Covid-19 “Caporetto” del terziario: in un anno persi 1,5 milioni di posti di lavoro e 130 miliardi consumi

Per la prima volta da 25 anni il terziario ha smesso di spingere Pil e occupazione. Crollano alberghiero, ristorazione, abbigliamento, trasporti e tempo libero

Il coronavirus ha colpito in modo trasversale l’intera società, sconvolgendo la vita quotidiana e colpendo in modo più o meno pesante tutti i settori produttivi ma in particolare quello che fino al febbraio del 2020 era diventato il fiore all’occhiello della nostra economia e che offriva il contributo più “pesante” al Pil e all’occupazione con quasi 3 milioni di nuovi posti di lavoro creati tra il 1995 e il 2019: il terziario di mercato. Quando parliamo di terziario di mercato, ci riferiamo ad una realtà che comprende un universo molto vario di attività: commercio, turismo, servizi di alloggio e ristorazione, traporti , attività artistiche, intrattenimento e divertimento. Per fotografare la crisi ci sono ovviamente i numeri che sono stati declinati nel rapporto dell’Ufficio Studi Confcommercio “La prima grande crisi del terziario di mercato”.

Per la prima volta, dopo venticinque anni di crescita ininterrotta, si riduce la quota di valore aggiunto di questo comparto (-9,6% rispetto al 2019) al cui interno i settori del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti arrivano a perdere complessivamente il 13,2%; i maggiori cali nella filiera turistica (-40,1% per i servizi di alloggio e ristorazione), seguita dal settore delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (-27%) e dai trasporti (-17,1%); ma gli effetti della pandemia hanno “impattato” in maniera consistente anche sui consumi con quasi 130 miliardi di spesa persa di cui l’83%, pari a circa 107 miliardi di euro, in soli quattro macro-settori: abbigliamento e calzature, trasporti, ricreazione, spettacoli e cultura e alberghi e pubblici esercizi. Cifre che si traducono in una perdita di un milione e mezzo di occupati.

Sangalli: “Più attenzione al terziario nel Piano Nazionale di ripresa e resilienza”

Commentando i risultati della ricerca, il presidente di Confcommercio ha sottolineato che “per la prima volta nella storia economica del Paese il terziario di mercato subisce una flessione drammaticamente pesante”. “Occorre quindi – ha detto Sangalli – che il Piano Nazionale di ripresa e resilienza dedichi maggiori attenzione e risorse al terziario perché senza queste imprese non c’è ricostruzione né rilancio”.

Secondo il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, “oggi il problema principale è mantenere vivo e vitale gran parte del tessuto produttivo dei servizi alle imprese e alle persone, in primis la convivialità e il turismo, e traghettarne le attività dalla pandemia alla ripresa. Quando i flussi turistici mondiali riprenderanno vigore, se l’offerta italiana non sarà pienamente in grado di soddisfarli, le perdite saranno permanenti”. Dunque, Bella ha evidenziato la necessità per le imprese di ricevere indennizzi e ristori adeguati per farsi trovare pronte nel momento in cui arriverà la tanto attesa ripartenza.

Bella ha poi sottolineato un altro aspetto molto significativo che ha determinato il mancato “rimbalzo” che tanti si aspettavano nel primo trimestre del 2021: “Tra gennaio e marzo 2021, come nei peggiori frangenti dell’anno passato, è mancata la componente della domanda più importante, i consumi. Le nuove chiusure di marzo e aprile hanno, però, tolto vigore a quella pure minima spinta potenzialmente presente nei risparmi in eccesso accumulati dalle famiglie”. In gioco, secondo il direttore dell’Ufficio Studi “non c’è solo la ripresa, peraltro già mutilata da un primo trimestre 2021 piuttosto deludente. C’è il tasso di crescita dell’economia italiana nei prossimi dieci anni e quindi il benessere, l’inclusione e la provvista delle risorse per le varie rivoluzioni intraprese: da quella digitale a quella verde”.

Alloggio e ristorazione i più colpiti

Uno degli elementi più significativi che emerge dal rapporto, è il calo di oltre il 40% dei servizi di alloggio e ristorazione che hanno avuto una perdita di prodotto otto volte superiore a quella del 2001 nel periodo successivo all’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre.  Il settore più penalizzato subito dopo quelli legati al mondo dei movimenti turistici è quello delle attività artistiche, intrattenimento e divertimento che hanno registrato un calo rispetto al 2019 di oltre il 27%.  Fino all’arrivo della pandemia, tra il 1995 e il 2019 l’agricoltura ha perso 433mila unità di lavoro, l’industria 877mila mentre l’Area Confcommercio ha guadagnato 2,9 milioni unità di lavoro contribuendo all’intera crescita dell’occupazione del sistema economico (+1,5 milioni circa).




Divieto di consumazione al banco nei bar. La Fipe chiede con urgenza un intervento del Mise

Anche Ascom Confcommercio Bergamo si associa alla richiesta della Fipe: in Bergamasca la misura “pesa” su oltre 2.600 bar

La circolare del 24 aprile con cui il ministero dell’Interno ritiene che il DL “Riaperture” vieta ai bar la possibilità di effettuare la somministrazione al banco è giuridicamente incomprensibile e non ha alcun fondamento di sicurezza sanitaria. È quanto sostiene la Fipe secondo cui si tratta di un attacco al modello di offerta del bar italiano che si differenzia da quelli degli altri Paesi proprio perché basato sul consumo al banco. Per dare voce agli oltre 2.600 bar del territorio, Ascom Confcommercio Bergamo si associa alla richiesta del presidente Fipe, Lino Stoppani, per un intervento urgente da parte del Mise, perché ormai il tema della salute pubblica non può essere separato da quello della tenuta di un intero settore produttivo.

Si tratta, infatti, di un’interpretazione che nessuno si aspettava considerando che il decreto non esclude espressamente il consumo al banco ma, al contrario, ha voluto specificare con quali modalità può avvenire il consumo al tavolo (esclusivamente all’esterno fino al 31 maggio). D’altra parte, dopo 14 mesi di blocco delle attività di ristorazione, almeno l’aspettativa di una regolamentazione puntuale non dovrebbe essere tradita: in zona gialla i bar hanno sempre avuto la possibilità di effettuare la somministrazione al banco anche in virtù del fatto che si tratta di un consumo veloce, che non implica una lunga permanenza all’interno degli esercizi.

“È un attacco al modello di offerta del bar italiano che si differenzia da quelli degli altri Paesi proprio perché basato sul consumo al banco – dichiara Giorgio Beltrami, presidente del Gruppo Bar, Caffè e Pasticcerie di Ascom Confcommercio Bergamo, e vicepresidente regionale del coordinamento di Fipe Lombardia-. Un provvedimento punitivo ingiustificato anche sotto il profilo scientifico sui rischi sanitari che si corrono. Anzi la scienza continua a sostenere che il rischio di contagio cresce con l’aumento del tempo di contatto”. In attesa di aggiornamenti, Ascom Confcommercio Bergamo sta invitando gli associati a esporre la locandina dedicata.




Ristoranti e bar aperti con dehors: le regole da seguire tra orari, spazi, servizio mensa e consumo al banco

Tutte le novità per la ristorazione del nuovo decreto Legge integrato con le disposizioni del Dpcm del 2 marzo 2021

Torna la zona gialla da oggi, 26 aprile, con nuove regole per bar e ristoranti, aperti a pranzo e a cena purché all’aperto. La novità, fermo restando il coprifuoco alle 22, riguarda le regioni gialle -da Lombardia a Lazio, da Emilia Romagna a Veneto, da Campania a Toscana- che rappresentano la zona più ampia d’Italia. Le regole prevedono che si possa stare soltanto seduti al tavolo, massimo quattro persone, a meno che non si tratti di conviventi. La distanza è fissata a un metro. Dal primo giugno, soltanto in zona gialla, i ristoranti potranno restare aperti anche al chiuso dalle 5 alle 18. Si potrà stare soltanto seduti al tavolo, massimo quattro persone, a meno che non si tratti di conviventi.

Ecco tutte le novità per la ristorazione (bar e ristoranti) del nuovo decreto Legge n. 52 del 22 aprile 2021, integrato con le disposizioni del Dpcm del 2 marzo 2021 che restano in vigore. Le attività si svolgono infatti sempre nel rispetto dei contenuti dei protocolli e delle linee guida dell’allegato 9 del Dpcm.

Modalità di consumo al tavolo, delivery e orari dei servizi

Per tutte le attività della ristorazione bar, ristoranti pasticcerie cod. Ateco 56:

  • il servizio al banco è ammesso nel rispetto del numero massimo di persone che possono accedere e della legge (dalle 05,00 alle 22,00);

  • il consumo al tavolo è ammesso solo all’aperto e con il massimo di 4 persone al tavolo, salvo che siano tutti conviventi (dalle 05,00 alle 22,00);

  • il servizio delivery è ammesso sempre;

  • l’asporto può essere effettuata solo fino alle ore 22.00, con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze. Tuttavia, per gli esercizi che svolgono come attività prevalente una di quelle identificate con codice Ateco 56.3 (bar e altri esercizi simili senza cucina) è confermato l’obbligo di sospendere il servizio di asporto alle 18.00.

Resta consentita senza limiti di orario la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive limitatamente ai propri clienti, che siano ivi alloggiati.

Spazi all’aperto: urgono chiarimenti

La definizione “all’aperto” resta controversa: l’interpretazione di Fipe si rifa all’interrogazione parlamentare di ieri dell’On. Andreuzza, dove si ritiene che possano essere equiparabili agli spazi aperti le c.d. Sun Room, ovvero le parti di edificio dotate di serramenti completamente apribili in altezza su uno o più lati (ovviamente i serramenti devono essere aperti). Quindi, secondo Fipe, via libera anche a verande/terrazze/dehors completamente aperti su uno o più lati per il consumo al tavolo. Questa interpretazione verrà sostenuta dal Ministro Garavaglia e sarà oggetto di specifica faq. Ascom Confcommercio Bergamo consiglia di chiedere al proprio Comune un assenso a questa interpretazione.

Servizio mense ancora attivo (all’interno)

Secondo la Fipe è ammesso il servizio mensa (all’interno) con il servizio ristorante all’aperto, purché si segnali con un cartello che il servizio interno è solo di mensa e ci sia separazione della clientela. Anche in questo caso, se necessario, si consiglia un passaggio preventivo con il proprio Comune.

Feste vietate anche all’aperto

Resta in vigore l’art. 16 del Dpcm del 2 marzo 2021 che vieta le feste nei luoghi al chiuso e all’aperto, ivi comprese quelle conseguenti alle cerimonie civili e religiose. Non è vietato però che una persona inviti altre persone al ristorante nel rispetto delle norme e del posizionamento al tavolo.

Servizi igienici disponibili

Nella zona gialla non vale la sospensione dell’obbligo della disponibilità del servizi igienici per i clienti (stabilita solo per le zone arancioni e rosse). Quindi servizi igienici sempre disponibili.

Cartello obbligatorio

Permane l’obbligo per tutti gli esercizi commerciali e tutti i locali pubblici e aperti al pubblico di esporre all’ingresso del locale un cartello che riporti il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente al suo interno, sulla base dei protocolli e delle linee guida vigenti.

Niente consumo al banco

Riguardo al consumo al banco, infine, una circolare del ministero dell’Interno introduce una limitazione ulteriore che non esisteva nel Dpcm del 2 marzo, al quale peraltro l’ultimo decreto di aprile fa riferimento. Nella circolare, infatti, c’è scritto “Fino al 31 maggio p,v, pertanto, relativamente agli esercizi pubblici di somministrazione di alimenti e bevande, il servizio al banco rimarrà possibile in presenza di strutture che consentano la consumazione all’aperto”. Al banco, quindi, è consentito solo il servizio e non la consumazione. Resta comunque possibile per tutti l’asporto (fino alle 18 per chi ha il codice Ateco 56.3).

Per la Fipe è assurdo impedire, oggi, di effettuare il consumo al banco e farlo con un’interpretazione ministeriale: si tratta di una mancanza di rispetto e un danno secco verso le imprese che hanno già pagato un prezzo altissimo per le misure di contenimento della pandemia, senza alcun beneficio evidente sul piano sanitario. Il consumo al banco, regolato dai protocolli su distanziamento e capienza degli esercizi, permette in molti casi di snellire il servizio evitando assembramenti all’esterno ed è l’unica modalità rimasta di servizio per numerosissime attività che non dispongono di spazi esterni. Per questo Fipe chiede al più presto un intervento del ministero dello Sviluppo Economico.




Decreto Riaperture, dal Governo ci aspettiamo un vero “cambio di passo“ negli scritti prima ancora che negli orali

In Europa è tempo di pagelle per il nuovo Governo Draghi. Le agenzie di rating internazionali valuteranno il nostro Esecutivo alla luce delle politiche sullo scostamento di bilancio, deficit e Recovery fund. Per noi, e per quanto ci interessa, il giudizio è oggi negativo. È da bocciatura perché il modus operandi del Governo non è cambiato rispetto al precedente.

In primis, pensiamo che i provvedimenti, anche quando nascono dalla mediazione politica, devono essere sensati, altrimenti è meglio lasciar perdere e cercare nuovi equilibri di mediazione. La discussione sull’ “apro o chiudo in area bianca o gialla”, ne è un esempio. Deleteria è anche la decisione di consentire l’apertura dei ristoranti e dei bar solo all’aperto. Ad aprile? Ma non scherziamo! Meglio sarebbe stato allungare di due settimane il sacrificio per poi riaprire all’interno a pranzo e a cena.

Ma non è solo il termine dello scontro ad essere sbagliato. Continua ad essere seguita la strada sbagliata dell’asporto e del delivery, favorendo assembramenti in strada e nelle abitazioni private, anziché far accomodare le persone in luoghi definiti e facilmente controllabili.

Inoltre, come è possibile anticipare con conferenze stampa il contenuto di provvedimenti che impattano sulla vita e sul portafoglio di tanta gente, titolari e dipendenti di imprese della ristorazione e dei pubblici esercizi, senza fornire prima un testo del decreto e le sue specifiche? Forse si ignora che qualcuno sarà chiamato in queste ore a rispondere a tante brave persone che, per cercare di impostare il loro lavoro, devono capire se e come potranno lavorare nei prossimi giorni, fare rifornimento, richiamare i dipendenti dalla cassa Integrazione ecc. ecc. Non sarà solo una bocciatura per il comportamento del Governo ma anche per il rendimento.

Come può pensare di costringere la ristorazione a lavorare all’aperto nel mese di maggio e al chiuso per l’intero mese di giugno e luglio, senza pensare di distruggere decine di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Senza dimenticare lo strazio delle palestre e degli altri centri sportivi, dei parchi divertimenti costretti ad altri mesi di forzata chiusura. Senza pensare alle sorti dei centri commerciali, dei negozi presenti al loro interno, in cui il ricambio d’aria è assoluto e nei quali gli accessi possono essere tranquillamente contingentati. Come pensa questo Esecutivo di salvare la stagione turistica che parte già zoppa e che potrebbe decretare la fine della ricettività italiana?

Si tratta della vita e della morte economica di molte persone. Eppure quando il reddito è garantito sono tutti strenui difensori della priorità della salute pubblica. Perché il Governo non pensa ad una trattenuta della metà dello stipendio di chi l’ha garantito per darlo a chi è in difficoltà? Vedremo quanti tra i difensori e i consiglieri del Governo – così abili, come il suo Ministro della Sanità, a fronteggiare la pandemia con i sacrifici degli altri – ci sarebbero ancora in giro.

Caro Presidente Draghi siamo a fine aprile, c’è ancora tempo per rimediare, per essere promosso, o per andare almeno a settembre. Ci aspettiamo un vero “cambio di passo“ negli scritti prima ancora che negli orali.




Dal 26 aprile tornano le zone gialle: via libera ai dehors anche a cena. Ecco la roadmap delle riaperture

Pranzo e cena solo nei locali che hanno tavoli all’aperto e dal primo giugno anche al chiuso ma solo a pranzo. Piscine aperte dal 15 maggio, palestre dal 1 giugno. E dal 15 giugno ripartono le fiere

Tornano le zone gialle dal 26 aprile, dove i dati lo consentono, ma a riaprire saranno solo le attività all’aperto. Gli esercizi di ristorazione, quindi, potranno lavorare sia a pranzo che a cena, a patto di avere uno spazio esterno. Il Consiglio dei ministri ha varato mercoledì 21 aprile il nuovo decreto anti coronavirus le cui bozza era stata licenziata venerdì scorso. Nessuna novità di rilievo, a parte l’astensione politicamente pesante della Lega, che contesta la conferma del coprifuoco alle 22.

Il calendario delle riaperture (Scarica il Decreto Riaperture).

Da lunedì 26, dunque, si comincia a riaprire e tra i primi ci saranno i ristoratori: in zona gialla, fino a tutto il mese di maggio, sarà possibile pranzare o cenare solo nei locali che hanno tavoli all’aperto, mentre dal primo giugno si potrà mangiare anche al chiuso, ma solo a pranzo. Sempre in area gialla riapriranno con specifici protocolli teatri, cinema, spettacoli e musei. Dal 15 maggio sarà consentita l’attività nelle piscine scoperte e dal primo giugno nelle palestre al chiuso, data in cui saranno aperti al pubblico anche manifestazioni ed eventi sportivi di interesse nazionale.
Il 15 giugno ripartono le fiere e dal primo luglio sarà la volta di congressi e parchi tematici. Per quanto riguarda gli spostamenti tra le Regioni resta necessaria l’autocertificazione, dove è già prevista, ma da subito si potrà girare più liberamente con in tasca il “certificato verde”, che attesti la vaccinazione, l’esecuzione di un tampone negativo o l’avvenuta guarigione dal Covid. Chi avrà il pass potrà anche accedere a determinati eventi, culturali e sportivi.

“Le aperture per le sole attività all’aperto rischiano di penalizzare almeno la metà delle imprese che non possono usufruire di questa possibilità. Per i pubblici esercizi della montagna, poi, è una doppia penalizzazione considerate le condizioni climatiche -a ricordato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, nel suo intervento alla giornata “Legalità, ci piace!”  Chiediamo due ulteriori accorgimenti: favorire una sensibilizzazione nei confronti delle amministrazioni locali nel permettere di utilizzare nuovi spazi pubblici, così da  maggiore vivibilità delle nostre città e territori; anticipare prima possibile le aperture anche all’interno, con distanziamento e protocolli di sicurezza”.

Zambonelli, presidente Ascom: “Così non va: ci sono ancora troppi nodi da sciogliere e regole da definire con più chiarezza”

Avere una data per poter ripartire sono segnali che vanno nella giusta direzione ma “ci aspettavamo maggiore coraggio e soprattutto maggiore chiarezza – sottolinea Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom Confcommercio Bergamo, in merito al Decreto Riaperture approvato ieri sera dal Consiglio dei Ministri -. C’è infatti di fondo un errore di metodo. Il calendario delle riaperture è sulla bocca di tutti e sulle pagine dei giornali ma non basta presentare delle slide in pdf. Per chi lavora, in primis le associazioni di categoria, servono provvedimenti veri e non comunicati stampa. I nostri associati sono confusi e ci stanno contattando per capire come gestire i clienti e le prenotazioni in vista di eventi e cerimonie all’aperto, considerando anche l’incognita del maltempo. A oggi, infatti, non c’è nessun decreto messo nero su bianco che definisce regole precise e tutti questi bei proclami cadono nel vuoto se poi mancano protocolli di sicurezza e un metodo comune a tutti da seguire”.

Niente passi falsi, dunque, anche perché l’obiettivo comune al mondo del commercio e del turismo è quello di tornare a lavorare a pieno ritmo: “La data del 26 aprile da sola non basta – prosegue Zambonelli -. Dobbiamo dare una prospettiva a tutti gli imprenditori e bisogna lavorare da subito a un protocollo di sicurezza sanitaria stringente che consenta la riapertura anche dei locali al chiuso: finché la ristorazione non potrà ripartire in toto, infatti, anche tutta la filiera connessa continuerà a subire danni economici gravissimi”.

C’è poi il nodo delle date scelte: “Per alcuni settori non si tratta di una ripartenza vera e propria – conclude Zambonelli -. Penso in primis ad alberghi e ristoranti ma anche alle piscine, chiamate a riaprire troppo presto, così come è assurdo invece pensare di aspettare luglio per i parchi tematici. E poi ci sono i centri commerciali che sarebbero dovuti ripartire prima: la chiusura nel weekend, operativa da più di sei mesi, ha tagliato il giro d’affari del 40% rispetto al 2019 e il fatturato annuo di 56 miliardi di euro. Sono numeri che mettono a repentaglio la tenuta delle aziende, con il rischio di forti ricadute occupazionali”.

Fipe: “Un primo passo, ma serviva più coraggio”

Anche per la Fip-Confcommercio “si tratta solo di un primo punto di partenza, perché troppe imprese restano tagliate fuori dalla limitazione del servizio ai soli spazi esterni, subendo così una discriminazione. Per queste realtà il lockdown non finirà il 26 aprile. È fondamentale avere già nei prossimi giorni una road map molto precisa che indichi come e quando le riaperture potranno coinvolgere, nel pieno rispetto dei protocolli di sicurezza, anche tutti quei locali che hanno a disposizione solo spazi interni. Parallelamente sarà importante invitare i Comuni a fare tutto quanto in loro potere per favorire la concessione di suolo pubblico agli operatori sfavoriti da questa riapertura parziale”. Fipe sottolinea infine che “sarà essenziale che tutti quanti, imprenditori e avventori, dimostrino il massimo senso di responsabilità, rispettando pedissequamente le norme di sicurezza sanitaria stabilite dal Comitato tecnico scientifico. Non possiamo permetterci passi falsi. L’obiettivo comune deve essere quello di tornare a lavorare, e dunque a vivere, a pieno ritmo”.

Sono 116mila i locali senza spazio esterno

Fipe fai inoltre notare che riaprire solo le attività che hanno i tavolini all’esterno “significa prolungare il lockdown per oltre 116mila pubblici esercizi”. Il 46,6% dei bar e dei ristoranti italiani non ha infatti spazi all’aperto, una percentuale peraltro che nei centri storici, soggetti  a regole molto più stringenti, aumenta considerevolmente. “Se questo è il momento del coraggio dice Fipe – che lo sia davvero. I sindaci mettano a disposizione spazi extra per le attività economiche che devono poter apparecchiare in strada ed evitare così di subire, oltre al danno del lockdown, la beffa di vedere i clienti seduti nei locali vicini”. Per la federazione la data del 26 aprile da sola “non basta. Dobbiamo dare una prospettiva a tutti gli imprenditori. Bisogna lavorare da subito a un protocollo di sicurezza sanitaria stringente, che consenta la riapertura anche dei locali al chiuso e bisogna darci un cronoprogramma preciso, a partire dal 26 aprile. Non c’è più tempo da perdere. Nelle prossime ore chiederemo all’Associazione nazionale dei Comuni italiani di collaborare con noi per spingere i sindaci a concedere il maggior numero di spazi esterni extra, in via del tutto eccezionale e provvisoria, agli esercizi che in questo momento ne sono sprovvisti. Sarebbe un bel segnale di unità e di voglia di uscire dal pantano tutti insieme”.

 

Federalberghi: “Le terme sono già aperte e potranno offrire maggiori servizi”

Bene gli indirizzi formulati dalle Regioni, che “confermano gli alti standard di sicurezza garantiti dalle aziende termali”, ma non è chiaro “a quali ipotesi di termalismo si faccia riferimento quando si parla di riaperture al primo luglio. Ci auguriamo solo che eventuali profili di limitazioni alle attività termali presenti ad oggi nei testi normativi vengano aboliti al più presto”. Lo sottolinea Emanuele Boaretto, presidente di Federalberghi Terme, per il quale comunque “un ulteriore segnale positivo verrà dalle decisioni che il Governo si appresterebbe ad assumere e che consentirebbero di riprendere a breve i flussi turistici e sanitari idonei a far ripartire il settore dopo un anno di grosse difficoltà”. In ogni caso, conclude la Federazione, è bene ricordare che “gli stabilimenti termali italiani sono aperti già oggi per le prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza (fangobalneoterapia e inalazioni, ad esempio) e per attività riabilitative e terapeutiche”.

 

Vacanze, gli stabilimenti balneari sono pronti ad accogliere i turisti stranieri dal 15 maggio

Gli stabilimenti balneari “sono pronti ad accogliere i turisti anche stranieri, in particolare i tedeschi, che con la Pentecoste dal 13 maggio hanno un periodo di vacanze di 15 giorni. La nostra richiesta è stata accolta, siamo soddisfatti: l’apertura a giugno ci avrebbe penalizzato rispetto ad altri mercati concorrenti come la Grecia e la Spagna. L’importante è che l’Italia c’è, è pronta”.  Così Antonio Capacchione, presidente del Sib Fipe- Confcommercio, soddisfatto per l’accoglimento della richiesta fatta nei giorni scorsi al ministro del Turismo, Massimo Garavaglia. I balneari hanno iniziato già da qualche settimana a fare lavori di manutenzione sulle spiagge perché “non è che alziamo una saracinesca e apriamo – spiega Capacchione – alle volte c’è bisogno di un mese, di due mesi, dipende dalle dimensioni degli stabilimenti e quindi confido che dal 15 maggio si possa iniziare davvero a lavorare”




Aprire. Ma quando? E come? Siamo stufi dell’approccio superficiale di chi non sa cosa vuol dire avere un locale

Aprire. Da quando? Come? Nel leggere giornali e social non si capisce quando i bar e ristoranti potranno riaprire. E nemmeno come lo potranno fare. C’è chi sostiene che l’orario massimo sarà quello delle delle 15, solo se seduti, solo se in tavoli all’aperto. Fossimo a primavera di un anno fa, forse, potremmo capirlo, ma oggi non è assolutamente giustificabile. Politici e membri del CTS che rilasciano queste dichiarazioni dovrebbero vergognarsi, quanto meno perché non è pensabile governare o imporre restrizioni senza conoscere i punti di sostenibilità del lavoro.

Ma come si può pensare di far partire solo chi ha tavoli all’aperto lasciando morire di fame gli altri, senza pensare che la rabbia sociale sarebbe incontrollabili? Oppure che non è lo Spritz che trasmette il contagio e nemmeno l’ora del consumo? È ora di far ripartire questo Paese. Non sopportiamo più chi rilascia queste dichiarazioni perché anziché cercare di individuare, per rimuoverle, le cause dei ritardi nelle campagne vaccinali – che dovrebbe essere il loro lavoro – pensano che sia possibile giustificare i ritardi nell’imporre sacrifici sempre agli stessi.

Con l’approccio superficiale che meno si apre e comunque meglio è. Meglio per chi? Forse per loro. Non certo per chi deve riprendere a lavorare per pagare i debiti, che è quella parte dell’Italia che paga il loro lauto stipendio a scarico delle responsabilità.

Un barista incazzato

 




Settimana chiave per le riaperture anticipate. Terziario, ristorazione e turismo incrociano le dita

Da Palazzo Chigi filtra la disponibilità ad anticipare a fine mese qualche riapertura. Il presidente di Federalberghi, Bocca: “Il nostro settore ha bisogno di programmazione”

La situazione epidemiologica migliora, anche se molto lentamente. E se la tendenza verrà confermata nei prossimi giorni il governo è pronto ad autorizzare qualche riapertura prima della data canonica del 30 aprile (la scadenza del decreto anticoronavirus attualmente in vigore, ndr). A fine mese, insomma, potrebbero essere di ritorno le zone gialle (Lazio, Veneto, Marche e Molise hanno già dati compatibili), con la conseguente apertura dei ristoranti, almeno a pranzo, ma anche di musei, cinema e teatri, con ingressi contingentati. Per ora, è bene specificarlo, nessuna decisione è stata presa né è stata convocata la cabina di regia per discutere le scelte da fare.

In attesa che venga decisa la data del confronto tra le forze politiche, un elemento è comunque chiaro: se si deciderà di riaprire, saranno fatte scelte “selettive e ponderate”, come ha ribadito il presidente del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli. Tradotto in parole povere, la maggior parte delle attività che sono chiuse dovrà attendere comunque maggio. “Guai se pensassimo di essere fuori dal problema. Ci ritroveremmo nella situazione di metà marzo avendo vanificato settimane di sacrifici”, ha ammonito Locatelli. Per il prossimo mese, come sostenuto dal sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri, è poi ipotizzabile l’apertura dei ristoranti anche la sera: “torneremo con i colori nelle regioni, compreso il giallo. I ristoranti possono aprire da maggio e a metà del mese anche a cena”, ha detto.

Draghi: “Nessuna data certa per le riaperture”

Per le riaperture una data non c’è, dipenderà dall’andamento della campagna di vaccinazione. In conferenza stampa a Palazzo Chigi il premier, Mario Draghi, lo ha detto chiaro e tondo confermando quanto da giorni filtrava dalla sede dell’esecutivo. L’ex presidente della Bce lo aveva appena ribadito al leader della Lega, Matteo Salvini, al termine del quale quest’ultimo aveva comunque aperto uno spiraglio (“non si può vivere in rosso a vita. In base ai dati ci sono almeno sei regioni italiane in cui si potrebbe riaprire. Conto che si possa fare in aprile”).

Draghi, in ogni modo, trova “normale chiedere le riaperture, sono la miglior forme di sostegno”, ma appunto per valutarne la possibilità “inseriremo il parametro delle vaccinazioni per le categorie a rischio”. E si guarderà anche all’andamento nelle singole regioni per valutare un allentamento della stretta: “è chiaro che nelle regioni che sono più avanti nelle vaccinazioni ai più fragili  e vulnerabili sarà più facile riaprire”.

Per quanto riguarda il turismo, il presidente del Consiglio ha di fatto avallato l’auspicio del ministro Garavaglia per la riapertura al 2 giugno (vedi più in basso, ndr): “È la nostra festa nazionale e potrebbe essere una data delle riaperture per noi”. “Garavaglia dice a giugno. Speriamo, magari anche prima, chi lo sa. Non diamo per abbandonata la stagione turistica, tutt’altro”, ha aggiunto. Intanto, in vista della stagione turistica estiva, prende piede la proposta di rendere le isole “covid free”, come sta facendo la Grecia. Garavaglia è d’accordo (“possiamo farlo”) e con lui i presidenti di Sardegna e Sicilia, Christian Solinas e Nello Musumeci, che chiedono a Draghi di “avere il coraggio” di andare oltre la proposta di vaccinazione delle sole isole minori e puntare a immunizzare con il vaccino l’intera popolazione delle due isole più grandi isole del Mediterraneo e “a spiccata vocazione turistica”, che “possono garantire numeri importanti per la ripresa dell’economia nazionale”.

Il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ha parlato invece del passaporto vaccinale, una possibilità allo studio del governo, come hanno fatto altri Paesi, per attrarre i turisti. “Lavoriamo – ha detto – a un ‘green pass’ con tre condizioni, il vaccino, avere avuto il Covid e il tampone negativo. Non è discriminatorio e da noi esiste già in Sardegna”.

Il “balletto” delle date: 20 e 30 aprile

Gli scontri di piazza avvenuti qualche giorno fa a Roma non cambiano sostanzialmente il quadro d’insieme: nonostante il pressing delle forze politiche di centrodestra, che chiedono legittimamente un calendario delle riaperture con date certe sicure e per dare certezze ai settori e agli operatori economici più in crisi, bisognerà attendere comunque il 30 aprile. Ovvero, la data prevista dal decreto con le misure anti Covid attualmente in vigore. Questo perché i dati non consentono ancora allentamenti, come dimostra ad esempio la situazione di Palermo dove il sindaco ho dovuto chiedere alla Regione di instaurare la zona rossa (fino al 14 aprile) dopo aver superato un’incidenza di 275 casi ogni 100mila abitanti.

In ogni caso, se ne è parlato anche al “tavolo” tra Governo e Regioni. “È il momento di riprogrammare le riaperture dei prossimi mesi, solo così il Paese sarà pronto a ripartire dove il virus lo consentirà”, ha detto il presidente della Liguria, Giovanni Toti, appoggiato dal “collega” dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, per il quale “se dopo il 20 aprile i numeri saranno migliori perché non aprire qualche attività?”. Data ribadita dalla ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini: “delle riapertura da maggio ci saranno, forse qualcosa anche dal 20 aprile”.

Per il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, comunque, “dal 20 aprile potremmo porci la domanda se anticipare le riaperture o far scivolare tutto ai primi di maggio. Se i numeri miglioreranno, e penso di sì, potremmo fare una scaletta partendo da quelle attività che possono farlo in sicurezza”.

turismo turista

Garavaglia: “Presto date certe per la ripartenza del turismo”

“È fondamentale dare date certe, perché ogni giorno che passa perdiamo potenziali clienti. Penso che nel giro di qualche giorno saremo in grado di dare date certe”. Così il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, che nel corso di un incontro alla Stampa estera, alla domanda “Quando riapriranno gli alberghi?” ha risposto che “l’anno scorso abbiamo aperto a metà maggio, non vedo perché non possa essere così anche quest’anno”. Mentre per la ripresa del turismo estero, “non sono in grado di dare una risposta certa sulle date – ha ammesso – però in Francia Macron dice che il 14 luglio apriranno tutto, noi abbiamo il 2 giugno come festa nazionale e speriamo che sia la data giusta”.

Parole, queste, apprezzate dal presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, per il quale “le parole del ministro sono sacrosante. Un albergo non è come un negozio o un bar che da un giorno all’altro riapre, un albergo ha bisogno di programmazione: deve accettare le prenotazioni, fare campagne sui Paesi italiani e stranieri, inserire le date sui portali. Non esiste settore come il nostro che abbia bisogno di programmazione”.

Confturismo: “Il 2 giugno è troppo tardi”

“Dateci una data, ma non il 2 giugno: sarebbe troppo tardi”. È la posizione di Confturismo, il cui vicepresidente Marco Michielli spiega che la data giusta, già indicata dal ministro Garavaglia, sarebbe quella del 15 maggio, “la stessa della Grecia, in coincidenza con la Pentecoste, che rappresenta il primo grande afflusso di turisti del Nord Europa nel nostro Paese. Spostare tutto al 2 giugno ci farebbe andare oltre la Pentecoste, che è da sempre il viatico di una buona stagione ovunque”. Per questo Confturismo chiede al responsabile del Turismo, “comprendendo le sue difficoltà”, di “dialogare con il collega alla Sanità per poter uscire ufficialmente con la data del 15 maggio: a quel punto la clientela tedesca potrà prenotare e arrivare nelle nostre località, considerato che le ferie non si possono fissare all’ultimo momento”.

 




La parola d’ordine è sempre e solo “chiudere”. Ma così si dà il colpo di grazia alle nostre imprese

Il fine settimana è stato attraversato da due novità drammatiche e rilevanti. Emerse peraltro in giorni nei quali la nostra Associazione ha lanciato la campagna social “Il Futuro non (si) chiude”, che rappresenta il grido d’allarme per la situazione drammatica che le imprese del commercio stanno vivendo in questo delicato momento storico. Quello che sta avvenendo è la persecuzione, nel nome del contrasto alla pandemia, di un modello di pluralismo imprenditoriale e distributivo che tiene insieme tradizione e innovazione, imprese familiari e società di capitali, persone e territori. Attività che esprimono quell’economia della “socialità” che è il tratto distintivo del “made in Italy”, e che assicurano vivibilità e qualità della vita nelle nostre città e nei centri storici.

Ma è anche un accanimento, perché le notizie picchiano duro e sempre in un’unica direzione. La prima è la conferma dell’area rossa in Lombardia che ha vanificato qualsiasi aspettativa per la settimana pre pasquale del commercio non alimentare. Complice anche le positive condizioni climatiche che potevano offrire un aiuto ai molti negozi di abbigliamento, calzature, gioiellerie. Una perdita di fatturato stimata, secondo i dati elaborati dalla nostra Associazione, in circa 85 milioni di euro, per esercizi considerati dal Governo (non da noi e nemmeno dalla gente comune) non di prima necessità.
La maggior parte di queste vendite si canalizzeranno ancora verso il commercio elettronico con pochissime ricadute sul territorio e nessuna sulla vita dei centri storici. Un colpo tremendo ma non il peggiore perché ce lo attendavamo, considerato che da giorni le anticipazioni sull’andamento della pandemia lasciavano presagire il peggio.

L’altra novità deleteria è l’anticipazione sul proseguimento per l’intero mese di aprile della chiusura delle attività commerciali. Su due piedi è ancora impossibile stabilirne la ricaduta economica e speriamo che, come poi verificatosi in Germania, si possa tornare indietro rispetto agli annunci.
Ad ogni modo la comunicazione è stata devastante da un punto di vista morale. Un colpo pesante, forse “di grazia” verso l’istinto di sopravvivenza dei migliaia di imprenditori coinvolti che stanno pagando un prezzo assurdo e spropositato verso il contrasto alla pandemia. Le reazioni delle persone coinvolte, imprenditori ma anche lavoratori, non mancano: un mix di depressione, rassegnazione e si avverte persino l’aumento della rabbia sociale. Come è possibile tenere chiusi i negozi e vuoti i ristoranti quando gli assembramenti sono frequenti e dappertutto? Perché devono pagare solo alcuni?

Queste dichiarazioni sul prolungamento sono un grave errore del Governo e del Premier Draghi. Quando il Ministro della Salute interviene sui giornali racconta le sue ragioni (che riconosciamo come valide), senza però dare spazio al contraddittorio o alla sintesi di chi rappresenta anche altri interessi. Speranza non offre mai soluzioni a problemi che affliggono milioni di italiani. La parola d’ordine è “chiudere e basta”. Come se non costasse niente a nessuno. E quando vuole essere più gentile chiede un ulteriore sforzo come se fossimo sempre e solo all’inizio, e come se questo passo fosse realmente ancora sostenibile.

Ci aspettavano molto da questo nuovo Governo e dal suo presidente del consiglio e sapevamo che Draghi non potesse fare miracoli ma pensavamo che fosse più capace, rispetto al precedente, di trovare un equilibrio tra i delicati interessi in gioco. E che potesse assumersi maggiori responsabilità nell’affermare che anche questa economia, che è parte integrante del sistema Paese, è fondamentale per l’Italia e gli italiani. Invece, constatiamo che non c’è alcuna reale protezione degli interessi in gioco, né volontà e né capacità di trovare strade nuove rispetto a prima. Chiusura ad oltranza, contributi irrisori e annunci clamorosi. Mentre una parte di italiani affronta la seconda e personale tragedia di questa pandemia.

 




Imprese del terziario, percorsi di vaccinazione nei presidi già in funzione e non in azienda

Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom: “Riteniamo sia la soluzione più appropriata per ragioni logistiche, costi e rischi conseguenti alla vaccinazione di titolari e addetti”

Per le imprese del terziario, soprattutto quelle di piccole dimensioni, la vaccinazione in azienda è impossibile: sarebbe meglio individuare dei percorsi all’interno dei presidi già in funzione. È questa la posizione di Ascom Confcommercio Bergamo in merito alla campagna vaccinale a seguito delle molte richieste pervenute in sede da parte degli associati. “Sono oltre 20 mila i lavoratori del terziario che quotidianamente e anche in zona rossa sono a contatto diretto con i loro clienti e quindi sono soggetti a rischio – afferma Giovanni Zambonelli, presidente di Ascom Confcommercio Bergamo -. Negli ultimi giorni abbiamo ricevuto tante richieste da parte dei nostri associati, sia della attività più grandi e strutturate sia di quelle piccole e piccolissime”.

Di fatto, per il mondo del terziario, il 17 marzo scorso Confcommercio Lombardia e Federdistribuzione avevano già aderito al protocollo per la partecipazione delle aziende produttive Lombarde alla campagna vaccinale anti Covid-19. Il protocollo prevede che l’attività vaccinale in azienda sia a cura del medico competente e sia oggetto di monitoraggio da parte della ATS, anche al fine di eventuali rimodulazioni, in considerazione dell’evoluzione dello scenario epidemiologico e delle disposizioni nazionali.
“La Regione Lombardia ha stabilito i principi generali e i requisiti per consentire in sicurezza l’estensione della campagna vaccinale anti Covid-19 alle aziende – prosegue Zambonelli -. Per la somministrazione dei vaccini servono infatti spazi ad hoc per gli accessi, ambienti idonei alla somministrazione, aree per la permanenza post vaccinazione e personale preposto. Per questo motivo riteniamo che tale soluzione possa essere idonea solo per un ristretto numero di imprese di grande e grandissima dimensione che sono in grado di investire nella organizzazione della campagna in azienda, assumendosi i costi per la copertura dei rischi che la scelta comporta. Non vale, invece, per le medie, piccole e piccolissime imprese che rappresentano il 98% delle nostre attività”.

Ascom, già dallo scorso mese di febbraio, con tutte le altre organizzazioni datoriali di Bergamo ha aperto un tavolo di confronto con ATS per la creazione di percorsi di vaccinazione delle imprese associate, all’interno dei presidi già in funzione per la campagna di vaccinazione in corso. “Riteniamo che questa soluzione sia la più appropriata, per ragioni logistiche, costi e rischi conseguenti alla vaccinazione di titolari e addetti, anche perché ad oggi non conosciamo i tempi certi della partenza e Regione Lombardia e ATS non hanno comunicato la disponibilità dei vaccini. A quanto ci risulta non è stato emanato neanche il documento della Direzione Generale che dovrebbe fissare le modalità operative per la fornitura dei vaccini ma stimiamo possa avvenire con la conclusione delle vaccinazioni delle fasce più anziane della popolazione e con l’avvio della campagna massiva. Sarà nostra cura tenere sempre aggiornati i nostri associati” conclude il presidente di Ascom Confcommercio Bergamo.




Visite su appuntamento e grandi spazi: ipotesi riapertura dei negozi di mobili in zona rossa

Per FederlegnoArredo-Federmobili ci sono buone probabilità che i negozi possano riaprire garantendo la sicurezza e il rispetto delle norme anti Covid

“La risposta del sottosegretario alla Salute, Pieropaolo Sileri, all’interpellanza presentata dall’onorevole Lupi in merito alla chiusura ingiustificata dei negozi di arredamento nelle zone rosse va indubbiamente nella giusta direzione e ci auguriamo che, quanto prima, il Governo riveda la decisione, proprio come auspicato dallo stesso sottosegretario. Il suo personale impegno affinché si ponga rimedio a una scelta priva di ragionevole fondamento è per l’intero settore un segnale importante di cui riconosciamo il grande valore”. Lo dichiarano in una nota congiunta, il presidente di FederlegnoArredo, Claudio Feltrin e quello di Federmobili, Mauro Mamoli.

“Più volte avevamo evidenziato la stortura che consente di tenere aperte anche in zona rossa, attività come i concessionari d’auto, a differenze dei negozi di arredamento, nonostante le ampie metrature e la possibilità di recarvisi su appuntamento li rendano luoghi estremamente sicuri. Quanto sottolineato in Aula dall’on. Lupi – spiega la nota – non fa che evidenziare la necessità di lasciare operativa l’intera filiera di un settore che contribuisce in maniera importante al Pil del Paese”. “Ci auguriamo – concludono – che le parole spese in Aula dal sottosegretario Sileri possano trovare quanto prima attuazione, ponendo fine a un’assurdità. Il nostro appello è che il Governo risponda positivamente alla sollecitazione di un suo stesso rappresentante, che si è fatto portavoce di un’istanza avanzata già da diversi mesi dalle nostre Federazioni”.

Istanza che rispecchia il peso della filiera che conta 311 mila addetti e 73 mila aziende e un macrosistema del legno-arredo, dell’arredamento e dell’illuminazione che produce 20,6 miliardi di fatturato ed esporta in 200 Paesi. “Il settore del legno-arredo – spiegano FederlegnoArredo e Federmobili – è riuscito, grazie alla ritrovata centralità della casa e a misure importanti come il Bonus Mobili, a contenere le perdite dovute alla pandemia e crediamo sia davvero poco lungimirante e inspiegabile interrompere questo trend, impedendo all’ultimo anello della filiera, i rivenditori di mobili appunto, di proseguire la loro attività. Ma non si tratta solo di un’esigenza legittima delle imprese che rappresentiamo, ma di dare il giusto valore ai beni venduti dai nostri associati, divenuti ormai beni essenziali. Mai come ora la casa è stata il centro della vita di ognuno di noi. Consentire di rivedere il layout degli spazi, integrare o modificare gli arredi delle case per rispondere, in primis, alle esigenze della didattica a distanza e allo svolgimento del lavoro agile, come pure ad altre necessità, crediamo sia un modo non solo per fare il bene delle nostre imprese e non gravare sui conti dello Stato, ma soprattutto per soddisfare le necessità dei cittadini. Chiediamo pertanto che nelle zone rosse ai negozi di mobili sia permessa l’apertura al pubblico almeno nella forma di accesso su appuntamento, garantendo la totale sicurezza e il rispetto delle norme anti Covid”.