“Note di Franciacorta”, così la musica entra in cantina

FrancicortaIl Festival “Note di Franciacorta” – progetto frutto della collaborazione tra Consorzio Franciacorta e LeXGiornate, animerà la primavera franciacortina, impreziosendo alcuni dei luoghi simbolo del territorio con artisti di fama internazionale, attraverso seduzioni musicali in equilibrio tra botti di rovere e calici di cristallo. Protagonisti dell’evento saranno sette cantine con altrettanti concerti, nei quali vino e musica si fonderanno in una miscela pensata per appagare tutti i sensi. Da Luis Bacalov a Enrico Pierannuzzi, passando per proposte filo-letterarie e teatrali, il Festival Note di Franciacorta trasformerà il territorio in un grande palcoscenico. Il programma prevede 7 eventi che avranno luogo in suggestive tenute e cantine della Franciacorta.

È possibile scaricare il programma completo degli eventi al seguente link: http://bit.ly/1IIC1NG




Se fast food e “stelle” lavorano insieme

Antonio Santini e Roberto MasiLa ristorazione stellata e il fast food. Due pianeti diversi quanto a proposta e stile di consumo si trovano a lavorare fianco a fianco nel Direttivo della Fipe, la federazione dei pubblici esercizi del sistema Confcommercio. Il presidente Lino Enrico Stoppani ha infatti chiamato a far parte dell’organismo Antonio Santini, titolare del tristellato ristorante Il Pescatore di Canneto sull’Oglio, e Roberto Masi, amministratore delegato di McDonald’s Italia, «per apportare alla Federazione le competenze, la capacità e le best practice di due settori differenti e complementari nel sistema della ristorazione e della gestione dei pubblici esercizi».

«Ho caldeggiato personalmente l’ingresso di Santini e Masi in Consiglio, che ha accettato all’unanimità, perché l’esperienza e il contributo che porteranno sarà di grande importanza per le sfide che attendono i pubblici esercizi – ha evidenziato Stoppani -. Entrambi rappresentano due componenti fondamentali e caratteristiche del mondo della ristorazione italiana. Da un lato Santini è uno dei più brillanti e storici esponenti della profonda cultura della ristorazione che dimostra di saper coniugare nel tempo capacità imprenditoriale, qualità, innovazione. Una storia di imprenditoria familiare legata al territorio. Masi è invece il brillante giovane manager di un’importante catena internazionale della ristorazione che ha saputo inserirsi e integrarsi nel nostro Paese portando un modello di business innovativo e rispondendo alle esigenze sempre crescenti e variegate dei consumatori italiani. È importante che anime così diverse, ma al tempo stesso così significative, trovino nella Federazione un punto comune di sintesi».

Antonio Santini (1953) è l’erede e il continuatore di una bellissima storia di famiglia iniziata nel 1925 con una piccola osteria sulle rive di un laghetto. È stato proprio lui, dopo la laurea in Scienze Politiche, a dare una svolta importante all’attività portando rapidamente il ristorante a raggiungere livelli qualitativi e organizzativi tali da meritarsi riconoscimenti e fama ben oltre i confini nazionali.

Roberto Masi (1964) è Amministratore Delegato di McDonald’s Italia dal 2008. Laureato in Business Administration presso la University of Hartford, nel corso della sua carriera professionale ha maturato una considerevole esperienza aziendale in diverse aree funzionali, iniziando nel business di famiglia, nel settore retail e, successivamente, svolgendo l’attività di Auditor presso PricewaterhouseCoopers. Sempre nel settore retail, ha rivestito i maggiori ruoli manageriali nel gruppo Carrefour.




Fava: “Bisogna portare i formaggi nelle piazze”

taleggio“Percepire il profumo del formaggio è elemento distintivo per capire il valore di certe produzioni. Se poi, però, ai nostri bambini a scuola diamo prodotti che hanno sempre lo stesso gusto, ogni sforzo è vano. Non si può pensare di conoscere e apprezzare il formaggio senza gustarlo. Ci vuole naso. Il viaggio nel gusto e nella distintività dei nostri territori è immenso, perché noi siamo realmente scrigno di biodiversità”. Lo ha detto l’assessore regionale all’Agricoltura Gianni Fava, intervenendo, oggi, a “Bergamo capitale delle Dop, una opportunità da valorizzare’, evento organizzato nel capoluogo orobico nell’ambito degli incontri del Sistema delle eccellenze lombarde. “Bergamo è il territorio europeo con il maggior numero di formaggi Dop – ha ricordato Fava – ed è a pieno titolo capitale delle Dop casearie con 9 formaggi su 50 totali”.

Di queste 29 sono nell’Italia del Nord: l’elenco comprende Formai de Mut dell’Alta Val Brembana, Strachitunt, Taleggio, Gorgonzola, Bitto, Grana Padano, Provolone Valpadana, Quartirolo Lombardo, Salva Cremasco, a cui si aggiungono i Formaggi Principi delle Orobie, da tempo oggetto di un progetto di promozione. “Se faccio un esperimento con la capra orobica, al massimo quel prodotto lo mangiano a Bergamo – ha detto Fava -, ma non va molto lontano. Tutto ciò che è tutela e identità va bene, ma non sempre, perché se quel prodotto non esprime un valore economico resta un esperimento romantico. Creare distintività va bene, ma non è sufficiente l’iniziativa di un singolo produttore, perché a competere con i grandi gruppi non basta la buona volontà”. “Serve promozione sul sistema, facendo annusare il prodotto – ha ricordato Fava -. Bisogna portare i prodotti nelle piazze e farli sentire, annusare alle persone. Quelle che normalmente passeggiano nei centri, che vorrei sfidare a indovinare il nome di certi formaggi. Poi ci preoccupiamo di conquistare mercati stranieri, ma prima dobbiamo spiegare al nostro consumatore cosa sono le nostre produzioni casearie”. Tornare dunque a promuovere per la strada. “Abbiamo bisogno di promuovere con risorse, modalità moderne e aggregandosi. Se i consorzi fanno tutela e promozione centrano il loro obiettivo. Occorre spingere sui prodotti per far raggiungere nel tempo una buona reputazione ai nostri territori”.




La maestra di Madrid ora produce pasta a Zogno

Pasta - ivan e maria luisa - Pasta&pasticciUn pastificio dalla storia particolare, o meglio, con una storia recente molto interessante e ancora tutta da scrivere.

I protagonisti sono due: Ivan e Maria Luisa, i due attuali giovani conduttori di questa piccola attività. «Io ho fatto per anni l’operaio metalmeccanico – spiega Ivan – e, durante le vacanze estive, tre anni fa mi sono recato in Sardegna. Nell’ostello dove pernottavo ho incontrato Maria Luisa, originaria di Madrid, in vacanza per fare trekking. È stato un colpo di fulmine. Sono tornato a casa e per un anno abbiamo viaggiato entrambi per vederci il più possibile, poi, un anno e mezzo fa circa, ci siamo sposati in Andalusia».

E in tutto questo cosa c’entra il pastificio? La madre di Ivan da tempo gestiva il pastificio e, quando i due giovani dovevano decidere in quale luogo stabilirsi, se in Italia oppure in Spagna, non si sono lasciati sfuggire l’opportunità di gestire il pastificio di famiglia, mettendosi in gioco totalmente. «Io lavoravo come maestra alle scuole elementari – dice Maria Luisa – e, se qualcuno anche solo 4 o 5 anni fa mi avesse detto che ora avrei imparato a cucinare per professione, probabilmente l’avrei preso per pazzo».

Un po’ di incoscienza, la voglia di fare qualcosa insieme e poco tempo per imparare: Ivan alla pasta e Maria Luisa in cucina. Entrambe le attività sono funzionali alla richiesta della piccola rivendita. La produzione di pasta si dedica essenzialmente al fresco: casoncelli, ravioli ripieni di ricotta e spinaci, tortellini e poco altro. Poi la sfoglia, con cui produrre i vari formati di pasta lunga. In negozio si possono acquistare anche gnocchi, torte salate e dolci preparati in proprio. Tra i primi piatti si trovano le lasagne, le crespelle e i pizzoccheri che Maria Luisa ha imparato a preparare dalla madre di Ivan.

Un’esperienza appena iniziata, tutta da costruire. L’impegno, la creatività, il coraggio e, come detto, quel pizzico di incoscienza sono gli ingredienti che, se mescolati bene, possono portare a grandi risultati.

 




Bergamo e l’Expo, un alfabeto per riflettere

A meno di due mesi dal taglio del nastro, l’Expo prova ad accendere i motori, anche se come tutte le cose (belle e brutte) della nostra Italia, sapremo davvero di avercela fatta solo la mattina del 1° maggio: e dato che si dà il caso sia anche la festa dei lavoratori, l’auspicio è che davvero tutti per quella data abbiano svolto il loro compito al meglio. Anche perché poi per sei mesi saremo davanti a una lente d’ingrandimento mondiale: qualsiasi grande, fantasiosa iniziativa verrà salutata con applausi planetari, ma anche qualsiasi flop verrà pesantemente denunciato al pubblico ludibrio di mass media pronti a tutto pur di addentare l’osso. In quanto a Bergamo, in questi mesi di vigilia ha proceduto a strappi: per un po’ si è lasciata andare ad annunci roboanti, poi ha preferito procedere a fari spenti o quasi, anche se ora si sta tornando al momento degli annunci. Vedremo cosa succederà, intanto proviamo, con un classico abc turistico-gastronomico dell’evento, a capire come il territorio intende rispondere all’appello.

 

A come Alimentazione

Arrivare a un Expo su un tema universale come quello dell’alimentazione da un lato è molto affascinante, dall’altro nasconde più di un’insidia: il tema unisce tutti i popoli, perché porta il dibattito su due grandi argomenti, che gli inglesi chiamano “food safety”, ossia la sicurezza degli alimenti, e “food security”, cioè la certezza di un’adeguata nutrizione. Sia per l’Expo sia per il Fuori Expo sarà fondamentale avere sempre chiaro questi due filoni perché le derive consumistiche legate alla “grande abbuffata” sono sempre dietro l’angolo. Guai se questo grande evento venisse solo ricordato per i piatti di porchetta o gli ettolitri di vino venduti.

B come Balzer

Con la cosiddetta DomusWine sarà uno dei crocevia (sorta di Gourmarte estivo) dell’offerta di eccellenza agroalimentare della città, versione Expo. L’idea del direttore Promoberg Stefano Cristini (con il placet della Camera di commercio) di un bar storico che diventa il cuore dell’enogastronomia nazionale, con degustazioni, incontri tra grandi produttori, eccellenze italiche da scoprire o riscoprire, può diventare vincente, ma ha bisogno di robuste sinergie (e di poche gelosie…) per decollare…E soprattutto, visto che lavoreranno gomito a gomito, con l’augurio che non si pestino i piedi con la Domus dedicata ai vini voluta dal Comune.

C come Castelli (Malpaga)

Forse è la volta buona che ci accorgiamo del grande patrimonio di castelli che Bergamo può offrire. L’iniziativa di creare un circuito è finalmente realtà e aiuterà a scopreire tesori nascosti. Su tutti Malpaga, che accanto alla vocazione storica di dimora colleonesca, ha saputo ritagliarsi negli ultimi anni una mission agroalimentare e di energia ecosostenibile che ne fanno un esempio rarissimo in tutto il Nord Italia. Magari finirà che tedeschi e svedesi  prenderanno d’assalto (stavolta il ponte levatoio resterà abbassato) le sue sale affrescate, le libagioni medievali, le tante piste ciclabili, mentre noi continueremo a pensare che si tratti solo di uno dei tanti castelli della Bassa.

D come Dopo che succederà?

EXpo abc (2)Non è ancora iniziato lo show, ma molti sono già chiedersi cosa sarà del dopo Expo. Se l’evento sarà uno di quei soliti carrozzoni usa e getta, poco o nulla cambierà, se invece emergerà qualche buona idea magari riusciremo a risalire la china che ci ha visti un tempo (ma mica nelle guerra puniche, solo una manciata di anni fa) capitale mondiale del turismo, ora scesi al quinto posto, superati da Australia, Usa, Francia e Inghilterra (sigh) e ormai incalzata persino da Croazia ed Emirati Arabi. L’Expo, si sa, in passato ha già fatto fare il salto di qualità a tanti bacini, basta ricordare Siviglia ’92 e Lisbona ’98: se la Lombardia coglierà l’occasione, non essendo solo capitale della moda e del food, ma avendo laghi e montagne, storia e cultura quasi sempre inespresse, dal 2016 si potranno scrivere pagine nuove sul fronte dell’accoglienza.

E come effetto Gori

Il movimentismo del sindaco ha spiazzato gli altri enti che in alcune fasi della vigilia sono apparsi un po’ indietro se non nei preparativi, nella comunicazione. Lui invece sforna idee a ripetizione per il Fuori Expo e si è messo in testa di fare di Bergamo la capitale italiana del vino almeno per i sei mesi dell’Esposizione: impresa ardua, ma se ci riesce….In questo solco, sta cercando di ridare slancio ad Astino, rispolverando giustamente il nome di un mito mondiale come Veronelli (se non ora, quando?) e schiera un ex colonna Slowfood, molto competente e determinato, come Raoul Tiraboschi per fare da stratega dell’intera offerta che si concentra attorno alla Domus di Piazza Dante: dato che la struttura resterà in eredità anche dopo l’Expo, l’augurio è che possa finalmente ridestare dal torpore il Sentierone, facendolo tornare cuore pulsante della città.

F come Formaggi

Inutile girarci attorno: sono loro la vera eccellenza della Bergamasca riconosciuta in tutto il mondo. Vanno bene i vini, sono ottimi i salami, ma è l’abilità dei nostri casari, la sapienza dei nostri affinatori, che dovremmo mettere in mostra, magari accompagnando qualche turista sugli alpeggi del Camisolo, in val Taleggio o in qualche caseificio importante, per fargli capire che questo è un mondo non solo fatto di cose buone, ma soprattutto di grandi uomini, che hanno tramandato un tesoro culturale prima ancora che gastronomico, ai figli, e ai figli dei loro figli. E poi resta una risorsa economica preziosa: i numeri ci dicono che solo in Bergamasca il caseario si avvicina al miliardo di euro di fatturato, mica bruscolini…

G come Giornalisti

EXpo abc (3)Voraci, onnivori, state certi che troveranno qualche magagna nell’organizzazione dell’Esposizione a livello milanese, ma anche locale. E il timore è che non facciano neppure una gran fatica a scovarne. Ecco perché la comunicazione degli eventi Expo dovrà essere maneggiata con gran cautela. Altrimenti qualsiasi iniziativa potrà trasformarsi in un boomerang insidiosissimo da schivare. E più passeranno le settimane e più succulento diventerà sparare sul pianista. Quindi, lo diciamo contro i nostri interessi, da queste parti si prepara un Expo, molto ma molto “schiscio”….

H come Hotel

La sfida dell’Expo passa anche attraverso l’ammodernamento dei nostri alberghi. Qui, anche il presidente della Camera di commercio Malvestiti assicura che si è lavorato molto per renderli più accoglienti e pronti a reggere l’urto per il grande evento. Però sappiamo tutti che il giudizio degli ospiti si giocherà magari anche solo sui piccoli particolari, che però, specie per gli stranieri fanno la differenza. Sapremo ad esempio offrire al visitatore cinese almeno una teiera nella sua camera? Avremo un frigobar con vodka sempre a disposizione per i russi? Potremo schierare idromassaggi i patiti del wellness, o avere a disposizione biciclette per il turista scandinavo? Lo scopriremo solo vivendo…

K come Kilometro Rosso

Ovvero la grande occasione perduta. Il flop della mancata organizzazione, per fondi insufficienti, della mostra mondiale della tecnologia agroalimentare ha già creato imbarazzi e portato a litigi e scaricabarile assortiti che hanno avuto persino qualche riflesso sulla composizione dei consiglieri per la nuova Camera di commercio. L’idea era bella, il progetto faraonico, la fine del sogno dolorosa. Il guaio è che alcuni soggetti non hanno mai elaborato del tutto quel “lutto” di non avercela fatta e Bergamo, anziché pensare in grande, ha distribuito le sue energie in mille rivoli. Vedremo se pagherà l’approccio minimalista…

I come Inferiority Complex

EXpo abc (1)È quello che Bergamo deve scrollarsi da dosso: uno degli sport più amati da queste parti è sempre stato il mugugno da battitori liberi: bene se è votato a migliorare se stessi, male se sfocia nel disfattismo a 360 gradi. Expo in fondo siamo noi: se mostreremo la nostra parte migliore, pur senza voler strafare, anche chi incontrerà la nostra azienda, il nostro locale, le nostre proposte gastronomiche, potrà alla fine esserne affascinato. Mai come stavolta il nichilismo potrà risultare indigesto…

L come Lingue straniere

Tanto bello l’italiano, pittoresco il dialetto bergamasco, ma esistono ancora, ad oggi, fondati dubbi circa la capacità dell’intero sistema di sfoggiare non dico uno slang  cinese o russo, ma almeno un inglese accettabile. Tutti, dal negoziante al conducente della funicolare di Città Alta, dal ristoratore-albergatore al personale dei musei, devono avere consapevolezza che le lingue straniere non possono più essere considerate un optional da un territorio che voglia fare del turismo una delle sue carte vincenti. L’Expo, come moltiplicatore di visitatori e di “questions” (o preguntas, fate voi),  sarà una gigantesca centrifuga che su questo tema alla fine emetterà un verdetto (forse senza ritorno) circa le nostre aspirazioni.

M come Maestri del Paesaggio

Con l’Expo in contemporanea, Piazza Vecchia green diventerà a settembre il fiore all’occhiello dell’offerta Fuori Salone di Bergamo: forse a qualcuno può essere sfuggito, ma se accanto allo spettacolo green ci sarà un’offerta adeguata sul fronte food, Bergamo dovrebbe credere maggiormente in questo suo asso nella manica. Soprattutto adesso che la kermesse ha strizzato l’occhio all’agroalimentare di qualità, affidandosi a un’esperta di eccellenze sia in cantina che in cucina come Francesca Negri: vediamo se il mix funzionerà: aspettative alte…

N come Navigare a vista

Non aspettiamoci sfracelli dall’Expo. Non è la panacea dei nostri mali. Ma potrebbe aiutarci a capire quali sono i nostri difetti, dal punto di vista, del turismo, dell’ospitalità e dell’offerta complessiva, forse più di un rapporto Ocse. Il consiglio è quello di non esultare al primo traguardo raggiunto, alla prima comitiva di cinesi che coprirà di elogi Città Alta. L’Expo è come una corsa a tappe che dura sei mesi: va bene vincere le volate, ma poi bisogna arrivare in fondo senza il fiatone.

O come Ordini

O commesse, come preferite. Qui Bergamo si è difesa assai: ha costruito padiglioni, creato persino la Porta dell’Expo come la Vitali o li ha rivestiti come ha fatto Gualini per Palazzo Italia, o ne ha creato i pavimenti come la Recodi per quello giapponese e della Coca Cola, o ancora li ha abbelliti con un’esplosione floreale come è avvenuto per il padiglione francese o kazako. La vera sfida sarà andare oltre, nel senso che è già avviato l’iter per l’Expo di metà mandato ad Astana in Kazakistan nel 2017 e per la prossima edizione di Dubai 2020: la vera abilità per i nostri operatori sarà quella di far fruttare i contatti e proseguire il percorso virtuoso iniziato quest’anno.

P come Palma il Vecchio

Il maestro è lì, da ammirare, con tutta la magìa che ne consegue. Visitatori ne verranno tanti, molti solo per le sue opere (e c’è qualcuno che ha pensato di abbinare un menù, una ricetta, alla mostra più importante dell’anno, altri vorrebbero sposare l’evento a un ristorante: ma i pacchetti dovranno esserci tosti, fantasiosi e abbondanti per rubare clienti all’immaginifico palinsesto milanese…). Resta però un fatto (e attendiamo smentite): in tempi così cupi e impopolari per le banche, l’evento più importante di Bergamo è stato ideato e finanziato da un istituto di credito. Meditate….

Q come Qualità

Ci siamo riempiti la bocca per decenni su questo concetto, un tempo un po’ labile, ora sempre più stringente e obbligato. Qualità però vuol dire tante cose, spesso si crede possa rispondere a determinati canoni piovuti dall’alto. Giusto, ma anche sbagliato: la vera qualità, addirittura l’eccellenza, è decretata dal cliente. E’ lui il giudice supremo di quanto andremo a proporre dentro e fuori l’Expo: potremmo dirci bravi dieci volte, fare tutto a puntino, organizzare per il meglio, ma se poi arriva dall’altra parte del mondo un visitatore e comincia a far le pulci su un particolare che noi abbiamo trascurato, allora sarà giusto fare autocritica. Senza però far drammi assoluti: anche in questo caso sarà la maggioranza a decretare successi e fallimenti.

R come Ristoranti

?????Mai come alla vigilia dell’evento sono fiorite nuove aperture in città e fuori. Locali di cucina regionale, etnica, di tendenza hanno moltiplicato l’offerta, quasi a esorcizzare una crisi che invece aveva fatto strage d’insegne negli anni passati. Vediamo se almeno alcuni ristoranti (e non ci riferiamo solo ai “mostri sacri”) sapranno cogliere l’occasione, scegliendo un tema, un accostamento, un binomio che possa premiare anche altre vocazioni del turista: dall’arte alla cultura, fino all’ecoturismo. E chissà che, puntando a valorizzare le materie prime del territorio, all’ombra di quest’annata in cui un po’ tutti saremo sotto esame, possa spuntare qualche nuovo locale stellato…

S come Spinato e i suoi fratelli

In conclusione, finirà per essere il mais il cuore dell’offerta bergamasca a Milano. Dal centro di Stezzano capiremo forse come, grazie alle nuove varietà, saremo in grado, nel nostro piccolo, di nutrire il pianeta. In fondo non era questa la vera mission alla base dell’Esposizione universale? Qui invece qualcuno vorrebbe trasformare la rassegna in una sorta di Disneyland all’italiana, o peggio, in una Sagra della porchetta grande firme. A quel punto a vincere sarebbero solo il colesterolo e qualche commerciante con tanto di pelo sullo stomaco.

T come Turismo Bergamo

L’Expo è una grande sfida sul fronte agroalimentare, ma per la nostra provincia diventa la prova del fuoco per capire se davvero questo territorio potrà vantare in futuro una vocazione turistica sincera, riuscendo finalmente a capitalizzare parte di quei milioni di passeggeri che annualmente sforna lo scalo di Orio e che di solito ci lasciano le briciole. Poi c’è l’approccio culturale da non sottovalutare: il presidente di Turismo Bergamo, Luigi Trigona, si è infatti spinto oltre, parlando per il centro città, negli ultimi anni sempre meno vivo e perdente nei confronti dei faraonici centri commerciali, di “un nuovo Rinascimento, che leghi l’arte, la cultura e il piacere di stare a tavola”. Una sfida difficilissima, ma se arrivasse qualche risultato, specie legato all’aggregazione di questa comunità, sarebbe di per sé già un successo.

U come Ultima occasione

Forse è esagerato, ma in tanti pensano che quella dell’Expo sia davvero l’ultima chiamata per capire se Bergamo può diventare, come meriterebbe per tante eccellenze (nei formaggi, nella quarta gamma, persino per i ristoranti stellati) una delle terre a più alta vocazione turistica legata all’enogastronomia. Se l’esame sarà superato potremo prepararci a questo Progetto Erg: no, non è un prodotto petrolifero, bensì il coronamento di un percorso che nel 2017 vedrà Bergamo capitale delle Regioni gastronomiche d’Europa, vetrina invidiabile, da sfruttare “senza se e senza ma”….

V come Valcalepio

L’Expo potrebbe far fare il salto di qualità definitivo al nostro vino principe. Il presidente Medolago Albani e il delegato Expo Enrico Rota ce la stanno mettendo tutta, favoriti dall’imprimatur enologico che il sindaco Gori, attraverso Bergamo Wine e la direzione Tiraboschi, hanno dato all’intero palinsesto. L’importante è che, ospitando in questi mesi tanti Cru celestiali sul territorio (leggi Barolo, Barbaresco, Amarone, Brunello e compagnia), il nostro taglio bordolese non finisca per fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro. Ci vuole originalità e autorevolezza per imporsi, ma il direttore Cantoni è uomo navigato: ce la si può fare…

W come Web

Inutile negarlo: gran parte dell’offerta Expo del nostro territorio passerà attraverso le piattaforme on line: molteplici, variegate, coloratissime. Sono già operativi molti siti, alcuni davvero utili alla causa, altri che funzionano bene sul piano estetico, meno su quello pratico. La domanda è sempre la stessa: siamo sicuri che remino tutti nella stessa direzione, o a forza di link e di rimandi, di ripetizioni e di traduzioni in lingua un po’ troppo banali, il gioco di specchi non finisca per rendere strabici i visitatori?

Z come a Zonzo

… Nel senso di girovagare senza una meta fissa. Si annuncia un Expo talmente immaginifico e dispersivo che il visitatore rischia di vagare un po’ alla cieca, stordito dalle tante offerte, dagli odori e dai sapori che potrebbero distrarlo o addirittura disarmarne le velleità. I territori limitrofi come Bergamo dovranno quindi essere pronti a raccogliere le migliaia di visitatori in fuga da Milano: attenzione però, il passaparola straniero funzionerà solo se avremo qualcosa di diverso e più interessante da dire rispetto alla faraonica offerta. In quel caso potrà davvero succedere di tutto….




Quella cucina di Bergamo tra pesce e cibi di magro

All’assiomatica ineluttabilità del “facta lex, inventa fraus” pare non riescano a sottrarsi neppure le sacrali direttive della Chiesa. Ne è impareggiabile attestazione il singolarmente ottemperante regime quaresimale cui nel tredicesimo secolo, secondo le cronache di Salimbene da Parma, si atteneva il Patriarca di Aquileia. Il mercoledì delle ceneri l’alto prelato usava celebrare l’avvio del percorso penitenziale facendosi imbandire un banchetto di ben quaranta portate – tutte rigorosamente di magro. L’ineffabile presule procedeva poi a depennare dal pantagruelico menù una vivanda al giorno, giungendo in tal modo a santificare la vigilia della Pasqua con una claustrale refezione consistente in un’unica pietanza.

Se lo spirito del precetto di continenza alimentare durante i tempi di espiazione risulta di inossidabile chiarezza, la lettera della regola ha invece subito profonde mutazioni nel corso del tempo. La dieta paleocristiana di magro rispondeva infatti a canoni che oggi sarebbero classificati come strettamente vegani, dato che da essa era bandito non solo ogni cibo di origine animale, ma addirittura il pesce. Il consumo di quest’ultimo – destinato a divenire indiscusso emblema della cucina quaresimale – fu consentito a partire dal VII secolo, mentre uova e latticini vennero sdoganati solo nel 1365 dal concilio di Angers. E non è troppo distante dal vero chi insinua che una delle chiavi di successo della riforma luterana fu rappresentata dalla soppressione dell’obbligo di astensione dalle carni, a quell’epoca vigente almeno per un terzo dell’anno, particolarmente inviso alle voraci popolazioni di ceppo germanico.

È dunque assodato che la suddivisione dell’anno religioso in tempi “di grasso” e “di magro” abbia dato origine a due distinti filoni alimentari, nettamente scissi per natura delle proteine e dei grassi utilizzati. Per quasi quindici secoli alla cucina della carne e del lardo si è così alternata una cucina ittica e dell’olio, con una cadenza puntualmente scandita dalle partizioni del calendario liturgico.
All’interno di questo sistema di riferimenti, desta stupore che, in una parcella di cristianità di stretta osservanza quale il distretto di Bergamo, la tradizione gastronomica locale assegni al pesce una collocazione tutto sommato marginale. Scorrendo l’esauriente ricettario bergamasco compilato da Silvia Tropea Montagnosi per le edizioni Bolis, si riscontra ad esempio che, delle 333 pietanze illustrate, soltanto una quindicina – tra le quali più d’una di evidente origine allogena – recano una chiara impronta ittica. La cucina di magro risulta semmai più compiutamente rappresentata nella gran copia di preparazioni di impianto distintamente vegetariano – dalle zuppe montane di erbe spontanee ai capù magher, da bardéle e foiade condite di soli burro e cacio alle innumerevoli declinazioni della polenta.

Eppure molteplici riscontri indicano con univocità che in più di una fase storica il pesce – e segnatamente quello d’acqua dolce – abbia rappresentato una risorsa tutt’altro che secondaria nel sistema alimentare dei nostri antenati. Già in età medioevale gli statuti della nostra città disciplinavano il commercio delle derrate ittiche con un grado di dettaglio che ne sottendeva lo status di prodotto di largo consumo. La compravendita doveva essere anzitutto tassativamente concentrata presso l’area a ciò deputata nell’antica Piazza di San Vincenzo, prospiciente il Fontanone, per consentire ai Giudici delle Vettovaglie di esercitare con sollecitudine i prescritti controlli sul rispetto delle normative sanitarie. I prezzi erano inoltre assoggettati ad un regime amministrato – denominato calmedrio – che regolava le quotazioni dei generi di prima necessità, tra cui anche grani e carni. I diritti di pesca nelle acque del contado erano infine contingentati così da assicurare al capoluogo approvvigionamenti quanto più regolari.

V’è peraltro evidenza che a quei tempi i pescatori bergamaschi stentassero a stare al passo con la sostenuta domanda urbana. Le autorità municipali dovettero quindi far a diverse riprese ricorso anche a fornitori forestieri, come attestato dal contratto con un pescatore di Olginate – tale Pietro Testori – stipulato nell’aprile del 1553. Questi si impegnava per un anno a recare in città prefissati quantitativi di pesce (trenta pesi il venerdì, quindici le vigilie delle festività di precetto e venticinque ogni giorno di qua-resima) da vendersi a tariffe convenute nell’accordo, con l’avvertenza che non si trat-tasse di pescato “di fossa, ma di buoni laghi, & Adda”.

Dalle rilevazioni del calmedrio riportate nell’Effemeride di Donato Calvi, si ricava comunque che nel XVI secolo i prezzi per unità di peso delle derrate ittiche andassero da due – per le varietà a più buon mercato quali barbi, cavedani e lucci – a tre volte – per i generi più prelibati quali trote, tinche e persici – il costo della più dispendiosa tra le carni, quella di vitello. Da ciò traspare che il pesce non fosse certo cibo per tutte le tasche: il suo consumo era semmai appannaggio dei ceti cittadini più abbienti. Nel contado ci si doveva invece contentare – si fa per dire – di gamberi, bisséte (le piccole anguille di roggia) e rane, di cui allora abbondavano i corsi d’acqua della campagna.

E siccome, a prestar fede a Gabriele Rosa, l’aristocrazia bergamasca di quell’epoca usava soggiornare assai più lungamente nei poderi in villa che nelle dimore urbane, non sorprende affatto che il pescato di fosso finì per spopolare anche nella cucina no-biliare e borghese. Su di esso fa infatti perno la seicentesca suppa quaresimata del Cocho Bergamasco, nel cui retrospettivo brodo, dalla medievaleggiante tendenza agrodolce, finiscono a mollo anche le lumache. Gamberi e rane conferiscono inoltre nerbo al fumetto dell’ottocentesca versione di magro della minestra di pasta alla bergamasca proposta dall’anonimo estensore de “Il cuoco economico moderno”, e ani-mano diverse tra le ricette che al tramonto del secolo romantico il concittadino Giuseppe Riva dedicò ai tempi di astensione dalle carni nel suo pur esterofilo “Trattato di cucina semplice”. Non ve ne sarà forse a sufficienza per cavarne un menù per il mercoledì delle ceneri degno del Patriarca di Aquileia, ma certo neppure per decreta-re che dall’associazione alla cucina di pesce del gastrotoponimo “alla bergamasca” debba giocoforza promanare l’ambiguo sentore dell’ossimoro.




Fish & Chef, sul Garda parata di cuochi stellati

Aperitivo 01Non solo grandi chef europei alle prese con il pesce di lago, non solo le tradizionali cene stellate interpretate da alcuni dei più importanti nomi della cucina italiana: l’edizione 2015 di Fish & Chef, in programma dal 22 al 29 aprile a Garda, riserverà agli appassionati gourmet un vero e proprio evento nell’evento: si tratta di “Cuochi del Lago & Prodotti d’Eccellenza”, ovvero una settimana di cooking show sulla sponda del lago. Durante gli spettacoli di cucina, realizzati da alcuni dei più rinomati chef del Garda, il pubblico potrà assistere alle diverse performance per deliziarsi il palato e carpire i trucchi dei protagonisti ai fornelli. Sul lungolago di Garda, dunque, ogni giorno andrà in scena un’edizione diurna di Fish & Chef con “Cuochi del Lago & Prodotti d’Eccellenza”, otto appuntamenti di cooking show e degustazioni da non perdere.

Dalle ore 11.00 alle 12.00, uno chef gardesano presenterà  una sua ricetta con speciali finger food dedicati ai prodotti del Garda. Tutti i pomeriggi, invece, si terranno incontri-degustazione con le cantine del Custoza.  Oltre ai cooking show, la kermesse riserverà un’altra importante novità: per la prima volta, le cene stellate di Fish & Chef varcheranno i confini del veronese per toccare tutte località delle tre province che si affacciano sul Benaco, quella veronese, quella trentina e quella bresciana. Ad aprire le danze, il 22 aprile, sarà lo chef Moreno Cedroni del Ristorante Madonnina del Pescatore di Senigallia che proporrà la sua versione delle delikatessen del Garda all’Hotel Bellevue San Lorenzo di Malcesine. La sera successiva sarà la volta poi di Riva del Garda dove, nella suggestiva cornice dell’Hotel Lido Palace, è atteso Alessandro Gavagna, chef del ristorante friulano La Subida (Cormon). Il 24, dal Ceresio 7 di Milano, dove si è svolta anche l’anteprima dell’evento, giungerà sul Lago lo chef Elio Sironi, che si esibirà al Grand Hotel Fasano a Gardone Riviera. Una cena a quattro mani quella che si svolgerà invece il giorno dopo al Ristorante Capriccio di Manerba, con i due fratelli Portinari – Nicola in cucina, Pierluigi sommelier ─ dal Ristorante La Peca di Lonigo (VI). Il 27 aprile, a Garda, l’Hotel Regina Adelaide ospiterà uno chef che di lago se ne intende: Marco Sacco del Ristorante Piccolo Lago, locale affacciato direttamente sul Lago di Mergozzo (Verbania). Sarà invece un ospite internazionale – Dirk Holberg del Ristorante Ophelia sul Lago di Costanza – il protagonista in cucina per l’appuntamento del 28 aprile all’Hotel Aqualux di Bardolino. A La Casa degli Spiriti di Costermano, il 29 aprile, andrà in scena il gran finale: la conclusione dell’edizione 2015 è affidata a un’equipe d’eccezione, il Dream Team Lake Garda, composto da 15 top chef del Garda, che giocheranno in casa per interpretare i prodotti del loro territorio.

info: www.fishandchef.it




Sapori bergamaschi, il Formaggio Nero della Nona strega le food blogger

foto di The Lovely Girl Blog
foto di The Lovely Girl Blog

Cosa ne pensano le blogger dei vini e dei prodotti dell’agroalimentare bergamasco? Lo si può leggere nei report e nelle fotografie scattate e postate per #ValcalepioBloggerTasting, iniziativa organizzata dal Consorzio di Tutela Valcalepio nel corso di Vinitaly, che ha proiettato per il secondo anno i cibi e i vini del territorio nel mondo della comunicazione social, creando, nella giornata di lunedì 23 marzo, un momento di incontro e confronto tra wine e food blogger, produttori e ristoratori, in collaborazione con l’Associazione Italiana Food Blogger.

In Piazza Valcalepio sono sfilati davanti alle appassionate gourmet Formaggio Branzi accompagnato dal pane Garibalda dell’Aspan, casoncelli alle pere piröle, pancetta croccante, formai de mut 2012 e coniglio di cascina, in un boccone senz’osso, stufato nel Valcalepio rosso Doc di Diego Pavesi del ristorante Della Torre di Trescore Balneario, per dolce polenta è osèi, praline e biscotti, il tutto accompagnato dai vini bergamaschi più adatti ai piatti.

A conquistare la curiosità delle invitate è stato il Formaggio Nero della Nona, prodotto da Attilio Perego, milanese trasferito per amore in Val di Scalve, che ha deciso di riportare in vita una ricetta trovata su un taccuino durante i lavori di ristrutturazione della baita di famiglia. «Crosta nera ricoperta di spezie che con la stagionatura penetrano nella pasta e la rendono aromatica e particolarmente saporita», scrive Isabella Radaelli su The Lovely Girl,  mentre di «formaggio dal sapore deciso e dall’aroma d’incenso» parla Maria Grazia Maineri su “Gli esperimenti di Mary Grace”.

blog tasting

Per leggere i blog

Gli esperimenti di Mary Grace

The Lovely Girl

I’m not a groupie




Berlucchi nel progetto VIVA del ministero dell’Ambiente

Ziliani, Degani, La CameraSottoscritto al Vinitaly l’accordo volontario tra il Ministero dell’Ambiente e l’azienda franciacortina Guido Berlucchi per la sostenibilità attraverso il protocollo V.I.V.A. che misura l’impatto della produzione vitivinicola, a fini migliorativi, basandosi su quattro parametri fondamentali: aria, acqua, territorio, vigneto.

Presenti allo stand Berlucchi per la firma il Sottosegretario al Ministero dell’Ambiente, Barbara Degani, il DG per lo Sviluppo Sostenibile, Francesco La Camera, l’AD ed enologo dell’azienda, Arturo Ziliani, e i referenti delle importanti aziende già aderenti al protocollo. “Oggi firmiamo un accordo volontario che rappresenta una vetrina per i nostri vini, soprattutto all’estero. Biodiversità e sostenibilità sono due concetti foLa Camera, Degani, Zilianindamentali, e come Ministero li stiamo portando avanti con convinzione”, ha detto il Sottosegretario Degani. “V.I.V.A. rappresenta una nicchia virtuosa di produttori, ma una nicchia in crescita”, ha dichiarato il DG Francesco La Camera. “Il nostro impegno per la sostenibilità va avanti e si rafforza allargando il progetto a nuove aziende”. La Guido Berlucchi è la prima azienda franciacortina ad aderire al progetto V.I.V.A., e per il suo Ad Ziliani questo “rappresenta un importante passo verso la sostenibilità totale, tema particolarmente sentito in Berlucchi, dove stiamo peraltro completando il triennio di conversione all’agricoltura biologica”.




Street food, Romano lancia il concorso fotografico

street food clickPer chi ama immortalare piatti e prodotti, c’è la possibilità di condividere i propri scatti “nel mondo reale” e non solo in rete. Partecipando a “Street food click”, iniziativa promossa dal Comune di Romano e dell’associazione Il Romanino che chiede di impugnare macchina fotografica o telefonino e scatenare fantasia e inquadrature sul tema dello street food. Le migliori immagini saranno esposte in una sezione della mostra “Tutti a tavola. L’arte è servita!”, realizzata in occasione dell’Expo, che sarà allestita nella sala pubblica della Rocca viscontea di Romano dal primo al 10 maggio prossimi. Le fotografie devo essere inviate entro il 5 aprile a: streetfoodclick@gmail.com; WhatsApp: 3297903688; facebook: il Romanino cultura.