Chef, a Milano di scena sette stelle internazionali

Per catapultarsi nei sapori e nelle atmosfere dell’alta cucina internazionale può bastare una trasferta a Milano. Da gennaio torna infatti al Bulgari Hotel, in zona Montanapoleone, Epicurea, esclusivo festival culinario giunto alla terza edizione, organizzato dall’hotel e dal suo executive Roberto Di Pinto e ormai diventato un appuntamento fisso della scena gastronomica.

Sette famosi chef, selezionati dal food curator Andrea Petrini, si succederanno ai fornelli per un viaggio tra i sapori e le fragranze delle migliori cucine del mondo.

David Thompson del Nahm di Bangkok
David Thompson del Nahm di Bangkok

Si comincia il 12 e 13 gennaio con David Thompson del Nahm di Bangkok, chef australiano maestro della cucina Thai che ha portato il ristorante al settimo posto della classifica degli Asia’s top 50. Il 16 e 17 febbraio arriva il giovane portoghese Leonardo Pereira, dall’Arejas do Seixto vicino a Lisbona, cresciuto alla scuola di Redzepi e in procinto di aprire un proprio locale a Oporto. A marzo (15 e 16) è la volta di Dominique Crenn (Atelier Crenn, San Francisco) la prima chef donna ad aver ottenuto due stelle Michelin negli Stati Uniti, capace di combinare i sapori intensi della cucina francese con le suggestioni della West Coast.

Si sale ancor di più in graduatoria con le tre stelle di Yannick Alleno dal Pavillon Ledoyen di Parigi (il 26 e 27 aprile), mentre il 17 e 18 maggio tocca ad un altro discepolo di Redzepi, Matt Orlando che da New York si è trasferito a Copenhagen e al ristorante Amass si è guadagnato una stella. Ci sarà spazio anche per chi in Australia ha tratto ispirazione dalla cucina aborigena per dare vita ad una filosofia e ad uno stile unici, lo scozzese Jock Zonfrillo dell’Orana di Adelaide, in programma il 14 e 15 giugno. La chiusura, ad ottobre, sarà affidata a Luca Fantin del Bulgari Restaurant di Tokio, una stella Michelin e miglior che italiano nel mondo per il 2015 secondo Identità Golose.




Beltramelli, l’allievo di Marchesi che ha conquistato Parigi

Vittorio Beltramelli - chefL’art de vivre italien si ritrova nel talento di uno cuoco originario di Averara, 41enne, da un lustro executive chef e socio del Nolita, al secondo piano dello show room Fiat, tra gli Champs Elysée e l’Arc de triomphe a Parigi.

Le specialità di Vittorio Beltramelli – è di lui che parliamo – sono state apprezzate da star come Beyoncé e il marito Jay-Z, dal sindaco della capitale francese Anne Hidalgo e dai calciatori Ezequiel Lavezzi e Zinedine Zidane, mentre Pharrell Williams si è complimentato con un tweet. La sua storia comincia in una trattoria di famiglia a Castelleone, nel Cremonese. Tra quei tavoli Vittorio si appassiona ai fornelli e decide di iscriversi all’Istituto Alberghiero di San Pellegrino. A 23 anni entra nella squadra di Alain Ducasse nel suo ristorante monegasco Le Louis XV. Dall’anno dopo si fa le ossa dedicandosi ai ristoranti di Gualtiero Marchesi a L’Albereta di Erbusco e nel 2001 a Parigi, dove a sette mesi dall’apertura conquista una stella Michelin, che gli viene confermata per tre anni. Nella capitale francese dà prova della propria bravura anche all’hotel Castille, all’Escoffier e al ristorante stellato Il cortile. Dal 2011 è consulente della gastronomia italiana per Jean-Pierre Coffe nella trasmissione Viviment dimanche.

Beltramelli, tra Italia e Francia stile e gusti sono ancora differenti?

«Anni indietro sì, oggi un po’ meno. Gli italiani riescono a esportare meglio i loro prodotti e nelle carte dei ristoranti francesi è facile trovare ravioli e risotti di tradizione transalpina. È la conseguenza della globalizzazione culinaria che ha ridotto le diversità».

La cucina francese è considerata la più raffinata al mondo. Come spiega questo primato?

«I nostri cugini sono bravi a valorizzarsi. I grandi chef sono delle celebrità, Fernand Point è stato il più rivoluzionario, Paul Bocuse alla soglia dei novant’anni è ancora un’istituzione vivente. Noi non siamo capaci di rendere merito ai nostri maestri. Per nove anni ho lavorato per Marchesi, lo ritengo un mito, mentre in Italia sembra poco più di un cuoco qualsiasi. Un francese porta grande rispetto verso la figura dello chef, da noi sta avendo successo solo negli ultimi tempi grazie alla vetrina televisiva, in modo però sbagliato».

Si riferisce ai programmi come Masterchef?

«Sui giovani i cooking show hanno effetti negativi. Trovo giusto far conoscere la professione, ma non deve passare il messaggio che è un mestiere da prendere alla leggera, perché comporta sacrifici, richiede un impegno 24 ore su 24, non è un gioco. Non basta assemblare quattro ingredienti, dietro un piatto ci sono ore e ore di preparazione».

In Francia è arrivato nel 2001, a 27 anni. Ha faticato a inserirsi?

«All’inizio mi sono scontrato con la diffidenza. Proponevo  una cucina a tema, ma volevo entrare a fondo nelle radici. Capitava che i clienti rispondessero: questo non lo conosco, quello non può essere italiano. E finivano per richiedere la stessa decina di pietanze arcinote: cotoletta, scaloppine, gnocchi, spaghetti al pomodoro. Erano fermi. Ci sono voluti tempo e pazienza.  Le conoscenze a Parigi si sono ampliate, anche perché gli spostamenti oggi sono più facili, si assaggia un piatto in vacanza e lo si ritrova da me».

nolita- chef Beltramelli - ParigiQuali sono i clienti più preparati ed esigenti?

«Rimaniamo noi italiani. Possediamo una varietà importante. Dalla Lombardia alla Sicilia passando per il Lazio si incontrano sapori diversi, siamo abituati a mangiare bene anche a casa nostra e a recarci meno al ristorante. I francesi sono più puntigliosi e astuti».

Nel senso che il Camembert viene lanciato come un’eccellenza più del Parmigiano quando non è superiore?

«Tra i due formaggi non c’è paragone, però noi pecchiamo di faciloneria. Lo mettiamo in commercio a 12 mesi pur sapendo che la stagionatura perfetta è a 36. A farne le spese è il prodotto. I francesi, al contrario, rispettano regole e tempi. Anche gli spagnoli ci sorpassano in prestigio internazionale. Noi avremo pure il San Daniele, ma loro sono riusciti a inserire il Pata Negra nei testi della gastronomia mondiale».

Restando in tema di rivalità, che è forte soprattutto in materia di vini e formaggi, chi vince?

«Non perché sono italiano, ma sicuramente noi per la più vasta offerta regionale. L’importante è che non si faccia un melange, il vino del Salento va gustato nel Leccese, così come l’olio. Gli spaghetti con le vongole a Venezia non sono come a Bari, tanto meno a Milano. In una preparazione si ritrova il clima, l’aria di quella terra. Non capisco come si possano acquistare le ciliegie che provengono dal Cile a prezzi folli a dicembre. Non è più ragionevole comprarle a giugno quando sono più buone?».

A proposito di materie prime, come si rifornisce?

«Importo pasta da Fratelli Setaro di Torre Annunziata, le mozzarelle mi arrivano ogni settimana da un piccolo produttore di Napoli. Il riso è di Tenuta Castello nel Vercellese, il tartufo di Urbani, i formaggi di Guffanti, gli affettati di Rulliano. Ho provato anche a far arrivare le verdure, ma i costi sono troppo elevati. Faccio fatica a far capire al cliente che quella cima di rapa costa di più perché ha percorso mille chilometri».

La Francia è il secondo mercato mondiale per McDonald’s, come se lo spiega?

«Non esiste un’alternativa che faccia concorrenza. Nelle brasserie paghi tre o quattro volte di più rispetto al fast food. Da noi, invece, puoi scegliere di gustarti un buon panino o una pizza senza spendere molto più di un Mc menù».

I francesi a tavola cosa ordinano?

«L’antipasto o entrée e un piatto forte, che sia il primo o il secondo non importa. Noi siamo gli unici al mondo ad avere più portate».

Nolita2- chef Beltramelli - PargiNolita4 - chef Beltramelli ParigiQuali sono le specialità più richieste al Nolita?

«Mi piace rivedere la tradizione secondo le regole dell’alta cucina, come la amatriciana che però preparo con una pancetta fatta da noi, delicate cipolline mignon, cotte a bassa temperatura con burro chiarificato. Oppure il maialino cotto per 17 ore, a 67 gradi, al vapore e caramellato al momento con miele alle spezie come pepe rosa e anice stellato, l’insalata di polipetti fritti guarniti da salsa Caesar e il risotto con purea di pomodoro e salsa allo zafferano e arancio, con spolverata alle olive nere».

Nella sua collezione di libri c’è “La mia nuova grande cucina italiana” di Marchesi, tradotta anche in giapponese. Cosa le ha insegnato il grande maestro?

«A essere diretti, il cliente deve capire attraverso tecniche di alto livello cosa vuoi proporgli. Più il sapore è buono e più se lo ricorderà».

L’Assemblea francese ha stabilito il reato di spreco alimentare, i supermercati sopra i 400 metri quadrati devono donare le eccedenze in beneficenza. Una legge utile contro l’indigenza?

«Eccome, la Francia è il paese più socialista d’Europa, non dimentica di aiutare i meno fortunati. Anche l’istruzione è molto più accessibile, rispetto a noi, per i meno abbienti. Nel mio caso, ciò che rimane del brunch domenicale a buffet è ritirato da un’associazione benefica».

I suoi piatti sono composizioni artistiche che stupiscono. Da uno a 10, quanto conta l’aspetto?

«Il piatto deve meritarsi un 10 per bontà e un 10 per l’estetica. Suggerisco ai miei chef che devono saper tirar fuori la parte femminile che è in loro, non servono mille guarnizioni o ingredienti. Come diceva Chanel, la chiave di volta dell’eleganza è la semplicità. Vale nella moda come nella gastronomia».

Dichiara di non voler nutrire solo stomaci affamati, ma cervelli alla ricerca di nuove sensazioni e di avere come motto, cibo per la mente. Cosa significa?

«È riduttivo affermare che faccio da mangiare. Se fosse solo così,  avrei già appeso il grembiule al chiodo. Passare quindici ore in cucina non può essere solo un lavoro. È molto di più».

Cosa consiglierebbe ai giovani aspiranti cuochi?

«Fornirsi di caparbietà e un pizzico di fortuna. Voilà, tout ici.




Lo chef: «Insetti? In Cina ho assaggiato di tutto, ma non ho trovato spunti per la mia cucina»

Marino d'Antonio - executive chef Opera Bombana - PechinoSe in Italia sono proibiti, in tante altre aree del mondo gli insetti fanno tranquillamente parte dell’alimentazione e i nostri chef al lavoro da quelle parti hanno occasione di assaggiarli. Cosa ne pensano? L’abbiamo chiesto a Marino D’Antonio, executive bergamasco, di Cisano, dell’Opera Bombana, il locale aperto a Pechino dal tristellato.

«In Cina alcuni insetti sono mangiati regolarmente in regioni del sud, Hangzhou e Jiangsu, – ci racconta – anche scorpioni e cavallette, nello Yunnan, sono reperibili ma non sono molto comuni. Le formiche rosse giganti sono una vera prelibatezza per qualche cinese e servite solo in occasioni particolari. Sembra abbiano un potere afrodisiaco e sono molto costose: si fanno essiccare, si tolgono le zampe e si servono soffritte con verdure e salsa di soia. Le larve del bambù, invece, sono solitamente servite fritte, mentre il baco da seta, molto comune, viene cucinato saltato in pentola con olio e salsa di soia e spinaci o sedano oppure servito su uno spiedino e immerso in un brodo bollente con molte spezie e tanto peperoncino».

«Io ho assaggiato il baco da seta – svela – quello con il sedano e la salsa di soia. Era morbido, quasi gelatinoso dentro e croccante fuori, ma il sapore non è intenso, anzi è un po’ blando. Poi ho provato gli scorpioni, serviti sullo spiedino e grigliati. Anche in quel caso il sapore era coperto dal peperoncino e della griglia. Non si tratta comunque di un gusto forte o caratteristico, potrebbe ad un pesce o un pollo crudo scondito. Ho provato anche le formiche, ma non erano state pulite bene e qualche zampetta mi è rimasta in gola, una sensazione spiacevole. Il sapore era come di pollo fritto, mentre le cavallette fritte sono come le patatine».

Lo chef ha assaporato un campionario piuttosto vasto di insetti, ma non è stato colpito dal loro pregio gastronomico. «Onestamente al momento non mi danno grandi spunti per i miei piatti anche perché faccio cucina tradizionale italiana – evidenzia D’Antonio -. Sono comunque un alimento ricco di proteine e sali minerali e andrebbero forse rivalutati».




Sfida tra cuochi in Fiera, il migliore è di Osio Sopra

cadei premiazione 2L’appetito vien mangiando, si dice. E così dopo il terzo posto conquistato da vero outsider al Cuoco d’oro, giusto qualche giorno fa sul palcoscenico di Host a Milano, Simone Cadei, 36enne titolare insieme ai fratelli del ristorante Simagò di Osio Sopra, ha piazzato un altro bel colpo. Questa volta in casa, vincendo alla Fiera Campionaria la quinta edizione del Trofeo Fiorenzo Baroni, organizzato dall’Associazione cuochi Bergamaschi in ricordo del fondatore. Una sfida avvincente, che ha visto ai nastri di partenza 12 concorrenti, impegnati sul tema “La sosteniblità alimentare, ingredienti poveri per un gusto ricco” con tre ingredienti obbligatori – galletto, riso carnaroli e formaggio Branzi – e tre panieri a sorpresa diversi per ogni batteria in gara, selezione per la finale nella quale la difficoltà in più consisteva nell’obbligo di utilizzare tutti i prodotti in dotazione. Nel suo piatto Cadei ha condensato, nei 55 minuti previsti dal regolamento, un ideale menù: un antipasto di insalata di galletto su cereali con maionese al basilico, degli gnocchetti di riso con scalogno, tartufo nero e crosta di polenta e petto di galletto ripieno di pasta di salame su polentina di riso. Ha staccato, di poco, il valente 24enne bresciano Luca Piccinelli, mentre al terzo posto si è classificato il lecchese Mirko Ravasio. Quarto finalista il 23enne pavese Michele Strazzeri.

Cadei al lavorocadei piattiCadei non è un “professionista” dei concorsi, ma due risultati in pochi giorni lo autorizzano a guardare al mondo delle competizioni culinarie con un po’ di ambizione in più. «Mi sono messo in gioco perché c’è sempre da imparare – racconta -, per confrontarmi con un pubblico e, perché no, far conoscere il nostro locale che è una piccola realtà. Per chi deve anche mandare avanti un’attività non è facile trovare il tempo per prepararsi, devo ringraziare i miei fratelli, Agostino e Fabrizio, che mi danno questa possibilità. Confesso che un po’ sono stato conquistato da questo mondo, la voglia mettermi alla prova ora è sempre lì che stuzzica». Definisce la sua cucina “divertente”. «Siano tre fratelli e tutti e tre cuciniamo – spiega -, abbiamo fatto esperienze all’estero, gli incroci sono continui. Nel nostro locale si può trovare dalla zuppa thai al casoncello». La vittoria la dedica a mamma Rina, che con i suoi piatti di casa ha trasmesso la passione a tutti e tre.

Al Trofeo, ospitato nello stand della Camera di Commercio dedicato i prodotti a marchio “Bergamo Città dei Mille… sapori” hanno partecipato concorrenti provenienti da tutto il Nord Italia e persino un giapponese, prima presenza internazionale nella storia della manifestazione. Si tratta di Masato Suzuki che, a Bergamo per uno stage, ha scelto di confrontarsi a fornelli tra estetica orientale e ingredienti locali.

cadei e commis Lorenzo Mazzoleni cadei piatto finale«Siamo soddisfatti – commenta Fabrizio Camer, segretario provinciale dell’Associazione cuochi – perché quest’anno ci sono stati parecchi volti nuovi, soprattutto bergamaschi. E bergamasco è anche il vincitore, un segnale di vivacità, interesse e una conferma della qualità del settore nella nostra provincia». Camer è stato supportato nell’organizzazione da Fabio Sanga, Alessandro Pilatti e Riccardo Carnevali.

In giuria c’eravamo anche noi di Affari di Gola, tra chef di grande esperienza come il presidente Cesare Chessorti, presidente dell’Associazione cuochi di Como, e lo stellato Sergio Mauri e due bergamaschi che in fatto di competizioni sanno dire la loro, Francesco Gotti, già componente della Nazionale italiana cuochi e oggi allenatore dello Junior team, e Mirko Ronzoni, vincitore del programma tv Hell’s Kitchens, il più fotografato dai visitatori della Fiera. Commissari di gara gli impeccabili Cinzia Fumagalli e Cristian Spagnoli.

Non sono mancate le parole di incoraggiamento del presidente provinciale Roberto Benussi e regionale Carlo Cranchi e l’incontro con gli sponsor vicini al concorso e all’Associazione, per una lunga giornata tra sfrigolare di padelle, profumi, occhiate al timer, apprensione, riconoscimenti per tutti. Compresi i quattro giovani commis, Mattia Grassi, Lorenzo Mazzoleni, Oscar Crotti e Gabriele Camer.




Gusto e sostenibilità, ecco i 12 chef che si sfidano in Fiera

Le gare di cucina impazzano in tv, ma domenica primo novembre i visitatori della Fiera Campionaria di Bergamo avranno la possibilità di assistere di persona ad una competizione ai fornelli. È infatti in programma, dalle 9 al pomeriggio inoltrato nel padiglione C, il quinto Trofeo Fiorenzo Baroni, indimenticato promotore della cucina, della formazione e dell’associazionismo a Bergamo e non solo, l’ormai consueta fida tra chef professionisti organizzata dall’Associazione Cuochi bergamaschi.

Gli ingredienti per confronto goloso e avvincente ci sono tutti: 12 concorrenti, tre ingredienti obbligatori e un paniere a sorpresa con cui elaborare il proprio piatto caldo, il tutto con la formula delle manche ad eliminazione.

“La sostenibilità alimentare, ingredienti poveri per un gusto ricco!” è il tema di quest’anno. Galletto, riso e formaggio Branzi sono i tre prodotti che tutti i partecipanti devono utilizzare obbligatoriamente, il resto lo troveranno in panieri “misteriosi” diversi, sorteggiati per ogni batteria di quattro. Gli chef avranno a disposizione anche una “dispensa” degli ingredienti più comuni (olio, sale, aceto, farina, ecc.) oltre ad una serie di attrezzature. Le postazioni di cucina saranno identiche, saranno assegnati 5 minuti per studiare gli ingredienti e rendere noto il nome della ricetta e 55 minuti per realizzare il piatto, che dovrà essere presentato in una porzione da esposizione e fotografata e in sei mezze porzioni per la giuria. Il punteggio massimo è di cento punti, così distribuiti: 50 per il gusto, 20 per l’estetica, 10 per mise en place, pulizia e rispetto norme Haccp, 10 per gli scarti di lavorazione, 10 punti per l’innovazione. Ogni minuto di ritardo comporta la perdita di un punto ed è prevista una penalizzazione anche per chi non lascia la postazione pulita entro 10 minuti dalla presentazione dei piatti.

Al primo classificato andrà un premio di 500 euro, 300 al secondo e 100 al terzo. Saranno assegnati anche un premio speciale per l’innovazione e un attestato a tutti i partecipanti.

Ecco gli chef in gara

Davide Tagliaferri
Federico Cattaneo
Francesco Rampolla
Luca Piccinelli
Masato Suzuki
Mauro Manfredi
Michele Strazzeri
Mirco Ravasio
Morena Maci
Salvatore Finocchiaro
Simone Cadei
Valter Cervi

In giuria quest’anno ci saremo anche noi della Rassegna con la nostra testata Affari di Gola, insieme ad un pool eccellente composto da Francesco Gotti, executive chef del Bobadilla di Dalmine e allenatore dello junior team della Nazionale italiana cuochi, Mirko Ronzoni, vincitore della seconda edizione del programma tv Hell’s Kitchens, il ristoratore stellato Sergio Mauri, Carlo Cranchi, presidente dei cuochi lombardi, e Cesare Chessorti, presidente dell’Associazione cuochi Como.

A curare l’organizzazione Fabrizio Camer, Fabio Sanga e Alessandro Pilatti dell’Associazione cuochi Bergamaschi.




Cuoco dell’anno, un bergamasco sul podio

il piatto di Simone Cadei, Lingua con salsa verde scomposta

 

C’è un bergamasco sul podio dell’undicesima edizione del concorso Cuoco dell’anno, organizzato dall’Unione Cuochi Regione Lombardia (UCRLo) nel corso di Host, la fiera internazionale dell’ospitalità chiusa ieri a a Fieramilano Rho.

simone cadei 2È Simone Cadei, titolare con i due fratelli – anch’essi chef – del ristorante Simagò di Osio Sopra. Si è classificato al terzo posto nella competizione che ha visto in lizza 18 concorrenti, soci della Federazione di tutta Italia, e che aveva come tema “Del maiale non si butta via nulla”.

Si chiedeva di elaborare un piatto con le parti meno nobili e il quinto quarto del suino abbinate alla lavorazione di un cereale (come riso, orzo, mais). Cadei ha ottenuto il punteggio di 96,2 sul totale di 100 con il piatto “Lingua con salsa verde scomposta”. Il titolo di Cuoco dell’anno è andato ad Andrea Mantovanelli, dell’Associazione Cuochi Verona, con “Musetto di maialino e scampi” (punteggio 98,6) mentre in seconda posizione è arrivata la “Guancia di maiale” del bresciano Cristian Spagnoli.

Al debutto quest’anno, il concorso per la “Salsiccia 3.0”, così definita per l’utilizzo di strumenti professionali innovativi, è stato vinto da Michele Fiorito dell’Associazione Cuochi Brescia.

Queste, infine, le menzioni speciali assegnate dalla Giuria:
Coppa Aldo Sacchi, tecnica nell’uso dei fondi e salse: Luca Fasoli
Coppa Egidio Rossi, capacità tecniche dimostrate in giovane età: Giulia Corbellini
Coppa Fiorenzo Baroni, Premio Giuria popolare gusto visivo: Luca Piccinelli
Coppa Enzo D’Ellea, Premio speciale pertinenza al tema e ricerca: Mattia Giacomelli
Coppa Gian Paolo Cangi, miglior utilizzo di tecniche innovative: Pompeo Lorusso

Oltre a promuovere il confronto professionale, la presenza in fiera della Federazione Italiana Cuochi ha rappresentato una vetrina del mondo associativo per la vasta platea dell’evento, che in quattro giorni ha totalizzato oltre 150mila visitatori.

 




Chef sugli yacht: «Una carriera, mille emozioni»

Nel mondo della ristorazione c’e una realtà che in pochi conoscono. Parliamo della cucina private extralusso, ovvero la professione di chef per il jet set. Se ne parla poco: i committenti, ricchi magnati e armatori, esigono la massima riservatezza e d’altro canto gli chef eletti sono pochi. Eppure è un mestiere affascinante, avventuroso e molto ben remunerato, che può dare grandi soddisfazioni. Gli stipendi vanno dai 2mila fino ai 10-12mila euro per i cuochi più prestigiosi. E si è spesati di tutto, dai trasferimenti agli abiti fino alle necessità personali. Ad esempio, se lo yacht è attraccato a Miami e si viene chiamati, l’aereo è a carico del committente.

Dario Tagliasacchi, 42 anni, cuoco di Credaro cresciuto nella brigata di Gualtiero Marchesi, ha alle spalle anni di esperienza alla corte del jet set internazionale. Ci racconta aneddoti e curiosità oltre agli aspetti positivi e negativi di questo mestiere che – dice – «fa aprire la mente, conoscere tanti modi di cucinare e vivere vere e proprie avventure». Come, ad esempio, inseguire uno yacht con la borsa della spesa a bordo di un tender per cucinare una cena speciale in una caletta in mezzo all’atlantico, oppure essere mandati a fare un corso a Merano da Henri Chenot per lavorare a una dieta speciale. Cucinare il risotto lombardo per le Eurotoque a Bruxelles, imbandire un buffet di gala sotto le stelle di New York, improvvisare una cena alle cinque di notte a bordo di uno yacht MY Montrevel di 37 metri.

Come si e avvicinato a questo mondo?

«È iniziato tutto per merito di Gualtiero Marchesi. Un giorno sono tornato a Erbusco a trovare lo staff per un saluto. Parlando con il patron mi disse “vuoi partire in barca?”. In quegli anni Marchesi aveva in gestione un Club sulla Costa Atlantica. Dall’oggi al domani si è deciso che sarei andato io. Ho fatto otto mesi tra i Caraibi e il Mediterraneo. Poi qualche crociera tra Venezia, Bari, Istanbul e Pireos. Finita l’esperienza ho lavorato per tre anni e mezzo come secondo di Marchesi a Parigi, al Lotti della catena Jolly Hotel che in quegli anni ottenne una stella Michelin. Qui ho avuto il mio primo incontro con il mondo private extralusso».

Cosa è accaduto?

«Il passaparola è stato importante. Tramite degli amici conosciuti a Parigi ho fatto dei colloqui a Cannes e in un’agenzia di Nizza. Come prova, mi hanno mandato in due abitazioni di lusso a Montecarlo. La prima era uno stabile di 14 piani che ospitava due famiglie e l’azienda. La seconda una villa bellissima abitata da una famiglia e da 12 dipendenti fissi: eravamo due cuochi, uno cucinava per i proprietari, l’altro per i dipendenti».

Come si svolgono il colloquio e la selezione?

«Le selezioni vengono fatte da agenzie specializzate, si chiamano Crew Agency. Ad Antibes ce ne sono molte, valutano le caratteristiche del candidato e cercano di abbinarle a quelle degli armatori. Il colloquio è in due lingue, inglese e francese: ti viene richiesta una breve presentazione, poi ti fanno fare la spesa e cucinare».

Dario TagliasacchiQuali sono le doti necessarie per fare gli chef privati di lusso?

«Innanzitutto e richiesta preparazione sui piatti, sui prodotti e sulla cucina classica. Essere un cuoco italiano è un’eccellenza che da il 30% di punti in più rispetto agli altri candidati. E poi occorre avere una buona esperienza ed essere curiosi, avere una mente aperta. Si tenga conto che quando si lavora sugli yacht, si gestiscono situazioni impreviste, a volte estreme, e si lavora con persone di lingue e culture molto diverse. Servono voglia di sperimentare e capacità di mettere insieme anche culture alimentari diverse, tenendo conto dei gusti e delle tradizioni degli ospiti».

Lei ha lavorato per anni sullo yacht di un armatore. Che tipo di impegno viene richiesto?

«La giornata non finisce mai. È un impegno costante. Gli armatori chiedono di essere disponibili 23 ore su 24, in ogni momento bisogna essere pronti a soddisfare qualunque richiesta, anche stravagante. È un mondo extralusso dove si ottiene sempre quello che si vuole. Poi ci sono mille imprevisti».

Ad esempio?

«Può capitare di cucinare per gli ospiti negli orari più impensati, all’una di notte come alle quattro del mattino e poi alle cinque tornare in cucina per preparare la colazione al personale di bordo. Una sera l’armatore per cui lavoravo mi ha chiesto una cena a base di astice. Non l’avevo, cosi quando è sceso sull’isola sono sceso anch’io e ho girato tra i ristoranti per trovarlo. È costato una fortuna».

Quali sono invece gli aspetti positivi?

«Il mestiere ti porta a conoscere tanta gente e a buttarti senza paura in situazioni nuove. Si impara qualcosa ogni giorno e si allacciano rapporti con altri chef e colleghi. Inoltre nei momenti liberi si può godere al meglio la vita in mare e i posti che si incontrano».

Cosa si mangia sugli yacht? Chi decide il menù?

«Il cuoco è una figura speciale, si deve interfacciare con gli ospiti, si presenta a loro, raccogliere le loro richieste, i loro desideri e in base a quelli formula il menù per il giorno dopo o la sera stessa. La cucina mediterranea e la più apprezzata, poi dipende dall’origine e dalle tradizioni culinarie dell’armatore e degli ospiti e dai loro gusti. Ci sono anche ospiti che mangiano panini e insalate da mattina a sera. In questo caso a bordo non chiedono cuochi professionisti ma stewart tuttofare».

Le esperienze più belle che ricorda?

«Sono davvero tante. Ho comprato pesce al mercato di Saint Tropez per una cena in barca, scelto una miscela di the ad Oxford Circus per uno stuzzichino serale, imparato a fare il Gazpacho da un fruttivendolo di Valencia, comprato pesce fresco sottobordo a Lipari. Ma forse le emozioni più grandi sono state le regate. Per due anni sullo yacht abbiamo seguito l’American’s Cup e ho conosciuto politici e personaggi del mondo della vela e pubblici, come D’Alema e Bertarelli. Un altro anno partecipammo al Classic Week presso lo Yacht Club Montecarlo: è una manifestazione dove sfilano le più belle imbarcazioni del mondo e i loro cuochi si sfidano. In quell’edizione vincemmo noi».

Può essere un’opportunità di lavoro per i giovani cuochi?

«Può essere un’aspirazione. Prima bisogna imparare a cucinare. A un giovane che vuole fare questa avventura il mio consiglio è di insistere, di buttarsi, di non fermarsi al primo no. Anche a me obiettavano che non avevo esperienza in questo settore, ho insistito finché non mi hanno preso. Consiglio anche di fare il libretto di navigazione, il documento marittimo che si ottiene dopo avere superato degli esami, perché chi lo possiede ha tutte le carte in regola per navigare ovunque».

Ha dei rimpianti per quella vita?

«Ora sto focalizzando le mie energie su due ambiti diversi, la consulenza professionale alle attività enogastronomiche che vogliono migliorarsi e la realizzazione di eventi domestici personalizzati ed esclusivi come “Chef a domicilio”. E un’ulteriore evoluzione del mio cammino che non manca di stimoli e che mi fa svegliare ogni mattina pensando: amo il mio lavoro».




Bottura a Bergamo, racconto in sei portate

Sulla sua filosofia in cucina si trovano pagine e pagine, video, interviste, recensioni. Del resto è riconosciuto come il miglior chef d’Italia, nonché secondo al mondo dalla classifica The World’s 50 Best Restaurants.  Incontrarlo di persona, sentirlo parlare, leggerne i gesti e, soprattutto, assaggiare i suoi piatti è però tutta un’altra cosa. Ed è così che Bergamo ha potuto conoscere da vicino il lavoro di Massimo Bottura.

È successo nel primo dei quattro appuntamenti con le grandi firme della ristorazione proposti dalla speciale edizione di GourmArte in occasione dell’Expo tra la Domus Bergamo di piazza Dante e il Balzer.

Per la cena nello storico locale cittadino (i 72 posti a disposizione già esauriti da tempo) sono sfilate sei tra le più emblematiche portate del tristellato modenese patron dell’Osteria Francescana, chiara espressione di quella tradizione sublimata che condensa in un boccone storia gastronomica e prodotti di eccellenza del territorio. Nell’ordine, quindi, “Il ricordo di un panino alla mortadella”, “La parte croccante della lasagna”, “Il compromesso storico” ossia i tortellini che riassumono le diverse modalità di preparazione lungo la via Emilia, “Beautiful spin painted veal not flame grilled” cioè il filetto di vitello che sembra grigliato ma non lo è, “Caesar in bloom” e “Oooops mi è caduta la crostatina al limone”.

Nel pomeriggio Bottura aveva invece incontrato gli appassionati gourmet nella struttura trasparente di piazza Dante, sfogliando l’ultimo suo libro “Vieni in Italia con me” e lo accompagnando il folto pubblico tra storie, ricette e riflessioni su la cucina, la tradizione e il sapore del nostro Bel Paese.

«Ho cercato di portare le materie prime italiane nel mondo, pensando a come contaminare la materia prima italiana con influenze da tutto il mondo. La riflessione del libro parte da qui, dal territorio e dalla tradizione ma che vanno viste in una chiave critica e non solo nostalgica» ha sottolineato lo chef, che dal libro è passato allo show cooking sotto gli occhi attenti dei partecipanti.

Spaghetti, pomodoro, spinaci, ragù leggero e parmigiano: ecco nelle sue sapienti mani gli ingredienti per preparare “La parte croccante della Lasagna”, la sua personale rivisitazione di uno dei simboli della cucina nostrana, piena espressione della sua filosofia, una sintesi di tradizione nostalgica e rielaborazione. «Ogni bambino italiano sa che la parte più buona della lasagna è la parte croccante, quell’angolino che tutti vogliono rubare dalla teglia. Io ho cercato di ricreare proprio quello – ha spiegato -. In cucina è così che lavoro: si parte dal ricreare qualcosa della mia infanzia per rielaborala con innovazione».

Lo chef prosegue quindi raccontando “Oops, mi è caduta la crostatina”, altra ricetta simbolo del suo pensiero: «la cucina è un gesto d’amore e un lavoro di creatività, solo così diventa poesia, emozione per qualcosa di imperfetto ma allo stesso tempo ricco di fascino, come quando si è bambini e ci si approccia al cibo non con il palato mentale ma con la gioia del cuore».

Gli incontri con le cucine d’eccellenza della penisola proseguirà il 21 settembre con Pino Cuttaia, chef siciliano del ristorante La Madia di Agrigento, anch’egli in vista del tutto esaurito. E c’è grande interesse pure per Annie Féolde e i suoi chef dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze (il 5 ottobre) e per Gennaro Esposito della Torre del Saracino di Vico Equense, Napoli (il 12 ottobre). La chiusura sarà affidata ai tristellati fratelli Cerea venerdì 6 novembre in un evento alla Cantalupa Ristorante Da Vittorio a Brusaporto.

Insomma, ancora tante emozioni in tavola!

Quanto a “La parte croccante della lasagna”, chi non ha potuto seguire lo showcooking sappia che gli spaghetti vengono cotti, frullati, uniti in tre impasti diversi rispettivamente con pomodoro, spinaci/bietole e parmigiano. La pasta ottenuta, una volta essiccata, permette di ottenere un velo tricolore. Viene poi passata al grill per darle quel sentore di bruciato tipico della crosta della lasagna. Alla base un ragù bianco senza pomodoro e una crema leggera di parmigiano.

 




Bottura a Bergamo, la cena è sold out. Ma ecco cosa cucinerà

Il ricordo di un panino alla mortadella
Il ricordo di un panino alla mortadella

I posti a disposizione sono saliti a 72, ma già da diverse settimane è comunque sold out la cena a tre stelle Michelin che Massimo Bottura servirà al Balzer mercoledì 2 settembre, primo appuntamento del poker di grandi della cucina portato nel centro di Bergamo dalla speciale edizione di GourmArte realizzata in occasione dell’Expo.

Chi non ci sarà all’esclusivo convivio si può accontentare (si fa per dire) di sapere cosa proporrà il modenese patron dell’Osteria Francescana, incoronata a giugno secondo miglior ristorante al mondo dalla classifica The World’s 50 Best Restaurants.

Ebbene, saranno alcuni dei suoi piatti più emblematici e conosciuti, chiara espressione di quella tradizione sublimata che condensa in un boccone storia gastronomica e prodotti di eccellenza del suo territorio. Nell’ordine sfileranno “Il ricordo di un panino alla mortadella”, “La parte croccante della lasagna”, “Il compromesso storico” ossia i tortellini che riassumono le diverse modalità di preparazione lungo la via Emilia, “Beautiful spin painted veal not flame grilled” cioè il filetto di vitello che sembra grigliato ma non lo è, “Caesar in bloom” e “Oooops mi è caduta la crostatina al limone”.

Ma si potrà conoscere Bottura anche nel corso dell’incontro alla Domus Bergamo, dove dalle 18 racconterà la propria carriera venticinquennale e la propria filosofia, ripercorse nel suo libro “Vieni in Italia con me”, e si cimenterà nella preparazione di un piatto con un prodotto bergamasco tra quelli a marchio “Bergamo città dei Mille…sapori”. Al termine dello show cooking gratuito, nel Ristolab della Domus Bergamo Wine sarà possibile gustare (costo 10 euro) un aperitivo accompagnato dal vino Brut Classico Millesimato 2011 Terre del Colleoni doc Villa Domizia. (Per prenotazioni: info@alta-qualità.it).

GourmArte Special Edition è un evento Promoberg in collaborazione con Balzer, Domus Bergamo Wine e Multimedia, con partner: Camera di Commercio di Bergamo, Ascom di Bergamo, Ente Bilaterale Commercio e Servizi di Bergamo, Ente Bilaterale Alberghiero e dei Pubblici Esercizi di Bergamo, Comune di Bergamo, Alta Qualità, Associazione culturale Sìgnum.

Il 21 settembre sarà la volta di Pino Cuttaia, chef siciliano del ristorante La Madia di Agrigento, anch’egli in vista del tutto esaurito. Nonostante manchino ancora alcune settimane, c’è grande interesse pure per Annie Féolde e i suoi chef dell’Enoteca Pinchiorri di Firenze (il 5 ottobre) e per Gennaro Esposito della Torre del Saracino di Vico Equense, Napoli (il 12 ottobre). La chiusura sarà affidata ai tristellati fratelli Cerea venerdì 6 novembre in un evento alla Cantalupa Ristorante Da Vittorio a Brusaporto.

Per info e prenotazioni Balzer: tel. 035 23.40.83 – info@balzer.it

Per info, prenotazioni aperitivo: www.domusbergamo.it




“I cento chef che hanno cambiato la cucina italiana”. Tre sono bergamaschi

100 CHEF x 10 Anni copertinaCi sono anche tre bergamaschi tra i 100 protagonisti della cucina italiana selezionati da Identità Golose per il libro “100 x 10. I 100 chef che hanno cambiato la cucina italiana”. I fratelli Enrico e Roberto Cerea del tristellato Da Vittorio di Brusaporto e il bergamasco d’adozione Daniel Facen, stella all’Anteprima di Chiuduno.

Il volume sarà presentato giovedì  23 luglio in occasione del secondo forum della Cucina Italiana, alle ore 16 nella Sala Reale della Stazione Centrale a Milano. Realizzato da Identità Golose per celebrare i 10 anni di attività ed edito da Mondadori Electa, il libro vuole evidenziare le eccellenze della cucina del Bel Paese nell’anno dell’Expo e il loro personale contributo al gusto e alla ristorazione. A ogni chef è dedicato un capitolo che ne racconta la vita, la carriera e il pensiero. Di ognuno è stata inoltre selezionata la ricetta più creativa, spiegata nei dettaglia al lettore e illustrata da una foto.

Ecco, in rigoroso ordine alfabetico, i cento chef selezionati

  • Fabio Abbatista
  • Riccardo Agostini
  • Massimiliano Alajmo
  • Ugo Alciati
  • Andrea Aprea
  • Francesco Apreda
  • Corrado Assenza
  • Stefano Baiocco
  • Matteo Baronetto
  • Enrico Bartolini
  • Italo Bassi & Riccardo Monco
  • Cesare Battisti
  • Heinz Beck
  • Andrea Berton
  • Michele Biagiola
  • Gabriele Bonci
  • Antonio Borruso
  • Renato Bosco
  • Massimo Bottura
  • Cristina Bowerman
  • Stefano Callegari
  • Antonino Cannavacciuolo
  • Alfonso Caputo
  • Moreno Cedroni
  • Lionello Cera
  • Enrico & Roberto Cerea
  • Daniela Cicioni
  • Stefano Ciotti
  • Lorenzo Cogo
  • Christian & Manuel Costardi
  • Carlo Cracco
  • Accursio Craparo
  • Enrico Crippa
  • Enrico Croatti
  • Pino Cuttaia
  • Pietro D’Agostino
  • Alessandro Dal Degan
  • Giorgio Damini
  • Iside De Cesare
  • Nino Di Costanzo
  • Gennaro Esposito
  • Alberto Faccani
  • Daniel Facen
  • Loretta Fanella
  • Luca Fantin
  • Fabrizio Ferrari
  • Nicola Fossaceca
  • Gianluca Fusto
  • Riccardo Gaspari
  • Anthony Genovese
  • Stefano Ghetta
  • Alfio Ghezzi
  • Alessandro Gilmozzi
  • Oliver Glowig
  • Gianluca Gorini
  • Marta Grassi
  • Antonio Guida
  • Agostino Iacobucci
  • Giuseppe Iannotti
  • Denny Imbroisi
  • Antonia Klugmann
  • Pietro Leemann
  • Vitantonio Lombardo
  • Paolo Lopriore
  • Aurora Mazzucchelli
  • Fabrizia Meroi
  • Christian Milone
  • Luciano Monosilio
  • Alessandro Negrini & Fabio Pisani
  • Beniamino Nespor &Eugenio Roncoroni
  • Norbert Niederkofler
  • Davide Oldani
  • Simone Padoan
  • Davide Palluda
  • Enrico Panero
  • Pier Giorgio Parini
  • Giovanni Passerini
  • Franco Pepe
  • Giancarlo Perbellini
  • Matias Perdomo
  • Roberto Petza
  • Nicola Portinari
  • Niko Romito
  • Angelo Sabatelli
  • Claudio Sadler
  • Simone Salvini
  • Ciro Salvo
  • Giovanni Santini
  • Davide Scabin
  • Emanuele Scarello
  • Francesco Sposito
  • Marco Stabile
  • Ciccio Sultano
  • Salvatore Tassa
  • Simone Tondo
  • Mauro Uliassi
  • Daniele Usai
  • Viviana Varese
  • Marianna Vitale
  • Pietro Zito