Regione europea della gastronomia, Cerea tra i testimonial

Arriva oggi il conferimento ufficiale dell’Award “Regione Europea della Gastronomia 2017” alla Lombardia Orientale, con una cerimonia organizzata nell’ambito della Food Tourism Week della Commissione Europea.

Il progetto nasce grazie ad una partnership istituzionale composta da Regione Lombardia, Comuni di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova, Camere di Commercio di Bergamo, Cremona e Mantova e Università di Bergamoper con l’obiettivo di una valorizzazione integrata dei temi legati al food e alla sostenibilità. Il titolo è stato ottenuto il 3 luglio scorso a Barcellona, con il parere positivo di una giuria internazionale formata da un pool di esperti indipendenti, selezionati dai membri di IGCAT, che coordina e gestisce la piattaforma e la competizione. L’Award è stato concesso al termine di un processo di valutazione iniziato nel 2014.

Chicco CereaIl programma della giornata vede la partecipazione di rappresentanti del panorama locale ed europeo e prevede gli interventi, tra gli altri, dell’assessore regionale al Commercio Turismo e Terziario Mauro Parolini, dei quattro sindaci dei Comuni coinvolti, del rettore dell’Università di Bergamo Stefano Paleari e del direttore scientifico Roberta Garibaldi, nonché degli ambasciatori di ciascun territorio. Per Bergamo si tratta dello chef tristellato Enrico Cerea, per Brescia del presidente del Consorzio Franciacorta Maurizio Zanella, per Cremona Cesare Baldrighi, presidente del Consorzio di Tutela del Gran Padano, per Mantova Romano Temani, chef e patron della stellata Ambasciata di Quistello nonché testimonial Unesco.




«La festa? È ciò che Borgo Palazzo potrebbe diventare»

Il giovane direttivo dell’Associazione Botteghe di Borgo Palazzo non si è risparmiato per offrire un programma speciale alla Festa del Borgo, con uno spiegamento di attrazioni, spettacoli ed iniziative che – assicurano – si è visto rare volte a Bergamo.

L’appuntamento, giunto alla settima edizione, è domenica 27 settembre dalle 10 alle 20, quando il chilometro e mezzo di strada che va dal cavalcavia al centro sarà chiuso al traffico delle auto e animato da musica ed eventi (con ben 5 palchi, oltre a spettacoli di magia e street performace), giochi per bambini (dai mega gonfiabili al cinema 4D, ai laboratori), sport (in 8 aree dove di succedono dimostrazioni di ogni disciplina), cibo e shopping (con oltre 200 negozi aperti e 60 street point dedicati al food).

La giornata non vuole però essere solo una bella festa e vola persino più alto dell’obiettivo di rilanciare l’attrattività dello storico quartiere, ricordando ai visitatori il valore dei negozi di vicinato e l’importanza di vivere la città. «La manifestazione è una specie di anteprima di ciò che potrebbe essere Borgo Palazzo tra cinque anni – afferma il presidente delle Botteghe Roberto Marchesi –, una via animata e piena di iniziative, capaci di coniugare la tradizione con il futuro. Non è un caso che la novità principale di quest’anno sia l’ArtiLab, un laboratorio creativo di 90 mq all’aperto realizzato in collaborazione con i Giovani di Confartigianato Bergamo dove trovano spazio le nuove frontiere del saper fare artigiano, dalle stampanti 3D, con le quali i bambini potranno veder realizzati piccoli giocattoli, al design, alle soluzioni per un’edilizia innovativa e sostenibile. Sono queste le attività che potrebbero dare nuova linfa al borgo, non una rivisitazione nostalgica delle vecchie botteghe ma nuove realtà che non dimenticando lo “spirito di quartiere” guardano avanti».

Le stesse piazzette che per la festa saranno invase da iniziative potrebbero diventare stabili punti di aggregazione. «Un’idea è che la piazzetta Rossa possa ospitare nel corso dell’anno un campo da volley o da calcetto – dice Marchesi -, ma qualcosa si ludico o culturale si può pensare anche per altri spazi, per fare in modo che l’area sia sempre viva e a misura d’uomo».

Idee che non sono solo una provocazione. «Con l’ampliamento del Distretto del commercio è un ragionamento può essere messo sul tavolo – spiega il presidente – in accordo con i piani complessivi per la città. Si possono infatti avanzare progetti e ottenere finanziamenti per agevolare gli affitti, ad esempio, e programmare iniziative».

E la festa rappresenta il trailer di tutto questo.




Franceschini a Bergamo: «Alleanza sempre più stretta tra turismo e cultura»

«Grande ottimismo dopo i risultati 2015 e tante start up geniali». Così il ministro dei Beni e delle Attività culturali Dario Franceschini ha sintetizzato in un tweet la propria partecipazione a “Visit Italy!” il convegno che aveva il compito di fare il punto sulle strategie per il turismo organizzato nell’ambito di NF15, l’evento dedicato agli operatori professionali in programma alla Fiera di Bergamo il 25 e 26 settembre.

A due anni dalla presentazione del piano strategico per lo sviluppo del turismo in Italia e a otto mesi dalla legge 29/07/2014 n. 106, il  ministro Franceschini ha ricordato i risultati lusinghieri di crescita in tutti i settori ottenuti quest’estate come importante iniezione di fiducia, evidenziando nel contempo la necessità di un’alleanza sempre più stretta tra turismo e cultura.

«L’Italia come museo diffuso e il turismo sostenibile che valorizza le eccellenze» sono i due assi portanti della strategia che prevede anche «una lista di priorità condivise e una governance per tornare a crescere». «Se abbiamo cambiato lo statuto di Enit è per fare promozione, ma  – avverte Franceschini – è necessario identificare i Paesi in cui muoversi e su quali target puntare». Incentivi ne sono stati fatti, ricorda il ministro, citando il tax credit, ma «poi deve arrivare la risposta dei privati».  Tra gli ambiti di intervento in termini di offerta, si sta lavorando sui «grandi cammini, che uniscono turismo lento, cultura e religione» sulle linee ferroviarie, sulla grande ciclabile Venezia-Torino, sul sistema dell’hotel diffuso «con il quale si potrebbero ripopolare tutti gli Appennini». Insomma, bisogna «unire le nostre eccellenze, è stato sciocco in passato distinguere tutto. Non esiste divisione fra arte, archeologia, enogastronomia, moda e shopping: sono parte della stessa offerta».

Non è un caso che la sua giornata sia perciò proseguita con la visita all’Accademia Carrara. «Un bellissimo restauro. Una delle più grandi collezioni italiane di capolavori» è il pensiero che ha voluto condividere con i follower insieme alle immagini dei quadri più prestigiosi della pinacoteca cittadina. Il ministro ha visitato anche la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea per vedere il lavoro di allestimento dell’imminente mostra dell’artista russo Malevič. Tappa successiva il sito Unesco di Crespi d’Adda.

 




«La democrazia ci ha reso esigenti. Forse anche troppo»

Nell’ex chiesa di Sant’Agostino ristrutturata e restituita alla città, la relazione di apertura dell’anno accademico dell’Università di Bergamo del rettore Stefano Paleari tocca nervi scoperti del Paese come la crisi demografica e la necessità di una nuova industria, la scarsa considerazione per i giovani, maltrattati e dimenticati, e la necessità di investire nel futuro, ma chiama anche ciascuno ad una nuova responsabilità.

«Il nuovo patto europeo deve portare ogni Paese – ha evidenziato -, al di là degli egoismi e delle diverse anime, a dedicare una soglia minima della ricchezza al futuro, cioè agli investimenti. Certo non si tratta di un’azione che premia. Spesso chi la decide non la celebra, talvolta nemmeno vi sopravvive. Ma non possiamo rispondere continuamente all’assillo dei sondaggi di opinione. La legittimazione popolare è essenziale, anche per politiche che non la ritroverebbero una seconda volta. La storia ci dice che è stato salvato Barabba e potremmo dire che per sola alzata di mano forse saremmo ancora tolemaici. La democrazia è responsabilità e potere di scelta, è fiducia, il contrario di webcam e streaming che sono una specie di agopuntura permanente e non l’anticamera della dovuta trasparenza».

Più che nella competizione esasperata, il rettore  individua la strada nel raggiungimento dell’aurea mediocritas di oraziana memoria, «significa “ottimale moderazione”, equilibrio, rifiuto di ogni eccesso». «Rendiamoci anche conto che oggi chiediamo davvero molto a chi ci governa e anche la mia relazione va in questa direzione. In altri termini, la democrazia ci ha reso molto esigenti, forse anche troppo. Anche qui l’equilibrio e la moderazione aiutano una società a progredire e a essere più giusta».

  • Ecco la relazione

CRESCITA E DEMOGRAFIA

paleari inaugurazione anno accademico 2015La tenuta degli attuali livelli di benessere, mai visti in precedenza, è una grande questione per i Paesi europei. Se la misura è quella del Prodotto Interno Lordo l’Europa è su valori stagnanti e, in molti Paesi, assai distanti da quelli di 10 anni fa. L’Italia non sfugge a ciò, anzi è l’avanguardia di un declino che ormai rasenta un decennio. Ogni politica non può prescindere dalla situazione di partenza e dalle tendenze, pena la ricerca di obiettivi che risultano non aderenti alla realtà.

Il nostro Paese affronta oggi due grandi questioni che sono state peraltro già fonte di preoccupazione a partire dall’Unità d’Italia e in particolare in occasione delle due Grandi Guerre: un elevato debito pubblico e una decrescita demografica.

Nel corso del 2014 sono nati 502.000 bambini, il numero minimo dall’Unità d’Italia, contro il milione degli Anni Sessanta. Ebbene, con 500 mila nascite ogni anno e un’aspettativa di vita media alla nascita di 80 anni, senza apporti esterni, il Paese passerebbe, a regime, dagli attuali 60 a 40 milioni di abitanti.

Anche a parità di PIL pro-capite, oggi su valori inferiori a quelli di 10 anni fa, perderemmo il 30% della ricchezza complessiva senza che questo automaticamente trascini con sé la riduzione dell’imponente debito pubblico. Anche se la vita media raggiungesse i 100 anni i fatti non cambierebbero; a regime, planeremmo a 50 milioni di abitanti con il 10% della popolazione di età compresa tra i 90 e i 100 anni.

Questa semplice valutazione ci induce a ricercare da un lato, forti guadagni di produttività finalizzati a elevare la ricchezza unitaria, dall’altro a integrare la popolazione con politiche per la natalità e con flussi migratori tali da incrementare il numero di abitanti e ridurne l’età media. Senza crescita della produttività e senza un governo della demografia il sentiero, purtroppo, è tracciato, con tutte le conseguenze socio politiche del caso. La questione non è quindi relativa al se, ma al come. Il non fare è come il far fare al caso e alle pressioni esterne all’Europa, come del resto è evidente negli ultimi tempi.

Con riferimento alla produttività, ormai stagnante o in regresso da anni nel nostro Paese, occorre modificare radicalmente i modelli organizzativi del lavoro, in particolare nella Pubblica Amministrazione che non è soggetta direttamente all’azione schumpeteriana delle forze di mercato. La riforma della Pubblica Amministrazione è efficace se, almeno, ci porta a fare lo stesso con meno o a fare di più con le stesse risorse; e credo che sia velleitario perseguire questo obiettivo introducendo nuove norme senza al contempo modificare l’intera l’organizzazione, le modalità di lavoro e di remunerazione e il modo con cui essa recepisce gli avanzamenti tecnologici.

La crescita della produttività beneficia, inoltre, della qualificazione delle persone; ciò è fondamentale anche per il pubblico, dove al privilegio di non essere assoggettati direttamente alle forze di mercato occorre rispondere con l’alta professionalità e l’elevata produttività. Gli assetti giuridici e amministrativi, prima ancora delle scelte politiche, portano il nostro Paese in tutt’altra direzione.

I GIOVANI

Un secondo aspetto molto correlato alla questione della crescita riguarda l’attenzione verso i giovani.

Già sono sempre meno, sia in termini assoluti che relativi; oggi sono anche spesso dimenticati e mal trattati. Basta guardare alla dinamica della spesa pubblica di questi ultimi anni e anche le prospettive degli anni a venire per accorgersi che le scelte dimenticano i bisogni delle nuove generazioni.

Negli ultimi quattro anni la spesa corrente è cresciuta in termini nominali di 22 miliardi di euro, quella per gli investimenti è, viceversa, ai minimi storici.

Disaggregando la spesa corrente per capitoli, sempre nello stesso periodo, il reddito da lavoro si è ridotto di 4 miliardi di euro, i consumi intermedi sono rimasti nominalmente costanti, il costo delle prestazioni sociali è salito di 24 miliardi di euro, di cui 14 per la sola previdenza.

Fortuna vuole che gli oneri finanziari siano al momento più contenuti che in passato, anche grazie all’integrazione monetaria e ai tassi ridotti dalle politiche della Banca Centrale Europea. Volendo poi disaggregare per funzioni, a fronte di una spesa sanitaria stabile in termini nominali abbiamo assistito al disinvestimento in istruzione e ricerca.

Quando si tagliano gli investimenti, il lavoro e l’istruzione si dà un segnale chiaro di declino e di non attenzione al futuro, si dichiara che questo non è più il Paese per i nostri giovani.

Anche un uomo come Quintino Sella, noto per il suo rigore, per le “economie fino all’osso”, nella ricerca del pareggio di bilancio, non perché ci fosse l’euro ma perché era anche all’epoca conveniente per l’Italia, ammoniva il Parlamento di difendere le “spese produttive”, infrastrutture e istruzione in primis.

LA NECESSITÀ DI UNA NUOVA INDUSTRIA

Questi ultimi anni non ci consegnano un Paese in affanno solo per tendenze demografiche. Se pensiamo alla produzione industriale, mentre gli altri Paesi dell’eurozona sono ritornati ai valori pre crisi, il nostro Paese ha perso quasi un quarto della sua capacità produttiva.

Non si vedono al momento forti e persistenti cambiamenti di trend, malgrado la “bassa marea” del calo dei prezzi delle materie prime, dell’euro meno forte e del costo del denaro ai minimi storici. Come per la pubblica amministrazione, anche il declino della produzione industriale è legato anche all’insufficiente qualificazione delle persone (gli altri Paesi dell’euro presentano tassi di scolarizzazione superiore assai più elevati dei nostri) e a un contesto, occorre dirlo, culturalmente poco favorevole al fare impresa.

Dobbiamo essere consapevoli che un Paese come il nostro privo di materie prime, non può permettersi il mantenimento degli attuali livelli di ricchezza senza il ripristino di un’adeguata capacità industriale. Perdere un quarto della produzione in meno di un decennio è un evento di così rilevante portata da non poter essere sottaciuto, né essere ricondotto alla promozione di incentivi di natura ordinaria.

Il recupero della produzione è alla base della ripresa del lavoro. Anche concettualmente, la decontribuzione previdenziale, oltre a trasferire sulla fiscalità generale il relativo onere, indebolisce ancora di più la storia previdenziale dei giovani e i conseguenti squilibri generazionali. Molto meglio un calo della tassazione sull’impresa e sul lavoro, sugli investimenti e sulle assunzioni qualificate.

Provvedimenti semplici, forti e duraturi.

Diciamo subito, tuttavia, che difficilmente recupereremo il terreno perduto nei settori ridimensionati dalla crisi. Chi è rimasto oggi in questi campi si muove su mercati di nicchia, dove il contraltare del maggiore valore è rappresentato dalle minori quantità e da una grande flessibilità. Anche nei settori tradizionali abbiamo quindi splendide realtà; ma è difficile chiedere loro di più di quello che già fanno.

I settori che oggi crescono a doppia cifra sono quelli che si nutrono per esempio dell’invecchiamento della popolazione; essi richiedono alta qualificazione, moderata fiscalità e snellezza burocratica. Su questi tre assi va costruita una politica industriale; su ciò e non sui decimali di deficit andrebbe richiesta maggiore flessibilità alle Autorità europee. Alta qualificazione significa più cultura, più tecnologia, maggiore conoscenza delle lingue. Moderata fiscalità significa minore spesa pubblica e snellezza burocratica, vuol dire cambiamento delle nostre abitudini, delle nostre pretese, del nostro modo di lavorare.

INVESTIMENTI

Abbiamo detto che il nostro Paese non sta approfittando del basso costo del denaro perpromuovere nuovi investimenti. È lecito chiedersi se abbiamo davvero bisogno di nuovi investimenti.

La situazione andrebbe analizzata nello specifico. Non è mistero, però, prendere atto che gran parte delle nostre scuole ha bisogno di interventi di messa a norma e di riqualificazione che valgono da soli quasi l’1% del PIL, che gli investimenti per passeggero aereo, tanto per fare un esempio, sono il doppio in Europa rispetto all’Italia, che investiamo un terzo di Francia e Germania in ricerca, che non investiamo in prevenzione, né contro il dissesto idrogeologico, né per la cura delle malattie croniche. Stante questa nostra originalità, possiamo solo sperare che tutti gli altri Paesi investano più del necessario.

Il nuovo patto europeo deve portare ogni Paese, al di là degli egoismi e delle diverse anime, a dedicare una soglia minima della ricchezza al futuro, cioè agli investimenti. Certo non si tratta di un’azione che premia. Spesso chi la decide non la celebra, talvolta nemmeno vi sopravvive. Ma non possiamo rispondere continuamente all’assillo dei sondaggi di opinione. La legittimazione popolare è essenziale, anche per politiche che non la ritroverebbero una seconda volta. La storia ci dice che è stato salvato Barabba e potremmo dire che per sola alzata di mano forse saremmo ancora tolemaici. La democrazia è responsabilità e potere di scelta, è fiducia, il contrario di webcam e streaming che sono una specie di agopuntura permanente e non l’anticamera della dovuta trasparenza.

ASSETTI DI GOVERNO

inaugurazione anno accademico 2015Va detto che le tendenze demografiche, gli investimenti, la produttività, l’innovazione e la crescita non sono qualcosa di predeterminato. È vero il contrario, per fortuna. A noi è data la possibilità di intervenire, di deviare il corso. Questo è il ruolo delle Istituzioni e di quello che noi intendiamo per governance, gli assetti di governo.

Ci sono mille modi per produrre ricchezza e almeno altrettanti per distribuirla. Il modo con cui distribuiamo la ricchezza prodotta condiziona, però, la produzione di ricchezza futura. In altri termini, mentre possiamo decidere la distribuzione di un dato livello di ricchezza, la sua modalità distributiva influenza la generazione di ricchezza successiva.

Una distribuzione di ricchezza non legata al merito, acriticamente egualitaria o corporativa, così come eccessi di disuguaglianza e di ingiustizia hanno un effetto negativo sulla prosperità futura di una comunità. Chi mai investirebbe per produrre ricchezza se poi la sua distribuzione non risponde al merito, al contributo che ciascuno ha dato, alla voglia di rischiare pur nei necessari equilibri di accordo sociale? Ci sono troppe ingiustizie, sia per eccesso di uguaglianza sia per eccessivo di disparità.

In molte situazioni, ad esempio, c’è troppa poca differenza tra il salario di chi lavora e il sussidio o tra salario e pensione. In certi casi non diventa più nemmeno conveniente impegnarsi nella vita e nel lavoro, soprattutto per i giovani. Nell’Università, per esempio, gli stipendi più alti sono ormai quelli dei docenti in pensione e i più bassi quelli dei giovani ricercatori.

Ho l’impressione che le scelte degli ultimi anni siano state troppo timide e troppo lente, non sufficienti per vincere l’inerzia di stratificazioni decennali e la forza delle dinamiche internazionali. Anche la prossima legge finanziaria pare costruita per rispettare “sentenze” e impegni pregressi piuttosto che per aggredire palesi disuguaglianze. Occorre dare più visibilità alla destinazione delle entrate dello Stato. Sarebbe maggiormente accettabile, anche per chi dovesse pagare dazio, un bilancio “orizzontale” dove la parte da cui si prende vede la parte a cui si destina.

DALL’ITALIA ALL’EUROPA

È indubbio che tutti questi ragionamenti vadano visti alla luce di come ci guarda l’Europa. Un termine che fino a venti anni fa era un sogno politico, dopo il Secolo delle guerre. E che oggi molti iniziano a vivere come un incubo.

Io credo che chi si aspetta la costruzione europea come un processo poco accidentato, debba guardare all’indietro a quello dell’unificazione italiana, ancora peraltro molto da compiere. Anche qui la questione non è se, ma come. Non è se si all’Europa, ma quale e in quale modo. Chi ha dubbi sul futuro dell’Europa come realtà unita abbia il coraggio, consapevole della Storia, di indicare un’alternativa e di immaginarne le future conseguenze.

UNA NUOVA EUROPA

Non basta più però difendere per inerzia l’idea di Europa. Oggi l’Europa ha bisogno di un nuovo inizio. Serve una discontinuità. Per esempio l’elezione diretta di un Presidente a cui competano le scelte politiche in materia di difesa, politica estera, monetaria ed educativa.

Le generazioni che oggi hanno meno di quarant’anni sono quelle che noi identifichiamo come “Erasmus”. Queste ragazze e questi ragazzi sono diventati maggiorenni con la nascita dei vettori low cost e con la diffusione di Internet. La cornetta telefonica è per loro un vago ricordo che presto verrà sostituito anche nelle icone dei cellulari. Molti di questi giovani sono poliglotti, senza appartenere alla nobiltà, e possono candidarsi a guidare il nostro Continente nel nuovo secolo.

Così come la forza degli Stati Uniti d’America di questi decenni è nata dal crogiolo delle differenze, che hanno trovato alimento anche dal dramma e dalle atrocità del nazismo, così oggi l’Europa può rinascere dal dramma di altre guerre e di altre povertà e svolgere un ruolo preminente per il Mondo. Un futuro più prospero per i popoli europei è nelle nostre possibilità se saremo forti nelle identità e aperti nelle sensibilità.

QUALE SOCIETÀ VOGLIAMO

Ma è altrove che ci porta questa riflessione, che non vuole e non può essere di natura solo economica. La ricerca di una nuova via per la crescita porta a mettere in discussione ciò che è stato considerato come “acquisito” da troppo tempo, ovvero l’idea di società che abbiamo.

E’ interessante questa fase della nostra storia. Dopo aver soddisfatto in gran parte i bisogni primari come l’alimentazione, l’abitare, la mobilità e una serie, così elevata da non essere avvertita, di comodità, inimmaginabili ancora oggi per gran parte dell’umanità, stiamo affrontando il futuro con pochissime categorie mentali e per lo più all’interno di modelli individuali e non collettivi. Anche chi governa una moltitudine, guarda agli individui, è abile nell’intercettarne i bisogni del momento, è astuto nel convincere che l’interesse di tutti non è altro che l’interesse individuale più votato.

Eppure, basterebbe fermarsi un attimo e chiedersi: quale società vogliamo, quale mondo? Anche la conquista del consenso, se non porta con se un’idea di società, è neve di primavera destinata a sciogliersi alle prime difficoltà.

DIRITTI COME CONQUISTA

Una vita degna in tutte le sue fasi non è necessariamente una vita colma di ricchezze, di diritti e di rivendicazioni. C’è una bella frase proprio di S. Agostino: “la felicità è desiderare ciò che già si possiede”. I diritti di cittadinanza, e più in generale tutti i diritti, non vanno visti come punto di partenza e definitivamente acquisito, ma come conquista che deriva dall’esercizio continuo dei doveri di cittadinanza, che comprendono tutti i doveri.

D’altronde, i diritti acquisiti, come tutte le conquiste, se non sono sostenibili, si traducono nell’acquisizione di fatto dei diritti altrui, quelli dei più deboli, di chi “sta fuori”, di chi non è ancora nato.

I SISTEMI EDUCATIVI

platea inaugurazione anno accademico 2015Eppure il nostro Paese ha sperimentato fin dal dopo guerra un’originalità in Europa nel dibattito sul modello di società. Oggi possiamo dire che il comunismo è stato storicamente e sommariamente “a tutti poco o niente”; facciamo in modo però che la risposta non sia “a pochi quasi tutto”. Affinché questo avvenga non è sufficiente attivarsi per correggere la tendenza in termini caritatevoli, ma occorre anche costruire le condizioni per una società più giusta.

E questo ha il suo inizio in un solido e universale sistema educativo. L’istruzione, i valori ovunque vengano acquisti sono la materia prima di una società più equilibrata e quindi più giusta. Il nostro Paese ha molta strada da fare al riguardo. La Rai ha insegnato la lingua comune agli italiani e oggi le televisioni di altri Paesi insegnano da tempo la nuova lingua franca.

CAMBIAMENTO ED EQUILIBRIO

Occorre cambiare. Ma così come i diritti e i doveri sono due facce della stessa medaglia, il cambiamento in una società complessa non è rivoluzione, ma evoluzione. E l’evoluzione è il passaggio da un equilibrio a un altro in un processo incessante e senza fine di adattamento. Non c’è reversibilità nella natura, malgrado le leggi della medesima, e così non c’è vero cambiamento senza un percorso equilibrato che lo renda irreversibile.

L’equilibrio non è in antitesi al cambiamento, non è staticità, è punto di incontro mobile di un processo evolutivo.

CAMBIAMENTO E GLOBALIZZAZIONE

Un ruolo, in questo processo di cambiamento, è certamente giocato dai processi di globalizzazione, di interazione tra parti lontane, di condivisione, di conoscenza reciproca; non solo quindi passaggio di merci. La globalizzazione può però agire per “armonizzare” il mondo, così come per “omogeneizzarlo”. Nel primo caso la globalizzazione è difesa delle identità e delle differenze intorno a valori condivisi, nel secondo è miscellanea indigesta che toglie spazio alle comunità e alle loro storie evocando periodiche forme di rigetto.

IL RUOLO DELLA SCIENZA, IL RAPPORTO FRA I SAPERI

Personalmente auspico che in questo processo di cambiamento, la nostra società sappia recuperare una posizione di leadership per l’educazione, la ricerca, la scienza, il cosiddetto “soft power”.

Educazione e ricerca, che intendo in equilibrio fra i saperi, dove si possa riconoscere la ricchezza della conoscenza umanistica come di quella scientifica, in un rapporto fra le discipline che si arricchiscono vicendevolmente.

In un dialogo fra Einstein e Chaplin, si riporta che il fisico abbia detto all’attore: “Ciò che ammiro di più della vostra arte è che è universale. Non dite una parola e il mondo intero vi capisce!”. E che la risposta di Chaplin sia stata: “È vero. Ma la vostra gloria è più grande. Il mondo vi ammira anche se nessuno vi capisce”.

LA COMPETIZIONE NEL SISTEMA EDUCATIVO

Al nostro sistema educativo, piuttosto che di trasformare la società, è stato chiesto di competere. E in molti casi si è voluto tradire l’essenza stessa della parola che significa “andare insieme”, “convergere a un medesimo obiettivo”, avere una tensione per il miglioramento. Si è intesa la competizione come “spettacolo di gladiatori”, dove vince chi non viene eliminato. Il pollice dell’Imperatore oggi è più democraticamente sostituito dal “popolo della rete” che promuove con gli “I like” e punisce con gli improperi come ai tempi dell’Antica Roma.

La competizione, come il merito sono virtù di una comunità perché inducono a migliorarla.

L’idea autentica di competizione va difesa soprattutto dai migliori. Il vincitore che elimina i vinti non potrà ripetersi. Il numero uno è tale perché esiste il secondo e il terzo. Chi sta dietro continuerà a giocare se si riconoscerà nelle regole di valutazione e se si potrà migliorare fino a insidiare chi è davanti. E chi è davanti sarà impegnato a non farsi superare. Questa è la competizione, la non omologazione, l’esaltazione delle diversità, la spinta alla qualità diffusa e al miglioramento. E concedetemi un pizzico di ironia sulle tante classifiche che giudicano scuole, università, città, sistemi sanitari, Paesi: non avete l’impressione dell’impiego di un enorme numero di classificatori nei confronti di un minor numero di classificati?

D’altro canto, a detta dei principali studiosi di pedagogia, sono le differenze in contrapposizione al conformismo gli elementi vincenti di un buon sistema educativo. Il cattivo esito di molte riforme europee degli ultimi vent’anni è forse spiegato, per dirla come Ken Robinson, dal tentativo eccessivo all’omologazione dei sistemi educativi.

LA QUALITA’ MEDIA

La competizione che migliora è quella che difende e alza la qualità media. Forse dobbiamo essere in grado di apprezzare anche il fatto che nel nostro sistema di alta educazione non si raggiungano vette a livello mondiale, ma che il livello nel suo complesso sappia difendere una buona qualità media, come riconosciuto proprio dagli altri Paesi. L’”Aurea mediocritas” di Orazio significa “ottimale moderazione”, equilibrio, rifiuto di ogni eccesso.

LA MODERAZIONE ANCHE VERSO CHI GOVERNA

Rendiamoci anche conto che oggi chiediamo davvero molto a chi ci governa e anche la mia relazione va in questa direzione. In altri termini, la democrazia ci ha reso molto esigenti, forse anche troppo.

Anche qui l’equilibrio e la moderazione aiutano una società a progredire e a essere più giusta.

CONCLUSIONE/ SALVAGUARDIA DI CIO’ CHE ABBIAMO RAGGIUNTO

Alla fine di questo percorso, che è partito dalle grandi questioni del nostro Paese, per allargare lo sguardo all’Europa, ad una nuova definizione di società, e all’esigenza di cambiamento, vorrei riaffermare il concetto di “conquista continua”, mai acquisita per sempre, come una pianta che occorre adeguatamente irrorare.

Talvolta si ha l’impressione di ritenere definitive alcune grandi conquiste dell’ultimo secolo e speriamo che l’Europa possa compiere il primo secolo di pace.

Così non è: “Armi, acciaio e malattie”, per dirla come il biologo Jared Diamond, continuano ad essere elementi da cui non si può prescindere anche per creare lo spazio per più incisive politiche di pace e di integrazione.

Per questo è davvero essenziale comprendere l’importanza della scienza, delle scienze, delle tecnologie per evitare un sicuro declino, quandanche non assoluto, certamente comparativo.

Un Paese senza grandi tensioni emotive, se non nella forma di risentimento; un Paese che non accetta di vivere con i propri mezzi, che chiede di allungare l’estate coltivando l’illusione di poter fare a meno delle formiche, un tale Paese non può nemmeno difendere ciò che la Storia gli ha consegnato.

Detenere grandi patrimoni culturali non è garanzia per evitare il declino. La Grecia e il Medio Oriente sono un monito. Non è per decreto o per editto che meglio conserveremo i nostri capolavori. In un Paese che smette di generare ricchezza ciò appare sempre più un lusso che non ci possiamo più permettere.

Sappiamo dalla storia che la correzione degli squilibri può avvenire per umana virtù o per brutale necessità. Auspichiamo che le grandi questioni possano essere affrontate evitando guerre e violenze; per questo servono istituzioni forti, affinché la legge della forza non sostituisca la forza della legge.

DEDICA

coroVoglio concludere la mia riflessione con una dedica.

Non a una o più persone; anche senza menzione, sono certo che a molti la mia dedica personale è già arrivata.

Voglio fare una dedica a una comunità. Quella delle persone che “fanno fatica”, che danno prima di ricevere, che servono prima di essere servite, non solo i più deboli ma quelli che ogni giorno si impegnano nello studio, nel lavoro, nella vita.

Il fare fatica, talvolta anche la fatica di rispettare la legge, è il migliore esercizio del dovere e l’anima di ogni organizzazione.

Le persone che fanno fatica hanno il diritto e il dovere di chiedere un’Italia e un Mondo migliori.

 




L’indagine: solo il 20% dei mezzi viaggia a pieno carico

carico-scaricoCon l’obiettivo di calcolare l’impatto inquinante del trasporto merci in città, nel corso della Settimana della Mobilità 2014 è stata presentata l’indagine “Logistica del trasporto merci a Bergamo”, coordinata all’Atb e realizzata in partnership con Pragma Research sempre nell’ambito del progetto “Traporto merci città vivibile”.

L’indagine ha rilevato che l’80% dei veicoli appartiene ad aziende con sede nella provincia di Bergamo e il restante 20% proviene da fuori provincia (11% Milano e 9% altri comuni). Un terzo delle merci è costituito da prodotti alimentari (34%). I veicoli viaggiano mediamente utilizzando il 64% della propria capacità di carico: il 36% ha infatti un indice di riempimento inferiore al 50% e solo il 20% viaggia a pieno carico.

I mezzi transitano dal centro città con frequenza prevalentemente giornaliera (79% del totale), a fronte del 21% di trasporti di natura occasionale e il tempo dedicato al cliente è mediamente 1 ora. Il numero di clienti serviti in media al giorno in Città Alta è di circa 5 mentre in città bassa è di 10.




Merci in città, Bergamo finanzia l’elettrico

Puntano l’attenzione sul trasporto merci il Comune di Bergamo e l’Atb per ridurre traffico e inquinamento, migliorando la qualità della vita in città e pure la sicurezza stradale.

Lo fanno con un progetto che ha come principale novità un contributo per il noleggio di veicoli commerciali a trazione elettrica, rivolto a commercianti, imprenditori e trasportatori con sede legale dell’attività in Bergamo.

«Il Comune intende promuovere politiche che aiutino gli operatori del settore a compiere scelte migliorative – spiega l’assessore alla Pianificazione territoriale e mobilità Stefano Zenoni -. Serve lavorare su diversi fattori, quali la modulazione degli orari di carico/scarico, il controllo degli accessi, la creazione di aree dedicate e ovviamente la qualità dei mezzi impiegati. In questa prospettiva, i contributi per il noleggio di veicoli commerciali a trazione elettrica possono convincere gli operatori a sperimentare questa opzione con una formula leggera, quella del noleggio. Auspichiamo ovviamente che possa essere solo il primo passo verso una progressiva modernizzazione del parco circolante esistente».

L’iniziativa segna uno scarto rispetto al progetto dell’Amministrazione precedente di realizzare una piattaforma logistica in Città bassa, agendo, oltre che su regole e organizzazione del traffico e della sosta, sulla sensibilizzazione dei singoli operatori. Una svolta condivisa dall’Ascom. «Il tessuto commerciale della città – evidenzia il direttore Oscar Fusini – è fatto di piccole realtà che sarebbe stato difficile far convergere. Il coinvolgimento degli imprenditori sui temi della sostenibilità è però fondamentale, anche per gli effetti positivi sull’attrattività turistica».

“Trasporto merci città vivibile” – così si chiama il progetto, che è finanziato anche dal ministero dell’Ambiente – prevede una prima fase “esplorativa”, fino al 20 novembre, in cui si raccolgono le manifestazioni d’interesse per i contributi. Sulla base delle richieste, sarà valutata l’emanazione del bando di finanziamento.

Lo stanziamento è di poco meno di 58mila euro. Il contributo mensile per singolo veicolo commerciale elettrico, di portata inferiore a 3,5 ton, è pari al 70% del valore della rata di noleggio per un massimo che non può comunque superare i 480 euro mensili. Il finanziamento dura al massimo 24 mesi.

L’azione viene supportata da una campagna di comunicazione per la quale è stato realizzato anche un marchio ad hoc, che apparirà sui veicoli elettrici e sui varchi della Ztl.

«Anche a Bergamo, come in tutte le città di medie e grandi dimensioni, il trasporto e la consegna delle merci influiscono significativamente sulla congestione del traffico, con conseguente aumento dell’inquinamento – dichiara Alessandro Redondi, presidente dell’Atb -. Il progetto e la campagna di sensibilizzazione nascono dall’idea di integrare il sistema di controllo della circolazione delle merci alla politica di riduzione del traffico e dell’inquinamento nelle aree centrali di Bergamo. Razionalizzare il transito dei veicoli nelle Ztl e istituire piazzole di sosta dedicate significa perseguire l’obiettivo di una mobilità sostenibile per tutti».

  • Gli operatori interessati al contributo possono trovare tutti i dettagli qui




Elementari in gita gratis sugli autobus di Bergamo

bus atb bergamo - città altaI bambini delle 32 Scuole Primarie del Comune di Bergamo possono da oggi viaggiare gratuitamente sugli autobus Atb per raggiungere i principali luoghi d’interesse didattico della città di Bergamo.

Il Comune di Bergamo ha infatti approvato il progetto “FuoriScuola”, che per i prossimi 10 mesi consentirà a migliaia di bambini di spostarsi in città sui mezzi pubblici serviti dall’Azienda Trasporti Bergamo senza costi aggiuntivi per le famiglie.

Si tratta di un vero e proprio “abbonamento straordinario cumulativo”: Atb ha stabilito in 60 euro il costo simbolico dell’abbonamento per ciascuna scuola e il Comune di Bergamo ha coperto l’intera operazione con un contributo di poco più di 1.900 euro.

Alle scuole aderenti saranno consegnate due speciali card di riconoscimento e due tesserini. Tra le norme di utilizzo, Comune e Atb hanno fissati il numero massimo di 30 persone per gruppo, tra bambini e accompagnatori, e gli orari, dalle 09.30 alle 12 e dalle 14.30 alle 16.30 dei giorni feriali scolastici, in modo da non creare disagio agli altri utenti presenti a bordo degli autobus.

Per organizzare il viaggio la scuola interessata deve solo segnalare, con apposito modulo, non meno di tre giorni prima della data programmata, il luogo di partenza e di arrivo agli indirizzi atbpoint@atb.bergamo.it e servizispeciali@atb.bergamo.it. Le segnalazioni permetteranno all’Atb di dare indicazioni circa orari e percorso.

«Un accordo di questo genere – spiega l’assessore all’Istruzione Loredana Poli – consente di incentivare le attività formative delle scuole primarie per l’anno 2015/16 nei principali luoghi d’interesse cittadino. In questo modo, non solo sarà più semplice organizzare mini-gite o attività extracurricolari in città, non solo si educano i ragazzi al trasporto pubblico e alla mobilità morbida, ma ciò può avvenire senza costi aggiuntivi per le famiglie. Non a caso, e giudicheremo a partire dai risultati di questo primo anno di attività, l’accordo potrà essere rinnovato anche per gli anni a venire».

«Con questa iniziativa abbiamo voluto dare sia una risposta concreta ed innovativa all’esigenza manifestata da molte scuole primarie di Bergamo – commenta Gianbattista Scarfone, direttore generale Atb -, sia completare un quadro di interventi rivolti a tutte le fasce scolastiche favorendo comportamenti e scelte di “mobilità sostenibile”. Oggi quindi siamo in grado di proporre diverse soluzioni dedicate ai bambini delle primarie, agli under 11 con la Junior Card, agli studenti delle superiori e dell’università con sconti sugli abbonamenti».




22 blogger internazionali raccontano Bergamo

i primi blogger arrivati a Bergamo

 

Per cinque settimane consecutive, Bergamo è una delle tappe di BlogVille Italy, il progetto di promozione turistica di Regione Emilia Romagna e Regione Lombardia realizzato insieme al network dei blogger di iAmbassador.net che dal 2012 ospita sul territorio i migliori blogger internazionali del settore viaggi e turismo. Dal 2014 il progetto ha visto il coinvolgimento attivo della Regione Lombardia, che anche per quest’anno ha voluto confermare la sua partecipazione e che ha promosso tra le mete la città di Bergamo, coinvolgendo attivamente Turismo Bergamo, che ospita i blogger e ne coordina la visita in città.

I 22 blogger di viaggio, che hanno come base Milano, provengono da Brasile, Cina, USA, Canada, Francia, Germania, UK, Russia e Scandinavia.

Mercoledì 9 settembre, il primo appuntamento bergamasco. La città è stata visitata dai francesi Adeline Gressin (http://www.voyagesetc.fr/), Céline Simon e Jerome Cantalupo (http://je-papote.com), dal tedesco Michael André Ankermueller (http://www.blogboheme.de) e dalla brasiliana Luisa Antunes (http://www.360meridianos.com).

I prossimi appuntamenti saranno mercoledì 16 settembre, mercoledì 23 settembre, mercoledì 30 settembre e giovedì 1 ottobre.

«È una interessante opportunità per far conoscere e amare la nostra città – dichiara Luigi Trigona, presidente di Turismo Bergamo –. Per il secondo anno Turismo Bergamo partecipa a questa iniziativa. Accompagniamo i blogger tra le vie di Bergamo, facendo incontrare loro i nostri produttori e gustare i nostri piatti. BlogVille è un’iniziativa strategica voluta da Regione Lombardia, a cui Turismo Bergamo partecipa attivamente e che si aggiunge ad una serie di altre azioni in programma tese a migliorare la promozione della nostra attrattività turistica».

Su www.blog-ville.com/tag/lombardia sarà possibile seguire tutte le avventure in terra bergamasca e lombarda dei blogger. Mentre i commenti della scorsa edizione si possono trovare su http://www.blog-ville.com/?s=bergamo




Via Quarenghi, i residenti si ritrovano al pic nic

picnicredisdenti via quarenghi - 2014-4Gli abitanti di via Quarenghi si ritrovano domenica 13 settembre per il tradizionale pic nic sotto casa.

Un modo semplice di ritrovarsi, come i pic nic, appunto, fortemente voluto dall’Associazione di Quartiere Quarenghi, per creare e rafforzare la rete di relazioni di una via peculiare della città di Bergamo, nota per la sua multi-etnicità, ma anche densa di storia e di prestigio. Vengono così riscoperti e vissuti i cortili e gli spazi più nascosti della via, solitamente non accessibili e non visitabili, nel tentativo di rivitalizzare il quartiere e di migliorarne la coesione sociale.

Si inizia alle ore 12.30 con la santa messa celebrata da mons. Gianni Carzaniga nel giardino dei civici 42/44. A seguire il momento clou della giornata, il pranzo (o appunto picnic) dei residenti: gli abitanti della via si incontrano portando da casa le specialità culinarie di famiglia per condividerle in una animatissima e lunghissima tavolata all’interno del Cortile di San Giorgio, l’ex Chiostro dei Padri Gesuiti della via.

Alle 16.30 infine l’Associazione ART’ IN, che ha vinto il bando per la gestione e valorizzazione culturale del “n.33 “ di via Quarenghi e che ha già instaurato con i residenti altre collaborazioni, organizza la visita della cantina ipogea nella corte del civico 25 con uno spettacolo di intrattenimento.




Borgo Santa Caterina, per i locali resta il coprifuoco

Movida Borgo S caterinaNessuna sospensiva riguardo l’applicazione del regolamento comunale vigente e della relativa ordinanza: il Tribunale Amministrativo Regionale ha così deciso di non accogliere la richiesta di alcuni esercenti di Borgo Santa Caterina e confermato momentaneamente la validità dei provvedimenti assunti dal Comune di Bergamo in materia di convivenza tra esercizi commerciali, residenti e attività artigianali.

Il Tar non ha espresso ancora un giudizio di merito e ha rinviato la valutazione definitiva al prossimo 21 ottobre, optando per un giudizio unico delle due cause attualmente aperte sui provvedimenti assunti dal Comune di Bergamo in materia di orari di apertura in Borgo Santa Caterina. L’ordinanza rimane quindi in vigore e gli orari di chiusura confermati come da ordinanza emessa alla fine del giugno scorso.

«La decisione del Tar di Brescia – commenta il vicesindaco Sergio Gandi – di non applicare alcuna sospensiva all’ordinanza dimostra la validità dei provvedimenti decisi e istruiti dal Comune di Bergamo nei mesi scorsi e conferma che le ragioni del Comune comunque sussistono. Attendiamo ora con serenità la sentenza prevista per fine ottobre».