Foraging, quando la spesa si fa nel bosco

Foraging, quando la spesa si fa nel bosco

Avete mai sentito parlare di tarassaco, silene, acetosa, crescione, borragine? Sono tutte erbe spontanee commestibili che si possono trovare – naturalmente – in natura: in montagna, in pianura, nei boschi o lungo i fiumi. Tutti ottimi ingredienti per la preparazione di minestre, salse e insalate ma anche per accostamenti insoliti, marinature, cotture a freddo, fermentazioni. Provare per credere recita il detto e che il foraging sia un trend del momento è un dato di fatto. Ma non pensiate sia una moda radical-chic, semmai è una filosofia «eco-friendly», una vera e propria frontiera di sperimentazione culinaria per proporre ricette dai contorni nuovi e piatti all’insegna della stagionalità, quella vera. La raccolta, l’utilizzo in cucina e la valorizzazione delle piante spontanee commestibili, il foraging appunto, è infatti il fenomeno gastronomico del momento che mira a contrastare l’omologazione del gusto, dei sapori e delle esperienze.
Tutto merito della nuova cucina nordica, quella del Noma di Copenhagen (più volte in cima alla classifica dei 50 migliori ristoranti del mondo) e dei suoi licheni, bacche e cortecce eletti ad alta cucina ma anche dell’effetto della crisi economica e della ricerca di nuove tendenze più sostenibili. Gli chef scandinavi hanno infatti scosso l’universo della gastronomia e se là si perlustrano le spiagge nebbiose dei mari del Nord, da noi ritornano nel piatto fiori colorati, pratoline croccanti, fiori di acacia profumati e dolci foglie di acetosella. Già perché il foraging porta con sé un approccio alla cucina che si basa su una gamma di sensazioni organolettiche e nuovi ingredienti da scoprire. Nuovi, si fa per dire. Pensiamo, infatti, alle ortiche tanto care alle nostre nonne o all’aglio orsino, versione selvatica dell’aglio comune.

«Siamo di fronte a un trend che di fatto è un ritorno alle origini – sottolinea lo chef Simone Tognetti, docente dell’Accademia del Gusto e chef giramondo guidato proprio dalla passione per il foraging -. I nostri nonni erano abituati a raccogliere erbe spontanee commestibili e la stessa fermentazione è stato il primo metodo di conservazione del cibo». Da cinque anni esperto raccoglitore di erbe e radici in tutta la Lombardia ma anche in Australia e in Portogallo, Tognetti ha ri-scoperto il foraging dopo aver assaggiato un quadrifoglio la cui esplosione organolettica simile al limone ha aperto allo chef lecchese un mondo di sapori nuovi: «Da allora ho cominciato a sperimentare in cucina riscoprendo tutto il valore del sapore primitivo che, di fatto, è quello essenziale – conferma Tognetti -. Gli ingredienti selvatici sono una parte importante della nostra identità culturale e della nostra tradizione culinaria. Per questo “ci azzeccano” in pieno con la ristorazione. Recuperare queste tecniche e questi ingredienti di origine selvatica, anche nuovi sotto il punto di vista nutrizionale, può essere una scelta contemporanea di recupero dell’identità territoriale e di valorizzazione di concetti attuali come la sostenibilità alimentare, la tutela dell’ambiente e il sapore primordiale degli ingredienti».
Ma fare foraging non è un hobby: bisogna conoscere bene il territorio e qualcuno che ne capisca. Insomma serve un “know how”: sapere cosa raccogliere è ovviamente il punto di partenza e ben vengano corsi, libri, figure professionali come l’etnobotanico e, addirittura, un laboratorio di ricerca e sperimentazione, il Wild Food-Lab di Wood*ing. Cosa serve per il foraging? «Bastano una cassettina, una forbicetta e qualcosa per scavare le radici – conclude Tognetti -. Il foraging vero non vuol dire infatti acquistare germogli in serra ma andare sul territorio: in questi anni sono riuscito a catalogare oltre 700 erbe spontanee e il mio obiettivo è proseguire ancora».