore vive, ma crediamo possibile tornare a modelli di edilizia compatibili. In Valle Imagna è presente un vasto patrimonio di case storiche, vere e proprie contrade che rappresentano potenziali luoghi di intervento, così come si potrebbe pensare al recupero di caseggiati degli anni 60 e 70 non più abitati”.




Federconsumatori: “L’area camper una cattedrale nel deserto”

Federconsumatori,  senza dimenticare che tutti i giorni c'è qualcuno che ha la necessità di essere vicino ad un suo caro ammalato e per farlo è  costretto a dover subire l'esosità del costo di un parcheggio che lavora in esclusiva, ritiene positiva l'iniziativa messa in atto alcuni giorni fa dalla direzione del “Papa Giovanni XXIII” che, consentendo la sosta del camper a fianco dell'ingresso della struttura ospedaliera, ha permesso ad una famiglia arrivata da fuori città  di stare vicino al figlio ricoverato in ospedale.
Premesso  che  per ospitare in modo dignitoso chi usa il camper non crediamo sia sufficiente improvvisare un allacciamento elettrico in uno spazio non attrezzato, a  lasciare  perplessi è il leggere dichiarazioni rilasciate da “camperisti/amministratori pubblici” eccellenti i quali enfatizzano la situazione esistente in città. Sino a definirla “punto di riferimento per l'Europa”.
Non  dimentichiamo  che, a Bergamo, con i soldi dei contribuenti è stato realizzato un ottimo parcheggio per i camper attrezzato di tutto punto (con i lampioni accesi ogni notte),  dotato di: acqua potabile; scarico per i liquami; piazzola dedicata al lavaggio dell'automezzo;  parcheggi in spazi definiti e lastricati; servizi igienici;  servizio di sorveglianza e, soprattutto,  vicinanza con linee di trasporto pubblico urbano… che  sta diventando una “cattedrale nel deserto”.
Per la cronaca segnaliamo, assieme ad altri, che l'area camper di Bergamo si trova in Via Corridoni al civico 123. E' pronta da ormai più di un anno e sta cominciando a essere preda delle naturali intemperie oltre che degli immancabili  vandali (le porte della guardiola  sono divelte, il bagno impropriamente usato, ecc….)
Su questo tema non ha nulla da dire l’associazione dei camperisti bergamaschi, che è riuscita a fare costruire un parcheggio coi fiocchi e poi non si attiva perché il medesimo sia utilizzato, magari offrendosi con i propri associati di gestirlo direttamente pagando il dovuto canone al Comune?
Lasciamo ai Cittadini/Contribuenti valutare se questa situazione può essere portata ad esempio di efficienza in Europa. Nel frattempo dai nostri amministratori auspicheremmo un comportamento più consono al carattere bergamasco: evitino di “fare la ruota” per un  atto di accoglienza nei confronti di chi ne aveva bisogno.