Fabio Tacchella: “L’essenza oltre la sorpresa” 

Fabio Tacchella: “L’essenza oltre la sorpresa” 

A tu per tu con lo chef, scrittore e video blogger ed esperto nelle nuove tecnologie di cottura e lavorazione degli alimentiChi non ricorda il gusto e la tenerezza dello spezzatino o del brasato cucinato dalla nonna? A tavola, soprattutto nelle ricorrenze speciali, si era così in tanti che la cucina di casa ‘apriva’ uno, forse anche due giorni prima di ritrovarsi con le gambe sotto il tavolo. Ore di cottura, sul fuoco e poi sulla stufa spenta, a ‘riposare’, perché «tanto domani è ancora più buono». Non lo sapevano, le nostre nonne, ma utilizzavano già all’epoca una tecnica che in tempi molto più recenti è stata riscoperta come uno dei sistemi oggi considerati tra più ‘innovativi’, vale a dire la cottura a bassa temperatura. In cucina c’è sempre più voglia di sperimentare e così capita che, non conoscendo bene la storia, gli esperimenti si facciano anche con modalità utilizzate da decenni e che con il passare del tempo si erano perse. L’innovazione in cucina, però, non è fatta solo di riscoperte inconsapevoli del passato, ma anche di tanto studio e di tecnologia, un binomio indissolubile anche tra i fornelli.
Fabio Tacchella è chef, gastronomo, scrittore e video blogger, nonché esperto nelle nuove tecnologie di cottura e lavorazione degli alimenti.

Anche lei ha notato un desiderio crescente di sperimentare in cucina? 

C’è senz’altro una maggiore attenzione nel ricercare un perfezionamento delle tecniche da parte sia dei privati che dei ristoratori. Ciò è dovuto anche alle tante trasmissioni televisive che parlano di cucina. Tuttavia, le persone che hanno questo hobby conoscono poco i sistemi di cottura. Le tecniche sono importanti, ma bisogna conoscerle bene e saperle applicare in maniera corretta e intelligente. Questo vale sia per gli appassionati che, a maggior ragione, per i professionisti.

L’approccio di cuochi e ristoratori a queste tematiche è sempre corretto? 

Solo in parte. Oggi, per esempio, si parla tanto della cottura sottovuoto a bassa temperatura. È importante, ma solo se si conoscono le tecniche per utilizzarla, altrimenti si rischia di creare più danno. Questo metodo, peraltro, non è nuovo: fu ideato anni fa dallo chef francese George Pralus (nel 1974 per il ristorante Troisgros di Roanne, ndr) per migliorare e ottimizzare la conservazione del foie gras. Dopo quell’esperimento, Pralus lo ha utilizzato con tante altre preparazioni. Non solo: l’esercito americano, per esempio, lo usava per portare le carni ai soldati al fronte. Ma veniva utilizzato solo con determinati tagli di carne. Oggi vedo filetti di manzo o di pesce cotti a bassa temperatura, ma non ha senso.

Perché? 

La cottura a bassa temperatura è efficace per le carni un po’ più coriacee, ovvero la parte anteriore degli animali, i muscoli o la pancia. Sono i pezzi di carne più duri e nervosi. La cottura a bassa temperatura mantiene la carne a 72, 75 gradi dopo aver raggiunto una temperatura di 60 gradi al cuore. In questo modo si accelera il processo di decomposizione in maniera controllata, innescando un enzima che trasforma la cartilagine e la parte muscolare in collagene, rendendo la carne più tenera. A volte, però, si tende ad abusare di questa tecnica, con cotture lunghissime e così la carne non risulta più tenera come dovrebbe.

Quali sono gli accorgimenti che è importante prendere? 

Tutto ciò che viene cotto a bassa temperatura va sanificato: prima di inserire il cibo nella busta la parte esterna dev’essere trattata, perché potrebbe essere stata aggredita dalla carica batterica. La sanificazione può avvenire con una marinatura in salamoia oppure con una sostanza acida, come limone o aceto, o ancora in forno a 250 gradi per cinque minuti, o in acqua bollente per un minuto. In questo modo si riesce ad eliminare la carica batterica che eventualmente si è depositata in superficie. Cuocere un alimento a bassa temperatura senza sanificarlo vuol dire favorire lo sviluppo della carica batterica che, in quelle condizioni, trova umidità e proteine. Se poi ci troviamo in presenza di batteri anaerobici, si crea loro l’ambiente ideale per proliferare. Così però si rischia di intossicare le persone. Questo è il motivo per cui, ad esempio, non si devono cuocere a bassa temperatura le carni ripiene, perché nel ripieno c’è l’aria.

E i filetti? 

Se messo sottovuoto, un filetto di pesce subisce uno schiacciamento tale per cui, al taglio, non si sfalda più come dovrebbe, ma rimane compatto e si sfilaccia. Lo stesso avviene con il filetto di manzo. Sono alimenti che perdono quella masticabilità di cui invece hanno bisogno. Generalmente nei ristoranti il filetto cotto a bassa temperatura viene poi raffreddato, abbattuto e messo in frigorifero. Quando arriva il cliente, si prende dalla busta e lo si mette in padella o sulla griglia per riportarlo a temperatura e servirlo. Così però non si fa altro che servire riscaldato un prodotto che ha bisogno di pochi minuti per cuocere, buttando via del tempo inutilmente.

Questi sono errori che fanno i ristoratori? 

Purtroppo sì. Li fanno per avere una linea pronta, ma esistono anche altri sistemi per cuocere un filetto a bassa temperatura, come l’oliocottura. Tante tecniche sono emerse negli ultimi anni, ma non dimentichiamo che la cottura a bassa temperatura si è sempre praticata, magari inconsciamente. Basti pensare al brasato o allo spezzatino che si lasciavano andare sulla stufa anche a fuoco spento facendo raffreddare le carni che, in quel modo, si intenerivano. Ed erano più buone il giorno dopo.

Un po’ come le lasagne

Cosa c’entrano le lasagne?.

Anche le lasagne sono più buone il giorno dopo

Sì, ma in quel caso è diverso, gli ingredienti hanno il tempo di amalgamarsi e di stabilizzarsi, per quello sono più buone. E mi raccomando, mai mischiare il ragù con la besciamella.

Ah no? 

No. Consistenza e gusto cambiano.

Ci insegni. 

Bisogna imburrare la teglia, stendere un primo strato di besciamella, poi la lasagna, un altro strato di besciamella, il ragù, la lasagna e poi ancora la besciamella, il ragù e così via. Vedrà che il sapore è diverso.

C’è una tecnica da utilizzare in cucina, alla portata di tutti, che può fare anche bene alla salute? 

Ce n’è una semplicissima: usare il sale liquido al posto di quello semolato. E si può preparare facilmente anche a casa. Si prendono 600 ml d’acqua e 400 grammi di sale e si mettono a bollire. Ad ebollizione il sale si scioglie e satura l’acqua. A quel punto si ha il 37,2% di sale nell’acqua e quel composto si può utilizzare per insaporire le insalate oppure i carpacci, la maionese o alimenti grassi.

Qual è il vantaggio per la salute?

 Innanzitutto il sale si diluisce più velocemente perché è già liquido e non ha bisogno di trovare altra acqua per sciogliersi, dopodiché le nostre papille lo percepiscono molto di più, quindi, alla fine, ci si ritrova a salare di meno.

Abbiamo parlato solo di cottura a bassa temperatura. 

Ce ne sono altre, innovative, di cui si parla poco, come quelle agli ultrasuoni e agli infrarossi, oppure la cottura al microonde che è molto poco sfruttata, ma che invece mantiene i prodotti molto più salutari e con più vitamine.

La sola idea che in un ristorante sia presente un forno a microonde fa inorridire tanti clienti. 

Perché si pensa che il ristoratore lo utilizzi per riscaldare il cibo. In genere il microonde è utilizzato proprio per riscaldare, soprattutto a casa, ma usarlo per cucinare, come dicevo, può essere molto vantaggioso. Non solo: se ci avanza una cipolla e la mettiamo in frigo, già dopo qualche ora l’odore cambia, diventa “stanco”; se la tritiamo e la passiamo qualche secondo al microonde nell’olio, si conserva per giorni senza che il sapore si alteri. E la possiamo usare per fare il risotto, un sugo o altre preparazioni. Solo il microonde riesce a fare questo.

Cosa serve, invece, per la cottura ad ultrasuoni? 

Ci vuole uno strumento adatto e per permettere alle molecole di sfrigolare, riscaldandosi piano. Si possono utilizzare tutti gli alimenti, purché in busta o in acqua, ma è una tecnica che ha bisogno ancora di essere perfezionata. Oggi è poco utile perché ancora tanto dispendiosa.

C’è un suggerimento che si sente di dare ai ristoratori? 

La tecnologia è importantissima e, soprattutto, non ci fa ridurre il personale, che è già poco. Può permettere però al personale che abbiamo di lavorare e di rendere meglio, cucinando in modo più sano e producendo di più. Però la tecnologia bisogna conoscerla a fondo. Oggi ci sono tante aziende che stanno sfornando prodotti molto interessanti, ma gli operatori non li sanno usare.

Insomma, serve più formazione professionale.

Sì. Serve conoscenza e chi utilizza la tecnologia deve essere in grado anche di saperla spiegare. È dunque necessario informarsi su cosa si sta facendo. Perché una cucina colorata e ben impiattata è bella, ma deve soprattutto nutrire correttamente.

Ecco, non abbiamo parlato di cucina molecolare e sferificazione dei liquidi, altre pratiche molto trendy. Certe tecniche vanno bene per fare sensazione, sotto però devono esserci un concetto e una buona preparazione. Stupire in cucina va bene, ma quando scoppia la bolla bisogna trovare qualcosa nel piatto. E che sia buono.