Nocino, tre appuntamenti per imparare a prepararlo

bioparco nocino san giovanni16Al via venerdì 24 giugno, a Gaverina Terme, la tradizionale preparazione del nocino secondo la “Ricetta della Zia Gina”, in base alla quale le noci devono essere raccolte a mano proprio in quella data, la notte di San Giovanni Battista.

Il programma – promosso dalla Valle delle Sorgenti / Bioparco della Val Cavallina – prevede la cena alle 20, a Cà Valù (al costo di 20 euro) e quindi la raccolta delle noci. Domenica 26, invece, si parte alle 9,30 con la camminata nel Bioparco, la visita guidata alla Grotta di Calcite e al Cristo della Forcella, quindi pranzo alle 12,30 (25 euro) sempre a Cà Valù e il via alla preparazione del liquore.

L’ultimo passaggio si terrà ad agosto, domenica 7. Si comincerà alle 9,30 con la visita guidata al centro Coltivazione di Valle, seguita dal pranzo a Cà Valù (25 euro) e il via alla filtrazione e all’imbottigliamento del nocino. Ogni partecipante riceverà una tessera che verrà vidimata nelle varie tappe; tutti coloro che avranno partecipato almeno a due appuntamenti riceveranno gratuitamente un litro del liquore preparato.

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Ebbene sì, siamo polentoni ma anche mangiamaccheroni

BlochCapita sovente che lungo i secoli una vivanda, pur mantenendosi pressoché inalterata nella sua morfologia, finisca per variare di denominazione, o che altresì la medesima voce culinaria passi di epoca in epoca a designare pietanze differenti. La pizza napoletana di cui nel cinquecento Bartolomeo Scappi forniva la ricetta ha per esempio ben poco a che vedere con il disco di pasta di pane spennellato di salsa di pomodoro – ai tempi dell’impareggiabile cuciniere pontificio peraltro ancora sconosciuta – che negli ultimi cento anni ha conquistato un successo planetario.  Si trattava piuttosto di una torta – invero piuttosto greve ai palati contemporanei – a base di frutta passa, mandorle e pinoli.

La più emblematica tra tutte queste trasmigrazioni gastronomico-lessicali è forse quella che ha interessato il maccherone. E’ ben noto che il vocabolo sia da un paio di secoli associato ad un celebre cannello di pasta, eletto a vessillo della cucina partenopea. Ma nei trattati di cucina del quattro/cinquecento, redatti entro gli elitari confini della gastronomia aristocratica, il termine individuava invece i formati che oggi si definirebbero spaghetti o fettuccine. E non sussiste dubbio che la denominazione dell’alimento e l’ispirazione che ne dettò l’ideazione fossero stati attinti da un’ancor più antica minestra asciutta della cucina popolaresca. Ad attestarlo è la testimonianza di una vera e propria autorità in materia – ed altrimenti non potrebbe essere, dato che si parla del massimo esponente del movimento poetico maccheronico del XVI secolo.

Chiosando Teofilo Folengo, il maccherone nelle sue vesti primitive era infatti uno gnocco impastato con sole farina ed acqua, con l’opzionale aggiunta di pangrattato. A rimarcarne i natali plebei, il letterato precisava si trattasse di un cibo grassum – in quanto grondante di burro fuso e generosamente asperso di cacio grattato -, rude et rusticanum. Della pietanza il Merlin Cocai ha persino consegnato ai posteri un’eloquente raffigurazione: una xilografia a corredo delle edizioni cinquecentesche delle Maccheronee ritrae invero il poeta nell’atto di essere imboccato da Zana – una delle strampalate muse dell’opera – con un panciuto boccone di pasta infilzato su uno stecco.

Fu sempre l’eccentrico cantore mantovano a certificare l’identità padana della vivanda, evidenziando gli stretti vincoli che la legavano al più iconico dei cibi del settentrione. Nel trattare del maccus, che dell’arcaico gnocco rappresentava tanto l’irrefutabile radice lessicale quanto la materia prima originaria, Folengo constatava che ai suoi giorni questo fosse ormai una farinata di semola di cereali, e chiaramente non più una pappa a base di fave alla moda degli antichi romani. Tra polenta tardo medievale e maccherone dei primordi corre dunque un distinguibile fil rouge..

Non sorprende che l’antico formato di pasta abbia lasciato profonde tracce nella tradizione culinaria bergamasca, sempre restia a dismettere gli usi del passato remoto. Nella media e nell’alta valle Seriana si preparano ancor oggi gli gnoch in còla, attenendosi pressoché letteralmente al procedimento codificato dal Merlin Cocai. Una singolare reinterpretazione dell’alimento figura inoltre all’alba dell’ottocento ne La nuovissima cucina economica di Vincenzo Agnoletti, celebre per aver ricoperto il ruolo di personal chef di Maria Luigia di Parma. E’ pur vero che i mondiotti alla bergamasca dell’illustre cuoco romano rechino chiaramente impresso, prevedendo l’utilizzo della pâte à choux nell’impasto e della besciamella nel condimento, l’inconfondibile marchio della cucina borghese d’oltralpe – ed oggi verrebbero più propriamente chiamati gnocchi alla parigina. Ciò nondimeno la ricetta non manca di segnalare quanto profondamente radicato fosse nel circondario orobico questo genere di pietanza.

Preme infine ripercorrere i rimbalzi tra differenti genie compiuti attraverso i secoli dall’epiteto di mangiamaccheroni, della cui ricostruzione siamo debitori al grande Emilio Sereni. E’ anzitutto assodato che, a partire dal XVIII secolo, il nomignolo sia di esclusiva spettanza dei napoletani. Ma in una commedia del cinquecento – La vedova (1569) di Giambattista Cini – è altresì un gentiluomo partenopeo a dare del manciamaccaroni ad un soldato siciliano, venendo da quest’ultimo contraccambiato con il titolo di manciafogghia. Ed in effetti proprio in Trinacria ebbe inizio, all’alba del basso medioevo, la produzione industriale di paste alimentari, quando invece Napoli andava famosa per le sue verdure. Grazie a Teofilo Folengo sappiamo comunque che le prime orme di un divoratore di maccheroni siano state quelle lasciate, ancor più anticamente che in Sicilia, da qualche nostro avo sul ferace suolo della valle Padana. Polentoni, certo, ma al tempo stesso pure mangiamaccheroni.




Funghi dai fondi di caffè, un kit per produrli in casa

FungoBox_kit-fai-da-te-02Altro che basilico, timo e salvia. La cucina si può arricchire anche di funghi fai da te grazie al progetto dell’impresa sociale Upcycle Italia, che ha realizzato un kit che permette di coltivare in casa funghi buoni e sostenibili partendo dai fondi di caffè esausti.

Si chiama Fungo Box ed è un emblema di quell’economia circolare secondo la quale ogni innovazione e produzione deve essere pensata sempre all’interno di un ecosistema in cui gli scarti diventano risorse.

Tutto è iniziato da un cestino che per sei mesi ha raccolto i fondi esausti di migliaia di caffè preparati nel bar Lavazza del Padiglione Italia di Expo: 1.500 kg di fondi di caffè esausti sono stati recuperati da Amsa, portati in Cascina Flora, nel comune milanese di Locate Triulzi, e trasformati dai ragazzi di Upcycle Italia in fertile terriccio, producendo 150 kg di funghi.

Il progetto è stato raccontato all’interno del Sustainability Hub di Lavazza e Novamont presso Cascina Cuccagna, a Milano, riscuotendo un grande interesse di pubblico e stampa e nuovamente alla fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili “Fa’ la cosa giusta”.

Ma come funziona il kit? Una volta aperta la busta sottovuoto contenente il composto di caffè, cellulosa e micelio, basta riporla nuovamente nella confezione in cartone riciclato e inciderla lungo le linee tratteggiate. Si fa riposare Fungo Box una notte in frigorifero, poi lo si annaffia e si aspetta. Dopo circa 2 settimane i primi funghi fatti in casa saranno pronti per essere colti e mangiati.

«Il nostro scopo è quello di aiutare le città e gli individui a coltivare, vivere, pensare in modo più sostenibile e… circolare – spiegano gli ideatori -. Per questo, abbiamo individuato nella polvere di caffè usato un rifiuto molto interessante in quanto particolarmente ricco (contiene ancora il 99,8% dei componenti nutritivi del caffè) e perché l’altissima temperatura dell’acqua delle macchinette lo ha sterilizzato e reso “pulito”. Ogni giorno recuperiamo il caffè usato e lo trasformiamo in terreno di coltura. Abbiamo poi selezionato diverse tipologie di funghi commestibili in grado di crescere su una base di caffè esausto, tra questi i famosi funghi Ostrica, o Pleurotus, che noi commercializziamo sotto forma di kit: Fungo Box. Dopo la produzione e il raccolto dei funghi, il terriccio ciò che resta diventa un eccellente ammendante per il terreno e quindi una nuova risorsa per rigenerare il suolo dell’agricoltura peri-urbana».

I funghi in box sarebbero anche di una qualità migliore rispetto a quelli coltivati secondo metodologie standard ed hanno già strizzato l’occhio a chef e foodblogger.




L’Ais di Bergamo accende i riflettori sui vini austriaci

 

vini austriaciLa delegazione dell’Ais di Bergamo organizza, per il 15 giugno, una serata dedicata ai vini austriaci. Relatore Nicola Bonera. L’appuntamento è fissato per le 20,45 all’hotel Settecento di Presezzo. I Celti furono i primi a coltivare la vite in questa zona nel ‘500 a.C. Poi vi si dedicarono anche i Romani, precisamente, nell’impero di Noricum e Pannonia situati nella zona sud orientale, dell’attuale Austria. Nel Medioevo poi, la fama di questi vini raggiunse livelli inaspettati e questi divennero tra i prodotti più esportati nel mondo allora conosciuto ed organizzato a livello commerciale. Durante le guerre napoleoniche, però, questi vigneti subirono ingenti danni e la viticoltura riprese, a livello qualitativo, solo molti anni dopo. Nel 1860, a Klosterneubourg, venne fondata la prima scuola di viticoltura, enologia, sperimentazione e ricerca botanica. Attualmente in Austria vige un disciplinare di produzione estremamente restrittivo. Anzi, è il disciplinare più restrittivo d’Europa. Le zone vitivinicole – paesaggi di estrema bellezza – sono la Bassa Austria, considerata anche la più importante con i suoi famosissimi distretti Donauland- Carnuntum, Kamptal-Donauland, Thermenregion, Wachau, Weinviertel, dove fra le ripide colline spesso assolate e cullati da brezze perenni, vengono elevati alcuni fra i più grandi vitigni autoctoni al mondo; Grüner Veltliner, Riesling, Welschriesling, Weissburgunder. Uve che danno vini dai sentori terziari, franchi, unici ed infinitamente persistenti. Ancora la terra di Burgeland, famosissima soprattutto per i suoi passiti e per Traminer e Fourmint, oltre ai già citati Welschriesling e Weissburgunder ed altrettanto ancora per il suo lago, attorno alle cui sponde, si elaborano vini di estrema eleganza ed importantissima persistenza; la Stiria, nota per il Morillon, clone dello Chardonnay, il Trainer, ed ancor di più per il grandissimo Sauvignon Blanc qui coltivato. Infine la zona di Vienna, che non solo dell’Austria è la capitale, ma che è anche un importante terra di produzione vitivinicola. Scoprire quale sarà, o meglio, quali saranno le zone ed i vini di rara eleganza e reperibilità degustati, sarà l’obiettivo dei partecipanti, sia per riflettere che eventualmente per permettere future tappe conoscitive sull”Europa vitivinicola centrale. Sei i vini in degustazione e un piatto finale in abbinamento. Il costo è di 55 euro per i soci  e di 68 per i non soci.

Info e prenotazioni: Roberta Agnelli | roberta.agnelli@aislombardia.it – 3477321538; Luigi Mascheretti -| mascherettiluigi@libero.it – 3492676432.

 




Dai “cjarsons” un modello di promozione per il casoncello

CabiaQuella di cui l’amena Sutrio ha da poco ospitato la terza edizione rappresenta, a giudizio di chi scrive, una tra le più riuscite ed originali manifestazioni enogastronomiche dell’intera Penisola. In essa dieci contrade della Carnia propongono annualmente, in una tenzone dall’afflato più propositivo che competitivo, altrettante declinazioni borgherecce dei cjarsons – i celebri tortelli friulani lontanamente imparentati con i nostri casoncelli. Provare a tratteggiare un profilo coerente della pietanza, nella molteplicità delle sue versioni, risulta decisamente arduo: si tratta di un raviolo dal ripieno non carneo, usualmente a base di ricotta o di patate, avviluppato in una sfoglia piuttosto grezza ottenuta impastando sole farina ed acqua.

Tra le note aromatiche della farcia prevalgono quelle della melissa, ed una quasi onnipresente tendenza dolce apportata dalla frutta – tanto fresca (pere, come nel raviolo bergamasco) che secca, candita o in confettura. Le interpretazioni più ardite si spingono sino ad azzardare l’inclusione del cioccolato fondente, del rum e del vermut. Il condimento – quello invece sì – è uguale per tutti: burro fuso ed una grattugiata di scuete fumade (ricotta affumicata). A margine del percorso gastronomico, graduato per impatto gustativo delle pietanze, è proposta una serie di abbinamenti enoici regionali che regalano gemme quali il Friulano di Robert Princic o il Sauvignon di Graziano Specogna. Gli organizzatori preavvisano che si tratta di “assaggi”, ma le dosi, in un circondario dalla proverbiale devozione a Bacco, non sono certo da avvinamento dei calici come in troppe degustazioni d’oggi.

I Cjarsons
I Cjarsons

La manifestazione, che richiama migliaia di appassionati anche d’oltreconfine, ha l’indiscutibile merito di aver contribuito a fissare le variazioni locali sul tema del cjarson preservandole da un altrimenti irrimediabile caduta nell’oblio. Un analogo sforzo andrebbe a mio avviso compiuto con riguardo al tortello bergamasco, prodigo di secolari interpretazioni paesane – se non addirittura familiari – che rischiano di svaporare schiacciate dall’inflessibilità dei disciplinari. Sogno ad occhi aperti di poter un giorno addentare, per le vie di Città Alta, un casoncello alla moda antica – quello, per intenderci, con la farcia a base di pere spadone, amaretti, mandorle e cedro candito –  magari accompagnato ad un calice di Moscato di Scanzo. A quando anche a Bergamo una rassegna come quella di Sutrio?

                                                               




“Pioniere” del Valcalepio, a Falconi di Villongo l’onorificenza di Cavaliere

Angelo Falconi con il vicesindaco di Villongo Danilo Bellini
Angelo Falconi con il vicesindaco di Villongo Danilo Bellini in occasione della cerimonia di consegna dei riconoscimenti

«Con orgoglio posso asserire di aver iniziato a 7 anni a pigiare con i piedi l’uva nei tini e di aver portato sulle spalle la famosa “brentina” e la “barile”». Parole di Angelo Falconi, titolare dell’Azienda Vinicola Valcalepio dei Fratelli Falconi di Villongo, che in occasione della Festa della 2 giugno è salito sul palco di piazzale Alpini a Bergamo per ricevere dalle mani del prefetto Francesca Ferrandino il diploma dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana”, concessa dal presidente Sergio Mattarella, su proposta della presidenza del Consiglio dei Ministri, e assegnata quest’anno in totale a 9 bergamaschi, ai quali si aggiunge un’onorificenza di Ufficiale.

Falconi è originario della frazione Collepiano del comune di Adrara San Martino, località già vocata per la coltivazione della vite, da dove proviene la sua famiglia. “Colplano”, in latino, è citata in un testamento redatto dal notaio Flaccadori e depositato presso l’Archivio notarile di Stato, che documenta di un lascito ai poveri di Adrara di due carri di vino da parte di un certo Bernardo Falconi nel 1533. La tradizione di operosità della famiglia Falconi come viticoltori sulle colline di Collepiano ha dunque radici lontane.

Nel 1948 la famiglia al completo si trasferisce nel capoluogo, ad Adrara, e più avanti a Villongo. Nel 1952 i Falconi sono obbligati a fare la licenza di commercio pur continuando a coltivare la vite e a produrre vino con iscrizione all’Associazione Coltivatori Diretti.

È nel 1952 che nasce l’Azienda Vinicola Valcalepio. Ricorda Angelo Falconi: «Ritiravamo il mosto di vino dai viticoltori della zona Valcalepio, essendo la nostra produzione, nonostante fosse cospicua, insufficiente ad accontentare la nostra affezionata clientela. È per questo che è nata l’idea di chiamare la nostra Azienda Vinicola Valcalepio. Fino alla nascita, nel 1974, del disciplinare della Denominazione di origine controllata abbiamo sempre venduto il vino con la dicitura Rubino di Valcalepio per il rosso e Fior di Valcalepio per il bianco». Precoce quindi l’intuizione della famiglia, che ha creduto nella vocazione vinicola della valle dalla quale provenivano le uve utilizzate per la vinificazione.

Cav.Angelo FalconiL’Azienda ha potuto continuare a tenere in etichetta la denominazione di Azienda Vinicola Valcalepio dei F.lli Falconi ricevendo tramite decreto l’autorizzazione del Ministero dell’Agricoltura e Foreste di Roma.

Angelo Falconi, 74 anni con oltre 50 di lavoro in azienda, è ancora impegnato in prima persona nell’attività, che ha sede sulla strada provinciale per i Colli di San Fermo e si dedica all’imbottigliamento e alla commercializzazione, forte di una consolidata clientela.

Associata al “Consorzio Tutela Valcalepio”, è un’impresa storica e una delle prime vinicole bergamasche, premiata anche nel 2012 dalla Camera di Commercio di Bergamo con il Riconoscimento del lavoro e del progresso economico.




“La Toscana a tavola”, serata a Porta Osio

Porta OsioChi vuole gustare una cena tipica Toscana, alla ricerca dei sapori di una volta con una scelta di piatti tradizionali, da veri buongustai, si annoti la data del 26 maggio, alle 20. Il locale Porta Osio, a Bergamo, guidato da Pier Aresi, propone infatti la serata “La Toscana a tavola” con un menù ad hoc. Si parte con Crostone di pane con fegatini di coniglio, a seguire La nostra Panzanella, quindi I Pici del Pastificio Morelli con sugo d’anatra, timo e pecorino e, infine, l’Arista di Cinta Senese con crema di carote e lavanda. Lo Zuccotto a modo nostro con cioccolato fondente e canditi chiude la proposta insieme al Caffè e cantucci. Il prezzo a persona è di 35 euro, bevande escluse. La serata é organizzata per un numero massimo di 35 persone ed è quindi gradita la prenotazione.Informazioni: Ristorante-Enoteca Porta Osio, via G.B. Moroni 180, info@portaosio.net – Tel. 035-219297




Gli champagne di Bottazzi tengono banco Al Carroponte

Lo champagne ha tenuto banco Al Carroponte di via De Amicis, a Bergamo. Mercoledì sera quattro proposte di due produttori, Le Brun Severnay e Caillez Lemaire, hanno infatti accompagnato un gustoso e bilanciato menù a base di pesce. Alla serata ha partecipato anche l’azienda importatrice Bottazzi, una storica realtà tutta italiana nata nel 1957 e condotta oggi dalla terza generazione di appassionati di enologia. È stato lo stesso Bruno Bottazzi in persona a illustrare le peculiarità dei prodotti selezionati per il tasting da Oscar Mazzoleni, titolare di Al Carroponte da oltre un anno e con un’esperienza ventennale da maître e sommelier in realtà stellate nazionali ed estere.

Mazzoleni, profondo appassionato di bollicine, ha conosciuto Bruno Bottazzi e i suoi champagne poco più di un anno fa, ne ha apprezzato le interessanti qualità e ha deciso di proporre ai suoi ospiti ciò che maggiormente lo ha colpito: Caillez Lemarie Rosé Extra Dry, poi due Le Brun Severnay (Extra Brut Sélection e Cuvée X.B. 2.5) e, infine, Caillez Lemaire Champagne Cuvée Jadis Brut Fut de Chene 2006. Quattro proposte che hanno accompagnato un menù ben abbinato alle bollicine: Gazpacho di pomodoro con gambero rosso di Mazara del Vallo; Tataki di tonno con crema di mais e pop corn; Truciolo Carla Latini dedicato a Marchesi con broccolo romano, guanciale croccante e petali di pecorino; Trancio di tonno rosso alle erbe fini con fave ai due colori e, per concludere, Cheese cake con zuppetta di mango e fava tonka.




Onaf in Val Taleggio alla scoperta dei formaggi a pasta molle

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I prodotti caseari sanno protagonisti a “Dalla pianura alla montagna: la stagionatura e l’affinamento dei formaggi a pasta molle”, iniziativa primaverile del ciclo “Alle origini del formaggio” promossa da Onaf Bergamo sabato 21 maggio a Peghera in Valtaleggio. La visita si terrà a partire dalle ore 9.30  presso CasArrigoni in via Arnoldi 575. Grazie alla guida di Alvaro Ravasio di CasArrigoni, presidente del Consorzio per la Tutela Strachitunt DOP e degli esperti Onaf  di Bergamo, si potrà conoscere come avviene il processo di maturazione, come selezionare, stagionare e affinare i formaggi a pasta molle. Il ritrovo sarà alle 9.30 a CasArrigoni. Quindi prenderà il via la visita degli ambienti interrati, realizzati con materiali naturali e adibiti alla stagionatura. Si parlerà di come umidità, temperatura, casse di legno di pino, teli in cotone, salatura manuale, spazzolatura, spugnatura, maturazione centripeda influenzano le caratteristiche strutturali eorganolettiche dei formaggi molli. Infine, sarà proposta in degustazione una selezione di prodotti, dai Domitilla caciotta di latte capra, Taleggio DOP a latte crudo, prodotto e stagionato in Valtaleggio, Stracchino di Vedeseta da latte appena munto di vacche di razza Bruna, al Roccolo formaggio molle a pasta cruda, giudicato uno dei 58 formaggi più buoni del mondo (Super Gold Award 2013); fino allo Strachitunt DOP, erborinato naturale a due paste e il Rosso Imperiale, erborinato piccante affinato con pigiato d’uva di Recioto e vino passito. La visita terminerà alle 12 circa. Per partecipare è richiesta una quota di 10€. Per prenotarsi, scrivere una mail a bergamo@onaf.it o inviare un sms al 3392334 029, entro giovedì 19 maggio.

CasArrigoni è un’azienda di medie dimensioni storicamente legata alla valle dove ha sede e origine: la Valtaleggio. Li la tradizione casearia radicata ha condotto due fratelli, Tina e Marco Arrigoni , con Alvaro rispettivamente marito e cognato, a intraprendere un attività di stagionatura dei formaggi che fanno parte della grande tradizione casearia lombarda. L’azienda, che incentra la propria strategia su prodotti di altissima qualità e sul sostegno e recupero dell’economia e storia locale, si è negli anni orientata lungo tre principali direttrici: la cura nella stagionatura in montagna secondo metodi tradizionali, la diffusione di produzioni piccole e antiche e la creazioni di nuovi formaggi che hanno avuto riconoscimenti a livello internazionale.




Accademia del Gusto, le agenzie di viaggio scoprono la Thailandia

accademiagustoascom cartelloL’Accademia del Gusto incontra la Thailandia. Giovedì 19 maggio, a partire dalle ore 19, la Scuola di cucina di Ascom ospita trenta agenzie di viaggio che si sfidano nella preparazione di un menù thailandese. Conoscenza e gusto dello stile thai diventano così veicolo di un territorio meta di molti italiani e bergamaschi. All’evento sono presenti rappresentanti dell’Ente del Turismo Tailandese e delle compagnie aeree Thai Airways e Bangkok Airways. L’iniziativa è promossa dal tour operator Amo il Mondo, divisione di Settemari spa, operatore attivo da oltre 30 anni nell’outbound turistico, che ha lanciato COOKING LAB, un format di incontri con le agenzie di viaggio, che si rifà alle proposte esclusive di turismo esperienziale, caratteristiche della propria programmazione.

Il concept originale è stato pensato per far vivere ai partecipanti una serata divertente e mirata a conoscere uno degli aspetti più autentici della cultura di un territorio, la sua gastronomia, prendendo parte attivamente, in una vera scuola di cucina, alla realizzazione di un menù tipico, seguito da una degustazione dei piatti preparati. “Abbiamo accettato con molto entusiasmo la sfida di Amo il Mondo nel proporre una serata a tema con un percorso didattico esperienziale che risultasse al contempo ludico – dichiara Daniela Nezosi, direttore di Accademia del Gusto –. Insieme alla chef Francesca Marsetti, che vanta molte esperienze curricolari fusion, abbiamo studiato un menù tipico tailandese, calandoci nell’atmosfera thai e curando ogni dettaglio: le materie prime provengono direttamente dalla Thailandia e la serata inizierà sorseggiando il tè Chan-Yen e terminerà offrendo agli ospiti un Fortune Thai Cookie. Non mancherà un allestimento floreale di orchidee, studiato con il presidente del Gruppo Fioristi Ascom, Adriano Vacchelli, ed un ricco buffet realizzato direttamente dai partecipanti al format”. Il format prevede un cocktail di benvenuto, seguito da un briefing di presentazione della Thailandia alla presenza dei rappresentanti dell’Ente del Turismo Tailandese e delle compagnie aeree Thai Airways e Bangkok Airways. Al termine della prima parte della serata, gli agenti di viaggio si trasferiranno in cucina e s’impegneranno nella creazione di piatti guidati dalla chef Francesca Marsetti. A conclusione dell’evento, una degustazione delle pietanze preparate, decreterà il gruppo vincitore, quello che meglio avrà rappresentato lo stile thai nel gusto e nell’impiattamento.

“Il principio ispiratore delle proposte di viaggio di Amo il Mondo – commenta Roberto Servetti, Direttore Prodotto Amo il Mondo – è quello di far vivere autenticamente le destinazioni. Per i nostri momenti di formazione dedicati alle agenzie abbiamo voluto creare un’esperienza analoga, qualcosa di nuovo, capace di trasmettere lo spirito più vero di un territorio. Abbiamo dato una valenza esplorativa a un classico del team building, la cooking session, trasformandola in un modo simpatico ma creativo e fortemente interattivo per conoscere un paese.”

 

Nel menù

Kaeng ka ri kung – Zuppa di gamberi al curry giallo

Cucumber relish – Insalata di cetrioli

Nuea tot sa mun prai – Manzo fritto

Moo sateh – Maiale in salsa Satay

Paw pia thawt – Spring rolls

Poo jaa – Crocchette di granchio e maiale

Pat thai – piatto tradizionale con gamberi

Coconut rise – Riso basmati al cocco

 

 

Per ulteriori informazioni:

Accademia del Gusto – info@ascomformazione.it