«Un errore avviare l’impresa senza una strategia di branding»

Il consulente Marco Bergamaschi risponde al quesito di un lettore

Insieme ad un socio, ho da poco avviato una società di servizi che offre un prodotto difficilmente reperibile sul territorio bergamasco. Stiamo quindi pensando di affidarci ad una agenzia specializzata per promuovere il nostro brand e farci conoscere sul mercato. Purtroppo ci siamo resi conto che le spese da affrontare sono tante. E questo ha diviso un po’ il mio pensiero da quello del mio socio. Personalmente aspetterei, confidando, almeno per ora, sul passaparola dei clienti appena acquisiti, investendo i soldi per la promozione in altri capitoli di spesa. Lei come si comporterebbe al mio posto?

Alfredo R, Bergamo

Affermare il proprio brand, ovvero una personale identità nei confronti del mercato odierno e della concorrenza è divenuto, soprattutto in quest’ultimo periodo, sempre più strategico per qualsiasi impresa e il concetto di “branding” ha assunto ormai una valenza fondamentale che non può e non deve essere sottovalutata. Si parla di branding quando ci si riferisce alle modalità con la quale un’azienda riesce ad affermarsi nelle percezioni dei consumatori-clienti con una determinata identità, cioè con una immagine che meglio rappresenta l’essenza dei prodotti e dei servizi che offre; è quindi un modo per contraddistinguere la propria esistenza rispetto alle altre realtà aziendali all’interno di un contesto economico sempre più dinamico e competitivo, che non lascia spazio agli errori. Anche perché lo scopo del branding è uno solo: differenziare i prodotti, i servizi e le aziende, basandosi sul concetto di singolarità con l’obiettivo di creare nella mente dei clienti l’idea che non esiste nulla di analogo sul mercato rispetto a quanto stanno analizzando in quel momento. Per Tom Peters, famosissimo “guru” americano del marketing, ciò che fa la differenza sono il valore, la credibilità e l'originalità (intrinsecamente legati alla storia e all'esperienza dell’azienda), che vengono trasmessi attraverso la promozione dei propri servizi e/o prodotti e più sono in grado di lasciare il segno, maggiore sarà la capacità di costruire una chiara identità. Sono numerosissime le tecniche di Branding utilizzate oggi ed è quindi necessario, soprattutto se si tratta di nuove realtà o della promozione di nuovi servizi, l’affidamento a società specializzate, che sulla base degli obiettivi prefissati, costruiranno una strategia efficace e riconoscibile nel tempo; insieme potranno essere studiati loghi, colori distintivi, slogan, parole particolari, imballaggio e molto altro ancora, che inevitabilmente apporteranno un notevole valore aggiunto. Non bisogna mai dimenticare che solitamente è più facile ricordare un'azienda “conosciuta” piuttosto che il prodotto in sé e quando le persone hanno una esperienza positiva con un brand, sono più propense ad acquistare quel prodotto o servizio anziché quelli della concorrenza. Pertanto un brand che si evidenzia al di sopra degli altri, ha un maggior numero di clienti disposti a pagare di più per avere un miglior prodotto o servizio che sia, confermando che con un marchio ben consolidato, si ottiene automaticamente una garanzia anche per eventuali nuovi prodotti-servizi futuri. E non mi sembra poco. La bibliografia sui principali modelli di branding è ricca e variegata di esempi dai quali possono essere presi parecchi spunti di riflessione e dai quali partire. Tra i più conosciuti quello denominato “Star Strategy”, che considera il prodotto come un individuo avente un corpo, un carattere in grado di connotarlo e uno stile capace di suscitare desiderio; il modello “Young & Rubicam”, che misura il valore del brand attraverso la differenziazione e la rilevanza, indicative del potenziale di “espansione” del prodotto e attraverso la “percezione” e la “familiarità” che determinano l’autorevolezza di un’azienda; o il modello “Aaker –  Joachimsthaler” secondo il quale l'identità aziendale, i suoi significati ed i valori di cui è portatrice, costituiscono una cornice di senso che si estende fino a determinare l'identità dei prodotti ad essa associati, mediandosi con le loro caratteristiche intrinseche. Insomma la materia è vasta e complessa e soprattutto in continua evoluzione, considerata l’importanza che ricopre e come già detto, conviene affidarsi a consulenti capaci e competenti che vi aiuteranno nella strada più giusta da percorrere. Per cui se vi siete chiesti come sia possibile che, anche in periodi di crisi, alcune aziende riescano a non ridurre i profitti, ma anzi, ad aumentarli, provate a dare un’occhiata alla loro strategia di branding e tutto vi sarà più chiaro: queste sono realtà che posseggono un valore “percepito” che supera il valore “reale” del prodotto stesso e che quindi possono permettersi di alzare il prezzo quando le altre lo abbassano e di battere la concorrenza anche se questa ha un prodotto molto simile. Ecco perché ogni azienda dovrebbe avere chiaro quale sia il proprio brand, cioè l‘identità percepita dal cliente quando propone un proprio servizio. E quelle realtà che non l’hanno mai fatto? Semplicemente per loro sarà più complicato raggiungere i potenziali clienti, comunicare con loro in maniera efficace e posizionarsi sul mercato in maniera efficace. Può sembrare strano, ma sono ancora molte le piccole e medie imprese che non conoscono il concetto di brand, anche se offrono un ottimo prodotto, che potrebbe far aumentare il fatturato e fissare in maniera esponenziale una percezione positiva tra i clienti, se solo l’immagine della propria realtà fosse promossa nel modo giusto. Non mi resta allora che concludere dicendo che se si possiede un’azienda (anche la più piccola, magari con un solo dipendente) è comunque inevitabile attivare precise strategie di brand, che permettono di essere al di sopra della concorrenza e di essere uno dei leader del proprio settore nel medio e lungo periodo. Vi auguro buon lavoro.




Veicoli commerciali, in due anni a Bergamo dimezzate le vendite

I conti tirati a fine anno non hanno fatto altro che confermare la continua e netta caduta delle vendite di auto. Secondo i dati forniti dal ministero dei Trasporti, a dicembre la Motorizzazione ha immatricolato 86.735 autovetture: il 22,51% in meno rispetto allo stesso mese del 2011 (quando ne furono immatricolate 111.928), portando il totale del 2012 a quota 1.402.089, ovvero il 19,9% in meno rispetto alle 1.749.739 del 2011. È così ulteriormente peggiorato l’andamento già critico del 2011, chiusosi con un -10,88%, trasferendo il titolo di annus horribilis a quello appena concluso. Bergamo non si sottrae all’andamento generale, anzi. Secondo i dati dell’Unrae, l’Associazione delle Case automobilistiche estere in Italia (che offre sostanzialmente lo stesso quadro del ministero a livello nazionale, con un –19,8%), le immatricolazioni di auto e fuoristrada nella nostra provincia sono scese in un anno del 22,6%, passando da 31.218 a 24.160, cioè più di settemila vetture, che vanno ad aggiungersi alle 5.400 perse dal 2010 al 2011 (-14,7%). Con 3.921 auto, Fiat resta il marchio più venduto, ma accusa un calo del 26,1%. Seguono Volkswagen con 2.472 (-21%), Opel con 1.859 (-27,8%), Ford con 1.608 (-35,5%) e Citroen con 1.171 (-16,3%). A pari merito con 987 vetture Toyota (che perde il 24,3%) e Audi (con un calo più contenuto, dell’11,6%).
Una flessione ancora più netta è quella che ha investito i veicoli commerciali, vera e propria cartina di tornasole dell’andamento dei settori produttivi, capace di registrare la fiducia o meno nelle prospettive di crescita delle aziende. In Italia le vendite sono passate in un anno dalle 160mila del 2011 alle 106mila di quest’anno, con un calo del 33,4% ed anche Bergamo si è attestata sul medesimo livello, con un –33,9%. Nella nostra provincia, però, il calo era già stato vistoso e di molto superiore alla media nazionale al termine dello scorso anno, con un calo di quasi il 24% rispetto al 6% generale. Un dato legato al tessuto economico, più ricco rispetto ad altri territori di aziende, soprattutto piccole, che non hanno mancato, quindi, far sentire le proprie difficoltà sul mercato delle quattro ruote. Prendendo in considerazione gli ultimi due anni la crisi del settore – e con essa quella delle attività economiche – si mostra perciò con ancor più evidenza. Le immatricolazioni di veicoli commerciali si sono infatti dimezzate, passando dalle 5.060 del 2010 alle 2.517 del 2012 (i dati totali forniti da Unrae comprendono anche gli autocaravan). La scure non ha risparmiato nessun marchio, colpendo più duro chi ha le fette più ampie di mercato. Fiat è passata da 1.955 nel 2010 a 1.183 nel 2011, a 818 nel 2012 (-58,1%), Iveco da 545 a 423, a 255 (-53,2%), Renault da 407 a 402, a 252 (-38%), Opel da 369 a 315, a 227 (-38,4%), Mercedes da 265 a 272, a 198 (-25,2%), Citroen da 347 a 334, a 177 (-48,9%).

I commenti

La diminuzione della possibilità di spesa di famiglie ed aziende non è l’unica causa della flessione delle vendite di auto. Difficoltà nell’accesso al credito, aumento delle spese per il mantenimento delle automobili e della fiscalità sono altri aspetti di questa crisi che sta profondamente segnando, e ridisegnando, il settore.
«Un volume così esiguo di immatricolazioni ci riporta indietro ai livelli del lontano 1979 – ha evidenziato Jacques Bousquet, presidente dell’Unrae, l’Associazione delle Case automobilistiche estere in Italia -. La crisi coniuga al suo interno sia aspetti congiunturali sia strutturali. Il generalizzato aumento della pressione fiscale e dei costi di gestione, in particolare, ha determinato, oltre al depauperamento delle risorse economiche degli automobilisti, una modifica nelle abitudini di consumo della mobilità. Gli italiani si sono trovati davanti alla necessità di ridurre l’uso dell’automobile, con conseguente calo delle percorrenze medie e dei consumi di carburante (in media oltre il 10% in meno per benzina e gasolio), pur continuando a sostenere spese più elevate proprio per il carburante, per l’assicurazione, il bollo, ecc.». L’aumento della pressione fiscale sulle quattro ruote ha avuto così un effetto solo negativo, fa notare ancora l’Associazione, «influenzando in modo significativo la riduzione dei consumi complessivi nazionali e l’aumento del tasso di disoccupazione del Paese, senza fornire le risorse sperate alle casse dello Stato. Nell’intero anno, infatti, a causa delle mancate immatricolazioni si saranno persi 2,3 miliardi di euro di Iva rispetto all’andamento medio del mercato delle nuove immatricolazioni, a cui si aggiungono circa 95 milioni di euro di minor incasso Ipt, rispetto ai volumi dello scorso anno». Un quadro che diventa anche la base per le richieste al nuovo Governo: «I bisogni della filiera in termini di redditività, di mantenimento dei livelli occupazionali e le opportunità di gettito fiscale da parte dello Stato andranno viste in ottica di sinergia e come priorità per l’Esecutivo che guiderà il Paese dopo le elezioni. Se questo avverrà, potremo guardare con un po’ più di ottimismo alla prossima primavera».
«Il mercato automobilistico subisce l’overdose di imposte indirizzate a colpire, se non criminalizzare, l’acquisto, il possesso e l’uso degli autoveicoli», è stato ancor più diretto nel sottolineare Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che rappresenta i concessionari di tutti i brand commercializzati in Italia di auto, veicoli commerciali, veicoli industriali e autobus. «Sono aumentati i pedaggi e l’Rc, e recentemente sono rincarati accise, bolli, Imposte Provinciali di Trascrizione, Iva. Ma il Governo Monti ha anche dato scacco alle vetture aziendali portando la deducibilità dal 40% al 20% (mentre in Europa chi acquista una vettura aziendale può scaricare il 100%). Senza dimenticarci che il varo del superbollo per le auto prestazionali ha massacrato le auto di lusso con cali fino al 70%, abbattendosi come uno tsunami sui colleghi che si sono trovati, dalla sera alla mattina, in difficoltà enormi, spesso insormontabili». Anche Federauto confida che il prossimo Governo, «di qualunque colore esso sia, prenda coscienza della grave crisi e ponga in essere delle misure idonee. Il Paese, dopo tasse, tasse, e ancora tasse, ha bisogno di misure vere e condivise per il rilancio dell’economia e della competitività sui mercati mondiali, senza dimenticare il fondamentale "consumo interno", che pesa per l’80% del Pil». In caso contrario le previsioni dell’associazione sono ancora fosche con un mercato che scenderà a 1.330.000 unità.

Concessionarie, anche Livio Cella fa i conti con la crisi

Anche un nome storico come Livio Cella, concessionario Toyota e Lexus in via Borgo Palazzo, sta facendo i conti con la crisi dell’auto. L’azienda ha infatti avviato la richiesta di concordato ma resterà sul mercato come rivenditore specializzato indipendente Toyota e Lexus, ai quali affiancherà l’emergente cinese Great Wall. Come sede unica rimarrà l’attuale salone Lexus. «È un passaggio difficile – afferma Stelio Cella, socio dell’azienda -. In sessant’anni di attività non ci siamo mai trovati di fronte ad una decisione simile. Negli ultimi anni, viste le difficoltà del settore, abbiamo sostenuto l’attività con capitali personali e ci siamo ridotti i compensi, ma di fronte al continuo calo del fatturato e soprattutto dell’utile sulle vetture vendute ci siamo chiesti se avesse senso avere un marchio e perdere soldi».
«In un momento critico come questo – spiega – rispettare gli obblighi della casa madre, come quelli sulla pubblicità e sugli standard o del pagamento in anticipo delle auto, solo per fare qualche esempio, è diventato insostenibile. Dire addio alla rivendita ufficiale è una svolta netta, ma crediamo, o almeno auspichiamo, che, al di là del marchio, possano sostenerci nel nuovo corso il nome e l’immagine che ci siamo costruiti in tutti questi anni e che un studio, tra l’altro, indica al secondo posto nella classifica dei rivenditori di auto più conosciuti a Bergamo. Anche vent’anni fa, del resto, quando siamo passati da Peugeot a Toyota, allora pochissimo diffusa oggi il primo costruttore al mondo, sembrava una mossa azzardata, ma siamo stati premiati dalla fiducia dei clienti».
Nella vicenda, a pesare in maniera significativa sono le direttive della casa automobilistica, un aspetto generalmente meno evidenziato tra i vari problemi che gravano sul settore. «Aver rispettato le richieste fino in fondo ha finito con il penalizzarci – constata Cella -. Siamo stati gli unici in Italia ad avere un salone totalmente dedicato a Lexus, come voleva l’azienda, ed avevamo anche cominciato a lavorare per l’apertura di una nuova sede a Carobbio degli Angeli, sempre su richiesta di Toyota che, per la verità, ne avrebbe voluta una anche in Val Seriana. Non rispettare le richieste significava perdere subito il mandato. Oggi quella stessa eventualità sarebbe letta come una fortuna, considerando quanto pesano le imposizioni del costruttore».
Se nella crisi qualche opportunità e strada nuova bisogna pur cercarla, la scelta della Livio Cella è andata verso il marchio cinese Great Wall. «Il 2013 sarà l’anno del sorpasso della Cina sull’Europa nella produzione di auto – nota -, e Great Wall, che  può ora contare anche su designer tedeschi provenienti dall’Audi, ha in serbo prodotti molto interessanti. In un contesto in cui c’è scarsa disponibilità di spesa, credo che potrà essere interessante la possibilità di spendere il 30% in meno. I produttori in questi anni hanno continuato ad implementare i contenuti delle auto facendo aumentare di conseguenza i prezzi, oggi invece l’esigenza è in primo luogo quella di risparmiare». 




Cultura, un click per un progetto bergamasco

Sono gli ultimi giorni per votare on line l’unico progetto bergamasco approdato alla fase finale del bando culturale promosso dal Sole 24 ore ed altri enti, che mette in palio un premio da 100mila euro. Si tratta del Progetto Diaforà, che vuole dare vita nel quattrocentesco Convento della Ripa a Desenzano di Albino – acquisto nel 2007 dalla Cooperativa La Fenice – ad un Centro di studi e ricerca sulla differenza umana, con laboratori dedicati a bambini, disabili, giovani e anziani, per unire la pratica alla teoria. La struttura, di grande suggestione paesaggistica e culturale, riscopre così il proprio ruolo originario, di quando cioè i monasteri erano poli dell’educazione e della trasmissione dei saperi,  proponendosi come sede per seminari, conferenze, laboratori, simposi e in grado di accogliere studiosi e studenti per offrire corsi residenziali, in modo analogo ai campus universitari.
C’è tempo fino al 13 gennaio per sostenere la proposta (è la numero 14) accedendo alla piattaforma www.che-fare.com. Tra il 24 settembre ed il 3 novembre 2012 il bando ha raccolto oltre 500 progetti di innovazione culturale. Di questi ne sono stati selezionati 32 e pubblicati sul sito per essere votati dal pubblico. Gli utenti hanno anche la possibilità di finanziare i progetti preferiti, sostenendoli tramite crowdfunding con Eppela, mentre i proponenti hanno modo di auto-narrarsi attraverso l’uso della piattaforma per l’informazione partecipativa Timu. I primi cinque classificati saranno valutati da una giuria, composta da personalità del mondo della cultura, che eleggerà il vincitore il 29 gennaio 2013.

Per votare: http://www.che-fare.com




Responsabilità sociale, premiate 11 aziende

Sono 10 le aziende bergamasche premiate dalle Camere di Commercio lombarde e Unioncamere Lombardia al termine della selezione e raccolta 2012 delle buone prassi per la Responsabilità sociale d’impresa. L’iniziativa, giunta alla quarta edizione, sostiene e valorizza le imprese impegnate in comportamenti responsabili dal punto di vista sociale e ambientale, attente al territorio, ai lavoratori e alla comunità, che hanno voluto dare evidenza delle proprie scelte. La premiazione avverrà mercoledì 16 gennaio a Palazzo Turati, a Milano, nel corso della “Giornata delle Buone Prassi”. In tutta la Lombardia le aziende premiate sono 78, per la Bergamasca, ritireranno l’attestato: Arti gra?ج¨¬Åche Faiv di Tasca Ivan (Grumello del Monte), Asilo nido La Stellina (Azzano San Paolo), Aspan servizi Srl (Azzano San Paolo), Capello Srl (Bergamo), Ditta Gamba Edoardo di Pierluigi Gamba Srl (Villa d’almè), Kennew (Nembro), Naturalbio (Bolgare), Politerapica (Seriate), Ressolar (Bergamo), Siti targhe (Capriate San Gervasio) e Vanoncini (Mapello). Con l’occasione imprese, associazioni di categoria e istituzioni lombarde si confronteranno in un dibattito pubblico che vedrà la partecipazione – oltre che di Unioncamere Lombardia e Regione Lombardia – delle principali associazioni imprenditoriali di categoria che hanno ?ج¨¬Årmato il protocollo di collaborazione regionale e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
In linea con gli orientamenti comunitari e nazionali di trasparenza sul tema della responsabilità sociale, i pro?ج¨¬Åli delle aziende lombarde “virtuose” saranno consultabili online sul sito http://csr.unioncamerelombardia.it nella sezione
“Repertorio delle Buone Prassi Lombarde 2012”. Il Repertorio costituisce così un primo innovativo strumento in Italia per consumatori, aziende e società civile per dare pubblica evidenza dell’agire aziendale. Il sito sarà costantemente aggiornato e l’azione fa già parte dell’“action plan” nazionale per le attività svolte per la diffusione di Buone Prassi in Italia.




Assistenza sanitaria, la svolta della Masec

La possibilità di offrire servizi sanitari più ampi, di fronte alla prospettiva sempre incalzante di tagli e rincari nel sistema pubblico, ma anche la necessità di ottimizzare la spesa per la tutela della salute degli iscritti, costretti  fare i conti con la crisi. Si muove lungo questi binari il nuovo percorso che la Masec, la Mutua di assistenza sanitaria dell’Ascom, ha intrapreso e sul quale ha fatto il punto il presidente Paolo Malvestiti nel corso della riunione di fine anno del Consiglio direttivo. «L’anno scorso – ha ricordato – è cominciato uno studio per approfondire il posizionamento della nostra mutua rispetto ad analoghe esperienze presenti nel mondo associativo, in particolare in Lombardia. Questo lavoro, che presenteremo nella prossima assemblea, ha messo in luce la forte uniformità delle mutue delle Ascom, attive con la serietà e il rigore amministrativo che contraddistinguono le Associazioni, ma anche il carattere conservativo rispetto alle evoluzioni del mondo sanitario e delle mutue private, che stanno velocemente adeguandosi al cambiamento dei bisogni e del sistema dell’assistenza sanitaria. Ecco perché alla luce dei numerosi incontri, alcuni con le altre mutue Ascom di Varese e Pavia, è nata l’esigenza di trovare nuove impostazioni cercando di creare una rete con le realtà che si stanno affermando a livello nazionale».
La risposta è stata trovata nella convenzione con la Società Generale di Mutuo Soccorso Mba e con la società di servizi Winsalute, con cui Masec ha impostato un cammino per gradi. «Gli elementi strategici di sviluppo sono l’offerta di servizi innovativi, il contenimento della quota di iscrizione e nuove strade per la promozione dei servizi. La novità prevede due fasi – ha annunciato Malvestiti -. Una immediata, già nel nuovo anno, ed è quella di dare continuità al sistema dei servizi e di mantenere stabili le quote di iscrizione, aggiungendo qualche nuova opportunità». Il progetto prevede di sostituire l’attuale polizza con Ubi Assicurazioni ed il contratto per l’accesso ai centri convenzionati Newmed con una convenzione unica con la Società Generale di Mutuo Soccorso, che garantisce, a costi invariati, gli attuali servizi agli iscritti, con in più due novità rappresentate da pacchetti termali e dalla proposta di assistenza di lungo termine.
«La seconda fase, da realizzare entro uno o due anni – ha proseguito -, sarà quella di rivedere l’attuale impostazione dei servizi, almeno per ciò che concerne i rimborsi per visite ed esami che oggi incidono per più dei due terzi della spesa complessiva di Masec. Dovremo cioè allargare il ventaglio dei servizi puntando su soluzioni nuove e meno costose». Altri obiettivi a medio termine sono la detraibilità fiscale della quota e l’allargamento della base dei potenziali soci. 
Passando ai conti, il bilancio della Masec aggiornato al 31 ottobre ha presentato un andamento economico in linea con quello degli anni precedenti, facendo prevedere anche per il 2012 il pareggio tra costi e ricavi. È proseguita la diminuzione, pur contenuta, degli iscritti (- 22 unità), «segnale che molte famiglie di commercianti – ha rilevato Malvestiti – stanno drasticamente riducendo le spese non necessarie, strette come sono dal calo delle vendite da una parte e dalle scadenze fiscali dall’altra». Ed è in considerazione di queste criticità che il Consiglio ha approvato la proposta di mantenere stabili le quote, pur continuando nella politica di mettere a disposizione nuovi servizi. «Le quote di iscrizione alla Masec – ha ricordato il presidente -, dopo essere rimaste stabili per quattro anni, sono state ritoccate all’inizio di quest’anno con un aumento di 15 euro per tutte le fasce d’età. L’incremento si è reso necessario per garantire quanto meno la previsione del pareggio di bilancio a fronte di una spesa crescente delle prestazioni sanitarie, ma è stato comunque accompagnato dall’aumento della diaria per i ricoveri e dell’indennizzo annuale per lenti. Oggi i tempi, lo sappiamo, sono talmente difficili da impedire aumenti delle quote in linea con le necessità – ha precisato il presidente -. Come già deciso per l’iscrizione all’Ascom, mantenere stabili le quote Masec è un segnale di sensibilità verso i nostri soci».
 




Sigarette, alcol e gioco: tutte le novità della “stretta” per gli esercenti

 
Dopo la stretta sulla vendita di alcol – vietata ai minori di 18 anni –, sono entrati in vigore il primo gennaio anche il divieto di vendita ai minorenni di tabacco e le norme sulla pubblicità e l’informazione in tema di giochi previsti dal “Decreto Balduzzi” (D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazione dalla Legge 8 novembre 2012, n. 189) per contrastare fenomeni di abuso e patologie. Per titolari di bar, sale giochi e locali autorizzati all’offerta del gioco pubblico, sono così scattati alcuni nuovi obblighi: quello di apporre sugli apparecchi formule che avvertono sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e che illustrano le probabilità di vincita del gioco e quello di esporre, all’ingresso e all’interno dei locali, materiale informativo predisposto dalle aziende sanitarie locali, che evidenzi i rischi correlati al gioco e segnali la presenza sul territorio dei servizi di assistenza pubblici e del privato sociale dedicati alla cura e al reinserimento sociale delle persone con patologie correlate alla G.A.P. (Gioco d’azzardo patologico).
Nella pratica, come spiega l’Ascom, si tratta, quindi, di applicare sulle slot machine un cartello di avvertimento sul rischio di dipendenza dai giochi con vincite in denaro, nonché le relative probabilità di vincita e di esporre le stesse in forma di targa informativa nelle aree o nelle sale in cui sono installati i videoterminali. Questo tipo di materiale deve essere richiesto ai gestori degli apparecchi ed è compito degli esercenti verificarne la manutenzione. L’Associazione ricorda inoltre l’esposizione dell’avviso di divieto d’accesso ai minori da applicare all’ingresso delle sale scommesse, sale bingo e sale giochi e nelle sale dedicate esclusivamente agli apparecchi.
Sul portale dell’Asl di Bergamo, nella sezione riservata al Dipartimento delle Dipendenze (www.asl.bergamo.it/dipartimentodipendenze), è disponibile invece il materiale informativo di competenza valido per la nostra provincia. L’Asl ha comunicato che sarà ulteriormente implementato, l’invito dell’Ascom è quindi di controllare periodicamente il link.
In caso di violazione dell’obbligo di esposizione sono previste sanzioni pesantissime, fino a 50.000 euro a carico del titolare dell’esercizio.




Commercio, premiata la storia di tre imprese

Sono stati 64 i premi assegnati domenica scorsa al polo fieristico alla 52esima edizione del “Riconoscimento del lavoro e del progresso economico”, l’evento con cui la Camera di Commercio rende omaggio ai lavoratori e all’imprenditoria della Bergamasca. Alla presenza della Giunta Camerale, rappresentata dal presidente Paolo Malvestiti, da Matteo Zanetti, Luigi Trigona, Angelo Carrara, Franco Nicefori, Giancarlo Colombi e Patrizio Fattorini, e del segretario generale Emanuele Prati, hanno ricevuto il riconoscimento lavoratori e imprenditori suddivisi in cinque categorie: lavoratrici e lavoratori dipendenti o autonomi (6 premi); dirigenti d’azienda (1 premio); imprese industriali, commerciali, agricole, artigiane (12 premi); coltivatori diretti (5 premi) e lavoratrici e lavoratori dipendenti per anzianità e fedeltà al lavoro (40 premi).
La cerimonia ha visto anche l’assegnazione di tre riconoscimenti a personalità benemerite che, con la loro attività, hanno contribuito e contribuiscono allo sviluppo e all’arricchimento del tessuto economico e sociale bergamasco. Ad introdurli è stato Matteo Zanetti, membro della Giunta camerale e della Commissione che ha selezionato i candidati, insieme a Stefano Paleari e ad Angelo Carrara: Carlo Pesenti, premiato per la sua convinzione che la crisi sia da sconfiggere con l’innovazione e gli investimenti; il professor Felice Rizzi, che ha portato a Bergamo la cattedra Unesco e tutto ciò che rappresenta in termini di diritti dell’uomo, cooperazione internazionale e condivisione del sapere, e infine la Diocesi di Bergamo – nella persona del Vescovo Francesco Beschi – che, pur non essendo un operatore economico, da sempre svolge attività per sostenere il mondo del lavoro bergamasco ed in particolare coloro che più faticano ad inserirsi nel tessuto produttivo.
L’edizione è stata focalizzata sul diffuso desiderio di riscatto dei lavoratori e su una generale apertura verso nuove opportunità che il mutato contesto lavorativo e sociale impone. Nel sottolineare l’importanza del premio, con il quale, a più di mezzo secolo dalla sua prima edizione, la Camera di Commercio si conferma un interlocutore vicino alle esigenze dei lavoratori e delle imprese, il presidente Malvestiti ha ribadito la sua riconoscenza nei confronti di quanti, con il loro impegno e la loro dedizione, spingono costantemente in avanti l’economia del territorio.
Tra le dodici imprese premiate tre erano quelle del settore commercio: la tabaccheria Martina di Palosco, con un’anzianità di 88 anni e due mesi, l’azienda vinicola Valcalepio di Villongo, con 60 anni e 4 mesi, e Giuseppe Esposito, gestore di un impianto di carburante in città da 42 anni e 7 mesi. Ecco le loro storie.   

Palosco/ 88 anni e 2 mesi
Tabaccheria Martina

 
«Così è cambiato il commercio lungo tre generazioni»
 
Con 88 anni e due mesi di attività è la più longeva tra le aziende premiate quest’anno dalla Camera di Commercio. Dal 1924 la tabaccheria Martina, rivendita numero 1 di Palosco, è lì, in piazza della chiesa, memoria storica del paese e del commercio che cambia. Ancora oggi è conosciuta come “dal Bele”, ossia Abele, papà e nonno degli attuali gestori, che ha avviato l’esercizio in tempi in cui le sigarette si vendevano a numero, le spese si “segnavano” sul libretto e il pagamento, il più delle volte, era con polli, uova, conigli. Suo figlio Lodovico Mario, 73 anni, è in negozio da quando ne aveva 16 (fanno 57 anni!) e di storie – dice – ne avrebbe da scriverci un libro, anche se sino ad ora ha preferito indirizzare la penna verso la poesia (c’è pure qualche componimento ambientato in tabaccheria) e il teatro dialettale. «Il locale è stato ristrutturato più volte – ricorda -, c’erano anche salumeria e macelleria, curate da mio fratello, e nel ’90 era tutto pronto per il mio grande sogno, una gastronomia dove avrei potuto mettere a frutto la mia passione per la cucina e continuare, in un certo senso, la tradizione della famiglia, che ha sempre avuto l’osteria. Avevo seguito un corso a Bergamo, in via Gleno con Tino Fontana, e cominciato a proporre anche piatti di un certo livello, ma l’esperienza è durata pochissimo perché un incidente in moto mi ha costretto a cambiare programmi. Dato che non ce l’avrei fatta a seguire di persona la gastronomia ho preferito infatti rinunciare a laboratorio e bancone e da lì abbiamo scelto di ampliare l’attività con la ricevitoria del lotto e dei giochi».
Nella capacità di adattarsi ai tempi che cambiano e di far fronte anche agli imprevisti che la vita riserva Lodovico Martina trova la chiave della longevità dell’esercizio, già premiato dalla Regione con il riconoscimento di Negozio storico e dalla Fit, la Federazione dei tabaccai, per i cinquant’anni di iscrizione. L’ingresso della terza generazione, rappresentata dal figlio Luca, ha permesso di sviluppare l’informatizzazione e i servizi telematici. Una svolta che non ha mancato di offrire emozioni, come la vincita di 150mila euro con un sistema a quote messo a punto da Luca e più recentemente un “cinque” al Superenalotto di un solo cliente.
«Ma tutti i giorni regalano qualche bel momento», commenta Lodovico. Ad affiancarlo c’è da sempre anche la moglie Lisetta, sopra il negozio c’è l’abitazione e tutto il complesso è sempre appartenuto alla famiglia Martina. L’attività commerciale si intreccia così con la vita del paese e con gli interessi personali dei titolari. «Mia moglie recitava nella compagnia di teatro dialettale – dice – ed ora ne è la regista. Lo scorso anno hanno messo in scena una commedia che ho scritto una ventina di anni fa. Ora ne sto scrivendo per loro un’altra. Suono anche pianoforte, chitarra e mandolino e la scuola Rubinstein del maestro Botti di Palosco mi fa l’onore di volermi con sé al mandolino nei concerti che propone in paese. Scrivo pure poesie, ma quelle sono un po’ come dei figli, che si preferisce tenere per sé». Il negozio e la famiglia, insomma, sono un punto riferimento per la comunità. «Cerchiamo di resistere – conclude -. Quello che dispiace è vedere negozi che chiudono magari solo qualche anno dopo l’apertura: è un peccato perché si sta spegnendo un po’ tutta la vita del paese».
 
Villongo/ 60 anni e 4 mesi
Azienda vinicola Valcalepio 

 
I primi ad utilizzare il nome Valcalepio, «orgogliosi per la precoce intuizione»
 
Il nome è lì a testimoniare una precoce intuizione. L’azienda vinicola si chiama infatti “Valcalepio” ad ha potuto mantenere la denominazione sulle etichette – con la specifica “dei fratelli Falconi” – anche dopo la nascita della Doc “Valcalepio”. E questo per Angelo Falconi, 71 anni, unico della famiglia rimasto a portare avanti un’attività storica, è motivo di grande orgoglio. L’azienda è stata premiata per 60 anni e quattro mesi di iscrizione alla Camera di commercio, ma ha radici ben più profonde. «La nostra famiglia ha sempre prodotto e venduto vino – racconta Angelo -. Siamo originari di Collepiano di Adrara San Martino e proprio a questa località fa riferimento un testamento del 1533 conservato all’Archivio di Stato di Bergamo. Parla di un lascito ai poveri di Collepiano di due carri di vino da parte di Bernardo Falconi ed è la più antica testimonianza di quella che è poi stata l’attività tradizionale della famiglia». La registrazione dell’azienda è del 1952, «perché prima non servivano licenze», spiega Angelo ed è qui che scatta un secondo primato. Papà Giacomo decide infatti di chiamarla “Valcalepio”. «Coltivavamo in proprio le vigne – ricorda Angelo – ma ritiravamo anche il vino dei contadini di Grumello, Chiuduno, Castelli Calepio, così mio padre ha pensato di dare all’azienda il nome della zona, che era già considerata vocata per il vino». «L’istituzione della Doc arriva più tardi – continua -, nel ’74 e proprio grazie al fatto che la denominazione nostra azienda è precedente a quella data abbiamo ottenuto l’autorizzazione dal ministero dell’Agricoltura, confermata anche una seconda volta, ad utilizzare in etichetta il nome “Valcalepio”, cosa che normalmente non è possibile, trattandosi della denominazione di origine». Per Falconi le autorizzazioni ministeriali sono il riconoscimento della lungimiranza del padre nel leggere le potenzialità della zona per la produzione vitivinicola. Nel ’64 la sede si è spostata a Villongo, una cascina sulla provinciale per i Colli di San Fermo, e nel ’71, con la morte del padre, si abbandona la vigna e ci si dedica solo all’imbottigliamento. «È una piccola azienda familiare – spiega -. Dei fratelli sono rimasto solo io a portarla avanti, mentre i miei quattro figli, tutti laureati, hanno preso altre strade. Io cercherò di proseguire finché riesco perché è una grande passione e mi dispiacerebbe andasse perduto questo nome che per me significa molto. Nel tempo la nostra produzione è diminuita, di pari passo con i consumi di vino, che continuano a calare. Oggi produciamo Valcalepio Doc bianco e rosso e vino bianco e rosso che prima si chiamava “da tavola”. Vendiamo sia al dettaglio sia all’ingrosso. La nostra forza è una clientela consolidata, con alcuni il rapporto continua da cinquant’anni, e un altrettanto solido legame con i produttori vitivinicoli. Il mercato è quello della Bergamasca, al di fuori dai confini provinciali, infatti, è difficile far conoscere ed apprezzare il Valcalepio».   
         
Bergamo/42 anni e 7 mesi
Giuseppe Esposito, distributore carburanti 

«Figlio di contadini, ho scelto di mettermi in proprio
e me la sono cavata anche con i conti»

 
«Se dovessi tornare indietro rifarei tutto, non perché abbia avuto chissà quale guadagno in questi anni, ma per il rispetto reciproco che è sempre stato alla base del rapporto con i clienti». Giuseppe Esposito, classe 1946, racconta così la sua storia imprenditoriale, fatta di giornate intere sulla strada, anche col freddo pungente o il caldo torrido, alla pompa di benzina in via Moroni, zona villaggio degli Sposi, evidenziando soprattutto il lato umano dell’esperienza. La stazione di servizio, in effetti, è un crocevia di situazioni, un piccolo mondo sul quale a tutti capita di fermarsi anche se solo per qualche minuto. «Ho conosciuto signori e disperati – ricorda -, clienti fissi e gente di passaggio e con tutti ho cercato sempre di essere gentile e disponibile, un atteggiamento che mi ha ripagato. E questa è la mia soddisfazione maggiore». All’attività ci è arrivato con una decisione giudicata a quei tempi azzardata. «Con la crisi dell’edilizia del ’68 – spiega – l’azienda per cui lavoravo aveva cominciato a licenziare gli operai, partendo dai più giovani, quelli cioè che non avevano una famiglia da mantenere. Io avevo 22 anni ed ero tra questi. Dando una mano ad un amico nel lavare le auto alla sua stazione di servizio ho conosciuto un ispettore di una compagnia petrolifera, che mi ha aperto la strada per rilevare l’impianto». Oltre che per l’impegno economico il passo era considerato importante anche perché avrebbe richiesto tante altre competenze, oltre alla voglia di lavorare, che, sottolinea, non gli è mai mancata. «Ero figlio di contadini, una famiglia bergamasca al contrario di quanto potrebbe far supporre il cognome – evidenzia –, e avevo cominciato a fare il muratore a 11 anni. I miei erano preoccupati perché con la stazione di servizio mi sarei dovuto occupare anche di conti e amministrazione, ma ce l’ho fatta: in tutti questi anni me la sono sempre cavata da solo tra contabilità e burocrazia». Esposito si è pure messo a studiare per il diploma di terza media quando aveva ormai 35 anni («in pratica studiavo insieme con mia figlia», commenta), perché era scattato l’obbligo per ottenere la licenza commerciale. «Non mi è mai costato impegnarmi e fare sacrifici – aggiunge -, invece non mi piaceva troppo l’idea di dipendere da qualcuno, che qualcuno mi giudicasse o decidesse per me, per questo credo che mettermi in proprio sia stata la scelta giusta». Se il bilancio è positivo, una considerazione a parte la fa, in via generale, sul ruolo dei gestori «che sono sempre più messi in disparte dalle compagnie». Dopo 43 anni, l’attività è passata al figlio Matteo, 36 anni, che ha deciso di rimanere in prima fila «nonostante le difficoltà». La stazione di servizio, originariamente con insegna Maraton, poi Gulf, Q8, è stata oggi completamente automatizzata diventando Q8 Easy. A giorni dovrebbe partire il nuovo autolavaggio. Giuseppe Esposito, dotato di un’impareggiabile grinta, confessa di non riuscire, nonostante il passaggio del testimone, a stare troppo lontano dall’impianto e di trovare sempre qualche lavoretto da fare.




Vending, calano i consumi ma aumentano gli utilizzatori

Per il settore della Distribuzione Automatica, o Vending, il 2012 si avvia a chiudersi con un fatturato in sostanziale stabilità (-0,3%, dato che si appesantisce al -3,9% escludendo le nuove installazioni e i nuovi mercati aperti nel corso dell'anno) e una contrazione dei consumi pari al 3,9% per le bevande calde, del 2,9% per quelle fredde e del 5,1% per gli snack. Nel contempo, però, l'Italia mantiene la leadership mondiale per produzione e vendita di vending machine e si registra un trend in crescita del numero di utilizzatori, cresciuto del 2,3% negli ultimi tre anni (dal 41,9% del 2009 al 44,2% del 2012), e nella frequenza di utilizzo (il 43,6% acquista attraverso distributori automatici almeno due volte alla settimana,+2,9% rispetto al 2009). Sono i numeri principali sui quali si è ragionato nel corso degli "Stati generali del Vending", organizzati da Confida a Roma presso la sede nazionale di Confcommercio. «È finito il tempo della riflessione – ha evidenziato il presidente Confida Lucio Pinetti – ora occorre passare al futuro senza accontentarsi più del mercato che abbiamo avuto negli anni scorsi. Abbiamo sì la responsabilità di garantire ai nostri imprenditori e ai nostri lavoratori un futuro, ma dobbiamo anche rendere possibile attraverso la distribuzione automatica lo sviluppo di altre aree commerciali». «Da oggi – ha aggiunto – dobbiamo costruire un vending nuovo inventandoci nuovi business e nuove partnership perché noi valiamo di più di quanto ci stimiamo».




Per il rilancio del commercio non vincoli ma opportunità

di Marco Arlati*
 
Egregio direttore,
ieri sera il consiglio comunale di Bergamo ha approvato la delibera “disposizioni per la valorizzazione del commercio negli ambiti del tessuto urbano consolidato”. Rimango fortemente colpito da questa decisione, che reputo una scelta sbagliata nella forma e soprattutto nella sostanza, perché puramente politica, senza alcun fondamento dal punto di vista economico.
Un conto è parlare del decoro urbano dei centri storici, un altro è il concetto della libertà d’impresa e delle nuove aperture di attività commerciali. Sembra che impedire a terzi di aprire attività commerciali sia la soluzione per far aprire altre attività commerciali di altra natura o evitare che chi le apra non sia cittadino italiano. Perché il Comune invece di limitare l’apertura di nuove attività, non si interroga e si impegna a trovare soluzioni sul perché gli italiani, cittadini bergamaschi non aprono, o meglio non riescono ad aprire nuove attività? Il vero punto è questo. Chi sostiene la libertà d’impresa non limita la possibilità di creare nuove attività, ma cerca di favorire l’apertura, trovando soluzioni nuove e fattibili, e non puntando su uno sviluppo economico della città fatto di bancarelle alla domenica, dehors o bandi con paletti pesantissimi sotto il profilo strategico/aziendale (mi riferisco al bando per la selezione di soggetti a cui concedere contributi a sostengo della costituzione di nuove attività commerciali ed artigianali in aree urbane da rivitalizzare, dove si tentava di risolvere un problema di degrado urbano e di sicurezza con una politica di sviluppo economico, vincolata a delle regole assurde, che di sviluppo economico avevano ben poco; infatti non hanno portato a nulla).
Infatti il problema delle attività commerciali non riguarda solo i borghi storici, ma interessa tutta la città di Bergamo nel suo insieme. Iniziamo a dialogare bene con l’Università di Bergamo e capire come mai i nostri cervelli non rimangono a Bergamo ad aprire nuove attività ma vanno fuori dal territorio per trovare possibilità. Guardando i dati dell’Istat presentati in questi giorni la situazione risulta spaventosa: un laureato ha più difficoltà a trovare un lavoro di un diplomato, ovvero l’investimento nella formazione non viene valorizzato, anzi viene percepito come un problema per le aziende e per coloro che hanno un’attività commerciale.
Bergamo Cambia nel suo programma ha inserito un’idea precisa e forte, che sostiene a pieno la visione della libertà d’impresa: le borse di lavoro. Consistono, come le borse di studio, in una somma di denaro che viene erogata ai progetti presentati e valutati positivamente, aventi come oggetto la nascita di start up a Bergamo. Tali somme non avranno vincoli e i responsabili di progetto potranno utilizzarle come meglio credono per la nascita delle start up. Ovviamente reputo essenziale che la creazione di queste borse di lavoro abbia come punto iniziale l’appello del Comune agli studenti a valorizzare e dare concretezza alle loro idee attraverso tesi di laurea incentrate su progetti e idee per sviluppare i vari settori economici di Bergamo e della Bergamasca.
Sono cosciente delle difficoltà economiche che ha il comune di Bergamo, ma credo fortemente che bisogna rivalutare come impiegare le poche risorse a disposizione, riducendo la spesa pubblica corrente improduttiva e scegliendo di sostenere pochi ma concreti progetti che si sviluppino a Bergamo, creando posti di lavoro.
È un’idea che va oltre le attività commerciali nei borghi storici di Bergamo, perché guarda al futuro della nostra città e non allo spot elettorale di un partito politico, la Lega, che deve ottenere uno pseudo risultato per nascondere i fallimenti della sicurezza di tutti questi anni.

 
*Portavoce Lista Civica Bergamo Cambia




Regali, i bambini vincono sulla crisi Cresce la quota dei giocattoli

Quanto si spenderà a Natale? Quasi 180 euro a testa in Italia per circa 9 miliardi di euro (220 milioni a Milano, 430 a Roma, 115 a Napoli) è la spesa nelle intenzioni degli italiani finora, in calo di circa il 30% rispetto al 2011, ma si punta ad un recupero con gli acquisti dell’ultima ora. Il 13,5% non farà regali per risparmiare. Va il regalo utile: tra i primi l’abbigliamento (circa un terzo dei regali in Italia, 31,9% – era il 35,3% nel 2011 -; cresce a Milano in un anno dal 27,8% al 30,6%, in calo a Roma dal 40% al 29% e a Napoli dal 38% al 36%), i giocattoli che aumentano per un Natale all’insegna dei più piccoli (crescono ovunque, sono al 12,3% ed erano il 7,3% in Italia, a Roma erano il 7% e raggiungono il 14,5%, a Milano dal 1,7% passano al 14%, a Napoli dal 4,1% all’8,6%), cibo e dolci che spesso includono il tradizionale panettone, in crescita (il 7,9% in Italia, erano il 6,1%, a Milano raddoppiano e raggiungono il 9,3% rispetto al 4,4% del 2011, stabili a Roma col 6,3% dei regali e a Napoli dal 7,8% all’8,2%), soldi (circa un decimo, come nel 2011). A causa della crisi quasi nove italiani su dieci (86,9%) vivranno le feste in tono minore rispetto al passato. Si compreranno meno regali (42,4%) o regali più economici (54,6%) e il 5,7% quest’anno risparmierà sui viaggi di Natale. Emerge da un’indagine della Camera di commercio di Milano attraverso Digicamere con metodo CATI su 811 italiani, 273 a Milano, 271 a Roma e 267 a Napoli a dicembre 2012. Ma c’è anche chi a Natale non festeggia: circa due milioni di italiani, il 4,1% dei residenti. Il difficile momento personale e l’assenza di soldi i motivi per oltre la metà di chi non festeggerà. Anche se il 12,1% non festeggia perché non credente.