Non basta una legge per rilanciare l’occupazione

sicurezza_lavoro_1A dicembre le persone occupate in Italia sono cresciute di 93 mila unità. In tutto questo il Jobs Act, provvedimento che solo dalla scorsa settimana è diventato praticabile, ovviamente non c’entra. E sarà difficile dire quanto c’entrerà anche nelle centinaia di migliaia di assunzioni che verranno fatte quest’anno, come sono state fatte l’anno scorso o prima ancora con lo Statuto dei lavoratori versione originale. Si è assunto e si assumerà non perché c’è una particolare legge piuttosto che un’altra, ma perché c’é necessità. Gli stessi incentivi possono essere un aiuto in più, ma difficilmente porteranno assunzioni che all’azienda non servono. Dato che in questi ultimi anni di bisogno di assunzioni ce n’è stato ben poco, ma c’è stata piuttosto la necessità di gestire personale in eccedenza, una crescita dell’occupazione, unito ad altri indicatori, diventa un segnale particolare positivo.

Il fatto che a dicembre ci sia stata una crescita dell’occupazione senza rinvii delle assunzioni in attesa del Jobs Act conferma che non è la libertà di licenziare liberamente il primo interesse degli imprenditori. Nella generalità (o quasi) dei casi non è così e lo si è visto in concreto, anche in questa crisi che ora sembra verso la fine. A posteriori, almeno nella Bergamasca, si può vedere che non ci sono stati gli sfracelli occupazionali che si potevano temere. Se le aziende non vedevano l’ora di licenziare, lo avrebbero già potuto fare quando oggettivamente c’erano tutte le condizioni per procedere ai tagli e anche la necessità. Invece, anche nelle industrie che hanno dimezzato l’attività produttiva e non per un solo anno, gli organici non si sono ridimensionati in maniera proporzionale, ma ci si è arrabattati per trovare formule per non perdere i lavoratori. In questo caso, si è visto che l’affermazione “le risorse umane sono la ricchezza dell’azienda” non è solo uno slogan.

In questa lettura, che non convince tutti, la filosofia del Jobs act è rivolta a dare all’imprenditore la possibilità di licenziare non quando vuole, ma quando ne ha la necessità. La differenza non è sottile e si basa sulla considerazione – alla base anche dei concordati – che la sopravvivenza dell’azienda passa in certi casi prima di altri interessi come quelli dei creditori o di chi vi lavora. Situazione che non si esclude – molti ne sono certi – potrà dare adito ad abusi, ma sulla quale bisogna dare almeno l’attenuante che, in ogni caso, prima di licenziare con il Jobs act si deve anche assumere con il Job act. In prospettiva questo scomparirà di fronte a una popolazione lavorativa che sarà progressivamente sempre più di “jobsactati” fino ad arrivare, con l’uscita dell’ultimo assunto con la vecchia normativa, alla totalità. A quel punto saranno tutti lavoratori a tempo indeterminato, con minori tutele rispetto a quello che fino a prima del Jobs Act si considerava lavoro fisso. Ma avranno più tutele rispetto a quelle che hanno adesso i precari, ricordando in ogni caso che chi ha meno tutele di tutti sono quelli che il lavoro neanche ce l’hanno.

Porterà il Jobs Act più occupazione? I politici dicono di sì, gli imprenditori sono più dubbiosi, nella convinzione che è solo la maggior richiesta di lavoro, ovvero una ripresa, che può aiutare l’occupazione. Il Jobs act stabilizza sotto questo punto di vista la flessibilità: di fronte all’arrivo di un nuovo ordine si può calcolare in precedenza quanto può essere il costo della necessità di licenziare nel caso che concluso l’ordine, senza averne trovato un altro sostitutivo, l’azienda si trovi in eccesso di capacità produttiva. Può essere, viene ammesso, che di fronte a maggiori certezze sulla possibilità di avere un organico congruo alla situazione un’azienda sia maggiormente disposta ad assumere, e anche che, caduto il vincolo dei 15 dipendenti a fare da discrimine sulle maggiori o minori tutele nei licenziamenti, qualche imprenditore possa decidere di fare un passo in più verso la crescita delle dimensioni. Ci vorrà comunque tempo per questo e anche per vedere il primo inevitabile licenziamento da Jobs act. Nel frattempo se ci sarà una ripartenza dell’economia ci sarà anche un aumento dell’occupazione, nella consapevolezza però che solo la ripresa segnerà il successo del ricorso alle assunzioni, fatte incidentalmente con il Jobs act come legge attualmente in vigore, e non sarà il Jobs act in sé a portare la ripresa.




Riforma delle “Popolari”, Sapelli a Bergamo

Giulio SapelliUn rinnovato modello per le Banche Popolari. È quello che chiede la CISL di Bergamo, anche e soprattutto alla luce delle ultime vicende che hanno riguardato il sistema creditizio provinciale (dalla riforma del governo Renzi alle inchieste riguardanti UBI). A tal proposito, la segreteria CISL di Bergamo, insieme alla categoria dei lavoratori bancari, FIBA, organizza, per l’ 11 marzo, alle 17, alla Sala Galeotti dell’Università di Bergamo, in via dei Caniana, un convegno al quale sono stati invitati Mario Masini, Docente di Economia degli Intermediari Finanziari all’università di Bergamo; Giulio Romani, segretario Generale Fiba Cisl e Giulio Sapelli, Docente di Storia Economica all’Università degli Studi di Milano.

“Le Banche Popolari – dice Ferdinando Piccinini, segretario generale della CISL di Bergamo – da sempre vantano un ruolo importante per l’economia del territorio. La riforma che in concreto modifica la missione e le caratteristiche di questo modello creditizio trova la nostra ferma opposizione ferma. Da sempre sosteniamo che sia essenziale recuperare quel contesto di relazione e partecipazione diffusa che ha rappresentato il patrimonio genuino delle banche popolari”.

Se le soluzioni definitive andassero, come invece è ipotizzato nel testo di riforma attualmente in discussione, in direzione opposta si rischierebbe, secondo Piccinini, “di modificare in modo irreversibile la natura stessa della banca popolare, di porre fine alla sua specificità rispetto alle banche di credito ordinario e di favorire, in un secondo tempo, la loro acquisizione ed assorbimento da parte di queste ultime”.

Il modello della banca popolare, per la CISL di Bergamo, “molto può ancora dare in termini di specificità e di concorrenza in un sistema bancario che appare sempre più sottoposto ai rischi derivanti da una eccessiva concentrazione ed omologazione del mercato. Riteniamo, infatti, che anche se il modello della Banca Popolare, per dimensioni e volumi di affari, appare mutato rispetto alle origini, un’ipotesi di riforma debba cercare di conservare integralmente quel patrimonio di partecipazione dei cittadini e dei lavoratori che ha saputo finora esprimere e valorizzare nel corso della sua lunga storia”.




Al Carroponte si degustano i vini dei Feudi di San Gregorio

feudiI vini dei Feudi di San Gregorio fanno tappa Al Carroponte, il ristorante eno bistrò guidato da Oscar Mazzoleni. L’appuntamento è fissato per il 9 marzo. Il viaggio enogastronomico tra gusti e sentori tipici della Campania prenderà il via alle 20,30 con un menù che contempla micro salmonburger con maionese al pepe rosa, sgombro sott’olio con emulsione al pomodoro e peperoncino verde dolce gratinato al pecorino (abbinati alla Falanghina brut), insalata di baccalà, cavolfiore, acciughe e olive nere (annaffiato dal Campanaro 2013), i fusilli di Gragnano al sugo di carne in lunga cottura (Serpico 2010) e il manzo alla pizzaiola (Taurasi Montevergine riserva 2009). Chiudono le melanzane al cioccolato. Il costo a persona è di 55 euro. La serata è organizzata per un massimo di 35 persone ed è quindi gradita la prenotazione.

Info: Al Carroponte, via De Amicis 4 Bergamo, 035 2652180. www.alcarroponte.it




Arte, cibo e sfilate: così decolla un museo

L'Accademia Carrara di BergamoLa rimessa a nuovo del Colosseo e della Fontana di Trevi hanno finalmente portato l’attenzione sul fenomeno globale delle sponsorizzazioni culturali. Nel Paese che vanta il maggior numero di siti protetti dall’Unesco, il connubio tra industria e mondo della cultura si è risvegliato po’ in ritardo rispetto ad altri luoghi, con i soliti snob e accademici a storcere il naso e mostrare grande perplessità davanti al mecenatismo del 21esimo secolo.

A Londra, dove l’industria culturale è sempre in fermento e le gallerie vengono frequentate quasi più dei cinema, l’alleanza tra arte e business è ormai consolidata e ha consentito la rinascita di musei e istituzioni, che da edifici polverosi ed elitari, sono divenuti luoghi dove è normale incontrarsi il venerdì sera.

Il ruolo dei sostenitori privati è divenuto essenziale dopo i significativi tagli governativi del 2010 alla cultura. Banche, aziende di consulenza, studi di avvocati internazionali sono divenuti la versione contemporanea di Lorenzo de’ Medici, con i loro loghi posizionati strategicamente sui manifesti e i materiali promozionali. Lo scenario tra cui scegliere è vasto e vi è grande flessibilità: si può sponsorizzare una mostra delle durata di tre mesi o diventare un “patron” per diversi anni. I benefici sono molteplici, per tutte le parti. Qualche esempio: i grandi musei possono permettersi di pagare curatori e prestiti di opere importanti, allestendo le cosiddette grandi mostre, che attraggono le masse e rimpinguano le casse dei musei e dei loro bookshop.

Le aziende hanno altri vantaggi. In primo luogo le tasse, perché, con un approccio pratico e conveniente, sponsorizzare o fare una donazione a scopo artistico è detassato. In secondo luogo ci sono dei vantaggi quali accesso in orari riservati, visite guidate per membri del consiglio di amministrazione e i clienti, ingressi scontati e molto spesso gratuiti per i propri dipendenti, possibilità di tenere cene e feste in luoghi storici e prestigiosi.

I musei si sono organizzati a dovere, diventando macchine commerciali organizzatissime, che vanno ben oltre il bookshop con tutti i gadget della mostra. E’ una vera e propria industria dell’intrattenimento che ha creato nuovi posti di lavori e reso comune un uso dei musei che non si ferma alle ore tradizionali di apertura al pubblico, ma va avanti fino a notte fonda. Un bellissimo connubio è nato – negli ultimi anni – tra questi spazi e le grandi case di moda. Si è perso ormai il conto del numero di stilisti che utilizzano luoghi come il V&A o il British Museum per il lancio della propria collezione. Somerset House, che ospita una delle collezioni di impressionisti più belle al mondo al di fuori del Museo D’Orsay di Parigi, è divenuta da qualche anno a questa parte, la sede ufficiale della London Fashion Week, ospitando decine di sfilate tra le sue mura e i suoi lunghi corridoi. Un altro punto forza su cui i musei hanno puntato è il cibo, perché hanno capito in fretta che le più belle opere d’arte o i reperti storici più unici al mondo non bastano a creare un’esperienza memorabile. Un buon caffè e una fetta di torta possono fare la differenza quando si è colti da “museum fatigue”.

Queste caffetterie diventano – specialmente durante la settimana – luoghi che giovani mamme e pensionati usano per incontrarsi, gomito a gomito con chi vi fa un formale incontro di lavoro.

Il museo veste diversi abiti a seconda del momento della giornata, divenendo luogo di scambio di idee, business e aggregazione, senza tradire le sue origini.




Antonio Lecchi: «Purtroppo il cliente si interessa sempre meno al servizio»

Per Antonio Lecchi, patron del ristorante Al Rustico di Sorisole, “il problema ė che il cliente si sta abituando a non ritenere così determinante il servizio. Ė attento al prezzo, al cibo e fa poco caso all’accoglienza in sala”.

Antonio LecchiInsomma, una volta che ha mangiato bene e ha speso poco ė contento. La dimostrazione è che “gli agriturismi, dove per lo più non c’ė un servizio curato, sono pieni e i ristoranti mezzi vuoti”.

“Il mestiere di cameriere – spiega Lecchi – è diventato poco sentito forse per questo, perché la clientela ė poco attenta e pensa più all’aspetto economico. Inoltre, se si ha famiglia lavorare di sera, il sabato e la domenica ė un problema. Così accettano di fare questo lavoro solo quelli che sono costretti”.

Il risultato è che nella professione impera l’improvvisazione. La maggior parte del personale in giro oggi per i ristoranti – vuoi a causa della crisi, vuoi del proprietario del ristorante che vuole risparmiare – sono camerieri fai da te.

Inoltre si moltiplicano i locali dove il cameriere è un ragazzo sotto i trent’anni, ha un grembiule nero, ti tratta come fossi un amico e sta servendo ai tavoli per pagarsi l’università. Peccato che spesso l’aspetto informale nasconda di fatto assenza di professionalità e faciloneria.

“Un servizio professionale oggi non c’è – sostiene Lecchi -. La scuola alberghiera in Italia non c’è più. Chi si propone come cameriere non ha preparazione, capita il ragioniere che ha fatto il corso per sommelier, poi ci sono i ragazzi selezionati tramite le agenzie interinali. Tutti vogliono lavorare ma oggi ci sono dopodomani magari no. Così ognuno di noi ‘si ruba’ i più bravi o cerca di fargli imparare il mestiere ‘in casa’. Ma spesso, dopo avergli pagato i corsi ti dicono che se ne vanno perché in un altro locale gli hanno offerto cinquanta euro in più o perché la moglie ha problemi e così si perde l’investimento fatto su di loro, oltre che un bravo cameriere”.

Secondo Lecchi “i ragazzi devono capire che fare il cameriere ė un mestiere di cui essere orgogliosi, è un mondo intero che non si esaurisce nel servire i piatti ma è fatto di tante componenti. I clienti da parte loro devono riscoprire il piacere di un buon servizio in sala, di scambiare due parole, farsi consigliare un buon rum”. Anche per il ristoratore di Sorisole servirebbe una legge che regoli meglio gli orari di lavoro.




Petronilla Frosio: «Servono contratti di lavoro più flessibili»

“È da tempo che segnaliamo questo problema. Quella del cameriere è una professione non socialmente riconosciuta. La televisione toglie interesse verso il lavoro di sala – dice Petronilla Frosio, titolare del ristorante Posta a Sant’Omobono e presidente dei ristoratori bergamaschi dell’Ascom -. Per la maggior parte dei candidati essere cameriere oggi è solo un ripiego, un lavoro momentaneo per guadagnare qualche soldo in un periodo di disoccupazione”. “Dovrebbero inventare un format che valorizzi il personale di sala” – lancia l’idea Frosio.

Petronilla Frosio è presidente dei Ristoratori Ascom
Petronilla Frosio è presidente dei Ristoratori Ascom

In effetti a proporsi sono giovani universitari, ragazzi disoccupati che lavorano come camerieri per brevi periodi e per necessità più che per scelta. Quelli che vogliono professionalizzarsi sono pochi, pochissimi.

“I ragazzi non capiscono che non sono più portapiatti. Il cameriere è una figura tanto importante quanto il cuoco – afferma la ristoratrice –. Ė un lavoro che presuppone una serie di requisiti, conoscere le lingue soprattutto, accogliere con il sorriso, conoscere il vino e oggi, con la normativa sugli allergeni, intuire, chiedere preventivamente al tavolo se ci sono delle intolleranze”.

Al di là del poco riconoscimento sociale, a scoraggiare dal fare questo mestiere ci sono anche gli orari. “I ragazzi quando fanno i colloqui chiedono quante ore devono lavorare e quante ferie hanno. Si parte da lì e poi ė tutto in salita. Ė passata l’idea che il tempo libero ė la cosa più preziosa. I giovani il sabato e la domenica vogliono divertirsi, gli adulti hanno famiglia e non vogliono sacrificarla”.

La questione però non si esaurisce nella scarsa motivazione e preparazione del personale di sala. C’è un problema normativo . “Nella nostra attività – segnala Frosio – il lavoro si inventa tutti i giorni. Ci sono alti e bassi come non mai. O non fai niente o fai troppo. I clienti finiscono di mangiare alle 11 di sera ma stanno seduti fino all’una e trenta. Il personale sta due ore a girarsi i pollici e poi deve riordinare la sala, è l’ultimo a finire”. “Nei ristoranti che fanno banchetti quando c’è un matrimonio i camerieri lavorano 14/15 ore come si fa a metterli in busta paga? – aggiunge Frosio -. Allora si compensa in qualche modo ma si è passibili di rischi. E poi ci sono gli orari di apertura, diversi da un’attività a un’altra. Il lavoro è complicato. I contratti sono arcaici. Gli stipendi sono sempre più bassi. Ci vorrebbero contratti nuovi, più flessibili, ad esempio, se vieni a lavorare un tot di ore lo stipendio ė questo, che non significa non volere pagare le tasse. Il giorno di Natale o di Pasqua dobbiamo pagarlo doppio, ma io non faccio pagare doppio il cliente”.

 




Vono (Ipssar San Pellegrino): «È vero, i programmi sono un po’ datati»

Che il lavoro di cameriere sia divenuto poco attraente e soprattutto poco professionalizzato lo dimostra il calo di alunni che scelgono questo percorso di studi. Una caduta in picchiata se si pensa che all’istituto Alberghiero di San Pellegrino rispetto a tre anni fa i futuri camerieri sono diminuiti del 40%.

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Piergiuseppe Vono

Per Piergiuseppe Vono, docente del centro scolastico brembano, “i ragazzi sono motivati. Il problema non è questo”.  “Il fatto – spiega – è che i genitori sull’onda dei programmi televisivi, inculcano nei figli l’idea di fare cucina e non sala e gli stessi ristoratori orobici puntano sulla cucina più che sul servizio. E così i ragazzi non vengono invogliati a questo lavoro”.

Insomma, la questione sarebbe ribaltata. Vono da parte sua incassa l’accusa e riconosce la debolezza nel sistema formativo.

“I programmi ministeriali sono arretrati – dice -. Le materie così come sono previste sono generiche e quindi poco interessanti per i ragazzi. Non sono all’avanguardia, dovrebbero essere aggiornate sulle evoluzioni della professione. La cucina motiva anche perché già dalla prima classe lavorano sugli elementi. In sala purtroppo cominciano più tardi”.




Fattura elettronica obbligatoria, per le imprese c’è l’assistenza

Il 31 marzo entrerà in vigore l’obbligo di fatturazione elettronica nei confronti della Pubblica Amministrazione. A partire dalla prossima primavera, quindi, i fornitori di beni e servizi agli enti pubblici dovranno emettere, trasmettere, conservare e archiviare esclusivamente in forma elettronica le fatture emesse verso Regioni, Province, Comuni, Asl, Camere di Commercio, consorzi universitari di ricerca, ecc.

L’obbligo è stato introdotto dalla Finanziaria 2008 e ha l’obiettivo di assicurare l’effettiva tracciabilità dei pagamenti garantendo un maggior controllo della spesa pubblica. Per chi non si metterà in regola, sono previste conseguenze pesanti: trascorsi tre mesi dall’entrata in vigore del nuovo obbligo, le fatture emesse e presentate in formato cartaceo non saranno più pagate, neppure in misura parziale, fino all’invio del documento in forma elettronica.

fattura elettronica

La fattura elettronica dovrà essere presentata nel formato XML e dovrà contenere il Codice destinatario ovvero il codice identificativo dell’ufficio al quale è destinata (IPA), tutti i dati relativi al contratto di acquisto, eventuali altre informazioni utili come condizioni e termini di pagamento, dettagli sui beni/servizi oggetto della fornitura e la firma digitale qualificata di chi emette la fattura. La trasmissione della FatturaPA dovrà avvenire attraverso il Sistema di Interscambio, coordinato con quello della fiscalità controllato dall’Agenzia delle Entrate, a cui spetta anche il compito di elaborare i flussi informativi. Una volta inviata la fattura, il prestatore d’opera riceverà una ricevuta di consegna se l’iter ha avuto esito positivo o una notifica di mancata consegna in caso contrario (la fattura viene comunque considerata emessa).

Per la compilazione, la trasmissione e l’archiviazione sostitutiva della fattura elettronica gli operatori del commercio, turismo e servizi associati possono rivolgersi all’Ascom di Bergamo. Per avere informazioni e accedere al servizio di fatturazione elettronica dell’Associazione si può contattare il numero 035 4120114.

Dettagliate informazioni sul nuovo obbligo possono essere consultate al sito internet www.fatturapa.gov.it.




L’accordo / L’agricoltura promuove la sicurezza

È stato formalizzato lo scorso 18 novembre, presso la sede provinciale della Regione Lombardia, un accordo di collaborazione tra le principali associazioni di categoria del mondo agricolo, tra cui Upag Agrigarden Ascom,  per la sicurezza. L’intesa, che ha come oggetto la programmazione, progettazione e realizzazione di iniziative finalizzate ad aggiornare sulle novità in materia di sicurezza e a promuovere buone prassi nel settore agricolo, è il risultato di anni di impegno sul fronte della prevenzione, a partire dal “Tavolo trattori” attivo dal 2008 per la manutenzione dei mezzi agricoli.

 

Inail, Regione/Ster, Asl, Coldiretti, Confagricoltura, Confai, Upag e i sindacati (Cgil/Flai e Uila/Uil) hanno costituito un gruppo di lavoro  per ideare e coordinare attività sulla prevenzione, formazione e informazione degli utenti agricoli in materia di sicurezza. In attesa dell’avvio dell’Ente Bilaterale di comparto, le associazioni si impegnano a condividere criteri di qualità per la formazione dei lavoratori e delle figure di sistema. Il gruppo di lavoro si occupa anche di raccogliere informazioni statistiche relative agli infortuni e alle malattie occorsi a operatori agricoli e garden, oltre a promuovere la realizzazione e l’aggiornamento del censimento delle figure di sistema presenti nel comparto agricolo per organizzare ed approfondire la formazione all’esercizio di ruolo. A firmare il protocollo d’intesa Santa Picone, direttore dell’ Inail di Bergamo, Claudio Merati, dirigente Ster Bergamo/Regione Lombardia, Mara Azzi, direttore generale Asl Bergamo, Alberto Brivio, presidente di Coldiretti Bergamo, Aldo Marcassoli, direttore della Confagricoltura provinciale, Leonardo Bolis, presidente di Confai Bergamo, Mauro Stefanelli, presidente Upag Agrigarden Ascom, Flavio Rottigni della Cgil/Flai Bergamo e Rossella Valente della Uila/Uil Bergamo.




Le Pmi e gli strumenti d’innovazione

Si terrà giovedì 27 novembre, alle 17, nella Sala Conferenze del Polo Tecnologico di Dalmine, in via Pasubio 5, l’evento dal titolo “Piccole e medie imprese: quali strumenti di innovazione?” a conclusione dell’edizione 2014 del progetto “Sviluppo Competitivo Veloce nelle Pmi”.
L’iniziativa, finanziata dalla Camera di Commercio di Bergamo e realizzata da Bergamo Sviluppo in collaborazione con le Organizzazioni di categoria del territorio, ha permesso a 20 imprese di sperimentare la realizzazione di progetti di innovazione, organizzativa/gestionale o tecnologica, attraverso il supporto di consulenti esperti e di 20 laureandi dell’Università degli Studi di Bergamo.
All’evento interverranno, oltre alle aziende e agli studenti coinvolti (a cui saranno consegnati gli attestati di partecipazione): Gianluigi Viscardi e Maria Teresa Azzola, delegati all’Innovazione di Bergamo Sviluppo; Sergio Panseri, consulente di direzione e responsabile dei check up realizzati nelle aziende; Caterina Rizzi, direttore Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione e della Produzione dell’Università degli Studi di Bergamo e Giovanni Guida, professore Ordinario, Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università degli Studi di Brescia. La partecipazione è gratuita.