Bergamo, i Vip si raccontano a frigo aperto

La versione contemporanea del “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” è la fotografia del frigorifero. Sulle quantità, il tipo di alimenti, la disposizione dei prodotti e l’organizzazione c’è chi ha tracciato profili psicologici e mappe sociologiche (anche la Bbc ci ha costruito un’inchiesta) o creato percorsi artistici. È del resto piuttosto immediato farsi un’idea dello stile di vita e dei gusti di una persona e di una famiglia sbirciando tra gli scomparti e se riflettiamo su cosa c’è nei nostri potremo altrettanto facilmente renderci conto di quale piega abbia preso la nostra esistenza in determinato momento. Un gioco che quattro personaggi della nostra Bergamo hanno accettato di fare con simpatia, raccontando se stessi attraverso quella bottiglia tenuta in fresco, l’ingrediente irrinunciabile o la tentazione golosa.

La foodblogger

Vatinee, «all’interno due anime, una thailandese e una bergamasca»

Vatinee Suvimol (2)
Vatinee Suvimol

Per una foodblogger, il frigorifero è in pratica uno strumento di lavoro. Tanto più se è tra le promotrici di una community come Bloggalline e la responsabile di un portale da un 1,3 milioni di contatti unici al mese e 3 milioni di pagine visitate, iFood, nato solo un anno fa dalla volontà di fare rete delle stesse blogger e già capace di proporsi come «la risposta dal basso a Giallo Zafferano». Lei è Vatinee Suvimol, thailandese cresciuta tra Singapore, Germania e Italia, approdata a Bergamo nel 2000, dove ha messo su famiglia e il suo studio di avvocato.

Abita a Colognola ed ha voluto un frigorifero non solo perfettamente inserito nella moderna cucina, ma anche efficiente e funzionale. All’interno due anime. «Io mangio quasi sempre thailandese – racconta –, è strano perché ho vissuto in Thailandia solo fino a sei anni, ma quando torno a casa dal lavoro, nel tardo pomeriggio, mi preparo quasi sempre un piatto orientale, anche una semplice zuppetta con noodle. Sarà il richiamo delle radici, non so, comunque mi fa stare bene». E così nel cestello delle verdure non manca mai il lemongrass, uno degli ingredienti che hanno reso famose le sue ricette. «È la citronella – spiega -. Ha uno stelo simile al porro, si affetta la parte bianca e si utilizza per il soffritto, ad esempio. Ha un sapore agrumato, vicino anche allo zenzero, quel che basta per dare il tocco thailandese che mi serve». Nel frigo si trovano anche melanzane thailandesi, differenti per forma e gusto da quelle occidentali, cavolo cinese, salsa di soia o di pesce e altri prodotti esotici, che non fatica a trovare in città, al negozio di via Angelo Maj, per la precisione.

Il resto della famiglia preferisce i sapori nostrani. «Mia figlia Sofia, sette anni, è thailandese di aspetto, ma “bergamasca” in fatto di gusti, mangerebbe solo polenta, cotoletta, spaghetti – svela – e mio marito ha sempre assaggiato tutto ma solo in Thailandia, salvo poi proporsi come perfetto intenditore di quella cucina quando abbiamo ospiti a cena». «Non mangiamo carne di maiale per scelta alimentare – prosegue -, in frigo ci sono quindi pollo, tacchino e manzo, verdure. Il pesce preferisco cucinarlo appena comprato». Cosa manca? «Spesso e volentieri il latte. Beviamo latte di soia, ma quello vaccino serve in molte ricette di dolci, che sono tra quelle più frequenti e apprezzate del mio blog (A Thai Pianist ndr.) e così mi ritrovo il più delle volte senza». Il prodotto che invece finisce con l’essere dimenticato è il coriandolo. «Mi piace tantissimo, ma ne basta poco in ogni piatto e così il mazzetto resta a lungo in fondo al cassetto del frigo».

Vatinee suvimol (3)Da brava blogger, inoltre, Vaty viaggia, scopre, gusta e si porta a casa tante chicche gastronomiche. «Se la cucina thailandese è quella del cuore, non vuol dire che non apprezzi quella italiana, tutt’altro – precisa -. Mi vengono in mente un bel piatto di spaghetti alle vongole, un filetto o le tante specialità regionali». E il successo dei suoi piatti sta proprio nella contaminazione. «Talvolta sono ricette della tradizione thailandese riproposte con ingredienti italiani – evidenzia -, in altri casi prodotti e piatti tipici di quella italiana con un accento esotico, come l’incontro tra porcini e curry, apprezzato dalla rete, o i paccheri di Matera abbinati a uno spezzatino di vitello preparato con curry e latte di cocco, con il quale ho vinto un contest nazionale. L’ultima tendenza, sul versante dei dolci è il tè macha, un tè giapponese che dà un colore verde intenso alle preparazioni».

Il calciatore

Bellini, «qualche sfizio c’è, birra e gelato su tutti»

Gianpaolo Bellini (foto atalanta.it)
Gianpaolo Bellini (foto atalanta.it)

Quanto al frigorifero, ha fatto un bel salto la bandiera dell’Atalanta Gianpaolo Bellini, un’intera carriera con la maglia nerazzurra e un commovente addio al calcio giocato, con tanto di rigore trasformato, nell’ultima partita al Comunale di quest’anno, contro l’Udinese. Nella sua vita da single il frigo era quasi un optional. Ci metteva acqua, birra e qualche piatto pronto surgelato, da riscaldare in caso di emergenza. «Stavo poco a casa e mangiare da solo non mi piace», ricorda.

Oggi invece, che è sposato con Cristina ed ha due bambini piccoli, due anni il primo, pochi mesi il secondo, nella sua casa di Mozzo di frigoriferi ne ha ben due «e sono sempre belli pieni – svela -. Soprattutto delle pappe e dei prodotti per i bambini, ma anche di tutto il resto. Preferiamo la carne al pesce, anche se il nostro primo bimbo ne è golosissimo e ci sta portando a consumarne di più. C’è la verdura, meno la frutta, che non amiamo molto. La spesa la facciamo insieme, mia moglie ed io, perché sono sempre carichi importanti».

I ritmi e le scelte sono quelli di una giovane famiglia che non ha molto tempo per cucinare, ma non rinuncia al gusto e alla qualità. «Il congelatore è sempre ben fornito, però i piatti pronti non ci sono più, se non qualche busta di risotto – dice il calciatore -. Facciamo scorta di carne e la surgeliamo perché è più comodo e ci permette di organizzarci meglio. Prepariamo piatti semplici, ma cerchiamo sempre di assaggiare anche qualcosa di particolare».

Come la mette uno sportivo con le tentazioni? «Qualche extra c’è – ammette Bellini – dei dolcetti, cioccolato, qualche bibita gassata e nel freezer sempre il gelato, anche d’inverno. Mi concedo un piccolo sfizio prima di andare a letto, come anche un bicchiere di birra la sera, la preferisco al vino. In fresco comunque teniamo sempre una bottiglia di bollicine per quando abbiamo ospiti e stare a casa con gli amici ci piace». È goloso anche di formaggi, «una fetta a fine pasto ci scappa, anche perché dei parenti hanno un allevamento e ci riforniscono di prodotti nostrani». E c’è pure il fratello Gianmarco che porta avanti l’attività dei bisnonni al ristorante Ai Burattini di Adrara San Martino, inserito nella guida Osterie d’Italia di Slow Food: «Quando andiamo da lui – afferma – spazzoliamo sempre tutto, per il frigo di casa non avanza niente».

Piccole trasgressioni a parte, resta un atleta che con il cibo non ha mai esagerato. «Ho però ho capito solo attorno ai trent’anni quanto è importante l’alimentazione per essere in forma, avere energia e vivere meglio – riflette -. Bisognerebbe farlo da giovani, le prestazioni sarebbero migliori e i risultati più duraturi. Prima però non ci pensi e mangi senza farti troppe domande». Oggi il suo “credo” alimentare lo attinge da sua suocera: poco di tutto. «Servono equilibrio, moderazione e variare il più possibile perché ogni alimento ha proprietà diverse – sottolinea -. Ho anche imparato a bere molta acqua, dà una grande mano, anche a chi non è sportivo». E se lo dice l’ex capitano…

Il provveditore

Graziani, «quella volta in cui ci dimenticai le chiavi di casa…»

Patrizia Graziani - mod
Patrizia Graziani

Non si illudano gli studenti bergamaschi. Nel frigorifero della dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale – l’ex Provveditorato, per chi i banchi li ha lasciati già da qualche tempo – non ci sono scheletri. Patrizia Graziani rispetta i principi di quella corretta alimentazione che la scuola cerca di insegnare sin dalla più tenera età per favorire l’adozione di stili di vita consapevoli e salutari. Nel frigo di casa sua, a Mantova, ad occupare lo spazio maggiore sono verdure e frutta di stagione. «Ce n’è una varietà infinita – racconta -. In particolare gradisco le verdure cotte al vapore o grigliate che, da buona mantovana, condisco con Parmigiano Reggiano, senza olio. Poi c’è il pesce, che cucino alla griglia per lo più, e talvolta della pasta fredda. Non mangio carne, invece».

Semplicità non significa rinuncia: «Sono piatti che appagano il palato e poi qualche trasgressione ogni tanto ci sta». Quella che ci confessa, per soddisfare la voglia di dolce, è per la Coca Cola e le bibite gassate, anche se le sceglie “light” o “zero”. Ma la meglio ce l’ha il vino. «Mi piace accompagnare il pasto con un buon bicchiere – afferma -, in particolare amo i rossi piemontesi. In fresco invece tengo le bollicine della Franciacorta, che fanno sempre festa». E non dimentica il territorio. «Pur partendo da ingredienti spesso poveri, la cucina mantovana è molto ricca, tanto da essere detta “la cucina dei principi” – spiega -. I tortelli di zucca sono un emblema ed ho la fortuna di avere una mamma che li fa in casa. Sono però un piatto prevalentemente invernale, così come i cotechini e gli zamponi, che preparo per mio marito». Della Bergamasca apprezza i funghi, la polenta taragna e i formaggi: «Branzi, Taleggio e alcuni stracchini li compro a Bergamo perché sono particolari».

Coerente con i suoi gusti è il reparto surgelati. «Sono pochi – rivela Patrizia Graziani – e semplici, come gli spinaci, il misto di pesce per preparare il risotto o i gamberetti, che mi piace aggiungere alle insalate». Niente piatti già pronti, invece. «Anche se si ha poco tempo, è molto meglio una pasta in bianco fatta al momento con un po’ di Parmigiano – dice -. Se gli ingredienti sono di qualità il risultato è comunque ottimo». Attenta è anche la sua gestione delle scorte. «Ritengo lo spreco un peccato – rileva -. Cerco di misurare gli acquisti e di non lasciare scadere i prodotti, il compito, del resto, è facilitato dal fatto che, con mia figlia che ha ormai preso la sua strada, siamo solo in due in casa».

«Non sono tra quelle persone che con il cibo hanno un rapporto simbiotico – riflette ancora -. Non mangio in grandi quantità e infatti sono molto magra, ma apprezzo i piaceri della tavola, la qualità dei prodotti, scoprire sapori particolari e percorsi». Quando si tratta di spezzare la tensione, però, sgranocchiare qualcosa aiuta e si lancia sui pomodorini Pachino, «sono gustosi ed hanno l’effetto delle ciliegie, uno tira l’altro». E qualche defaillance domestica l’ha avuta anche lei. «È ormai diventata una barzelletta di famiglia quella volta che nel frigorifero ci ho dimenticato le chiavi di casa: così almeno le ho ritrovate, sarebbe stato peggio averle perse», ricorda divertita.

Il cantante

Il Bepi, «è il frigo di un single che non sa cucinare e non ha voglia di lavare i piatti»

Il Bepi, alias Tiziano Incani, alle prese con i sapori austriaci, tra i suoi preferiti
Il Bepi, alias Tiziano Incani, alle prese con i sapori austriaci, tra i suoi preferiti

Ci mette poco Il Bepi a passare in rassegna il contenuto del suo frigo: affettati confezionati e piadine, formaggio, sempre per farcire la piadina, birra, vino bianco (ché quello rosso non va al fresco), frutta, della quale si dice molto goloso, e poi mozzarella, insalata e pomodori, le uniche verdure che trovano posto negli scomparti. «In verità ho visto esempi ben più desolanti», si smarca il cantautore e conduttore tv di Rovetta, al secolo Tiziano Incani, che del dialetto e delle radici ha fatto la sua cifra espressiva. «Il mio è il frigorifero di un single che non ama e non sa cucinare e che non ha nemmeno voglia di lavare troppi piatti, tanto meno padelle – spiega -. Se somiglia al Bepi? Direi nell’essenzialità, nella scelta di cibi semplici che non vuol dire di scarsa qualità e valore. Preferisco sfuggire invece al luogo comune del personaggio tutto “salàm de fèta zo” (il rito di affettare il salame intero ndr.): mi piacciono i salumi, ma anche le insalatone col tonno e non vado certo in crisi d’identità per questo».

Pur se gli capita spesso di mangiare fuori («soprattutto pizza o kebab»), non sono rare le occasioni in cui si gode, a orari umani, la sua cena ideale – a base di piadina o insaltona, appunto – felice di starsene da solo, «sul terrazzo nell’una o due sere di tutta l’estate in cui la temperatura a Rovetta concede di stare all’aperto». «Il vero dilemma della cena è se accompagnarla con il vino o la birra – confessa -. Dipende un po’ dall’umore, dalla giornata, dalle sensazioni, sono due piaceri diversi. Non sono di quelli che rifuggono l’acqua ai pasti – precisa -, non mi dispero se c’è, ma con una birretta è un’altra cosa». La sua preferenza nel tempo è passata dai sapori particolari delle rosse ad alta gradazione alle più fresche e leggere bionde tedesche o alle più amarognole e agrumate Ale. Quanto ai salumi, «quello che si trova più facilmente in frigo è lo speck – racconta -, sono amante di tutti i prodotti dell’Austria e del Tirolo, ad eccezione dei crauti. Poi c’è il prosciutto cotto, che va sempre bene se c’è qualcuno a cui offrire un boccone, e la coppa». «Forse non è proprio un’alimentazione sana – gli viene il dubbio -, ma in fondo alterno spesso con le insalatone», si rasserena.

Non è però goloso di dolci e sul cibo non ha un atteggiamento compulsivo. «Sono vanitoso quanto basta per frenarmi, non mi piace l’idea di vedermi grasso – dice Il Bepi -. Con l’alimentazione ho un rapporto garbato, non viscerale. Quando poi mi voglio viziare scelgo con cura locali dove mangiare e bere bene». Per quanto poco assortito, il suo frigo non è mai vuoto. «Il cibo è comunque conforto, consolazione – annota – e non mi va di tornare a casa, magari dopo una giornata impegnativa, e non trovare niente». Se le sue cene da single lo appagano, il problema di essere da solo in casa si manifesta con gli omaggi gastronomici che riceve. «A volte mi regalano vasetti di salsine sfiziose – evidenzia -, le utilizzo una volta o due, ma poi è inevitabile che vadano a male, servirebbero delle confezioni più piccole. È lo stesso motivo per cui non compro maionese o salsa tonnata. E poi ci sono i salumi. Se mi offrono una pancetta che faccio? La regalo a mia volta, anche se, per la verità, mi piacerebbe almeno assaggiarla».

Un’altra controindicazione dei suoi pasti casalinghi è che può capitare di “rilassarsi” un po’ troppo. «In una di quelle sere che avevo deciso di dedicare a me stesso – ricorda – ho fatto onore a un buon bianco. Proprio quella sera un vicino aveva scoperto chi fossi e deciso di farmi visita per conoscermi. Credetemi, ho cercato ogni modo per far sì che la conoscenza non si approfondisse in quella circostanza…».




È l’anno dei legumi, ecco come gustarli al meglio

Ceci, piselli, lenticchie, fagioli, fave, soia ma anche varietà oggi quasi scomparse, come lupini, cicerchie e rovigli. Il 2016 sarà l’anno internazionale dei legumi. Lo ha stabilito la Fao che lancerà nei prossimi mesi una serie di iniziative per far conoscere il loro valore a tavola e rilanciarne il consumo. Nei paesi industrializzati i legumi rappresentano, infatti, solo il 25% della dieta, anche se la produzione mondiale è cresciuta del 20%.

Vediamo allora di scoprire un po’ di più su questi alimenti definiti buoni per la salute e per l’ambiente. Innanzitutto, va detto che il principale produttore al mondo è l’India, seguita da Canada, Myanmar, Cina e Nigeria. Ma anche l’Italia ha una produzione importante. Le varietà sono tante. Ogni regione, ogni territorio, ogni piccolo paese ha le sue. Anche a Bergamo c’è chi li coltiva con passione, come Ernesto Marchesi a Seriate e Giovanni Liborio a Palosco. Quanto alle proprietà, i legumi hanno offrono un alto apporto energetico grazie alla loro componente glucidica, ma sono poveri di grassi e ricchi di proteine vegetali. Sono ricchi di fibra alimentare, vitamina B1 e vitamina B3, calcio e ferro, potassio e selenio, micronutrienti importanti per il corretto funzionamento degli enzimi responsabili di molte reazioni metaboliche dell’organismo, nonché antiossidanti per prevenire l’invecchiamento cellulare. Sono degli ottimi alleati nelle diete ipolipidiche ed ipocaloriche, perché sono poveri di grassi e hanno un elevato potere saziante, dovuto all’alto contenuto di fibre.

La curiosità

Ad Albizzate, in provincia di Varese, dopo anni di sperimentazione, è nata la prima pasta al mondo fatta con legumi. Si chiama Legù, è naturale al 100%, ha pochissimi carboidrati (una porzione di 60 grammi contiene solo 26 grammi di carboidrati, contro i 40 della pasta tradizionale), è senza additivi, ricca di fibre e sali minerali e senza glutine. Inoltre è trafilata al bronzo ed essiccata a bassa temperatura in modo artigianale e si cuoce in soli tre minuti. L’hanno inventata Andrea e Monica, due 30enni. Nel dicembre 2015 hanno lanciato con l’azienda ITineri il nuovo alimento che si colloca nel solco delle nuove tendenze alimentari salutiste e che getta la sfida a uno dei pilastri della cucina italiana. «Siamo partiti dalla considerazione che il cibo può e deve essere migliorato – afferma Monica Neri, ideatrice con il marito Andrea Zavattari della pasta di legumi –. Abbiamo iniziato a sperimentare varie ricette, prima con la farina di semi di quinoa, poi con quella di amaranto. Infine grazie alle farine di legumi abbiamo ottenuto degli ottimi risultati e, anche supportati dalle evidenze scientifiche, abbiamo deciso di andare in questa direzione».

La cuoca /Simonetta Barcella di Bolgare

«Siamo fatti per mangiare legumi»

Simonetta Barcella - cuoca naturale - BolgareSimonetta Barcella, cuoca diplomata alla scuola di cucina La Sana Gola di Milano, ha già raccolto l’invito della Fao. Nel suo negozio Natural Bio, a Bolgare, ha promosso una serata per spiegare i benefici dei legumi e come si possono cucinare, mentre a Brescia ha partecipato a un incontro su questo tema insieme all’oncologo Franco Berrino, uno dei massimi esperti del legame fra alimentazione e salute. «Noi siamo fatti per mangiare legumi. La nostra alimentazione dovrebbe basarsi su alimenti vegetali, cereali, legumi e verdure di stagione», afferma.

Oggi però sono relegati ai margini dell’alimentazione. Perché?

«Un tempo i legumi erano una parte importante nella dieta delle famiglie perché costavano poco e davano un apporto proteico importante. Erano considerati la carne dei poveri. Basta pensare ai piatti popolari come la pasta e fagioli o le lenticchie in umido. Oggi si pensa che solo la carne possa apportare le proteine di cui abbiamo bisogno. È un errore: i legumi abbinati a un cereale integrale ci danno l’apporto di proteine corretto e tutti gli amminoacidi essenziali, in più si evitano i grassi saturi. Senza contare che hanno anche un costo decisamente più basso. Rientrano nella tradizione regionale in cucina, si tratta di riscoprirli. I legumi devono tornare nella tavola tutti i giorni».

Molte persone però faticano a sopportarli…

«Il 70% delle persone che vengono nel mio negozio mi dicono che non riescono a mangiare legumi perché hanno gonfiori e malesseri. Questo accade perché l’intestino è “sporco”, l’alimentazione occidentale moderna ha fatto sì che il nostro intestino funzioni male. Il primo consiglio è cercare di tornare a una alimentazione più naturale, il secondo di cominciare con piccole quantità. Al contrario di quanto si crede, non abbiamo bisogno di avere un apporto proteico importante. Se non siamo un bambino, un adolescente o uno sportivo, possiamo accontentarci di un cucchiaio di fagioli a pasto».

Quanti tipi di legumi esistono?

«La varietà è quasi infinita. L’Italia è un grande produttore. Solo come lenticchie, abbiamo 200 varietà. Poi ci sono il cecio nero, il cecio fiorentino, fagioli di tutti i tipi. Il gusto cambia, quindi possono accontentare tutti i palati».

In cucina come si possono impiegare?

«Sono alimenti molto versatili. Entrano nelle zuppe, come paté su un crostino di pane integrale diventano un antipasto. Stufati e accompagnati con la polenta sono un ottimo secondo. I colori, poi, sono spettacolari, vanno dal chiaro allo scuro. Bisogna inoltre conoscere le giuste tecniche di cottura. Ad esempio, l’ammollo è indispensabile, soprattutto per i legumi grandi. Occorre gettare l’acqua di ammollo e poi cuocerli a lungo con alloro, timo e rosmarino, per evitare gonfiori, e alga Kombu che permette di cuocere meglio e completa l’apporto nutrizionale del piatto».

La nuova attenzione per il cibo salutare e l’aumento di persone che hanno scelto una dieta vegetariana o vegana non hanno aumentato il consumo dei legumi?

«Per chi fa una scelta vegetariana o vegana, i legumi non possono mancare e soprattutto non può mancare la varietà. Non ci si improvvisa. Questa nuova sensibilità, che sia motivata da considerazioni etiche o di salute, obbliga a conoscere il cibo che si mangia; ad essere consapevoli  di quello che si ha nel piatto».




Il cameriere è grasso? Al ristorante si mangia e beve di più

I camerieri “in carne” possono ispirare a mangiare e a bere di più. Lo rileva uno studio pubblicato su Environment and Behavior dai ricercatori del Food and Brand Lab della Cornell University (nello stato di New York), un’istituzione che si occupa di psicologia dei consumi in campo alimentare. In particolare lo studio – rilanciato da Adnkronos -, condotto su 497 commensali in 60 ristoranti statunitensi, dimostra che chi ordina la cena da un cameriere in sovrappeso ha 4 volte di più la probabilità di ordinare un dessert e ordina il 17% in più di alcolici.

«Nessuno va ad un ristorante per iniziare una dieta. Per questo siamo estremamente sensibili ai segnali che ci danno la licenza ad ordinare e a mangiare quello che vogliamo», dice Tim Doering, ricercatore presso la Cornell Food and Brand Lab e autore principale dello studio.

Ad influenzare le nostre scelte a tavola non è solo il peso del cameriere. Giocano, infatti, un ruolo chiave anche l’illuminazione, la musica, e il posto a sedere. Per non cedere alla tentazione, dunque, i ricercatori consigliano di arrivare al ristorante già con le idee chiare, decidendo a priori cosa mangiare se l’antipasto o il dessert.




Bar e ristoranti, «la sfida è diventare sempre più green»

Attenzione agli aspetti ambientali, accurata scelta delle materie prime, filiera corta. Sono solo alcuni dei trend di una ristorazione sostenibile enunciati dalla Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, che in occasione del nuovo anno propone alcuni suggerimenti da mettere in pratica ad opera dei gestori di bar e ristoranti per rendere il proprio locale sempre più “green”.

«Ridurre gli impatti sull’ambiente è, nelle intenzioni della Federazione, un obiettivo primario su cui puntare quest’anno e in futuro per rendere il nostro Paese sempre più in linea con gli orientamenti europei nel settore – dichiara il presidente della Fipe Lino Enrico Stoppani -. In Italia lo scenario evidenzia un progressivo orientamento a pratiche “green” di bar, ristoranti e locali, tuttavia il panorama risulta frammentato e disomogeneo. È venuto il tempo di ragionare su un progetto coerente di promozione di una cultura della sostenibilità del fuoricasa su base nazionale, e promuovere un cambiamento culturale: adottare comportamenti sostenibili non deve essere visto come un costo ma come un’opportunità».

A fronte di tale quadro la Fipe pone tra gli aspetti prioritari della propria agenda per l’anno 2016 la promozione di una cultura della sostenibilità tra i propri aderenti, attraverso una serie di iniziative, in fase di studio, per dare risposte concrete e tangibili a quei ristoratori ed esercenti che vorrebbero ridurre l’impatto ambientale della propria attività ma non hanno gli strumenti adeguati e le conoscenze per farlo. «Uno dei principali pregiudizi vede la sostenibilità come una scelta dai costi elevati, in realtà comporta risparmi sul lungo periodo e importanti vantaggi anche nei confronti della clientela – prosegue Stoppani -. Ad esempio, consumando prodotti locali, di stagione e a chilometro zero e prestando particolare attenzione al tema degli imballaggi, si può arrivare a ridurre anche in modo significativo le emissioni di gas serra. Inoltre, con l’accorciamento della filiera, i prezzi ne risentono in modo positivo».

Tra i punti evidenziati dalla Fipe per un approccio ad una ristorazione sempre più sostenibile si segnala: l’importanza di cambiare il menù ogni tre mesi per privilegiare la stagionalità delle materie prime; la scelta di alimenti a filiera corta; l’attenzione nel promuovere a tutto il team di lavoro, fornitori compresi, una cultura del risparmio energetico con particolare attenzione alla scelta delle fonti rinnovabili; il corretto conferimento dei rifiuti nella raccolta differenziata in base alle regole dei propri Comuni di riferimento.

Indicazioni utili anche per fidelizzare maggiormente i consumatori: «I consumatori italiani – conclude Stoppani – sono sempre più informati, consapevoli delle problematiche ambientali e attenti agli aspetti di sostenibilità: una comunicazione completa e trasparente di quanto messo in atto per rendere “green” il proprio locale costituisce un’ulteriore modalità di accreditarsi favorevolmente verso i propri clienti e attirare nuovi target».

 

 




Educazione alimentare, finanziati i progetti di Comune e Università

cibo-bambini-coloriCi sono anche due progetti bergamaschi per l’educazione alimentare, uno del Comune di Bergamo e uno dell’Università, tra i 15 finanziati dal bando Ersaf per conto della direzione generale Agricoltura della Regione Lombardia. In particolare, il progetto del Comune, dal titolo “Educazione agro-alimentare sostenibile: percorsi educativo-formativi per alunni, insegnanti, genitori delle scuole primarie di Bergamo”, si è classificato al primo posto della graduatoria, ottenendo 85 punti. “Peculiarità locali per la definizione dell’identità locale” è invece la proposta dell’Università cittadina, che si è piazzata in undicesima posizione con 67 punti. Progetti sono stati presentati anche dal Comune di Sovere, Slow Food Valli Orobiche e Comunità del Mais Spinato di Gandino. Le azioni sono previste tra novembre 2015 e luglio 2016.

In totale la Commissione di valutazione ha esaminato 65 domande valide, ammettendo le 30 con punteggio pari o superiore a 60. In considerazione del budget complessivo disponibile, pari a 70.000 euro, saranno finanziati i primi 15 in elenco, con eventuale scorrimento della graduatoria in caso di rinuncia di uno o più dei soggetti.

I PROGETTI E IL FINANZIAMENTO AMMESSO

1) “Educazione agro-alimentare sostenibile: percorsi educativo-formativi per alunni, insegnanti, genitori delle scuole primarie di Bergamo”, Comune di Bergamo; finanziamento 5.000 euro

2) “Dalla terra un futuro verde: la nostra agricoltura bella da vedere e buona da mangiare”, Fondazione Minoprio, Vertemate con Minoprio (Co); finanziamento 5.000 euro

3) “AGRO-LAB Laboratorio di conservazione dell’agro- biodiversità del territorio lombardo”, Università di Pavia; finanziamento 5.000 euro

4) “Laboratori aperti sul cibo Open.Food.Lab”, Ambiente Parco impresa sociale Srl, Brescia; finanziamento 5.000 euro

5) “Sui sentieri dei sapori”, Parco regionale di Montevecchia; finanziamento 4.250 euro

6) “Il bello del cibo contadino è di essere buono. Percorsi di educazione agroalimentare e di lotta allo spreco”, Consorzio Agrituristico Mantovano; finanziamento 5.000 euro

7) “Adotta un prodotto. Dal campo al piatto: il cibo racconta la sua storia”, Cauto Coop., Brescia; finanziamento 5.000 euro

8) “Alimentazione in campo: dalla tradizione al consumo consapevole”, Associazione Battito d’ali di Senna Comasco (Co); finanziamento 3.675 euro

9) “Contadino, scuola, comunità: la geografia culturale del cibo”, Ecomuseo Planum Aquae; Borgo San Giacomo (Bs); finanziamento 5.000 euro

10) “Zona Umida Antico Mulino”, Ambiente Acqua Onlus Milano; finanziamento 3.000 euro

11) “Peculiarità locali per la definizione dell’identità locale”, Università degli studi di Bergamo; finanziamento 5.000 euro

12) “Caccia ai tesori: cibo, cultura, territorio”, Agriturist Lombardia Milano; finanziamento 5.000 euro

13) “Dalla terra alla scuola”, Demetra società cooperativa onlus, Besana Brianza (MB); finanziamento 4.400 euro

14) “Borgo Virgilio Aromatico”, Coop. Sociale Virgiliana Onlus, Borgo Virgilio (Mantova); finanziamento 5.000 euro

15) “Trame – Percorsi tra alimentazione, territorio e agricoltura”, Passi e crinali A.s.d.c. Rho e Arluno (Mi); finanziamento 5.000 euro.




Lo chef: «Insetti? In Cina ho assaggiato di tutto, ma non ho trovato spunti per la mia cucina»

Marino d'Antonio - executive chef Opera Bombana - PechinoSe in Italia sono proibiti, in tante altre aree del mondo gli insetti fanno tranquillamente parte dell’alimentazione e i nostri chef al lavoro da quelle parti hanno occasione di assaggiarli. Cosa ne pensano? L’abbiamo chiesto a Marino D’Antonio, executive bergamasco, di Cisano, dell’Opera Bombana, il locale aperto a Pechino dal tristellato.

«In Cina alcuni insetti sono mangiati regolarmente in regioni del sud, Hangzhou e Jiangsu, – ci racconta – anche scorpioni e cavallette, nello Yunnan, sono reperibili ma non sono molto comuni. Le formiche rosse giganti sono una vera prelibatezza per qualche cinese e servite solo in occasioni particolari. Sembra abbiano un potere afrodisiaco e sono molto costose: si fanno essiccare, si tolgono le zampe e si servono soffritte con verdure e salsa di soia. Le larve del bambù, invece, sono solitamente servite fritte, mentre il baco da seta, molto comune, viene cucinato saltato in pentola con olio e salsa di soia e spinaci o sedano oppure servito su uno spiedino e immerso in un brodo bollente con molte spezie e tanto peperoncino».

«Io ho assaggiato il baco da seta – svela – quello con il sedano e la salsa di soia. Era morbido, quasi gelatinoso dentro e croccante fuori, ma il sapore non è intenso, anzi è un po’ blando. Poi ho provato gli scorpioni, serviti sullo spiedino e grigliati. Anche in quel caso il sapore era coperto dal peperoncino e della griglia. Non si tratta comunque di un gusto forte o caratteristico, potrebbe ad un pesce o un pollo crudo scondito. Ho provato anche le formiche, ma non erano state pulite bene e qualche zampetta mi è rimasta in gola, una sensazione spiacevole. Il sapore era come di pollo fritto, mentre le cavallette fritte sono come le patatine».

Lo chef ha assaporato un campionario piuttosto vasto di insetti, ma non è stato colpito dal loro pregio gastronomico. «Onestamente al momento non mi danno grandi spunti per i miei piatti anche perché faccio cucina tradizionale italiana – evidenzia D’Antonio -. Sono comunque un alimento ricco di proteine e sali minerali e andrebbero forse rivalutati».




Insetti in tavola, «sono gli chef che possono fare la differenza»

Brodo di grilli dello chef sardo Roberto Flore

Il brodo di grilli dello chef sardo Roberto Flore

Fino a ieri trovare un insetto nel piatto era solo il segno del peggior livello di un locale, oggi può anche essere la proposta gastronomica più trendy e corretta in termini di sostenibilità alimentare. Basti pensare che nella cucina con cavallette e larve di scarabeo si cimenta niente meno che René Redzepi, del Noma di Copenaghen, giudicato a più riprese il miglior ristorante al mondo. Non si tratta solo di provocazioni o virtuosismi culinari, ma di una precisa linea di ricerca e sviluppo inquadrata a partire dagli anni Novanta dalla Fao, che nel consumo di insetti vede una delle risposte a quella che è stata anche la domanda dell’Expo: come sfamare un pianeta sempre più affollato che chiede cibo sicuro e nutriente e, nello specifico, dove trovare fonti di proteine a minore impatto ambientale, disponibili per tutti.

Osservata da un punto di vista è globale, l’entomofagia (è il termine con cui si indica il mangiare insetti), in realtà, non è poi questa gran stranezza, essendo pratica diffusa in Oriente, in Africa e in Sud America. Ed ora è molto più che un’ipotesi nei Paesi sviluppati. L’esposizione milanese è stata teatro del primo evento ufficiale in Italia in cui si sono mangiati insetti (nel padiglione del Belgio, Paese dove è stata autorizzata la commercializzazione di una decina di specie per uso alimentare umano, che si possono trovare anche al supermercato), convegni e pubblicazioni si sono moltiplicati e a pochi giorni dalla chiusura dell’evento è arrivato il sì del Parlamento europeo alla semplificazione delle procedure di autorizzazione del cosiddetto novel food, ossia tutto ciò che non è mai stato considerato cibo prima, comprese meduse, nuovi coloranti e cibi costruiti in laboratorio.

Marco Ceriani - ItalbugsPer saperne un po’ di più ci siamo rivolti a chi da tempo si dedica allo studio degli insetti per fini alimentari, Marco Ceriani, esperto in nutrizione e fondatore, sei anni fa, di Italbugs, che si occupa di ricerca e sviluppo di matrici alimentari sicure da insetti, per realizzare materie prime e nuovi alimenti. È insediata nel PTP Science Park di Lodi, primo parco tecnologico in Italia dedicato all’agroalimentare.

Cosa comporta la recente mossa dell’Europa sul novel food?

«Non che si possono produrre, vendere e consumare insetti. La normativa Europea non lo permette, anche se in alcuni paesi, come Belgio, Olanda e Francia, questo avviene già grazie a delle leggi nazionali, ma solo per il mercato interno. Ora il Parlamento ha dato un parere positivo sul novel food, significa che non ha ravvisato rischi o problematiche. È un passo che ormai ci si aspettava e che dà un’accelerata agli studi e alle ricerche».

Quanto passerà, quindi, prima di sgranocchiare cavallette?

«Bisognerà costruire delle leggi che dicano in che modo gli insetti potranno essere allevati e venduti. Si tratta in pratica di introdurre un nuovo elemento nella catena alimentare, prodotti che non sono mai stati commercializzati né consumati prima, dei quali occorre sapere cosa contengono e quali pericoli comportano, un percorso del tutto legittimo e normale, come per qualsiasi altra novità, fatto di analisi e verifiche. Nessuno ce l’ha con l’insetto…».

Dovrà però ammettere che non sembra una prospettiva golosa…

«Il gap europeo sul consumo di insetti è dato dal fattore disgusto, ma si può superare, come insegna la storia alimentare. Le patate ci hanno impiegato un po’ prima di essere apprezzate e la melanzana a passare da “insana” a regina del cucina mediterranea. Oggi però il processo è molto più rapido, basti pensare al successo del kebab e del sushi, molto distanti dalla nostra tradizione, e l’Expo ha ulteriormente accelerato il confronto e gli scambi».

Un piatto con insetti dello chef belga David Creëlle B
Un piatto con insetti dello chef belga David Creëlle

In che modo gli insetti possono essere resi meno disgustosi?

«Credo che un ruolo fondamentale possa recitarlo l’alta gastronomia. Che li propongano un locale del calibro del Noma o Carlo Cracco significa che hanno una valore gastronomico e sensoriale. Più in generale passa dagli chef la capacità di elaborarli in forma di brodi o estratti, di creare del cibo destrutturato come hamburger, polpettoni. Parlare di insetti commestibili non vuol dire mangiarli così come sono – è l’ipotesi più lontana nel nostro contesto -, ma utilizzarli per realizzare oli o farine perché no. Prima di tutto però c’è il grande capitolo dell’alimentazione degli animali nel quale gli insetti andrebbero a sanare alcuni problemi come l’estensione sproporzionata delle coltivazioni di soia per realizzare mangimi, o veri e propri controsensi come il fatto ai polli si danno sfarinati di pesce, mentre al pesce d’acquacoltura la soia, che mai in natura avrebbe occasione di mangiare».

Perché gli insetti sono il cibo del futuro?

«Perché la popolazione aumenta e sta cambiando dieta. Cina e India oggi vogliono nutrirsi di proteine ma non sarà possibile averle con l’allevamento tradizionale. Gli insetti hanno un ottimo indice di conversione nutrizionale, significa che con un meno di due chili di mangime vegetale si ottiene un chilo di proteine, per ottenere la stessa quantità nei bovini servono dieci chili di mangime. Questo accade perché non sprecano energia per mantenere la temperatura del corpo. E poi necessitano di poca acqua, di poco terreno, hanno deiezioni minime e producono pochi gas serra, insomma un impatto ambientale limitato a fronte di un importante apporto nutrizionale».

tabella insetti - proteineQuali nutrienti contengono?

«Soprattutto proteine, ma anche grassi polinsaturi, come gli Omega 3, alcuni sono pure ricchi di ferro e minerali. Sono inoltre poveri d’acqua, il che li rende un vero concentrato di elementi, con valori superiori rispetto a carne e pesce. I contenuti nutrizionali possono poi variare in base a come vengono alimentati e questo è uno dei temi allo studio ».

Ma sono sicuri?

«Quelli individuati come più interessanti per essere introdotti nella catena alimentare non contengono veleni per l’uomo. Anche la possibilità che trasmettano malattie infettive è remota, visto che hanno un dna molto diverso dal nostro. I rischi sono più che altro legati agli allergeni e alle contaminazioni ambientali, nello stessa esatta maniera per la quale una mela, riconosciuta come commestibile, può essere diventare pericolosa se piena di pesticidi. L’aspetto da mettere a punto è proprio questo, trovare le modalità migliori per una produzione sicura».

Con Italbugs su quali specie sta lavorando?

«Una nostra peculiarità è lo studio del baco da seta, di cui l’Italia era il secondo produttore al mondo. È interessante anche perché riprendere l’allevamento comporterebbe un recupero del territorio, visto che si nutre solo di gelsi, e della produzione della seta. Ci occupiamo anche di grilli, cavallette e di un insetto simile al baco da seta, il Mopane Worm, presente e consumato nel Sud dell’Africa. L’obiettivo è mettere in commercio degli estratti, ovviamente con una produzione realizzata all’estero».

Il legislatore italiano ha già posto attenzione all’allevamento e alla commercializzazione di insetti?

«Al momento no, neanche sul versante dell’alimentazione animale. Ma dovrà confrontarsi con questo tema perché il mercato si sta aprendo e le spinte sono sempre maggiori, tra Stati che li hanno già autorizzati e le posizioni dell’Europa. Occorrerà farlo per non essere tagliati fuori».

Insomma la strada è segnata…

«Con le dinamiche demografiche in atto, direi di sì. Non significa, si badi bene, che si dovranno mangiare per forza insetti, né che sostituiranno ogni altra fonte di proteine, sono però delle alternative, come del resto alghe, meduse e carne in provetta…».

Lei quali insetti ha avuto modo di assaggiare? Come sono?

«Ho mangiato grilli, cavallette, camole, il casu marzu cioè il formaggio trasformato da larve di mosca, mopane worm e pulce d’acqua, in Oriente sono proposti prevalentemente fritti, che è anche una modalità che offre maggiore igiene. Il paragone più calzante è quello con i crostacei, in generale si può dire che hanno un gusto che non disturba, niente di acido o strano. A tutti, del resto, è capitato di trovarsi in bocca un vermetto dopo aver addentato un’albicocca e, a parte la diversa consistenza, al palato non ha dato sensazioni sgradevoli. Il resto, come dicevo, lo possono fare gli chef. Recentemente ho mangiato una zuppa di zucca, panna e cavallette niente male».

 




Salumi e carne cancerogeni, macellai preoccupati dall’effetto allarmismo

carneSono state inserite nel gruppo 1, ossia quello dei fattori cancerogeni certi come l’amianto, il fumo di tabacco, il fumo passivo, le radiazioni ultraviolette e i virus dell’epatite B e C. Le carni rosse lavorate, ovvero quelle salate, essiccate, fermentate, affumicate, trattate con conservanti per migliorarne il sapore o la conservazione, come salumi e wurstel ad esempio, sono legate all’insorgenza del tumore del colon e pure dello stomaco, secondo lo studio appena pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Oncology realizzato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione, la più quotata autorità in materia.

L’affermazione scaturisce dalla revisione di oltre 800 studi epidemiologici sul rapporto fra carni rosse e insorgenza di cancro in tutto il mondo, sulla base della quale il team di esperti internazionali ha anche inserito il consumo di carne rossa (manzo, maiale, vitello, agnello, montone, cavallo o capra) nel gruppo 2, ossia in quello dei probabili carcinogeni, in particolare a carico del colon, ma anche di pancreas e prostata.

Gli stessi scienziati invitano a valutare i risultati con attenzione, evidenziando la necessità di non eliminare del tutto la carne, ma piuttosto di essere consapevoli dei rischi legati ad un consumo eccessivo, oltre che della qualità dei prodotti, dei tagli e delle modalità di cottura (griglia e frittura, ad esempio, possono sprigionare sostanze nocive). Eppure tra gli addetti ai lavori la preoccupazione c’è. Federcarni-Confcommercio, la Federazione nazionale macellai aderente a Confcommercio, denuncia le ricadute negative concrete sull’attività di migliaia di imprese della produzione e della distribuzione di qualità dovute all’effetto allarmismo.

«Non bisogna mai commentare d’istinto quando si tratta di indicazioni di carattere scientifico – rileva il presidente Maurizio Arosio – ma non si può sottacere il grave rischio allarmismo. Proprio in questo periodo, come Federcarni, abbiamo avviato la campagna delle borse della carne con messaggi importanti per i consumatori sulle qualità della carne rossa che, magra – secondo una ricerca americana (Penn State University) – fa bene alla salute; sul fatto che la carne sia oggi uno degli alimenti più controllati e sicuri, e su quanto sia importante il ruolo del macellaio nel saper consigliare». «I criteri generali di una sana alimentazione: qualità e moderatezza – conclude Arosio – sono le risposte giuste».




Vanessa e gli “sformaggi”, anche il mondo “veg” ha la sua casara

Casara Veg 2La Bergamasca è terra di formaggi, ma lo è anche di “sformaggi”, come il mondo veg ha cominciato a chiamare le creazioni di Vanessa Agosti, 36enne insegnante elementare di Predore, capace di realizzare un’intera gamma di forme e sapori utilizzando solo materie prime vegetali. Non solo tofu e ricottine, che bene o male si conoscono, ma mozzarelle, “taleggio”, cremosi da spalmare, caciotte e formagelle.

Chiamarli formaggi, ovviamente, non si può e quella “s” avversativa è ironica al punto giusto per segnare la distanza rispetto all’ortodossia casearia. Resta il fatto che ai gusti e alle consistenze dei formaggi si ispirano e che caci e latticini tradizionali sono il termine di paragone per descriverli.

Vanessa è una pioniera della produzione artigianale – per ora solo casalinga -, un punto di riferimento per chi, per motivi di salute o scelte alimentari, non mangia latte e derivati ma non vuole rinunciare a piatti filanti e saporiti. Per le sue ricette si è guadagnata l’appellativo di “casara veg”, che è pure il nome del suo blog, ed ha anche scelto di condividere la sua esperienza tenendo corsi di autoproduzione.

«Tutto è cominciato per un’esigenza personale – racconta -. Già da tempo seguivo una dieta vegetariana, poi, tre anni fa, sono diventata intollerante ai latticini. Ero disperata. Perché sono una buongustaia e perdevo degli ingredienti fondamentali per rendere ricca e appagante la mia tavola. Ho provato i prodotti industriali in commercio, ma mi sembrava che non avessero né gran sapore, né cremosità. Senza contare che non sempre erano salutari, vista la presenza di oli e grassi raffinati».

L’unica strada era il fai da te e Vanessa l’ha percorsa a suon di tentativi, tanti e spesso poco incoraggianti, anche perché le informazioni sull’argomento erano – e continuano ad essere – molto scarse. «In italiano c’è un solo libro ed è tutto di prodotti a base di soia – evidenzia -, mentre ciò che si trova sul web è spesso lontano dal nostro gusto. La mia necessità è invece di ricreare in qualche modo quella varietà di sapori e consistenze che fanno dell’Italia la patria dei formaggi, dei prodotti artigianali che raccontino chi li fa». A forza di varianti ed esperimenti c’è riuscita, ricevendo una bella conferma al Sana di Bologna nel 2013, quando la sua pasta ai quattro (s)formaggi, autentica sfida ad un piatto tra i più “formaggiosi”, ha vinto il concorso nazionale di cucina vegana al quale si era iscritta con l’incoraggiamento dei suoi “supporter”.

sformaggi veganiOggi Vanessa ha messo a punto una quindicina di prodotti, dalla mozzarella («non potevo immaginarmi una pizza senza») alle caciotte, dagli spalmabili al “taleggio”. «Le materie prime sono tutte vegetali – spiega -, possono essere bevande, come quelle a base di soia, mandorle, riso, oppure frutta secca, come anacardi, mandorle, noci di maccadamia, o ancora legumi, come i fagioli cannellini. Ci sono poi due tipi di lavorazione: la cagliata, utilizzando aceto di mele o succo di limone per far coagulare, ad esempio, il latte di soia e ricavare delle ricottine; oppure la fermentazione, con ceppi di fermenti coltivati su acqua anziché sul latte». Il resto lo fanno i tempi di riposo e l’aggiunta di spezie ed aromi a richiamare le note del formaggio. Le materie prime sono biologiche e la scelta degli ingredienti tiene conto anche delle loro proprietà benefiche, come la formagella con mandorle e curcuma.

Il risultato di cui Vanessa va più orgogliosa è quello che ha chiamato lo “stagionato”, fatto con latte di soia, anacardi e miso, la preparazione a base di fagioli di soia, riso e sale fermentati tipici della cucina giapponese. «Ne sono orgogliosa perché a me mancava proprio – evidenzia -, è un prodotto molto saporito, da utilizzare come un formaggio da grattugia, per arricchire i piatti o da mangiare fuso con la polenta. Tutte le mie creazioni, del resto, nascono dalla mia necessità di non rinunciare al piacere del formaggio!».

Per sé non prevede una svolta professionale. «Mi piace insegnare – dice – e penso che quello della casara veg rimarrà un hobby, ma ci sono persone che svilupperanno questa attività e presto realizzeremo un piccolo laboratorio, perché i prodotti stanno riscuotendo molto interesse». Lei intanto continuerà a inventare sformaggi e la nuova impresa è già sul piatto: «Vorrei realizzare un gorgonzola vegano. È dura ma ci sto lavorando».