Formaggi, il prezzo (alto) è quello giusto

A volte il prezzo è caro, ma può essere quello giusto. Nel senso che, per molti addetti ai lavori, l’unica speranza di sopravvivenza per alcune produzioni casearie di qualità sarà adeguare certi prezzi alla media europea. Con una fascia sempre più estesa di consumatori che, pur di avere l’eccellenza sulle proprie tavole, è disposta a pagare anche qualcosa in più. Ne è un convinto assertore Roberto Rubino, dirigente e ricercatore presso l’Unità di Ricerca per la Zootecnia Estensiva di Bella (Potenza), grande conoscitore di tutto il patrimonio caseario italiano e presidente di Anfosc, l’Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo, nata nel 1995 per tutelare e valorizzare i formaggi prodotti esclusivamente con il latte di animali allevati al pascolo. Un purista dei grandi Cru, quindi, Rubino, la cui opinione è molto ascoltata sia dagli addetti ai lavori che dai consumatori, perché disinteressata e non legata a singoli interessi di bottega.

Roberto Rubino - presidente AnfoscPresidente Rubino, a volte i consumatori restano sorpresi per il prezzo molto elevato di alcuni formaggi d’eccellenza: ma forse questa è l’unica arma che ha la filiera per poter sopravvivere, viste le soglie minime pagate per il prezzo del latte….

«Salvo rarissime eccezioni, i prezzi dei formaggi sono tutti livellati verso il basso. Possiamo trovare bottiglie di vino da un euro e da 4.000 euro. Invece nei banchi dei supermercati i prezzi dei formaggi sono quasi identici, molto vicini uno all’altro. E, secondo me, questo è il vero problema del settore….».

A volte però dei prezzi anche alti, o forse è meglio dire giusti, vista la qualità, si avvantaggia solo l’ultimo tratto della filiera casearia, quella della distribuzione: c’è un modo per riequilibrare l’intero sistema?

«Con i prezzi bassi non si avvantaggia nessuno. Anzi è proprio la distribuzione a risentirne perché non è in grado di offrire un’ampia gamma di prodotti a prezzi differenti».

Lei conosce benissimo tutti i formaggi italiani, a livello di prezzi, ma anche sul fronte della qualità. Ci può fare qualche esempio di formaggio sottovalutato, che meriterebbe più attenzione da parte dei consumatori e del mercato? E ci sono invece formaggi sopravvalutati?

«Gran parte dei formaggi al pascolo sono sottovalutati. A volte in maniera vergognosa. Esempio classico è il Ragusano: pascolo obbligatorio, latte crudo, siero-innesto, tini di legno, locali di stagionatura naturale. Eppure gli allevatori prendono solo due centesimi in più rispetto al latte industriale. E che dire del Montasio d’alpeggio, dei Nostrani trentini o della Fresa sarda. Non credo invece che vi siano formaggi sopravvalutati, perché c’è troppo appiattimento verso il basso».

In riferimento ai formaggi, lei ha anche creato un suo modello di classi di qualità: può dirci brevemente in cosa consiste?

«Sappiamo che il latte non è tutto uguale e sappiamo anche che la grande differenza la fa il pascolo e i concentrati. La qualità aromatica e nutrizionale del latte dipende essenzialmente dalla quantità di erba che l’animale mangia e soprattutto dal numero di erbe diverse contenute nella razione. Perché ogni erba apporta un patrimonio di molecole diverse. I concentrati hanno lo stesso effetto dell’acqua nel vino. Ne aumentano il volume ma ne diluiscono sapore e aroma. Il settore si salva se riusciamo a dare “a ciascuno il suo” prezzo».

Già, ma come?

«L’ideale sarebbe utilizzare lo stesso metodo in uso nel mondo del vino: ogni bottiglia ha il suo prezzo a prescindere dal nome del vino e anche se è una Doc. Però il mondo del vino è troppo distante. Ecco perché ho pensato alle classi di qualità, un po’ come si fa con gli elettrodomestici o il baccalà. Le classi sono sei (tre per i sistemi al pascolo e tre per quelli alla stalla) e si basano essenzialmente sulla razione alimentare e sul ruolo dei concentrati. Insomma, meglio mangia l’animale è più il latte e il formaggio saranno “di classe superiore”».

Lei si è sempre battuto contro l’omologazione del latte, che non può essere tutto uguale, ma va valorizzato, specie se italiano di qualità: le recenti misure varate dal ministro bergamasco Martina vanno in questa direzione o c’è ancora molto da fare?

«Non mi risulta che vi siano ancora misure che vanno nella direzione da me auspicata. Noi dobbiamo uscire dalla logica che il latte è tutto uguale, che il prezzo deve essere unico, che dobbiamo mangiare italiano. Noi produciamo molto meno di quello che consumiamo. E non tutto il latte italiano è uguale. Quindi il prezzo deve essere diverso, altrimenti chiude l’azienda che produce il miglior latte».

Secondo lei quale sarà il futuro del formaggio italiano? Riuscirà a contrastare adeguatamente il mercato mondiale delle imitazioni che, a forza di tonnellate di Parmesan e affini, sta minando la nostra credibilità?

«Il problema non sono le imitazioni o le importazioni di latte. Insisto, il problema è l’omologazione, il prezzo unico. Fra poco compreremo formaggi a prezzi stracciati perché la produzione di latte è in eccesso e perché non si tiene conto della qualità. Dobbiamo legare il prezzo alla qualità reale, non quella che ci raccontano (grasso, proteine, cellule somatiche e carica batterica)».

Formai de Mut dell'Alta Valle BrembanaFra i formaggi bergamaschi quale apprezza di più? Ci sono secondo lei, prospettive per allargare il mercato dei formaggi orobici anche all’estero in futuro?

«Il Formai de Mut è il mio preferito. A volta esprime una complessità delicata e fine che raramente si ritrova in altri formaggi. Per i formaggi bergamaschi ci potrebbero essere grandi prospettive. Dovremmo diversificare, ampliare l’offerta e esaltare al massimo la qualità con una cura maniacale dei dettagli. Ripeto: se si vendono vini a 4.000 euro, prosciutti a 1.000 euro, perché non si può vendere un formaggio a 1.000 euro? Questo è lo sforzo che dobbiamo fare: allargare la forbice fra il formaggio meno caro e quello più caro per permettere a tutti di gustare e ritrovare il proprio prodotto».




Tutte le forme del caprino

caprini Via Lattea

Ci sono caprini al naturale che conquistano per la loro semplicità; aromatizzati alle spezie che attirano per i loro colori vivaci; grana stagionati e blu di capra che colpiscono per l’odore pungente e il gusto deciso. E poi c’è la ricotta, delicata e pastosa al palato; la robiola, fresca e spalmabile; lo yogurt, dolce e digeribile. Insomma, elencarli tutti non è facile. Già, perché di prodotti realizzati con il latte di capra ne esistono almeno una trentina. Da sempre punta di diamante dei piemontesi e dei nostri cugini d’Oltralpe, anche nel massiccio delle Orobie i formaggi di capra vantano oggi una consolidata cultura casearia.

I nuovi allevamenti realizzati con le più moderne tecnologie garantiscono un alimento sicuro nel rispetto della tradizione. Inoltre, abitudini e stili di vita sempre più sani stanno orientando il mercato verso cibi di qualità a scapito della quantità. In Bergamasca non sono soltanto il Branzi o il Taleggio a farla da padrone ma anche stracchini, erborinati, formaggelle a pasta molle, tutti rigorosamente di capra. Per non parlare della Roviöla della Valle Brembana realizzata con latte di capra Orobica, una specie protetta che tuttavia continua a mantenere viva una produzione autoctona di formaggi. Merito di una quarantina di allevatori di Valsassina, Valtellina e Bergamasca che da anni lavora alacremente per tutelare questa biodiversità alimentare di qualità che dal 2015 è presidio Slow Food. In generale i più gettonati, soprattutto da bambini e anziani, restano i classici caprini freschi al naturale. Le nuove tendenze in fatto di cibo spingono molto anche sugli aperitivi finger food a base di chèvre, magari aromatizzati con erbe, spezie, frutta secca e persino petali di fiori. Ecco qualche consiglio su come orientarsi tra le ormai numerose tipologie di caprini presenti sul mercato.

FRESCHI E COLORATI

Per attirare la clientela molti produttori puntano su formaggi aromatizzati, gradevoli all’occhio oltre che al palato. E così sempre più spesso nelle piccole botteghe sotto casa spunta qualche caprino variopinto, con colori che vanno dal rosso al verde, passando attraverso un più sobrio nero carbone. Merito delle diverse spezie, dal peperoncino all’origano, con cui i produttori si dilettano a vestire i loro caprini freschi. Tra i più richiesti spiccano i finger food da aperitivo, gli aromatizzati con semi stagionati al carbone vegetale, oppure all’anice, alla paprika, allo zafferano o all’erba cipollina. «Il caprino è il più semplice da produrre – spiega Lorenzo Facchetti, cotitolare dell’azienda familiare Via Lattea di Brignano Gera d’Adda –, è un formaggio da spalmare sul pane, un companatico che molti accompagnano al prosciutto. Spesso però in passato era fatto con il latte di mucca. Nel boom economico era più comodo perché le mucche rendevano di più producendo una maggiore quantità di latte rispetto alla capra. Così, la produzione di formaggi caprini avveniva solo in aree altrimenti non sfruttabili. Solo quando gli allevatori di capre si sono resi conto che il mercato si era appropriato di un nome che non gli competeva si è cominciato a produrre veri e propri caprini con latte di capra».

«Al momento vanno molto i formaggi di capra freschi, colorati, raffinati e trasformati – evidenzia -. Prima mangiavamo per nutrirci, ora le persone sono più attente all’alimentazione, sono più sedentarie, necessitano di meno calorie ma di più qualità. Quindi anche un mercato di nicchia come quello della capra negli ultimi vent’anni è aumentato. Il Piemonte e la Francia hanno fatto da apripista, ma non è stato semplice. I bergamaschi sono un po’ chiusi, abitudinari, per loro il must è il Taleggio. Piano piano i palati orobici si sono raffinati. Certo è ancora difficile convincerli a provare formaggi di capra decisamente puzzolenti, magari meno appaganti dal punto di vista visivo ma più gustosi, come una chèvre semi stagionata o il blu di capra. Gli aromatizzati, invece, vanno per la maggiore perché il colore delle spezie aromatiche rende i caprini invitanti spingendo anche il cliente più scettico al primo assaggio».

I SAPORITI

Chiara Cazzaniga - Cascina Ombria - formaggi di capra
Chiara Cazzaniga e i prodotti di Cascina Ombria

Gusto pungente con punte piccanti, l’erborinato o blu di capra viene prodotto con lo stesso procedimento del gorgonzola. Tuttavia non è cremoso come il classico zola ma è più saporito. È ottimo accompagnato a miele di robinia o con un passito dolce e corposo. Un unico difetto: l’odore. Un dettaglio non da poco per uno zoccolo duro di bergamaschi che a questo tipo di formaggio proprio non riesce ad avvicinarsi: «La barriera più difficile da superare è il pregiudizio – spiega Chiara Cazzaniga che insieme al marito Alberto Gargani gestisce la Cascina Ombria di Caprino Bergamasco –. Tutti sono abituati al formaggio classico di mucca e quando sentono parlare di capra storcono il naso a prescindere. Si fanno influenzare anche dall’odore talvolta sgradevole che hanno questi prodotti. Quando si parla di formaggi genuini c’è ancora chi ha in mente la stalle puzzolenti di una volta. Oggi invece non è più così. Tutto viene prodotto con maggior attenzione alle regole sanitarie, ci sono più controlli e un’adeguata preparazione da parte dei produttori che si mantengono costantemente aggiornati attraverso i corsi. I bergamaschi dovrebbero quindi dimenticare i luoghi comuni anche perché ho notato che quando si decidono ad assaggiare il formaggio di capra ne rimangono piacevolmente colpiti e si ricredono». Molto saporito è anche il grana di capra. È un prodotto per estimatori sottoposto a una lunga stagionatura e per questo viene distribuito soprattutto nei periodi natalizi.

MISTO CAPRA-MUCCA

Formaggio orobico realizzato in modo artigianale nei pascoli d’alta quota, il Bitto storico è un presidio Slow Food. È prodotto con latte di vacca appena munto a cui va aggiunta una percentuale di latte caprino (dal 10 al 20%) ottenuto dalla capra Orobica. «Oggi le capre si alimentano nelle stalle con il fieno – racconta Marco Del Bono dell’azienda agricola Prat di Büs di Ardesio –, una volta invece pascolavano nei boschi e mangiavano foglie e germogli in montagna. Così il formaggio di capra aveva un gusto troppo intenso. Per questa ragione non si facevano formaggi di capra puri, si mischiava il latte vaccino. È il caso del Bitto la cui ricetta originale prevede un misto di latte di capra Orobica e mucca. Una nicchia apprezza e stima il formaggio di capra più saporito anche se in passato era considerato di seconda scelta. Oggi, invece, è molto ricercato anche perché non è un mercato saturo come quello della mucca. Gli allevatori di capre producono formaggi per sé o per qualche negozietto, difficilmente per la grande distribuzione. Questo perché la resa di un ovino è di gran lunga inferiore rispetto a quella di una mucca».

I PRESÍDI

Presidì -Formaggi capra orobica
I tre formaggi con latte di Capra Orobica, Presidio Slow Food

I formaggi prodotti con latte di capra Orobica intero e crudo vengono suddivisi in: pasta cruda, semicotta, molle e semidura; formaggi grassi a stagionatura breve (freschi tre giorni e stracchini 15 giorni) e grassi a stagionatura medio-lunga (minimo 30 giorni per le formaggelle). Oltre al Bitto storico, che prevede l’utilizzo di latte di mucca con una percentuale di latte di capra Orobica, ci sono altri tre formaggi tipici ricavati dal latte crudo di questo animale. C’è il Formagìn della Valsassina, un caprino fresco presente anche nella variante a crosta fiorita detto “Fiorone” il cui sapore, molto più intenso e piccante, richiama l’aroma dei funghi freschi. La formaggella di capra Orobica, invece, è chiamata Matüscin ed è prodotta solo nelle province di Bergamo, Sondrio e Lecco. Si distingue dai caprini della Bergamasca realizzati con il latte di qualsiasi tipologia di capra ed è tutelata dal marchio di garanzia della Camera di Commercio “Bergamo Città dei Mille sapori”. Infine c’è la Roviöla della Valle Brembana, uno stracchino che ha forma di parallelepipedo con faccia quadrata.

I ritrovamenti archeologici dimostrano che l’allevamento di capre era già praticato sulle Orobie intorno al 7000 a.C. Alla fine del Settecento, però, con lo sviluppo industriale si creò un conflitto tra l’allevamento di ovini e l’utilizzo di boschi per fare legna da carbonella per le aziende. Ma la capra Orobica a pelo folto e corna lunghe riuscì a sopravvivere alla cosiddetta “guerra delle capre”. Oggi di questi esemplari in via di estinzione ne sono rimasti poco più di 2.000. E proprio per tutelare questa specie, nel 2015 è nata l’associazione capra Orobica composta da una quarantina di allevatori di Valsassina, Valtellina e Bergamasca: «L’abbandono del territorio montano e la scarsa produzione di latte hanno contribuito a rendere la capra Orobica una razza in via d’estinzione – spiega il presidente Ferdinando Quarteroni, titolare dell’Agriturismo Ferdy di Lenna –. Lo scorso anno abbiamo quindi cercato di riunire all’interno di un’unica associazione i pochi produttori di capra Orobica che fanno parte del massiccio delle Orobie. La nostra speranza è quella di far conoscere questo animale e motivare i giovani ad allevarla in modo professionale. È una produzione di nicchia che tuttavia deve destare interesse anche in un mondo globalizzato. La capra pascola, mangia l’erba in zone non contaminate, fa formaggi sani ricchi di Omega 3. La sopravvivenza di questa razza è fondamentale per le aree montane con pendii molto impervi. La sua grande capacità di pascolare nelle zone più difficili da raggiungere permette di mantenere e sfruttare ettari di pascolo tutt’oggi inutilizzati».

IL LATO DOLCE

Paola Peracchi (azienda agricola Il Faggio)
Paola Peracchi (azienda agricola Il Faggio)

Se trasformato in formaggio stagionato ha un gusto deciso, ma sotto forma di yogurt o gelato il latte di capra assume un’inedita dolcezza adatta anche a chi è intollerante al lattosio o è attento alla linea. «Il latte di capra è più digeribile ed è quindi un prodotto ideale per chi soffre di intolleranze – ricorda Paola Peracchi dell’azienda agricola a gestione familiare Il Faggio di Albino –. Il gelato di capra non è più magro di quello di mucca, ha solo un tasso di colesterolo più contenuto e quindi risulta migliore dal punto di vista dietetico. La base è la stessa del gelato tradizionale. Gli ingredienti principali sono latte e panna di capra a cui si aggiungono i gusti più svariati lasciando libero spazio alla fantasia: lamponi, more, cioccolato, nocciola, insomma tutto. Il gelato di capra in generale è apprezzato. È molto richiesto nelle fiere soprattutto quella di Sant’Alessandro che si tiene a settembre a Bergamo oppure alla mostra zootecnica di Clusone».

IN TAVOLA

I caprini freschi si possono utilizzare come ingredienti per mousse, ripieni per ravioli, torte salate, gnocchi, crespelle e salse per carni bianche o rosse. La chèvre è ottima scaldata nel forno su un crostino di pane e una spolverata di rosmarino. C’è anche chi, con il caprino fresco, realizza salse aromatiche da accostare al pesce d’acqua dolce. Se invece preferite gustare appieno il sapore rotondo e appagante di questi formaggi è bene accompagnarli con miele e confetture, come spiega Sante Roberto Tessarolo, titolare dell’azienda agricola Al Maso di Camerata Cornello: «Tanti sono gli accostamenti che si possono ipotizzare. Il caprino, per esempio, è ottimo con un confettura di cipolla oppure di lamponi. Una marmellata mora e menta oppure una salvia e limone sono più sgrassanti quindi meglio con prodotti leggermente più grassi. Sui formaggi più saporiti sta bene una giardiniera, oppure consiglierei confetture agrodolci come la mela passata in grappa e miele. Una confettura di pera e cannella o quella di prugna e zenzero sono invece perfette con la robiola. Infine il miele, è ottimo con il blu di capra, un formaggio molto saporito simile al gorgonzola, che però ha un odore più intenso ed è solo per estimatori. In questo caso consiglio il tarassaco oppure il miele aromatizzato con mele o castagne affumicate».

GLI ESTROSI

Si chiama “Formaggio della sposa” e al suo interno contiene una moneta dorata fatta di zafferano. È l’ultima trovata in fatto di formaggi di capra partorita dal caseificio Via Lattea e che verrà messa in vendita proprio a partire dal mese di maggio. L’idea si ispira a un’antica tradizione che, attraverso l’uso di una moneta d’oro, augurava ricchezza e prosperità alla sposa. L’allevamento di Brignano Gera d’Adda sa come stupire i propri clienti. Già a San Valentino aveva infatti dedicato a tutti gli innamorati un formaggio a pasta molle a forma di cuore con un ripieno di caprino fresco ai frutti di bosco. Per non parlare delle perle di formaggio in crosta di cioccolato bianco. Anche Paola Peracchi, nel suo agriturismo Il Faggio di Albino, ogni giorno cerca di creare nuovi combinazioni, dai caprini con noci, erba cipollina e paprika al fagottino con fontanella di capra e asparagi. Particolari anche i caprini stagionati di Cascina Ombria soprattutto quelli avvolti nelle foglie di castagno, di radicchio e di porri, oppure aromatizzati alla birra, al sale e pepe o alle nocciole e uvetta.

Capre




Formaggi, a Cogne l’affinatore “stellato” è bergamasco

Il sapere e la bravura degli affinatori bergamaschi si fanno strada anche al di fuori dei confini provinciali. E forse non c’è da stupirsi visto che i migliori prodotti orobici rimangono quelli legati al mondo caseario. Capita così, girando dalle parti di Cogne, in Val d’Aosta, di incontrare nello stellato Petit Restaurant, ospitato all’interno dell’Hotel Bellevue, un orobico Doc, trasferitosi ai piedi del Gran Paradiso. Si tratta di Roberto Novali, quarantottenne originario di Leffe che ormai da circa tre lustri cura la selezione di prodotti caseari che finiscono sul carrello dei formaggi. Avvicinatosi alla professione quasi per caso, visto che prima lavorava nel settore del tessile, Novali è diventato un punto di riferimento del ristorante e i clienti si affidino a lui per selezionare i formaggi da degustare al tavolo e per avere delucidazioni sulla provenienza.

D’altro canto il suo è un lavoro meticoloso, che parte dalla selezione dei prodotti freschi da portare a maturazione e passa attraverso le strategie di affinatura, fino ad individuare momento ideale per presentare il formaggio in sala. Con scelte spesso originali. Per fare un esempio, il Parmigiano Reggiano qui viene cosparso di olio di oliva per sopperire alla mancanza di umidità essendo Cogne a 1.500 metri di altezza. E poi c’è stata la decisione, che ormai risale a più di dieci anni fa, di affidarsi solo a formaggi rigorosamente italiani, tra i quali non possono certo mancare quelli bergamaschi. Dal Roccolo alla Formaggella della Val Gandino, dal Taleggio fino ai caprini della Via Lattea, che Novali conta di inserire a breve nel carrello.

Carrello formaggi - Petit Restaurant Cogne - affinatore Roberto Novali

Anche se i rapporti più stretti e proficui sono quelli raggiunti con Alvaro Ravasio di CasArrigoni di Peghera, in Val Taleggio. «Poi – rivela candidamente l’affinatore -, è chiaro che il formaggio più utilizzato qui in Val d’Aosta rimane la Fontina, della quale si fa un utilizzo davvero massiccio. Basti pensare che all’anno ne vengono consumate ben 200 forme, distribuite tra il ristorante, il Bar à Fromage e la Brasserie du Bon Bec in centro al paese. Tutte e tre sono locali della famiglia Roullet che è proprietaria dell’albergo e che possiede anche un alpeggio».

I riconoscimenti per il lavoro svolto, tra l’altro, non sono mai mancati, visto che negli anni, e in un paio di occasioni, il carrello di formaggi curato da Roberto Novali è arrivato alle finali nazionali giungendo sempre tra i migliori d’Italia. Ma non è tutto. Novali si occupa anche dell’orto che si trova vicino all’albergo e dal quale arrivano verdure e erbe per il ristorante, oltre a svolgere, nei due mesi circa durante i quali l’albergo rimane chiuso, opere di piccola manovalanza. Insomma, è un bergamasco tuttofare, che si rimbocca le maniche e che sfodera con nonchalance un dialetto orobico di tutto rispetto. Che forse non è più così complicato da capire per i valligiani e per i clienti dell’albergo i quali ormai conoscono bene l’affinatore bergamasco.

 




Dossena, debutta il formaggio stagionato in miniera

una miniera di gustoA Dossena le degustazioni gastronomiche si sposano con l’apertura delle storiche miniere. Domenica primo maggio è in programma la seconda edizione di “Una Miniera di Gusto”, un evento che vuole da un lato permettere ai produttori locali di mettersi in mostra facendo degustare le tipicità della Valle Brembana in un tour tra gli stand e dall’altro rendere visitabili i cunicoli dell’antico loco estrattivo minerario, in un’operazione congiunta di promozione territoriale.

La giornata si apre alle 10 con l’accesso alla zona delle miniere in località Paglio Pignolino con un bus navetta gratuito. Sarà possibile percorrere le gallerie accompagnati da guide che ne illustreranno la storia e le caratteristiche. Il sito è stato attivo fino alla metà del secolo scorso ed è ben conosciuto dagli storici poiché risalirebbe all’età del bronzo. Nell’area saranno presenti uno spazio ristoro, dove verrà proposto il “pranzo del minatore”, laboratori per bambini e un’area relax speciale. Nel pomeriggio un coro alpino si esibirà all’interno della miniera, in un’atmosfera del tutto suggestiva, così come quella dell’aperitivo in miniera. Per la cena è a disposizione un menù convenzionato con i ristoranti locali.

La chicca della manifestazione è la presentazione ufficiale dei primi formaggi locali stagionati in miniera, dove il clima è stato giudicato ideale per le forme. Si tratta del primo passo di un’operazione che vuole unire in maniera ancora più stretta produzioni e territorio.

L’evento è organizzato dall’Associazione Miniere e dall’Associazione Revival (Gruppo Giovani Dossena) in collaborazione col Comune. Sono consigliate la prenotazione e un abbigliamento adatto alla temperatura interna della miniera, che è di 10 gradi. Info: 3421463257




Bù, anche Bergamo ha il suo cheese bar

Non è solo una moda, semmai un “modo” di considerare diversamente il formaggio: i cheese bar nascono proprio per mettere al centro dell’offerta gastronomica il patrimonio caseario italiano. Il fenomeno prende spunto dai “bar à fromage” molto diffusi in Francia fin dagli anni Ottanta, che trovano terreno fertile da noi soprattutto nell’ultimo periodo, prendendo il testimone dalle enoteche che avevano surrogato questa assenza storica sul territorio, con ristoratori esperti che ricoprono anche il ruolo di “divulgatori” del verbo caseario per rispondere alla crescente domanda degli appassionati.

E a Bergamo non poteva certo mancare un locale simile, che in pochi mesi ha già riscosso un forte interesse. Si tratta di Bù, che naturalmente vuol declinare la sfida del buono (in dialetto) in tante componenti. Aperto lo scorso 16 ottobre a un passo da piazza Dante, con un’offerta importante di caci della provincia e non solo, il cheese bar raccoglie in fondo l’eredità di quel progetto, chiamato “Forme”, che aveva animato ad Astino il Fuori Expo, rivendicando il ruolo di Bergamo come capitale dei formaggi d’Europa, forte, anche ma non solo, del primato delle Dop casearie, ben nove complessivamente.

Proprio la Latteria Sociale di Branzi, che con Francesco Maroni era stata l’“anima” di Forme, è ora la stessa che ispira questo progetto di ristorazione, con la collaborazione di tante altre realtà agroalimentari del territorio, che fin dalle prime settimane ha incassato un gradimento importante, tra l’altro con una trasversalità assoluta della clientela, che va dai giovani agli adulti che hanno come denominatore comune la passione per l’assaggio e la cultura casearia, ai turisti alla ricerca di un’offerta gastronomica tipica di qualità, fino alle coppie decise a sperimentare locali innovativi, senza contare tutti coloro che affollano il locale in pausa pranzo, per un break sfizioso durante il lavoro. Ad accoglierli è Jacopo Bravi con il suo staff, ragazzi giovani e preparati che stanno sul pezzo 7 giorni su 7 (non è previsto alcun giorno di chiusura) dalle 7,30 del mattino alle 2 di notte.

Bù - cheese bar Bergamo (1)
Jacopo Bravi con lo staff

«La vera novità che ha introdotto Bù – spiega Bravi, 33 anni bergamasco, con alle spalle esperienze nella ristorazione e nell’alberghiero – è quella di proporre l’intera filiera del latte e non solo il prodotto finito. Per questo abbiamo creato in loco un mini caseificio, in cui produciamo, “live”, dagli yogurt alle creme, al burro chiarificato, fino alla lattica, che poi andranno ad arricchire la nostra offerta nel menù». La didattica e la trasparenza al potere, quindi, per far conoscere a tutti i segreti della trasformazione, che alla sua base ha come arma vincente il latte della montagna bergamasca, vero punto di forza del locale.

Poi naturalmente ecco sua maestà il formaggio declinato in tutte le maniere possibili: dai ricchi taglieri alle raclette, agli orologi “in purezza”, fino alle verticali, come quella del Formai de Mut solo d’alpeggio, con annate che vanno dal 2012 ad oggi. L’offerta vanta oltre 40 caci, con tutti i campioni locali: il Branzi naturalmente gioca in casa, ma poi ci sono taleggio, salva cremasco, stracchino all’antica, agrì, quartirolo, gorgonzola, senza contare i contributi di altre maison, come l’erborinato Rosso Imperiale di Casa Arrigoni affinato nelle vinacce o i superbi caprini della Via Lattea. A proposito di Branzi, c’è anche quello con latte di sola Alpina Originale, razza che si era ormai estinta in Italia, ma che è stata recuperata dalla Svizzera e che nel locale trova anche spazio nell’offerta degli hamburger, molto gettonati dai teenager.

E scorgendo il menù (accompagnato da oltre 50 etichette, dai migliori vini bergamaschi a una buona selezione lombarda e nazionale) scopriamo che un po’ tutte le portate (anche se con le dovute eccezioni) ruotano attorno al mondo

caseario: dai primi (consigliato il risotto al radicchio trevigiano con fonduta ai formaggi d’alpe o i paccheri cacio e pepe), ai secondi (con la meravigliosa cotoletta al Branzi) fino ai dessert (dalla pannacotta ai budini fino alle golose brioches alle creme prodotte con il latte della casa). Senza dimenticare il take away di alta qualità, per una spesa davvero “bù”…




Il formaggio dell’anno e il miglior cheese bar? Sono bergamaschi

Il Taleggio Dop del caseificio Giovanni Invernizzi

 

È bergamasco il miglior formaggio dell’anno. Si tratta del Taleggio Dop del caseificio Giovanni Invernizzi di Pontirolo Nuovo, insignito dello speciale titolo agli Italian Cheese Awards 2016, i premi dedicati ai migliori formaggi prodotti con latte 100% italiano e organizzati dell’ambito della manifestazione “Formaggio in Villa” di Mogliano Veneto. Il concorso, organizzato da Guru del Gusto, ha vissuto la serata finale al DoubleTree by Hilton, nel corso della quale sono stati consegnati i riconoscimenti ai vincitori delle diverse categorie. Bergamo ha ottenuto anche il premio “Cheese Bar dell’anno”, riservato alle attività innovative di somministrazione che propongono formaggio. La vittoria è andata a Bù Cheese Bar, aperto dallo scorso 16 ottobre in via Monte San Michele, nei pressi di piazza Dante, a Bergamo su iniziativa della Latteria sociale di Branzi.

La storia del caseificio Giovanni Invernizzi risale agli anni Trenta, con la signora Teresa che apre un negozio di raccolta latte e vendita di stracchini e formaggelle. Sposata con Giovanni Invernizzi, trasmette l’attività ai quattro figli, che la trasformano in un caseificio che oggi, quando al lavoro c’è anche la quarta generazione della famiglia, può contare su tre linee principali di produzione, i formaggi stagionati tra cui il Gran Padano Dop, quelli a pasta molle che hanno come maggiori esponenti Gorgonzola e Taleggio e la linea delle paste filate dedicata per la maggior parte alle mozzarelle.

bù cheese barIl Bù, che in dialetto bergamasco significa “buono”, è un locale aperto tutti i giorni della settimana dalle 7,30 del mattino alle 2 di notte e offre la possibilità di gustare le diverse forme del latte, non solo formaggi selezionati, quindi, ma anche yogurt, burro, creme. La formula unisce degustazioni, cucina e divulgazione, grazie anche alla presenza di un mini caseificio interno.




Gromo, sagra e concorso tra i formaggi seriani

formaggi gromoÈ il concorso caseario più famoso della Val Seriana. Sabato 23 aprile torna “Gromo sempre in forma”, la gara riservata a Formaggella della Val Seriana, stracchino e formaggio di Monte, tipicità che caratterizzano la produzione delle aziende agricole locali.

Attorno all’appuntamento si sviluppa una la sagra, che permette di unire ai sapori la scoperta del bel contesto storico e architettonico del paese, inserito nell’elenco dei “Borghi più Belli d’Italia” e Bandiera Arancione del Touring Club.

La giornata vedrà la presenza, dalle 10 alle 18 in piazza Dante, di stand con prodotti tipici e un vario programma di eventi. Alle 11 nella sala ex Pro Loco si terrà l’inaugurazione della ricostruzione in miniatura del Borgo di Gromo, a cura degli Amici del Presepe di Cerete, dalle 15 invece scatterà l’animazione musicale a cura del gruppo Folk Minstrel. I bambini e le famiglie possono anche partecipare al laboratorio dal titolo “Il Castello infestato” (ore 15.30, su prenotazione) mentre alle ore 16.30 saranno svelati e premiati i vincitori del concorso, realizzato con la partecipazione dell’Onaf (Organizzazione nazionale assaggiatori formaggi) e della Coldiretti. A seguire show cooking e degustazione a cura della scuola alberghiera dell’Azienda Bergamasca Formazione.

La kermesse è anticipata da un convegno, giovedì 21 aprile nella sala Filisetti (via Milesi 25).

Per informazioni tel. 0346 41345

 




Erbe di montagna e formaggi tipici, in Val Brembana nove giorni a tutto gusto

Erbe del CasaroLa settima edizione di Erbe del Casaro, che coinvolge 11 comuni dell’Altobrembo (Averara, Cassiglio, Cusio, Mezzoldo, Olmo al Brembo, Ornica, Piazza Brembana, Piazzatorre, Piazzolo, Santa Brigida e Valtorta) torna da sabato 28 maggio a domenica 5 giugno. La rassegna, come ogni anno, mette in mostra le ricchezze della Valle, frutto di cultura, saperi e tradizioni delle sue genti attraverso un ricco programma di iniziative per adulti, bambini e famiglie con l’obiettivo di valorizzare erbe spontanee, formaggi brembani e vini della Bergamasca.

Il calendario prevede eventi per tutti i gusti: appuntamenti culinari, corsi di cucina, degustazioni, percorsi enogastronomici, esposizioni artistiche, escursioni, conferenze, visite in aziende agricole e molto altro ancora. Erbe del Casaro è un vero e proprio evento diffuso in quanto accompagna il turista alla scoperta del territorio e dei paesi in cui è organizzata, dando risalto a località e scorci di particolare interesse e fuori dalle solite rotte turistiche. Erbe del Casaro_1 Nel corso della rassegna i ristoranti locali propongono menù a prezzi convenzionati a base di erbe spontanee e formaggi brembani e i bar promuovono gli “Aperitivi del Casaro” abbinando all’aperitivo tre tipi di formaggi e stuzzichini a base di erbe in modo da portare sulla tavola i sapori della tradizione e della cultura della Valle Brembana. Primizie primaverili, prodotti caseari e iniziative di alta qualità: undici paesi, un unico grande territorio da scoprire!

Ecco gli appuntamenti della sesta edizione

– Sabato 28 maggio: “Le buone Erbe Spontanee”, le Donne di Montagna di Ornica e Slow Food Valli Orobiche guideranno un’escursione alla scoperta delle erbe spontanee nei prati del caratteristico borgo

– Domenica 29 maggio: “Dal Campo alla Tavola”, appuntamenti alla scoperta dei prodotti del territorio e dei loro sapori

– Giovedì 2 giugno: “Alla scoperta di Antichi Sapori”, un percorso che guiderà alla scoperta dei sapori tradizionali dell’Alta Val Brembana

– Sabato 4 giugno: “Formaggi di… vini”, un percorso gastronomico che accosterà le prelibatezze casearie della Valle Brembana ai Vini bergamaschi

– Domenica 5 giugno: “Benessere in Natura”: erbe spontanee e benessere, un accostamento perfetto a stretto contatto con la natura.

Info: www.erbedelcasaro.it




“La Tana”, l’arte di valorizzare il formaggio

I fratelli Roby e Alex Rodeschini

 

Bravi sono bravi da tempo: basta vedere il continuo afflusso di appassionati, con tantissimi turisti che l’hanno eletto tra i “luoghi del cuore” (e del palato) di Città Alta. Ma che il ristorante La Tana si trasformasse in una sorta di “laboratorio”, dove, accanto ai piatti della tradizione bergamasca e a quelli della grandeur italiana, nascono felici intuizioni, da aggiungere in un menù tutto da scoprire, ecco questa è la vera sorpresa. Che diventa doppia quando scopriamo che i due patron, i fratelli Rodeschini, Alessandro, 35 anni, sommellier Ais e direttore di sala, e Roberto, 27 anni, chef creativo diplomato a Nembro (c’è un terzo fratello, Dario, che fa il pasticcere a Stezzano: un trio addestrato da quella cuoca sopraffina di mamma Isa), sanno esaltare quello che in provincia è il protagonista assoluto: sua maestà il formaggio.

E di chicche casearie, i due, ne hanno scovate in questi anni davvero tante: l’ultima, in Piemonte (un po’ la loro seconda patria, se consideriamo le sempre abbondanti scorte di carne e vini che arrivano da lì in via San Lorenzo) una celestiale forma di Maccagno che hanno proposto “in purezza” alla clientela. Ma gli amori caseari partono naturalmente dai “tesori” di casa nostra: «Bergamo è davvero un giacimento di grandi formaggi, più o meno conosciuti – spiega Alessandro -: a noi il compito di esaltarli attraverso assaggi mirati con gli appositi taglieri, ma anche ideando ricette originali che arricchiscono il loro utilizzo in cucina».

Ecco allora che i due fratelli si mettono spesso prima a tavolino e poi ai fornelli e sfornano idee a ripetizione. Così sono nate le due ricette create appositamente per Affari di Gola e che dal 1° marzo entreranno ufficialmente in menù: «Ci piaceva stupire con qualcosa che andasse al di là del solito risotto o sformato – aggiunge lo chef Roberto -. Ci auguriamo che possano piacere a chi verrà a trovarci».

La Tana - Creme bruleeIl primo piatto è una Creme Brulée salata, sorta di fonduta in tazza, con sopra un crumble croccante di nocciola Tonda gentile del Piemonte Igp, che al posto della fontina vede protagonista assoluto l’Alben, vaccino a latte crudo della Val Taleggio, pasta cotta, stagionatura media, gusto asciutto e dolce, che i fratelli Rodeschini hanno deciso di “adottare”. «In cucina l’Alben è un formaggio dalle grandi potenzialità ma poco conosciuto anche dai bergamaschi – spiega Alessandro -: l’intento della ricetta è anche divulgativo, nel senso che chi lo assaggerà sarà invogliato a saperne di più di questa nostra piccola chicca brembana». Una entrée raffinata, abbinata al delizioso Cru piemontese, Rossi Contini, nettare vellutato tra i principi della famiglia dei Dolcetti.

La Tana - MillefoglieLa seconda proposta è ancora più intrigante: una millefoglie di grano saraceno e caffè “Quintessenza” Mogi (altra gloria locale, che ormai spopola anche Oltreoceano) con mele saltate al burro, menta e soprattutto Agrì di Valtorta.

È proprio il formaggino di Valtorta, presidio Slowfood a rendere questo piatto sorprendente e originale al tempo stesso, equilibrando con la sua acidità e sapidità le note dolci delle mele brembane e del miele di robinia, mentre i croccanti anelli biscottati sono senza glutine e quindi consumabili anche dai celiaci. «Piatto più complesso – aggiunge Alessandro – che però diventa centrale in un menù per le sue caratteristiche nutritive, esaltate da un Agrì che è una delle perle del nostro patrimonio caseario, originalissima chicca che in molti ci invidiano e che il mondo Slowfood ha contribuito a riportare agli onori delle cronache».

E a proposito di cronache, il locale di Roby & Alex trova ammiratori anche dall’altra parte del globo, se è vero che la rivista Food&Travel, diretta da Michelle Koh Morollo, giornalista e scrittrice specializzata in food and beverage, con redazioni a Singapore e Hong Kong, è stato recensito nel numero dello scorso dicembre. Ma il respiro internazionale viene anche incoraggiato fin dal momento di sedersi al tavolo, grazie alle tovagliette con ricette stampate in italiano e inglese e gli abbinamenti con i grandi vini. È facile capire perché qui gli stranieri si sentono a casa: l’edificio è storico (sedicesimo secolo), c’è il fascino delle pietre antiche, del camino sempre acceso, col braciere in cui grigliare a piacimento tagliate, filetti, costate e fiorentine. Ma prima antipasti sfiziosi con titoli ammiccanti sul menù come quel “Spagna-Italia 1-1” che mette a confronto in una sorta di derby culinario polenta bergamasca e acciughe del Cantabrico. E ancora la sfilata di paste e risotti: il più convincente ha come protagonista un altro grande formaggio di casa nostra, quel blu di bufala, qui abbinato al mosto di uva fragola, che Bruno Gritti de I Quattro Portoni esporta ormai ad ogni angolo del pianeta.

Ristorante La Tana,
via San Lorenzo 25,
Bergamo Alta
tel. 035 213137
www.tanaristorante.it



Musica, massaggi, docce: la dolce vita delle mucche della cascina Guardiola

Azienda agricola Ciocca - Treviglio - Antonio Ciocca e la moglie Antonella ViolaNella Bassa bergamasca un’azienda agricola ha scoperto il “segreto” per produrre formaggio, burro e yogurt eccellenti: il latte di mucche coccolate da spazzolatrici, allevate con un’alimentazione naturale ascolta
ndo musica in sottofondo e senza stress da super mungitura. Il caseificio è nella cascina Guardiola alla Geromina, frazione di Treviglio, dove c’è anche uno spaccio con i prodotti di altri agricoltori a chilometro zero, gestito da marito e moglie, Antonio Ciocca e Antonella Viola.

Ma non si può considerare l’attività casearia senza aver prima visitato l’azienda agricola in via del Bosco, in aperta campagna, avviata nel 1965 dal padre di Luigi, Antonio. Fin da allora l’allevamento rispettava i cicli della natura e i bovini erano solo 25. Nel 1992 è avvenuto il passaggio al figlio. Oggi i capi sono 110 e continuano a vivere in una condizione di cura invidiabile con tanto spazio e comfort a loro disposizione. Le mucche hanno un loro nome e sono parte preziosa di un’attività a carattere familiare, come dimostra il loro trattamento: si pretende che producano “solo” 25 litri di latte in media al giorno, sono nutrite con erba e fieno, partoriscono fino a otto volte e quando invecchiano sono messe in un’area più tranquilla. Nella stalla c’è anche una grossa spazzolatrice verde elettrica: gli animali autonomamente ci mettono sotto la testa e si fanno massaggiare collo e orecchie. Se il macchinario non si aziona, richiamano l’attenzione dell’addetto. Le mucche si coricano su morbidi materassini in gomma. E, d’estate, sopra le mangiatoie, ci sono docce nebulizzatrici che grazie ai ventilatori rinfrescando l’aria e le invogliano a mangiare.

azienda ciocca mucca che si spazzola da sola«Vuole sapere quale sarà il mio prossimo passo? Vorrei creare il pascolo, lasciarle libere, ci ho già provato ma non è facile, sono animali intelligenti – è il afferma Ciocca -. Un giorno, mentre stavo rifacendo il pavimento della stalla, avevo messo le bovine in un’area recintata, ma due vacche hanno spinto contro una loro compagna, riuscendo così a scavalcare l’ostacolo».

Ci sono anche stati alti e bassi, superati con costanza e dedizione al lavoro. «Avevo 400 capi, di cui 180 da mungitura, ho investito, assunto dipendenti e iniziato a vendere latte alle industrie, entrando in un circolo vizioso – spiega Ciocca – perché poi sei costretto a produrre sempre di più dal momento che il prezzo viene abbassato e non riesci più a far fronte alle spese. Gli animali, negli allevamenti intensivi, sono portati a fornire fino a sessanta litri di latte al giorno e così sfiancati, dopo un paio di parti, finiscono al macello».

Nel 2001 una malattia contagiosa gli ha imposto l’abbattimento di tutti i capi. Ma il trevigliese si è rimboccato le maniche e ha ricomposto la mandria, aprendo nel 2008 i distributori di latte crudo a Cavenago, Capriate, Suisio e Bellusco. Tuttavia, dopo il successo iniziale, il progetto non ha suscitato più il forte interesse iniziale. «Se non fai altro, non campi», si è detto l’allevatore che ha cambiato rotta, decidendo di dedicarsi alla trasformazione del suo latte. Chi si reca in cascina è attratto dal gusto unico di due formaggi speciali che, già nel nome delle due frazioni, sono un omaggio al territorio: Cerreto, compatto e dolce, realizzato da latte intero, stagionato da un mese e mezzo a tre mesi, che può somigliare alla fontina, e Geromina, a pasta morbida, con almeno otto mesi di stagionatura, prodotto da latte spannato in forme che raggiungono i nove chili.

I prodotti sono finiti anche in vetrina per tutta la durata di Expo nel padiglione allestito vicino all’albero della vita. Le varietà casearie sono tante: c’è il mucchino, che piace ai bambini, simile al caprino, ma prodotto con latte vaccino, e i freschissimi come mozzarella, ricotta, crescenza e primo sale. Nelle formagelle, stagionate per due mesi, si spazia con i sapori: possono essere al peperoncino, al pistacchio, alla cannella, alle olive, all’erba cipollina, al finocchio e ai capperi. Il latte è conferito all’Associazione produttori latte della Pianura Padana e a Copagri per il progetto “Buono e onesto”, che consiste nel confezionamento diretto dagli allevatori. Il suo simbolo, presente sulle confezioni in tutta Europa, è la mucca Onestina colorata con la bandiera del Paese di origine. Con questo latte, i soci producono il Sovrano, un formaggio a pasta dura stagionato 25 mesi, con latte vaccino all’80% e di bufala al 20, Fattorie Bresciane con caglio vegetale e meno sale, stagionato 12 mesi, il Supremo, a 15 mesi, con solo latte vaccino. Ci sono anche la Guardiola, spalmabile, e il Pronto pentola, una miscela macinata perfetta per mantecare risotti o pasta. Lo yogurt è, oggi, solo bianco. «Non utilizzo nient’altro che prodotti di stagione, pertanto non essendoci fragole, more o mirtilli che mi rifornisce la Cascina Pelesa, preferisco non aggiungere frutta che non conosco», conclude Ciocca.

formagelle azienda ciocca